La religione greca/Le religioni dei misteri/I Misteri di Samotracia: differenze tra le versioni

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[[File:Nike de samothrace.jpg|250px|thumb|Statua in marmo pario della dea Nike (Νίκη) rinvenuta sull'isola di Samotracia. Risalente al periodo ellenistico (II secolo a.C.), è oggi conservata al Museo del Louvre di Parigi. Nike è la dea della potenza della "vittoria" nella religione greca. Essa viene menzionata per la prima volta da Esiodo nella ''Teogonia'' (383) in qualità di figlia del titano Pallante (Παλλάς) e di Stige (Στύξ) onorata unitamente ai suoi fratelli Zelos (Ζῆλος, Rivalità), Kratos (Κράτος, Potere) e Bie (Βία, Forza), in quanto si schierarono dalla parte del re degli dèi durante lo scontro con i Titani. Nike è celebrata in occasione della vittorie nelle gare atletiche o artistiche, ma anche negli scontri bellici. Secondo la tradizione<ref>Scoli ad Ar. ''Av.'' 374.</ref> fu lo scultore Archermo a rappresentarla per la prima volta come "alata", infatti l'immagine di Nike lignea conservata nel tempio di Atena ad Atene era priva di ali<ref>Pausania, III, 15,7</ref>. Con le guerre persiane il culto di Nike divenne popolare e gli Ateniesi gli dedicarono un immagine nel santuario di Delfi dopo la vittoria di Salamina<ref>Erodoto VIII, 121</ref>. Nella statua di Samotracia essa viene rappresentata mentre scende in volo sulla prua di una τριημιολία (''triēmiolía'') <ref>La [http://www.thetravelbook.gr/article.asp?catid=29880&subid=2&pubid=63843308 "triemolia"] era una nave da guerra particolare dalle dimensioni a metà tra una goletta e una trireme. Questo vascello si racconta che fu costruito dai Rodiesi nel 300 a.C. per contrastare la pirateria. La caratteristica di questa nave era la velocità assicurata dalle vele che dopo lo speronamento si chiudevano mediante un meccanismo speciale.</ref> destinandola alla vittoria in battaglia. I culti di Samotracia celebrano la salvezza in mare, la sopravvivenza dei marinai anche nelle battaglie navali: la vittoria sulla morte e nei mari. Nulla dei Misteri di Samotracia indica quindi un loro riferimento al "dopo-morte", tali misteri si occupano piuttosto della vita reale che vince sulla morte reale<ref>Cfr. Walter Burkert, ''La religione greca'', p.511</ref>.]]
[[File:Hephaistos_Thetis_at_Kylix_by_the_Foundry_Painter_Antikensammlung_Berlin_F2294.jpg|250px|thumb|Particolare della ''Kylix'' a figure rosse, conservata presso l'Antikensammlung di Berlino e risalente al V secolo a.C., detta del "Pittore della Fonderia" in quanto il suo esterno illustra le fasi principali dell'esecuzione di una grande statua in bronzo. L'interno della ''Kylix'', qui mostrato, presenta il dio Efesto seduto mentre rifinisce con il martello l'elmo di Achille. La nereide Teti, madre dell'Eroe, esamina lo scudo e la lancia. Teti, che aveva raccolto Efesto precipitato appena nato dalla madre Era nell'Oceano per via della sua bruttezza, chiede al dio di preparare delle armi che possano proteggere suo figlio Achille dalla morte profetizzata da Calcante. Dio del fuoco, dei vulcani, delle fucine e degli artigiani, Efesto è zoppo; nelle società antiche gli uomini forti ma menomati dalla zoppìa, quindi inabili all'agricoltura e alla guerra, facilmente divenivano fabbri.]]
{{q|Cureti che fate risonare il bronzo, che indossate le armi di Ares,<br>celesti e terrestri e marini, beatissimi, <br>spiriti fecondi, nobili salvatori dell'universo,<br> voi che abitate Samotracia, terra sacra, e <br> tenete lontani i pericoli dai mortali che vagano sul mare;<br> voi per primi istituiste il rito iniziatico per gli uomini,<br>immortali Cureti, che indossate le armi di Ares.<br>Voi fate muovere l'Oceano, fate muovere il mare e gli alberi allo stesso modo.<br> Cureti Coribanti, signori potenti<br> e sovrani di Samotracia, contemporaneamente Dioscuri;<br> spiriti eterni, che nutrite la vita,<br>che avete forma dell'aria,<br>che sull'Olimpo siete chiamati gemelli celesti,<br>che spirate benevoli, sereni, salvatori, gradevoli,<br>che regolate le stagioni, che portate i frutti, spirate su di noi, o sovrani.|''Cureti profumo d'incenso''; ''Inni orfici'', XXXVIII, 1-8; 20-5; traduzione di Paolo Scarpi, in ''Le religioni dei misteri'', vol.II. Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla, 2008, p.93-4}}