Martin Heidegger, la vita e l'opera: differenze tra le versioni
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[[File:Heidegger Lipsia 1933.jpg|200px|thumb|Heidegger (l'uomo con i baffi seduto al tavolo, il quinto partendo da destra) alla manifestazione nazista di Lipsia dell'11 novembre 1933 in favore di Adolf Hitler. Il discorso tenuto da Heidegger in quella occasione è conservato nel volume 16 della ''Martin Heidegger Gesamtausgabe'' (pp.190 e sgg., Vittorio Klostermann ed, Francoforte sul Meno, 2000); in italiano è stato tradotto in ''Discorsi e altre testimonianze del cammino di una vita 1910-1976'' (curato da Nicola Curcio, per la casa editrice Il melangolo di Genova, 2005, pp. 179 e sgg.).]]
[[File:Bundesarchiv Bild 146-2007-0118, Walter Gross.jpg|200px|thumb|Walter Groß (1904-1945), direttore dell'Ufficio razziale dello Nsdap. Sarà lui <ref>Safranski, p. 327.</ref>a segnalare agli uffici di Joseph Goebbels l'inopportunità di prendere in considerazione Heidegger, citando nell'occasione i rapporti dello psicologo nazista Erich Rudolf Ferdinand Jaensch (1883-1940) e gli articoli della rivista pedagogica ''Volk im Werden'', curata dal filosofo nazista Ernst Krieck (1882-1947), in cui la filosofia di Heidegger veniva accusata di essere nichilista e analoga a quelle di tipo "ebraico".]]
[[File:Karl Jaspers 1946.jpg|200px|thumb|Karl Jaspers (1883-1969) in un'immagine del 1946. Heidegger e Jaspers si incontrano per la prima volta l'8 aprile del 1920, alla festa di compleanno di Edmund Husserl. Jaspers è già un professore affermato,
Il 26 febbraio 1969 Karl Jaspers muore, sul suo scrittoio rimane aperto un faldone di 300 pagine manoscritte il cui ultimo appunto è un addio a Heidegger:
{{q|Da sempre - scrive Jaspers- i filosofi tra loro contemporanei si incontrano in alta montagna, sopra un vasto altopiano roccioso. Da lassù lo sguardo spazia sulle montagne nevose e ancora più in basso sulle valli abitate dagli uomini e sull'orizzonte lontano e in ogni dove sotto il cielo. Là, il sole e le stelle sono più lucenti che in qualsiasi altra parte. E l’aria è talmente pura che dissolve ogni opacità, talmente fredda che non lascia levarsi alcun fumo, talmente limpida che uno slancio del pensiero si diffonde in spazi immensi. [...] Oggi sembra che su questo altopiano non ci sia nessuno da incontrare. Ho avuto l’impressione [...] di incontrarne uno soltanto e – tranne lui – nessun altro. Quest’uomo però è stato un mio cavalleresco avversario: le potenze che noi servivamo, infatti, erano irriducibili tra loro. Presto apparve evidente che noi non potevamo affatto parlare uno con l'altro. E così la gioia si trasformò in dolore, un dolore particolarmente inconsolabile, come se si fosse perduta una possibilità che sembrava prossima, a portata di mano. Così è andata tra me e Heidegger. Per questo trovo insopportabili, senza alcuna eccezione, tutte le critiche che egli ha subito: lassù, infatti, su quell'altopiano, non avrebbero trovato posto. Per questo vado alla ricerca della critica che diventa reale nella sostanza del pensiero stesso, alla ricerca della lotta che rompe l’assenza di comunicazione dell'inconciliabile, della solidarietà che lassù – trattandosi di filosofia – è ancora possibile anche tra chi è più estraneo. Una critica e una lotta intese in questo senso sono forse possibili, eppure vorrei, per così dire, tentare di catturarne l’ombra|Cit. in Volpi ''Guida a Heidegger'', p.45}}]]
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