Storia della letteratura italiana/Cesare Pavese: differenze tra le versioni

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Importante fu l''''opera''' di [[Cesare Pavese]] [[scrittore]] di [[romanzo|romanzi]], [[poesia|poesie]] e [[racconto|racconti]], ma anche quella di [[traduttore]] e [[critico]] e degna di essere messa in risalto è la sua '''poetica'''.
==Poetica e stile==
Nella prima parte dell'opera [[Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950|Il mestiere di vivere]] dal titolo ''Secretum Professionale (ott.-dic. 1935 e febb. 1936)'' Pavese annota le sue riflessioni sul modo di fare poesia e in generale di fare arte costruendo quella che si può definire la sua [[poetica]] e precedentemente, nell’nell'''Appendice critica'' anteposta a [[Lavorare stanca]] intitolata ''Il mestiere di poeta'', il giovane scrittore riconosce allo studio su [[Walt Whitman]] (soggetto della sua tesi di [[laurea]]) e alla traduzione de "Il nostro signor Wrenn" di [[Sinclair Lewis]], il merito di averlo reso libero dalla schiavitù dei [[Metrica|metri]] tradizionali.
 
Sempre nel "Mestiere di vivere" continuano infittendosi (soprattutto nel periodo del [[1942]] e l'inizio del [[1945]]) e con maggiore sicurezza, le note su come devono essere strutturate le [[immagine|immagini]], sulla necessità di utilizzare la [[commozione]], sull'importanza del [[grammatica italiana|tempo presente e del passato]] per un valore costruttivo da dare all'opera, come condensare il [[racconto]] attraverso il [[tono]], che cosa sia in realtà il tono ''"un ripensare avvenimenti più o meno illuminati"'' <ref>''op. cit.'', pag. 125</ref> oltre ad analizzare il tempo [[narrazione|narrativo]] e cercare il modo di renderlo più scorrevole accorciandolo e rallentandolo, come costruire un [[personaggio]] e come farlo parlare, come passare dalla semplice [[proposizione]] alla [[frase]], come ottenere un racconto ben equilibrato, l'importanza del punto di vista e ancora appunti sullo [[stile]], sulla [[linguaggio|lingua]] e sulla [[tecnica]].
===La tecnica===
Se a quei tempi la parola tecnica era, nel clima letterario [[Benedetto Croce|crociano]], parola disprezzata, essa viene spesso menzionata da Pavese per il quale, certamente grazie all'influenza dovuta alla sua [[cultura]] [[Stati Uniti d'America|americana]], la tecnica è l'unico strumento in grado di decidere lo stile di un autore {{ Quote|La prova dell'essenziale composizione a freddo è lo stile, lucido, vitreo, anche se ogni tanto si colora di passionali scatti. Sono calcoli, ragionati, anche questi. <ref>''op. cit.'', pag. 58</ref>}}
 
Pavese parla spesso di [[arte]] intesa come "mestiere" e la tecnica gli serve come autodisciplina per sfuggire alle tentazioni del [[romanticismo]] con una scelta quindi che non intende solamente rispondere a canoni [[estetica|estetici]] ma soprattutto [[etica|etici]] e che l'aiutano ad evitare di lasciarsi andare ad un semplice piacere narrativo.
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Nell'esaminare le [[opera|opere]] di Pavese si osserva inoltre che la sua narrativa si rifà alla legge [[statica]] della [[ripetizione]] in quanto egli circoscrive il suo ambito tematico intorno a motivi fondamentali che non si cura di ampliare ma che al contrario cerca di ripetere con insistenza volutamente monotona, perché, come egli scrive
{{Quote|Raccontare è sentire nella diversità del reale una cadenza significativa, una cifra irrisolta del mistero, la seduzione di una verità sempre sul punto di rivelarsi e sempre sfuggente. La monotonia è un pegno di sincerità. <ref>in ''Raccontare è monotono'', ''Saggi letterari'', ''op. cit.'', pagg. 307-308</ref>}}
Lo scrittore vuole così dimostrare che, per rappresentare la [[realtà]] interiore finalmente trovata, non è necessario cercare cose nuove ma che il più grande sforzo è da rivolgersi a come, tecnicamente, questa realtà verrà rappresentata
{{Quote|''Arte è tecnica'' e tutti sanno che un prodotto della tecnica è qualcosa di artificiale, di approssimativo, che tende senza posa a perfezioni, a fondarsi su scoperte più esatte e puntuali. ''Arte'' è insomma ''artificio''. <ref>Cesare Pavese, ''Saggi letterari'' in Opere, [[Giulio Einaudi Editore|Einaudi]], 1968, pag. 48</ref>}}
===Il simbolo===
Come l'autore stesso scrive nel "Mestiere di vivere" in data [[10 dicembre]] [[1939]], si tratta di riuscire a rappresentare la realtà attraverso i [[simbolo|simboli]] perché
{{Quote|Il simbolo... è un legame fantastico che tende una trama sotto il discorso. <ref>da ''Il mestiere di vivere'', ''op. cit.'', pag. 165, 10 dicembre 1939</ref>}}
Pertanto ciò che interessa a Pavese veramente (e su questo argomento egli si sofferma più volte nel suo Mestiere di vivere) è quello di riuscire a rappresentare non tanto la realtà oggettiva delle cose ma quella che egli definisce la "''realtà simbolica''" <ref>Il riferimento si trova nello ''schema'' tracciato dallo stesso Pavese nel ''Mestiere di vivere'' il 26 novembre 1939</ref>, quella cioè che si nasconde al di sotto della esteriorità.
{{Quote|Ci vuole la ricchezza d'esperienze del realismo e la profondità di sensi del simbolismo. Tutta l'arte è un problema di equilibrio fra due opposti. <ref>da ''Il mestiere di vivere'', ''op. cit.'', pag. 166, 14 dicembre 1939</ref>}}
 
Il [[17 novembre]] [[1949]], Pavese aveva stilato sul suo ''diario'' una classificazione delle opere fino a quel momento fatte basandosi su di un [[criterio]] [[storico]]-contenutistico
{{Quote|Hai concluso il ciclo storico del suo tempo: ''Carcere'' (antifascismo confinario), ''Compagno'' (antifascismo clandestino), ''Casa in collina'' (resistenza), ''Luna e i falò'' (post-resistenza). Fatti laterali: guerra '15-'18, guerra di Spagna, guerra di Libia. La saga è completa. Due giovani (''Carcere'' e ''Compagno'') due quarantenni (''Casa in collina'' e ''Luna e falò''). Due popolani (''Compagno'' e ''Luna e falò'') due intellettuali (''Carcere'' e ''Casa in collina'').<ref> da ''Il mestiere di vivere'', pag. 375</ref>}}
e il [[26 novembre]] dello stesso anno, evidentemente non soddisfatto dell'abbozzo precedente, dopo alcune righe di riflessione sui ricordi e sull'estasi del ricordo compila uno schema diverso dal quale lascia intendere che la costruzione narrativa si basa su precisi elementi che però da soli non rappresentano la realtà, ma, come scrive Marziano Guglielminetti, <ref>''op. cit.'', pag. 77</ref> "''Dal gioco di rapporti che tra loro si stabilisce deve scaturire una realtà ulteriore, oscura e ancestrale, alla quale i singoli elementi esteriori, immediatamente percepibili, rinviano in forma simbolica. In questa trama di corrispondenze, che strutturano in profondità il tessuto narrativo, consiste la particolare qualità del linguaggio metaforico di Pavese''".
 
{| border=1 align=center
|+ '''Quadro sinottico dello svolgimento dell'opera pavesiana.''' <ref>da ''Il mestiere di vivere'', ''op. cit.'', pag. 377, 26 novembre 1949</ref>
 
 
|[[Lavorare stanca]]|| [[1930]] [[1933]] [[1936]] [[1938]] [[1940]]|| [[parola]] [[sensazione|sensazioni]]||
|-
|[[Il carcere|Carcere]] -[[Paesi tuoi]] - [[La bella estate|Bella estate]] - [[La spiaggia (romanzo)|La spiaggia]]||[[1938]], [[1939]], [[1940]], [[1941]]|| [[Naturalismo (letteratura)|naturalismo]]
|-
|[[Feria d'agosto]] ||[[1941]], [[1942]], [[1943]], [[1944]]||[[poesia]] in [[prosa]] e consapevolezza dei [[mito|miti]]
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|[[Il compagno|Compagno]] || [[1946]] || gli estremi: naturalismo e [[simbolo]] staccati
|-
|[[La casa in collina]] - [[Il diavolo sulle colline|Il diavolo in collina]] -[[ Tra donne sole]] -[[ La luna e i falò]] || [[1947]] - [[1948]] - [[1949]] - 1949 ||[[realtà]] [[simbolismo|simbolica]]
|}
 
===Lo stile===
Nell'opera di Pavese lo [[stile]] si fonde con le situazioni attraverso la disposizione delle [[parola|parole]] che seguono lo stesso [[ritmo]] delle [[emozione|emozioni]] vissute nella realtà interiore. Il ritmo diventa pertanto il [[protagonista]] delle sue opere dove i [[personaggio|personaggi]] e gli episodi, non sono altro che un pretesto per raccontare. Un raccontare che rifugge dalle costruzioni complesse e che si basa su una [[sintassi]] essenziale fatta di [[cadenza|cadenze]] prese dal [[linguaggio]] [[dialetto|dialettale]], da [[cesura|cesure]] del [[periodo (grammatica)|periodo]] e dall'uso della [[paratassi]]. La scrittura di Pavese può dunque sembrare povera, ma è una povertà apparente perché essa corrisponde a un programma teorico ben delineato che si basa su un severo esercizio di stile e non è una scrittura naturalistica come scrive lo stesso autore nel suo diario l'[[11 settembre]] del [[1941]]
{{Quote|... il narrare non è fatto di realismo psicologico, né naturalistico, ma di un disegno autonomo di eventi, creati secondo uno stile che è la realtà di chi racconta, unico personaggio insostituibile. <ref>''op. cit.'', pag. 229</ref>}}
 
==La poesia==
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===La lirica di "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi"===
{{vedi anche|Verrà la morte e avrà i tuoi occhi}}
Ben diverse le poesie delle due ultime raccolte di Pavese, '' [[Verrà la morte e avrà i tuoi occhi|La terra e la morte]] '' ( i versi che furono composti a [[Roma]] nel [[1945]] e pubblicati nel [[1947]] sulla rivista "Le Tre Venezie") e [[Verrà la morte e avrà i tuoi occhi]] (pubblicati [[postumo|postumi]] insieme ai versi della precedente raccolta dall'[[editore]] [[Giulio Einaudi]] nel [[1951]]) dove il discorso diventa più fluido e il discorso [[poesia lirica|lirico]] si basa su immagini che non hanno più, come in ''Lavorare stanca'', un diretto rapporto con un fatto o un oggetto specifico ma sono da essi scollegati. L'ultima poesia di Pavese si rifà pertanto alla tradizione lirica [[Francesco Petrarca|petrarchesca]] e [[Giacomo Leopardi|leopardiana]] anche se i motivi ripresi, come il legame [[amore]]-[[morte]], si presentano attraverso una nuova prospettiva che è quella del [[mito]].
 
Con le poesie di queste due ultime raccolte avviene pertanto il passaggio da una [[poesia]] intesa come [[racconto]] ad una poesia intesa come [[Canto (metrica)|canto]] che adotta il [[verso]] breve e si esprime in [[forma|forme]] e [[ritmo|ritmi]] [[melodia|melodici]].
 
==La narrativa==
{{Quote|Non è soltanto una similitudine il parallelo tra una vita di abbandono voluttuoso e il fare poesie isolate, piccole, una ogni tanto, senza responsabilità di insieme. Ciò abitua a vivere a scatti, senza sviluppo e senza principi. La lezione è questa: costruire in arte e costruire nella vita, essere tragicamente. <ref>''op. cit.'', pag. 34</ref>}}
 
Gli anni [[1935]] - [[1936]], quelli del [[confino]] a [[Brancaleone (Italia)|Brancaleone Calabro]], se da una parte significano l'abbandono dei [[sogno|sogni]] giovanili dall'altra segnano, come scrive [[Lorenzo Mondo]] <ref>Lorenzo Mondo, ''Cesare Pavese'', [[Mursia]], 1970, pag. 40</ref> ''... l'inizio di un ripensamento estetico e morale che schiuderà la via alla [[prosa]]''.
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*[http://www.homolaicus.com/letteratura/pavese.htm Approfondimento 2]
 
[[Categoria:Opere di Cesare Pavese| ]]
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