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Il '''buddhismo cinese''' è il frutto dell'intensa attività missionaria di importanti rappresentanti del buddhismo dei Nikāya e del buddhismo Mahāyāna provenienti dall'India e, soprattutto, dall'Asia Centrale in Cina e dei contributi di maestri locali, che continueranno questa tradizione o ne daranno nuove e cruciali interpretazioni. Apporti rilevanti raggiunsero la Cina anche per via meridionale, fino al formarsi una rete culturale estremamente importante nella storia dell'Asia e delle civiltà influenzate dalla cultura cinese, come il Giappone, la Corea e il Vietnam e alcuni regni sinizzati dell'Asia continentale.
 
Documenti storici influenzati da leggende posteriori ma sostanzialmente attendibili parlano di una prima introduzione del buddhismo in Cina nell'anno 64<ref>{{Quote|La prima precisa menzione del Buddha figura in un editto del 65, riguardante un principe imperiale, Ying di Chou, il quale manteneva presso la sua corte di Pengcheng (un importante centro commerciale della Cina orientale dove gli stranieri dovevano essere numerosi) una comunità di monaci (sicuramente stranieri) e di laii indicati con la loro denominazione tecnica indiana; e il testo precisa che il principe "sacrificava al Buddha"|In: Paul Demieville. ''Il buddhismo cinese'', in Henri-Charles Puech (a cura di) ''Storia del buddhismo''. Bari, Laterza, 1984, pagg. 160-1}}</ref>. L'apice culturale del buddhismo Cinese sarà sotto la dinastia Tang, mentre in epoche posteriori si assisterà ad una certa decadenza dovuta alla perdita del favore imperiale, all'interruzione dei contatti diretti con l'India (dove il buddhismo si estinse) e ad un rinato interesse per la filosofia e le religioni autoctone (Confucianesimo, Daoismo). Le scuole buddhiste più importanti dell'epoca Tang sono la Tiāntái, la Huāyán e la Zhēnyán. Di poco posteriore ed in seguito molto influente, si deve ricordare la scuola Chán. Meno influente nella storia del buddhismo cinese ma importante per i favori che riceverà dalla corte fino all'ultima dinastia sarà il Lamaismo di origine tibetana. Alcune di queste scuole sopravvivono in paesi di antica influenza cinese, specialmente in Giappone.
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[[File:Mahayanabuddha.jpg|thumb|left|Buddha Śākyamuni, Dinastia Tang (618-907), Hebei.]]
[[File:Guoqingsi001r.jpg|thumb|Il tempio di Guoqing sui Monti Tiāntái appartenente all'omonima scuola. Costruito da Guàndǐng (灌頂, 561-632) nel 598, durante la Dinastia Sui, fu ricostruito nel XVIII secolo durante la Dinastia Qing.]]
 
== Le scuole del buddhismo cinese ==
[[File:Wood Bodhisattva.jpg|thumb|upright=1.8|Una rappresentazione della bodhisattva (菩薩) Guānyīn (觀音) in legno, Dinastia Song (960-1279). La posizione della statua è indicata come "giocosa" (''līlāsana'') con la gamba sinistra avvicinata al tronco, mentre quella destra poggia a terra.]]
 
Le scuole del buddhismo cinese sono tradizionalmente elencate come tredici (十三宗, pinyin ''shísān zōng''). All'elenco tradizionale va aggiunta la scuola Sānjiē (三階教, la scuola del "Tre Stadi") fondata nel VI secolo da Xìnxíng (信行, 540-593). Questa scuola verrà considerata eretica dall'imperatrice buddhista, della Dinastia Tang, Wǔ Zétiān (武則天, regno: 690-705) e completamente annientata, nel 725, da un suo successore, l'imperatore Xuánzōng (玄宗, regno 712-56). Va tenuto presente che quando, di seguito, vengono trattate le scuole (宗, ''zōng'') esse non vanno intese nel significato comune di luoghi o gruppi contrapposti ad altri, piuttosto come lignaggi di insegnamenti o di precetti (戒脈, ''jièmài''). Questo almeno fino all'epoca Tang, quando le contrapposizioni per ottenere i favori imperiali o per dirimere le polemiche dottrinali, irrigidiranno maggiormente tali tradizioni e le 'scuole' che ne deriveranno.
 
=== La scuola Jùshè (倶舍宗, ''Jùshè zōng'') ===
Inizialmente fu una scuola ''hīnayāna'' fondata sulle dottrine esposte nell'''Abhidharma-kośa-bhāsya'' (Tesoro dell'Abhidharma, 阿毘達磨倶舍論本頌, pinyin ''Āpídámójùshèlùn běnsòng'', è conservato nel ''Pítánbù''), composto nel V secolo dal sarvāstivāda Vasubandhu. Fu inglobata nel 753 dalla scuola Fǎxiāng, fondata da Xuánzàng (玄奘, 600-664) che diede di quest'opera una lettura mahāyāna cittamātra. Nel 658, i monaci giapponesi Chitsū (智通, VII secolo) e Chidatsu (智達, VII secolo) allievi di Xuánzàng, ne trasferirono gli insegnamenti in Giappone fondando la scuola Kusha.
 
=== La scuola Chéngshí (成實宗, ''Chéngshí zōng'') ===
Fu fondata dagli allievi di Kumārajīva, Sēngdǎo (僧導, 362–457) e Sēngsōng (僧嵩, ?-?), dopo che il maestro ebbe tradotto lo ''Tattvasiddhi-śāstra'' (成實論 pinyin: ''Chéngshí lùn'', giapp. ''Jōjitsuron'', si trova nel ''Lùnjíbù'') di Harivarman, da cui prende il nome. Di impronta madhyamaka, fece concorrenza alla scuola Sānlùn pur conservando con questa delle precise differenze dottrinali. Declinò alla fine del VII secolo, ma il monaco coreano Hyegwan (coreano エカン, cinese 慧灌 Huìguàn, giapp. Ekan) ne trasferì, nel 625, gli insegnamenti in Giappone che sono alla base della scuola giapponese Jojitsu.
 
=== La scuola Lǜ (律宗, ''Lǜ zōng''; anche 南山宗 ''Nánshān zōng'') ===
[[File:Daoxuan.jpg|upright=0.5|thumb|Dàoxuān (道宣)]]
Fondata nel VII secolo dal monaco Dàoxuān (道安, 596-667) si rifà essenzialmente al ''Cāturvargīya-vinaya'' (Quadruplici regole della disciplina, 四分律 pinyin: ''Shìfēnlǜ'', giapp. ''Shibunritsu'', è conservato nel ''Lǜbù'') della scuola Dharmaguptaka, tradotto in cinese nel 408 da Buddhayaśas (in cinese 佛陀耶舍 Fótuóyéshè, IV-V secolo) e da Zhú Fóniàn (竺佛念, IV-V secolo).
 
L'attenzione rivolta da questa scuola a questo ''vinaya'' e il fatto che venissero studiati anche gli altri tre ''vinaya'' già tradotti in cinese in quell'epoca<ref>Questi tre ''vinaya'' sono: il ''Daśa-bhāṇavāra-vinaya'' ( Dieci suddivisioni delle regole monastiche, 十誦律 pinyin ''Shísònglǜ'', giapp. ''Jūjuritsu'') della scuola Sarvāstivāda tradotto da Kumārajīva e Puṇyatara nel 404; il ''Pañcavargika-vinaya'' (Quintuplici regole della disciplina, 五分律 pinyin ''Wǔfēnlǜ'', giapp. ''Gobunritsu'') della scuola Mahīśāsaka, tradotto nel 423 dal monaco di scuola Mahīśāsaka Buddhajiva su un testo portato in Cina dallo Sri Lanka dal monaco cinese Faxian. Rivisto e completato intorno alla metà del V secolo dai discepoli di Kumarajiva, Daosheng e Huiyuan; il ''Mahāsāṃghika-vinaya'' (Grande Canone delle Regole monastiche, 摩訶僧祇律 pinyin: ''Móhēsēngqílǜ'', giapp. ''Makasōgiritsu''), della scuola Mahāsāṃghika portato in Cina all'inizio del V secolo da Fǎxián (法賢, 340-418) che lo aveva ottenuto a Pataliputra, e da lui tradotto nel 416 con l'aiuto di Buddhabhadra.</ref> fu emulato da tutte le altre scuole buddhiste cinesi, che presto decisero di adottare il ''Cāturvargīya-vinaya'' come regola monastica.
 
Nemmeno la traduzione del ''Mūla-sarvāstivāda-vinaya-vibhaṅga'' (Vinaya Mūlasarvāstivāda, 根本說一切有部毘奈耶 pinyin: ''Gēnběnshuōyīqièyǒubù pínàiyé'', giapp. ''Konpon setsuissaiubu binaya'') portato in Cina e tradotto da Yìjìng (義淨, 635-713) nell'VIII secolo, cambierà questo tipo di scelta. Nel 754, il monaco cinese Dàoxuān Lǜzōng (道安律宗, 702-760) trasferirà in Giappone le dottrine di questa scuola fondando la scuola giapponese Ritsu.
 
=== La scuola Sānlùn (三論宗, ''Sānlùn zōng'') ===
[[File:Shaolinsi.JPG|thumb|Entrata principale del tempio di Shàolín (少林寺), residenza, secondo alcune agiografie, del patriarca del buddhismo Chán, Bodhidharma, in Henan, Cina.]]
È la scuola dei Tre trattati (''Sānlùn'')<ref>I tre trattati, conservati nel ''Zhōngguānbù'', che caratterizzano questa scuola sono: il ''Madhyamakaśāstra'' anche ''Mūlamadhyamakakārikā'' (Le Stanze di mezzo, 中論 pinyin ''Zhōnglùn'', giapp. ''Chūron'') di Nagarjuna, opera centrale di tutta la scuola Madhyamika, tradotto da Kumārajīva nel 409 e conservato anche in sanscrito e tibetano. Questa opera possiede numerosi commentari ed è alla base di tutto il buddhismo Mahāyāna; il ''Dvādaśanikāya-śāstra'' (Trattato dei dodici aspetti, 十二門論 pinyin: ''Shíèr mén lùn'', giapp. ''Jūnimon ron'') di Nagarjuna, tradotto da Kumārajīva; il ''Śata-śāstra'' (百論 pinyin ''Bǎilùn'', giapp. ''Hyakuron'') di Āryadeva, il discepolo di Nagarjuna. Fu tradotto da Kumārajīva nel 404 e consiste in una critica dell'<nowiki></nowiki>''ātman'' dal punto di vista della vacuità (''sunyata'').</ref>, conservati nello ''Zhōngguānbù'', ad impronta madhyamaka. Tradizionalmente si ritiene sia stata fondata dall'allievo di Kumārajīva, Sēngzhào (僧肇, 374-414) ma è attestato che egli non ebbe dei discepoli diretti. Nacque comunque tra gli allievi del grande traduttore di Kucha. Importante diffusore delle sue dottrine fu il monaco Jízàng (吉藏, 549-623). Venne progressivamente assorbita, durante la Dinastia Tang, dalle scuole Tiāntái e Huāyán. Il monaco coreano Hyegwan la diffuse in Giappone, nel 626, dove prese la denominazione Sanron.
 
=== La scuola Nièpán (涅槃宗, ''Nièpán zōng'') ===
La scuola Nièpán è nata a seguito di una controversia dottrinale determinata dalla prima traduzione in cinese del ''Mahāyāna Mahāparinirvāṇa-sūtra'' (Sutra mahāyāna del Grande passaggio al di là della sofferenza, 大般泥洹經 ''Dà bān níhuán jīng'', giapp. ''Daihannionkyō'', conservato nel ''Nièpánbù'', T.D. 376.12.853-900) operata da Buddhabhadra e Fǎxián (法賢, 340-418) in 6 fascicoli nel 417. In questa prima traduzione veniva adombrata la dottrina degli ''icchantika'' (一闡提, ''yīchǎntí'', giapp. ''issendai''), una dottrina di origine cittamātra che sosteneva la possibilità di esseri senzienti, gli ''icchantika'', a cui era preclusa per sempre l'"illuminazione". Questa lettura del sutra e la conseguente dottrina fu subito rigettata dal discepolo Kumārajīva, Dàoshēng (道生, 355&nbsp;– 434) che, come il suo maestro, seguiva le dottrine madhyamaka<ref>Anche le scuole ad impronta madhyamaka, Tiāntái e Huāyán, polemizzarono contro i sostenitori di questa dottrina, in particolare con la scuola ad impronta cittamātra, Fǎxiāng.</ref>. Tale contrasto con Buddhabhadra e Fǎxián costrinse Dàoshēng a lasciare Nanchino e a tornare sul Monte Lú da dove era precedentemente partito. La scuola Nièpán si dedicava allo studio e all'interpretazione di questo sutra, ma nel corso dei secoli fu assorbita dalle scuole Tiāntái, Huāyán, Shèlùn e Fǎxiāng, scomparendo definitivamente sotto la Dinastia Tang (618-907).
 
=== La scuola Dìlùn ( 地論宗, ''Dìlùn zōng'') ===
[[File:Chinese Boddhisattva statue.jpg|thumb|upright=0.5|Bodhisattva, Dinastia Qi Settentrionali (550-77)]]
È una scuola di origine cittamātra che si fonda sul ''Daśabhūmikasūtra-śāstra'' o ''Dasabhūmikabhāsya'' (十地經論 ''Shídì jīnglùn'' o anche ''Shidi lun'' 十地論, o ''Dilun'' 地論, giapp. ''Jūji kyō ron'', T.D. 1522.26.123b-203b, è conservato nel ''Yúqiébù'') redatto da Vasubandhu nel IV secolo, fu tradotto in cinese da Bodhiruci tra il 508 e il 512. Questo testo è un commentario al ''Daśabhūmika-sūtra'' (十住經 ''Shízhù jīng'', giapp. ''Jūjū kyō'', Sutra delle dieci terre, T.D. 286), che corrisponde a sua volta al trentunesimo capitolo del ''Avataṃsakasūtra'' (華嚴經 ''Huāyánjīng'', giapp. ''Kegon kyō'', Sutra della ghirlanda fiorita di Buddha). Influenzò la scuola Huāyán.
 
=== La scuola Chán (禪宗, ''Chán zōng'') ===
Secondo alcune agiografie fu fondata nel V secolo dal leggendario monaco indiano Bodhidharma. Abbiamo, tuttavia, contezza di questa scuola solo a partire dal VII secolo quando alcuni monaci di probabile origine Tiāntái si avviaro alla sola pratica dello ''zuòchán'' (坐禪, meditazione seduta, pratica di origine Tiāntái) secondo il metodo del ''bìguān'' (壁觀 guardando il muro<ref>Vi sono molte interpretazioni su questa tecnica. La più diffusa, popolarmente, ritiene che sia una indicazione fisica nel senso di porsi di fronte ad un muro. In realtà secondo numerosi studiosi tale interpretazione è in realtà piuttosto tarda e richiamerebbe il ''miànbì'' (面壁) piuttosto che il ''bìguān'' (壁觀) dove 壁 (''bì'') antrebbe inteso come avverbio, ovvero guardare sé stessi come se si fosse un muro.(Cfr. ad es. Heinrich Domoulin ''Early Chinese Zen Reexamined
A Supplement to Zen Buddhism: A History'' Japanese Journal of Religious Studies 1993 20/ 1 pag.33).</ref>) insegnato dal loro leggendario fondatore. Pare prediliggesse il solo studio del ''Laṅkâvatārasūtra'' (Il Sutra della discesa a Lanka, 楞伽經 pinyin ''Lèngqiéjīng'', giapp. ''Ryōgakyō'', conservato nel ''Jīngjíbù''), sutra di origine cittamātra. Dopo la morte del quinto patriarca Hóngrěn (弘忍, 601 - 674), secondo la tradizione più diffusa si suddivise in due rami: quello settentrionale, fondato da Shénxiù (神秀, 606-706), e quello meridionale, fondato da Huìnéng (慧能, 638-713). Di questi due rami scolastici, solo il secondo è giunto a noi. Dottrine e lignaggi della scuola Chán furono trasferiti in Giappone dai monaci tendai Eisai (1141-1215) e Dōgen (1200-1253) che fondarono rispettivamente le scuole Zen Rinzai e Zen Sōtō.
 
=== La scuola Shèlùn (攝論宗, ''Shèlùn zōng'') ===
È una delle scuole buddhiste cinesi più antiche. Si basa sullo studio e la interpretazione del ''Mahāyāna-saṃgrahôpanibandhana'' o ''Mahāyāna saparigraha-śāstra'' (Commentario sul sommario del Grande veicolo, cin. 攝大乘論釋 ''Shè dàshènglùn shì'', T.D. 1595.31.152-271, conservato nello ''Yúqiébù'') un'opera di Vasubandhu tradotta in 14 fascicoli e interpretata da Paramârtha (499-569) e che è a sua volta un commentario del ''Mahāyāna-saṃgraha-śāstra'' (Sommario del Grande veicolo, 攝大乘論 ''Shè dàshèng lùn'', T.D. 1593.31.112b-132c, conservato nello ''Yúqiébù'') opera di Asaṅga, tradotta in tre fascicoli sempre da Paramârtha. Le dottrine di questa scuola sono di chiara derivazione cittamātra e sono centrate sull'interpretazione dell'''ālayavijñāna'' (Coscienza fondamentale, 阿賴耶識 ''ālàiyé shì'', giapp. ''araya shiki''). Questa scuola fu assorbita, nel 649, dalla scuola Fǎxiāng quando Xuánzàng ritradusse il ''Mahāyāna-saṁgrahôpanibandhana'' con il titolo 攝大乘論本 (''Shè dàshènglùn běn'') reinterpretandolo.
 
=== La scuola Tiāntái (天台宗, ''Tiāntái zōng'') ===
[[File:Zhiyi.jpg|thumb|upright=0.5|Zhìyǐ (智顗, 538-597)]]
 
Fondata da Zhìyǐ (智顗, 538-597) nel VI secolo, elenca tra i suoi patriarchi cinesi anche Huìwén (慧文, V secolo) e Huìsī (慧思, 515-577).
 
Si fonda sulla dottrina di origine Madhyamaka della Triplice verità (''yuánróng sāndì'' 圓融三諦) e sullo ''yīniàn sānqiān'' (一念三千) nonché sulle dottrine rivelate nel ''Sutra del Loto'' (sanscrito ''Saddharmapundarīkasūtra'', cin. 妙法蓮華經 ''Fǎhuā jīng'' o ''Miàofǎ Liánhuā Jīng'', giapp. ''Myōhō renge kyō'' o ''Hokkekyō'', è conservato nel ''Fǎhuābù'').
 
È stata una delle scuole buddhiste cinesi più importanti, nonché la prima ad elaborare un buddhismo tipicamente cinese, influenzando anche le altre scuole segnatamente il buddhismo Chán e quello della Terra Pura.
 
I suoi manuali di meditazione sullo ''zhǐguān'' (止觀) si diffusero presso tutte le scuole. Annovera tra i suoi patriarchi principali anche Guàndǐng (灌頂, 561-632), Zhànrán (湛然, 711-782) e Zhīlǐ (知禮, 960-1028).
 
Nell'805 il monaco giapponese Saichō (最澄, 767-822) la introdurrà in Giappone dove prenderà la denominazione Tendai.
 
=== La scuola Huāyán (華嚴宗, ''Huāyán zōng'') ===
[[File:Kuan Yin Sea.jpg|thumb|Il bodhisattva Guānyīn (觀音), qui impersonificato da una dea che protegge i naviganti.]]
 
Scuola dell'"Ornamento fiorito", una delle principali scuole del buddhismo cinese. Deve il suo nome all'<nowiki></nowiki>''Avataṃsakasūtra'' (華嚴經, pinyin ''Huāyánjīng'', giapp. ''Kegon kyō'', Sutra della ghirlanda fiorita di Buddha, conservato nello ''Huāyánbù''), sutra considerato il più importante e completo da questa scuola. Particolare riguardo era riservato all'ultimo capitolo, il ''Gaṇḍavyūhasūtra'' (入法界品 pinyin: ''Rù fǎjiè pǐn'', giapp. ''Nyū hokkai bon'', Capitolo sull'ingresso dentro il Regno della Realtà). La dottrina di questa scuola verteva su una lettura olistica e omnicentrica di tutta la Realtà. Primo patriarca e fondatore fu il monaco Dùshùn (杜順, 557-640, anche 法順 Fǎshùn) del monastero di Zhixiang (sui monti Zhōngnán 終南山 poco a sud di Chang'an). Altre personalità di questa scuola sono il suo successore, Zhìyán (智嚴 602-668) e il suo allievo Fǎzàng (法藏, 643-712) che visse alla corte dell'imperatrice buddhista Wǔ Zétiān (regno 690-705) della Dinastia Tang, grande sostenitrice di questa scuola. Nel 740 il monaco coreano Simsang (シンショウ, cinese 審祥 ''Shěnxiáng'', giapp. ''Shinshō'') insegnò l'''Avataṃsakasūtra'' e le dottrine della scuola Huāyán in Giappone fondando di fatto la scuola giapponese Kegon.
 
=== La scuola Fǎxiāng (法相宗, ''Fǎxiāng zōng'') ===
Denominata come scuola ''Wéishì'' (唯識, "Sola Rappresentazione"; dal sanscrito ''Vijñaptimātra'') dai suoi seguaci e ''Fǎxiāng'' (法相, "Caratteristiche dei ''dharma'') dai suoi oppositori, fu la versione cinese della scuola indiana Cittamātra. Fu fondata da Xuánzàng (玄奘, 600-664) al suo ritorno dal suo lungo viaggio in India nel 645 e organizzata dal suo allievo Kuījī (窺基, 632-682). Xuánzàng si era recato in India per recuperare dei testi buddhisti da riportare in patria e, durante questo viaggio, si fermò lungamente presso l'Università di Nālandā dove ricevette gli insegnamenti direttamente dall'abate Silabhadra, a sua volta discepolo diretto di Dharmapāla (VI secolo), un esegeta Cittamātra. Testo fondamentale della scuola fu, infatti, il ''Vijñaptimātratāsiddhi-śāstra'' (Trattato sulla realizzazione del niente altro che conoscenza, 成唯識論 pinyin: ''Chéngwéishìlùn'', giapp. ''Jōyuishikiron'', conservato nello ''Yúqiébù'') opera fondamentale di Dharmapāla tradotta da Xuánzàng (T.D. 1585.31.1a-59a) che poi è un commentario al ''Triṃśikāvijñaptikārikā'' di Vasubandhu. Nonostante la sua notorietà, la scuola non ebbe un largo seguito e finì, nel corso degli anni, per essere in buona parte assorbita dalla scuola Huāyán. Non sopravvisse alla persecuzione dell'845, ma il pellegrino giapponese Dōshō (道昭, 629-700) riportò i suoi insegnamenti e i suoi lignaggi in Giappone nel 653, fondando la scuola giapponese Hossō.
 
=== La scuola Jìngtǔ (淨土宗, ''Jìngtǔ zōng'') ===
[[File:Huiyuan.jpg|upright=0.5|thumb|Huìyuan (慧遠, 334-416) in una antica stampa cinese.]]
 
È una delle scuole buddhista cinesi dalle radici più antiche. Nel 402, sul Monte Lú, Huìyuan (慧遠, 334-416) compirà un rito facendo riferimento a uno dei testi portanti di queste dottrine, il ''Pratyutpannasamādhi-sūtra''.
 
Quindi la devozione del Buddha Amithaba ha radici antiche in Cina, come del resto nella stessa India. Occorrerà tuttavia ancora un secolo perché si formi una scuola con un suo corpus scritturale preciso, conservato nel ''Bǎojībù''<ref>I tre testi fondamentali della scuola ''Jìngtǔ zōng'', conservati nel ''Bǎojībù'' del Canone buddhista cinese, sono: ''Amitāyurdhyānasūtra'' (Sutra della contemplazione sul Buddha della vita infinita, 觀無量壽經 pinyin: ''Guān wúliángshòu jīng'', giapp. ''Kammuryōju kyō'') tradotto da Kalyasas nel 402 (T.D. 365.12.340c-346b); ''Amitâbha-sūtra'' (Sutra di Amitabha, 阿彌陀經 pinyin ''Amítuó jīng'', giapp. ''Amida kyō'') tradotto da Kumarajiva nel 402 (T.D. 366.12.346b-348b). ''Sukhāvatī-vyūha-sūtra'' (Sutra della vita infinita, 無量壽經, pinyin ''Wúliángshòu jīng'', giapp. ''Muryōju kyō'') tradotto Saṃghavarman e Buddhabhadra in 2 fascicoli (T.D.360.12.265c-279ª).</ref>.
 
È con il monaco Tánluán (曇鸞, 476-572) che viene varata, infatti, la scuola Jìngtǔ che ha come cuore della sua pratica spirituale la recitazione del nome di Amitâbha Buddha (阿彌陀佛 ''Āmítuó fó'', giapp. ''Amida butsu''). La semplicità di questa pratica consentirà a questa scuola di diffondersi negli strati più popolari del popolo cinese, soprattutto nelle campagne. Influenzerà direttamente la scuola Tiāntái che ne ingloberà degli insegnamenti restituendole delle riflessioni dottrinarie. E nel corso dei secoli anche le altre scuole buddhiste verranno da lei influenzata. In particolare la scuola Chán che, nel XVI secolo con il maestro Yúnqī Zhūhóng (雲棲袾宏, 1535-1615), incorporerà la recitazione del nome di Amitâbha Buddha come pratica del ''gōng-àn'' (公案, giapp. ''kōan'').
 
È uno degli insegnamenti buddhisti più diffusi e praticati oggi in Cina. Verrà trasferità in Giappone, nel IX secolo, da Saichō, fondatore della scuola Tendai. E nel, XII secolo, un monaco tendai di nome Hōnen (法然, 1133-1212), fonderà la scuola Jōdo che si rifà direttamente agli insegnamenti della scuola cinese Jìngtǔ.
 
=== La scuola Zhēnyán (眞言宗, ''Zhēnyán zōng'') ===
[[File:Subhakarasimha.jpg|thumb|Subhākarasiṃha (善無畏, Shànwúwèi, 637-735), traduttore del ''Mahāvairocanābhisaṃbodhi'' in cinese.]]
Scuola della "Vera parola", di derivazione Vajrayāna, si diffuse attraverso due modalità, quello dei traduttori e degli esegeti si rivolse alle classi colte, mentre quello dei taumaturghi si rivolse essenzialmente, ma non solo, al popolo delle campagne. Il primo testo 'tantricò di cui abbiamo contezza è il ''Módēngqié jīng'' (摩登伽經, sanscrito: ''Mātaṅga-sūtra'', giapp. ''Matōga kyō'', Sutra della giovane Matanga) la cui prima traduzione si può far risalire ad Ān Shìgāo (安世高, II secolo) nel 170 (摩鄧女經 T.D. 551.14.895), mentre una seconda (摩登伽經, T.D. 1300.21.399-410) è attribuibile ai monaci Kushan Zhú Lǜyán (竺律炎, II-III secolo) e Zhī Qiān (支謙, II-III secolo) nel 230. In tale antico sutra vi è descritto, per la prima volta, l'utilizzo di ''dhāraṇī'' (cin. 陀羅尼 ''tuóluóní'', giapp. '' darani''), e ''mantra'' (cin. 眞言 ''zhēnyán'', giapp. ''shingon''), tra cui il ''Gāyatrī'' proveniente dal ''Ṛgveda''. Per tramite di monaci dell'Asia centrale, come Fótúchéng (佛圖澄, ?-348) l'utilizzo di mantra e dhāraṇī fu diffuso, tuttavia, anche a livello di corte nella Cina settentrionale durante le dinastie barbare succedute alla Dinastia Han. Nel IV secolo si affacciano testi Vajrayāna più maturi, come il ''Mahāmāyūrī-vidyārājñī'' (孔雀明王經 ''Kǒngquè míngwáng jīng'', giapp. ''Kujaku myōō kyō'', T.D. 986.19.477-479).
 
Ma occorre aspettare la traduzione, nel 724, del ''Mahāvairocanāsūtra''<ref>I tre testi fondamentali (三部經, pinyin ''sān bù jīng'', giapp. ''san bu kyō'') della scuola Zhēnyán sono conservati nel ''Mìjiàobù'' e sono: ''Mahāvairocanāsūtra'' o ''Mahāvairocanābhisaṃbodhi-vikurvitādhiṣṭhāna-vaipulyasūtra'' (Il sutra di Mahāvairocanā, 大日經 pinyin: ''Dàrì jīng'', giapp. ''Dainichikyō''). Consta di 36 capitoli riportati in 7 rotoli. Questo sutra, fu raccolto nel VII secolo a Nālandā dal monaco cinese Wúxíng (無行, VII secolo), che tuttavia lì morì nel 685 d.C. senza far ritorno in patria. Venne comunque recuperato dal governo imperiale cinese e trasportato a Chang'an e, nel 724, fu tradotto da Subhākarasiṃha (善無畏, 637-735) e dal monaco di scuola Zhenyan, Yīxíng (一行, 684-727); ''Vajraśekhara-sūtra'' (金剛頂經 pinyin ''Jīngāngdǐng jīng'', giapp. ''Kongōchō kyō''), fu tradotto durante la Dinastia Tang da Amoghavajra (705-774) in tre fascicoli con il titolo ''Jingangding yiqie rulai zhenshi shedasheng xianzheng dajiaowang jing'' (金剛頂一切如來眞實攝大乘現證大教王經) e rappresenta la versione più diffusa. Sempre durante la Dinastia Tang fu tradotto nuovamente da Vajrabodhi (金剛智, VIII secolo) in quattro fascicoli con il titolo di ''Jingangzhi suoyi zhi jingangding yuqie zhong lüechu niansong jing'' (金剛智所譯之金剛頂瑜伽中略出念誦經). Infine durante la Dinastia Song da Dānapāla in tre fascicoli con il titolo di ''Yiqie rulai zhenshi shedasheng xianzheng sanmei jiaowangjing'' (一切如來眞實攝大乘現證三昧教王經); ''Susiddhi-kara-mahā-tantra-sādhanôpāyika-paṭala'' (Il tantra del successo misterioso, 蘇悉地羯羅經 pinyin ''Sūxīdì jiéluó jīng'', giapp. ''Soshitsujikyara kyō'') tradotto in 3 fascicoli (T.D. 893.18.603-692) da Śubhakarasiṁha nel 726. È conosciuto anche con il nome abbreviato di ''Susiddhi-tantra'' (蘇悉地經, ''Sūxīdì jīng''). Consiste in un manuale per ottenere risultati positivi con i rituali esoterici.</ref> da parte di Subhākarasiṃha (善無畏, Shànwúwèi, 637-735) e Yīxíng (一行, 684-727) perché si possa parlare di uno sviluppo scolastico della scuola Zhēnyán.
 
Nel 720 giungeranno in Cina altri due maestri Vajrayāna, Vajrabodhi (金剛智, Jīngāng Zhì, 671-741) e il suo discepolo Amoghavajra (不空金剛, Bùkōng jīngāng, 705-754) con altre scritture. E sarà proprio l'attività di Amoghavajra presso la Corte dell'imperatore della Dinastia Tang, Dàizōng (代宗, conosciuto anche come Lǐ Yù, 李豫 regno: 762-779), a fare di questa scuola una delle principali scuole buddhiste in grado di mettere in secondo piano il Daoismo rinascente. Nell'806, il pellegrino giapponese Kūkai (空海, 774-835) trasferirà insegnamenti e lignaggi Zhēnyán, ricevuti direttamente dal settimo patriarca, Huìguǒ (惠果, 746-806), in Giappone dove fonderà la scuola Shingon.
 
=== La scuola Sānjiē (三階教, ''Sānjiē jiào'') ===
Fu fondata dal monaco Xìnxíng (信行, 540-593) e si basava sulla "Dottrina delle tre fasi (三階, ''sānjiē'')" della predicazione del Buddha Śākyamuni:
# Periodo del vero Dharma (正法, pinyin: ''zhèngfǎ'', giapponese: ''shōbō'', sanscrito: ''sad-dharma''): quando sono presenti gli insegnamenti del Buddha che vengono messi in pratica consentendo di realizzare l'"illuminazione". È il periodo, per questa scuola, del Veicolo unico (sanscrito: ''ekayāna'', cin. 一乘 ''yīshèng'', giapp. ''ichijō''), dove è unica la dottrina e gli uomini sono di capacità superiore e in grado di comprenderla.
# Periodo del Dharma contraffatto (像法, pinyin: ''xiàngfǎ'', giapponese: ''zōhō'', sanscrito: ''saddharma-pratikṣepa''): quando gli insegnamenti del Buddha sono presenti, alcuni li mettono in pratica ma nessuno riesce a realizzare l'"illuminazione". È il periodo dei Tre veicoli (sanscrito: ''triyāna'', cin. 三乘 ''sānshèng'', giapp. ''sanjō''), quello degli śrāvaka (声闻), dei pratyekabuddha (缘觉) e dei bodhisattva (菩萨), dove la dottrina si differenzia a seconda delle differenti capacità umane. Ancora esistono esseri senzienti in grado di distinguere la verità dalle false dottrine.
# Periodo del Dharma finale (末法, pinyin: ''mòfǎ'', giapponese: ''mappō'', sanscrito: ''saddharma-vipralopa''): quando gli insegnamenti del Buddha sono presenti, ma nessuno li mette in pratica e nessuno realizza l'"illuminazione". In questo periodo solo l'insegnamento denominato ''pǔfǎ'' (普法 giapp. ''fuhō'', insegnamento universale)<ref>Gli insegnamenti degli altri due periodi vengono invece denominati ''biéfǎ'' (別法, giapp. ''beppō'', insegnamenti distinti).</ref> basato sulla verità universale di "tutta la Realtà come manifestazione del ''dharmakāya'' (法身, ''fǎshēn'', giapp. ''hōshin'')" può essere compreso. E', infatti, un insegnamento adatto agli esseri dell'ultimo periodo che, "ciechi dalla nascita", non sono in grado di distinguere la Verità dalle false credenze.
 
Xìnxíng riteneva di vivere nel periodo del Dharma finale e che solo il suo insegnamento fosse corretto. Convinti assertori della natura di Buddha insita in ogni essere, i monaci ''sānjiē'' non si raccoglievano in monasteri ma erano itineranti e propagandavano ovunque la dottrina del maestro. Presto raccolsero, sotto forma di donazioni, ingenti ricchezze. Anche per questa ragione entrarono in conflitto con le altre scuole e con il potere imperiale. L'imperatrice buddhista Wǔ Zétiān (武則天, regno: 690-705) considerandosi essa stessa '' Jīnlún shèngshén huángdì'' (金輪聖神皇帝, Sacra sovrana della Ruota d'Oro), giunta per fondare un impero buddhista mondiale non poteva certamente accettare di vivere in un periodo di ''mòfǎ'' e quindi dichiarò eretica questa scuola. L'imperatore Xuánzōng (玄宗, regno 712-56) la annientò completamente nel 725, incamerando nelle casse imperiali le sue ricchezze.
 
 
==Storia del buddhismo cinese==
[[File:Via della Seta, I secolo E.C. (particolare).png|upright=2|thumb|Le antiche Vie della Seta terrestri e marittime corrispondono alle vie percorse dai missionari buddhisti dell'Asia centrale verso la Cina e dai pellegrini cinesi verso l'India.]]
 
L'arrivo del buddhismo in Cina rappresenta, ancora oggi, uno dei processi di acculturazione delle idee e delle credenze religiose tra più straordinari della Storia dell'umanità.
 
Culture elaborate e dai profondi risvolti filosofici e spirituali, come quelle indiana, centroasiatica e cinese, riuscirono in Cina a fondersi e a costituire un insieme di scuole dottrinali e di culture materiali, parte delle quali sopravvive tutt'oggi nell'area di influenza cinese e in Giappone, e da dove, nello scorso Secolo, hanno raggiunto l'Occidente.
 
Il buddhismo è penetrato in Cina agli albori dell'era cristiana, sotto la Dinastia Han, giungendo lungo la Via della seta dalla Serindia, ovvero da quella zona geografica situata tra il Pamir e lo spartiacque dell'Oceano Pacifico.
 
=== Introduzione del buddhismo in Cina (I-IV secolo) ===
L’introduzione del buddhismo in Cina risalirebbe alla metà del I secolo d.C.<ref>{{quote|Una delle prime menzioni del buddhismo da parte delle fonti cinesi si trova in un testo storico, peraltro oscuro e mutilo, in cui si parla di un letterato che nell'anno 2 a.C. avrebbe ricevuto l'insegnamento delle Scritture buddhiste da un principe o da un ambasciatore Yuezhi, cioè degli Indo-sciti, che allora governavano ai confini indoiranici|in: Paul Demieville. ''Il buddhismo cinese'', in Henri-Charles Puech (a cura di) ''Storia del buddhismo''. Bari, Laterza, 1984, pagg. 160-1}}</ref> durante la Dinastia Han orientale (25-220, capitale: Luòyáng), la quale aveva esteso il suo protettorato su una parte dell'Asia centrale. Non si hanno notizie certe su questo avvenimento ma solo leggende, la principale delle quali vorrebbe che l'imperatore Míng (明, conosciuto anche come Liú Zhuāng, 劉莊, regno:57-75 d.C.) sognò un uomo d'oro. Particolarmente colpito dall'accaduto, un suo consigliere suggerì che potesse essere un dio straniero di nome Buddha. Míng inviò alcuni ambasciatori verso Occidente, che tornarono insieme a due monaci indiani, Kāśyapa Mātaṇga (conosciuto anche col nome cinese di 攝摩騰 Shè Móténg) e Gobharaṇa (cinese: 竺法蘭 Zhú Fǎlán), condotti su di un cavallo bianco. I monaci portarono con loro testi delle scuole del buddhismo dei Nikāya, tra cui il ''Sutra in quarantadue capitoli'' (四十二章經, ''Sìshíèrzhāngjīng'', T.D. 784.17.722-724), che tradussero nel 67 d.C. a Luòyáng dove fondarono il Monastero del Cavallo Bianco (白馬寺, ''Báimǎ Sì''). Risulta comunque che anche il fratellastro dell'imperatore Míng, Liú Yīng (劉英, ?-71) principe di Chu, proteggesse alcune nascenti comunità buddhiste<ref>{{quote|La prima precisa menzione del Buddha figura in un editto del 65, riguardante un principe imperiale, Ying di Chou, il quale manteneva presso la sua corte di Pengcheng (un importante centro commerciale della Cina orientale dove gli stranieri dovevano essere numerosi) una comunità di monaci (sicuramente stranieri) e di laii indicati con la loro denominazione tecnica indiana; e il testo precisa che il principe "sacrificava al Buddha"|In: Paul Demieville. ''Il buddhismo cinese'', in Henri-Charles Puech (a cura di) ''Storia del buddhismo''. Bari, Laterza, 1984, pagg. 160-1}}</ref>. Abbiamo notizie più certe a partire dal II sec. grazie alle cronache monastiche cinesi<ref>Il ''Gāosēng zhuàn'' (高僧傳, Biografie di monaci eminenti , giapp. ''Kōsō den'', T.D. 2059), composto in 14 fascicoli da Huìjiǎo (慧皎, 497-554) nel 519 mentre risiedeva nel monastero di Jiaxiang. Contiene la biografia di 257 tra monaci e monache vissuti in Cina tra il 67 e il 519 ed è conservato nello ''Shǐchuánbù''.
</ref>. Intorno al 150 d.C. giunse in Cina, come ostaggio, Ān Shìgāo (安世高), un principe persiano buddhista il quale avrebbe tradotto diversi sutra (le cronache parlano di 35 testi) delle scuole del buddhismo dei Nikāya. Nel 181 giunse il persiano Ān Xuán (安玄), un mercante il quale, divenuto discepolo di Ān Shìgāo, tradusse altri testi sempre delle scuole del buddhismo dei Nikāya e predicò attivamente la dottrina buddhista. Poi, sempre nel II secolo, è la volta di Lokakṣema (cinese: 支婁迦讖, Zhī Lóujiāchèn) un vero e proprio missionario Mahāyāna proveniente dall’impero Kushan che tradusse moltissimi testi ma di scuole del buddhismo Mahāyāna. L'opera di Lokakṣema fu seguita da un altro missionario kushan, Zhī Qiān (支謙), agli inizi del III secolo. Zhī Qiān, era un monaco poliglotta, discendente di una famiglia che si era stabilita un secolo prima a Luòyáng (divenuta capitale del Regno di Wèi, 曹魏, 220-265, uno dei Tre Regni in cui era suddivisa la Cina dopo il crollo della Dinastia Han orientale). Quindi da Hanoi (oggi capitale del Vietnam) e sempre nel III sec., giunse in Cina un giovanissimo sogdiano, Kāng Sēnghuì (康僧會). La famiglia di Kāng Sēnghuì visse prima in India per alcune generazioni trasferendosi quindi ad Hanoi dove svolsero l'attività di mercanti e da lì migrarono in Cina. Kāng Sēnghuì prese i voti da novizio (''sramanera'', cinese: 沙彌 ''shāmí'' ) a soli dieci anni, imparò il cinese e cominciò la sua opera di traduzione. Il più importante traduttore del III sec., anche lui un kushan, fu tuttavia Dharmarakṣa (cinese: 竺法護 Zhú fǎhù, ). La sua famiglia si era stabilità da tempo a Dūnhuáng (敦煌). Lì nacque Dharmarakṣa che entrò in un monastero buddhista a soli 8 anni. I buddhisti cinesi e gli stranieri buddhisti residenti in Cina sentirono tuttavia la necessità di acquisire direttamente nuovi testi religiosi, quindi Dharmarakṣa accompagnò il suo maestro, un monaco indiano conosciuto con il suo nome cinese, Zhú Gāozuò (竺高座), in un viaggio verso l'Occidente dove visitarono numerosi regni incontrando ben 36 idiomi diversi e raccogliendo sutra buddhisti. Tornato in Cina, Dharmarakṣa si occupò della loro traduzione. Ne tradusse ben 149 prima di morire, in età molto avanzata, nel 316 d.C.
 
==== I rapporti tra buddhismo e Daoismo ====
Per comprendere il successo della diffusione di una dottrina straniera come il buddhismo in un impero, come quello cinese, spesso chiuso nelle proprie millenarie tradizioni, occorre indagare accuratamente le relazioni tra le comunità straniere buddhiste, e i primi monaci buddhisti cinesi, con gli studiosi confuciani e, soprattutto, daoisti. Inizialmente i daoisti ritennero il Buddha venerato dalle comunità buddhiste niente altro che lo stesso Lǎozǐ (老子), il leggendario fondatore del Daoismo il quale, secondo una antica leggenda daoista, sarebbe partito per l'Occidente allo scopo di diffondere le proprie dottrine presso i barbari. Alcune dottrine buddhiste erano, peraltro, sovrapponibili a quelle daoiste e ciò permise di varare il metodo ''Géyì'' (格義, "Fare coincidere il senso") per cui molti termini cinesi presi in prestito dal Daoismo (e anche dal Confucianesimo) furono utilizzati dai primi traduttori di sutra buddhisti: così inizialmente ''nirvāṇa'' veniva reso come 無爲 (''wúwéi'', non azione) e non più correttamente come 湼槃 ('' nièpán''). Il crollo della Dinastia Han fu un grave smacco per la cultura tradizionale cinese, in quanto questa dinastia aveva accuratamente seguito le indicazioni religiose e normative e ciononostante era impietosamente crollata sotto le ribellioni e grazie al tradimento dei generali dell'esercito imperiale. La riflessione che ne seguì, in ambito daoista, fu propria della scuola Xuánxué (玄學, Scuola della Sapienza oscura) la quale ritenne che la Dinastia Han avesse preso troppo alla lettera le idee professate nei classici del Daoismo anziché coglierne intuitivamente la portata. La distinzione fra conoscenza immediata e conoscenza graduale (quest'ultima, secondo queste dottrine, non priva di rischi di fallimento nella comprensione) fu poi alla base di numerose distinzioni tra le scuole buddhiste cinesi sempre tese a dichiararsi nell'ambito, vincente, dell'immediato. Inoltre i dotti daoisti ritennero che grazie alla comprensione immediata si potesse penetrare il principio della realtà che costituiva la matrice di tutte le cose. Identificarono questo principio con il "non essere" (cin. 無 ''Wú'') che corrispondeva alla reale natura di tutti i fenomeni intesi come "essere" (cin. 有 ''Yǒu''). Così Guō Xiàng (郭象, ?-312) nel XX capitolo del suo commentario allo ''Zhuāngzǐ'' (莊子): «Nell'esistenza che cosa è prima delle cose? Noi diciamo che Yin e Yang sono prima delle cose, che c'è allora prima di ''Yīn'' (陰) e ''Yáng'' (陽)? Noi possiamo dire che ''zìrán'' (自然) [lo stato armonioso della natura delle cose] è prima delle cose, ma ''zìrán'' è semplicemente la naturalità armoniosa delle cose. Ma il ''Dao'' è vuoto (inteso come "non essere", cin. ''Wú''). Ma se è vuoto come può essere prima delle cose? Noi non sappiamo che cosa è prima delle cose, tuttavia le cose sono continuamente prodotte. Questo dimostra che le cose sono spontaneamente ciò che sono; non c'è un Creatore delle cose». Tale testo daoista non può non richiamare, in alcuni passi, gli stessi ''Prajñāpāramitā Sūtra'' della letteratura buddhista Mahāyāna messi per iscritto alcuni secoli prima in India. Ma tali concezioni potevano essere, dal lato pratico, eccessivamente relativiste e non spiegavano i diversi destini dell'umanità. Accorsero le dottrine buddhiste di ''karma'' (cinese 業 ''yè'') e di ''rinascita'' (sanscrito ''punarbhava'', cin. 更生 ''gēngshēng'') a spiegare ciò che il Daoismo ancora non aveva affrontato: la dimensione morale della realtà. Fu quindi la cultura buddhista ad offrire la possibilità di un cambiamento epocale in Cina. Essa permetteva da un lato la spiegazione di eventi, anche individuali, disastrosi e, con la diffusione dei monasteri, consentiva a chiunque di approcciare questi temi in modo personale e spirituale.
 
=== Lo sviluppo nella Cina meridionale (IV-VI secolo) ===
Nel corso del IV secolo, a seguito della invasione della Cina settentrionale da parte dei popoli delle steppe (Xiōngnú, 匈奴; Jié, 羯; Xiānbēi, 鮮卑; Qiāng, 羌; e Dǐ, 氐) la corte cinese abbandonò Luòyáng (洛陽) spostandosi verso Sud, fondando la nuova capitale a Jiànkāng (建康, oggi Nánjīng) e la nuova Dinastia Jin orientale (317-420). Nella Cina meridionale il buddhismo prosperò soprattutto tra le classi aristocratiche e vi furono importanti monaci cinesi, come Shi Daobao e Zhu Daoqian, fratello e cugino di Wáng Dǎo (王導, 276-339) importantissimo esponente della Corte imperiale), che operarono per inserire la dottrina buddhista nella cultura tradizionale cinese. Tra questi monaci cinesi, va menzionata l'opera di Huìyuan (慧遠, 334-416), fondatore del monastero di Dōnglín (東林, Monastero del Bosco Orientale, situato ai piedi del monte Monte Lú, ispiratore, alcuni secoli dopo, del ''Báiliánjiào'', 白蓮教, setta del Loto Bianco), e del suo maestro, Dào'ān (道安, 312-385), fondatore del monastero di Xiāngyáng (襄陽) nonché, a sua volta, discepolo del maestro di dhyana e taumaturgo, di origini kushan, Fótúchéng (佛圖澄, ?-348, già consigliere dell'imperatore Shí Lè,<ref>石勒 regno 319-333, della Dinastia Zhao posteriore, 後趙, 319-351</ref>). Huìyuan fu autore, nel 404, dello ''Shāmén bùjìng wángzhě'' (沙門不敬王者, Il monaco non deve rendere omaggio al sovrano), un'opera rivolta all'usurpatore della Dinastia Jin orientale, Huán Xuán (桓玄, regno: 403-404) e tesa a dimostrare i motivi per cui i monaci buddhisti non potevano essere 'controllati' dalle autorità laiche. Nel corso di quegli anni venne completata la progressiva raccolta di sutra buddhisti provenienti dall'Asia centro-orientale e quindi si cercò di raggiungere l'India, il paese che diede i natali al Buddha Shakyamuni, per poter completare la raccolta con nuovi testi. Per tale ragione nel 399 partì, sempre da Jiànkāng, il monaco cinese Fǎxiǎn (法顯, 340-418) per una missione durata 14 anni in India e Sri Lanka alla ricerca dei ''Vinaya'' indiani e di nuovi sutra. Dall'India giunse anche, nel 408 su invito di Fǎxiǎn, Buddhabhadra (359-429) che iniziò le traduzioni delle opere Mahāyāna; mentre dalla Cambogia giunse, nel 548, Paramârtha (499-569) che avviò le traduzioni della scuola Cittamātra ponendo così le premesse per la nascita della scuola Shèlùn (攝論宗), fondata poco dopo da Tánqiān (曇遷, 542-607). Nel VI secolo grazie alla Dinastia Liang (502-557), e in particolare modo dell'imperatore Wǔ (武, conosciuto anche come Xiāo Yǎn, 蕭衍, regno: 502-49), il buddhismo ebbe un attivo sostegno da parte della Corte imperiale. L'imperatore Wǔ giunse, nel 511, a vietare il consumo di carne e di vino a Corte e l'impiego di animali per la preparazione di medicamenti o per i sacrifici. Fece costruire moltissimi templi ma non riusci a farsi nominare dai monaci ''Bodhisattva'' imperiale, una specie di ''papa'' buddhista cinese, questo per l'opposizione del ''saṃgha'' (僧伽, ''sēngqié'') buddhista. Anche agli imperatori della Dinastia Chen (557-589) furono favorevoli al buddhismo, in particolar modo Xuān (宣, conosciuto anche come Chén Xù, 陳頊, regno: 568-82) e Hòu Zhǔ (後主, conosciuto anche come Chén Shúbǎo, 陳叔寶, ultimo imperatore della dinastia Chen, regno: 582-89), anche grazie ai quali venne fondata da Zhìyǐ ((智顗, 538-597) la scuola Tiāntái (天台宗). Ma proprio in questo periodo di successo si avviano le opere polemiche contro la "dottrina occidentale" da parte dei letterati confuciani e daoisti che, nei secoli a seguire, alimenteranno le persecuzioni religiose contro i devoti del Dharma. In particolare modo Gù Huān (顧歡, V secolo) affermò, nello ''Yíxiàlún'' (夷夏論, Studio sui barbari e sui cinesi), che il buddhismo mirava a distruggere il male in quanto, essendo nato in India, la natura degli indiani era malvagia, a differenza del Daoismo che coltivava il bene in quanto i cinesi erano naturalmente buoni. Hé Chéngtiān (何承天, 370-447) arrivò a sostenere che le regole monastiche buddhiste erano state elaborate per frenare gli istinti malvagi degli Indiani. Nel ''Sānpòlún'' (三破論, Studio sulle tre distruzioni, opera del daoista Zhāng Rong, 張, V secolo) si arrivò a sostenere che Lǎozǐ giunto in India come Buddha aveva ordinato al popolo di scegliere il celibato così da estinguerlo vista la sua malvagità. Ma l'attacco più pericoloso per le comunità buddhiste fu promosso da Xún Jǐ (荀濟, ?-547) con la sua opera ''Lun fojiao biao'' (Memoriale sul buddhismo) dove sostenne che il buddhismo ero fiorito in Cina durante il periodo delle divisioni dinastiche e che stava pervertendo le relazioni politiche e familiari. Le comunità monastiche risultavano composte da "parassiti" che non svolgevano alcuna attività lavorativa, inoltre il loro celibato provocava una diminuzione nella procreazione di manodopera futura. Secondo Xún Jǐ questo celibato non impediva ai monaci di fornicare con le monache provocando aborti che poi nascondevano sotto le fondamenta dei templi.
 
===Lo sviluppo nella Cina settentrionale (IV-VI secolo)===
Nello stesso periodo, a Cháng'ān, nella zona della Cina settentrionale, occupata dall'etnia ''Qiang'' (羌) all'origine della Dinastia Qin posteriore (384-417), operava Kumārajīva (344-413) con la sua scuola di traduttori e maestri di Dharma formata da monaci come: Dàoshēng (道生, 355–434), Dàoróng (道融, 372-445), Sēngruì (僧叡, 371-438), Sēngzhào (僧肇, 374-414) e Huìguān (慧觀, IV-V sec.); che tanta importanza ebbe per lo sviluppo del buddhismo cinese e segnatamente per la scuola Sānlùn (三論宗, ''Sānlùn zōng''), il cui tradizionale fondatore è indicato proprio in Sēngzhào.
Nel 445, sempre nella Cina settentrionale, l'imperatore Tài Wǔ (太武, conosciuto anche come Tuòbá, 拓拔, regno: 423-51) della Dinastia Wei settentrionale (386-534, capitale: Luòyáng) avviò la prima persecuzione contro il buddhismo. La persecuzione di Tài Wǔ ebbe come pretesto la scoperta di un deposito di armi nei sotterranei di un monastero di Cháng'ān, avvenuta dopo la soppressione di una rivolta scoppiata nella stessa città. Il seguito delle indagini denunciarono la presenza di grandi quantità di alcolici e di appartamenti che fungevano da postriboli per le orge dei monaci con donne dell'aristocrazia. A seguito di questo evento, che non si sa quanto autentico o quanto macchinosamente inventato, e su spinta dei suoi due consiglieri antibuddhisti, il daoista Kòu Qiānzhī (寇謙之, 365-448) e il confuciano Cuī Hào (崔浩, ?-450), Tài Wǔ ordinò che tutti monasteri buddhisti fossero dati alle fiamme e i monaci, senza alcuna distinzione di sesso o di età, giustiziati. L'esecuzione del provvedimento fu impedita per le resistenze all'interno della stessa Corte e con l'ascesa al trono di Wén Chéng (文成, conosciuto anche come Tuò Bá Jùn, 拓拔濬, regno: 452-65), fu abrogato e tornò l'appoggio dell'imperatore alle comunità buddhiste.
Immagine:Central Asian Buddhist Monks.jpeg|thumb|left|170px|Un missionario buddhista dell’Asia Centrale ''dagli occhi azzurri'' in compagnia di un confratello cinese. Bacino del Tarim, Xinjiang, Cina, IX-X secolo.
Wén Chéng per riparare ai massacri provocati dal suo predecessore, fece scolpire le Grotte di Yúngāng (雲崗石窟). A differenza della Cina meridionale, dove il buddhismo godeva di un'ampia autonomia dal potere imperiale, nella Cina settentrionale sempre più le case regnanti operarono delle ordinanze di controllo sul ''saṃgha'', costituendo appositi uffici di registrazione che segnalarono la presenza, nel 477, di 100 templi e duemila monaci nella capitale mentre nel resto dell'impero si contavano 77.258 monaci. Fatto salvo la persecuzione scatenata nel 445 da Tài Wǔ la Dinastia Wei settentrionale sostenne con determinazione la diffusione del buddhismo, come testimoniato dalle scultura in pietra delle Grotte di Yúngāng e delle Grotte di Lóngmén (龍門石窟). Alla fine di questa dinastia (534) i templi buddhisti raggiunsero le trentamila unità e i monaci registrati, quasi i 2 milioni. Anche le dinastie successive alla Dinastia Wei settentrionale<ref>Dinastia Wei orientale (534-550, capitale: Luòyáng); Dinastia Wei occidentale (535-557, capitale: Cháng'ān); Dinastia Qi settentrionale (550-557, capitale: Yè).</ref> furono generalmente favorevoli al buddhismo, favore bruscamente interrotto dall'ascesa al trono dell'imperatore confuciano Wǔ (武, conosciuto anche come Yǔwén Yōng, 宇文邕, regno: 561-78) della Dinastia Zhou settentrionale (577-581, capitale: Cháng'ān). Dopo alcune leggi che limitavano la libertà dei monaci, e a seguito delle proteste di questi, l'imperatore Wǔ decise, nel 574, di distruggere tutti gli edifici buddhisti (editto allargato anche ai templi daoisti) e di costringere i monaci al ritorno alla vita laicale. La morte, nel 578, di questo imperatore fece sospendere l'applicazione dell'editto fino all'arrivo della nuova Dinastia Sui, nel 581, che avrebbe riunificato la Cina dopo due secoli e mezzo di divisioni e rilanciato, con vigore e determinazione, la diffusione del buddhismo. Va notato che le guerre dinastiche e le persecuzioni locali costringevano le comunità monastiche ad una continua mobilità in un impero frammentato in molti stati. Ciò se da una parte era una grave forma di disagio e di insicurezza, dall'altra permise al buddhismo di diffondersi per tutta la Cina moltiplicando i monasteri, i templi e i centri di traduzione dei sutra. Inoltre questo periodo di grave insicurezza e di guerre costanti, portò numerosi giovani, spesso orfani, a interrogarsi sul senso della vita e sui suoi fragili fondamenti, quesiti tipici di un percorso spirituale buddhista. La combinazione di questi due elementi, unitamente al fatto che inizialmente fu confuso con la dottrina tradizionale daoista, spiega il rapido successo del buddhismo in tutta la Cina.
 
=== Il buddhismo durante le dinastie Sui e Tang (581-907) ===
Durante la Dinastia Sui (581-618, capitale: Cháng'ān), che riunificò la Cina dopo 360 anni di divisione, gli imperatori Wén (文, conosciuto anche come Yáng Jiān, 揚堅, regno: 581-604) e Yáng (煬, conosciuto anche come Yáng Guǎng, 楊廣, regno: 604-17), ambedue di fede buddhista, furono particolarmente favorevoli alla scuola buddhista Tiāntái, fondata sui monti Tiāntái (天台山), nel 575, da Zhìyǐ (智顗, 538-597). In particolar modo Wén si proclamò ''cakravartin'' (輪王, pinyin ''lúnwáng''), il re universale che governa per mezzo della ruota, simbolo della religione buddhista. Nel 585 si proclamò ''bodhisattva'' (菩薩, ''púsà'') e nel 594 emise un editto imperiale in cui affermò di essere un discepolo del Buddha dichiarando il proprio dolore per i danni apportati dalle persecuzioni antibuddhiste della dinastia degli Zhou settentrionale che lo aveva preceduto. Secondo alcune cronache della dinastia Tang, sotto Wén furono eretti 3792 templi, ordinati 230&nbsp;000 monaci e furono copiati 132&nbsp;000 volumi del Canone cinese.
L'ascesa al Trono del drago<ref>Appellativo comune dato al trono imperiale cinese.</ref> nel 618 della Dinastia Tang (618-907, capitale: Cháng'ān) spinse ulteriormente l'aspetto sincretico della politica religiosa imperiale nei confronti delle “Tre dottrine” (三教 ''sānjiào'') religiose presenti in Cina (Confucianesimo, Daoismo e buddhismo) tendenza già presente nella buddhista Dinastia Sui. Ma il favore della dinastia Tang fu inizialmente nei confronti del Confucianesimo, così Gāozǔ (高祖, conosciuto anche come Lǐ Yuān, 李淵, regno: 618-26), nel 626, limitò la libertà religiosa dei monasteri buddhisti e daoisti. Tale scelta religiosa non fu seguita dal suo erede, Tàizōng (太宗, conosciuto anche come Lǐ Shìmín, 李世民, regno: 626-49), che seppur ritirò le leggi sfavorevoli al ''sangha'' perseguì una politica a favore della chiesa daoista, in quanto la sua famiglia vantava una discendenza diretta da Lǎozǐ. Così anche Gāozōng (高宗, conosciuto anche come Lǐzhì, 李治, regno: 649-83), continuò la politica pro-daoista del suo predecessore, cercando di limitare la diffusione del buddhismo.
Immagine:A Tang Dynasty Empress Wu Zetian.JPG|150px|left|thumb|Wǔ Zétiān, l'imperatrice della Dinastia Tang, grande protettrice delle comunità buddhiste cinesi
L'ascesa la trono dell'imperatrice Wǔ Zétiān (武則天, conosciuta anche come Wǔ Zhào, 武曌, regno: 690-705), nel 690, modificò radicalmente la politica imperiale nei confronti delle scuole buddhiste. L'imperatrice, consapevole di non poter avere l'appoggio, in quanto donna, degli ambienti confuciani, sposò con fede e determinazione la dottrina buddhista, diffondendo per tutto l'impero un sutra, il ''Dàyúnjīng '' (大雲經, sanscrito ''Mahāmegha-sūtra'', Sutra della Grande nuvola, T.D. 387, tradotto nel 314 da Dharmaksema), che profetizzava l'avvenimento di una divinità femminile che si sarebbe incarnata in un monarca universale buddhista (輪王, pinyin ''lúnwáng)''. L'imperatrice Wǔ Zétiān eresse, ovunque, templi buddhisti della “Grande nuvola” (negli anni '50 ne fu rinvenuto uno persino nei pressi di Akbeshim in Kirghizistan). Contemporaneamente proibì la macellazione e stabilì la precedenza del buddhismo sul Daoismo e il Confucianesimo nelle cerimonie ufficiali. Nel 693 assunse il titolo di ''Jīnlún shèngshén huángdì'' (金輪聖神皇帝, Sacra sovrana della Ruota d'Oro), manifestando l'intenzione di fondare un impero universale buddhista, centro religioso e politico per tutti i popoli buddhisti. Nel 694, tuttavia, dopo aver fatto condannare a morte il suo consigliere, il monaco Xuē Huáiyì (薛懷義, ?-694, indicato in alcune cronache come il suo amante), abbandonò il titolo di ''Lúnwáng'' e ritirò l'editto sulle macellazioni. Nel 712 con l'ascesa al trono di Xuánzōng (玄宗, conosciuto anche come Lǐ Lóngjī, 李隆基, regno: 712-56), che riprese con vigore la politica pro-daoista di alcuni dei suoi predecessori, vennero proibiti la costruzione di nuovi monasteri buddhisti, la vendita di immagini sacre e ai monaci fu impedito di predicare e pregare in pubblico. Indicativa fu anche la decisione, presa sempre da Xuanzong nel 736, di mettere sotto controllo la chiesa buddhista affidando il compito di controllo allo ''Hónglúsì'' (鴻臚寺), l'ufficio sul cerimoniale che si occupava dell'ospitalità degli ambasciatori stranieri.
 
====La grande persecuzione anti-buddhista dell'845====
Immagine:Tang Wuzong.jpg|150px|thumb|Wǔzōng, l'imperatore della Dinastia Tang che scatenò la terribile persecuzione anti-buddhista dell'845
Nell'819, sotto il regno di Xiànzōng (憲宗, conosciuto anche come Lǐ Chún, 李淳, regno: 805-20), il famoso letterato confuciano Hán Yù (韓愈, 768-824) spedì alla corte un memoriale che ricordava, nei contenuti, quello di Xún Jǐ del VI secolo. Anche se indirizzato contro tutte le religioni straniere (fu subito utilizzato per perseguitare la Chiesa manichea, religione professata dalle tribù turche degli Uiguri prima della loro conversione all'Islam) rappresentò la base ideologica per le persecuzioni scatenate, nove anni dopo, contro tutte le comunità buddhiste. Nell'844, infatti, l'imperatore Wǔzōng (武宗, conosciuto anche come Lǐ yán, 李炎, regno: 840-846), dopo aver censito le comunità monastiche e i loro beni, emise un editto senza precedenti per cui nelle due capitali (Cháng'ān e Luòyáng) potevano essere presenti solo quattro templi ciascuna ed uno per ogni prefettura, ma solo nelle più importanti. Statue e campane buddhiste vennero fuse per farne monete o attrezzi agricoli mentre quelle di materiale più prezioso furono requisite dal Governo imperiale. Alla fine della persecuzione diverse decine di migliaia di templi vennero distrutti e circa 250&nbsp;000 monaci ridotti allo stato laicale. Ma il colpo finale arriverà l'anno successivo, l'845, quando l'imperatore ordinò la riduzione allo stato laicale di tutti i monaci buddhisti proseguendo fino alla distruzione completa di tutti i monasteri e di tutti i templi, fatto salvo una decina di questi edifici utilizzati per le tradizionali cerimonie di Corte. Alla fine dell'anno, quattromilaseicento monasteri risulteranno rasi al suolo così come quarantamila templi. Circa mezzo milione di persone, tra monaci, monache e servi della gleba al servizio delle terre dei monasteri, furono cacciati dai luoghi di culto andando spesso ad ingrossare le bande di briganti-rivoluzionari che infestavano le campagne. L'efficacia amministrativa della Dinastia Tang riuscì dove fallirono le precedenti persecuzioni anti-buddhiste. Solo i monasteri della scuola Chán che, avendo stabilito nel loro codice monastico il lavoro obbligatorio mentre nel contempo rifiutavano di attribuire alcuna autorità alle scritture e alla devozione nei confronti dei simboli esteriori del Dharma buddhista (immagini sacre, statue, etc.) e utilizzando spesso un linguaggio e un metodo di insegnamento molto simile a quello daoista, furono spesso scambiati per centri daoisti e quindi risparmiati. Di fatto, dalla persecuzione scatenata dall'imperatore Wǔzōng, il buddhismo cinese non si riprese più. Alcune scuole risorgeranno e produrranno ancora maestri importanti ma in tono certamente minore rispetto ai fasti del passato. La scuola Chán, passata quasi del tutto indenne dalla persecuzione avviata da Wǔzōng, non ebbe più occasioni di confronti dottrinali con i grandi maestri delle altre scuole e finì, progressivamente, nell'adagiarsi inglobando le pratiche popolari del ''niànfó'' (念佛), tipiche del buddhismo della Terra Pura. Questo processo storico, avviatosi con la persecuzione dell'845, genererà un buddhismo sincretico privo di spessore dottrinale che finirà, salvo alcuni rari casi, per essere progressivamente marginalizzato dalla cultura cinese risorgendo spesso solo nelle campagne come cultura popolare e millenaristica origine delle sette segrete nate per rovesciare le dinastie straniere come la Dinastia Yuan o la Dinastia Qin, oppure come antesignane delle lotte di classe contro i ceti benestanti. Furono dei pellegrini giapponesi come Saichō (最澄, 767-822), Kūkai (空海, 774-835), Eisai (明菴, 1141-1215) e Dōgen (道元, 1200-1253) a trasferire in Giappone testi, insegnamenti e lignaggi che andavano inesorabilmente scomparendo, o confondendosi, sul suolo cinese.
 
=== Il buddhismo nella Cina dei Song (960-1279) ===
Image:Jade Emperor.jpg|thumb|left|L'Imperatore di Giada (玉皇), culto daoista diffuso dalla Dinastia Song che lo preferì al buddhismo.
L'implosione della Dinastia Tang, avvenuto nel 907 con la morte per avvelenamento del suo ultimo imperatore, il diciassettenne Āi Dì (哀帝, conosciuto anche come Lǐ Zhù, 李祝, regno:904-907), causò alla Cina cinquanta anni di divisioni e di anarchia. La Cina meridionale si suddivise in diversi regni, governati per lo più dai generali della stessa Dinastia Tang, mentre nella Cina settentrionale si succedettero diverse dinastie barbare. Questa grave situazione subì un drastico cambiamento quando un generale di una di queste dinastie, Zhào Kuāngyìn (趙匡胤, 927-976) della Dinastia Zhou posteriore (951-960, capitale: Biàn), conquistò nel 960 con un colpo di stato il potere imperiale, fondando la Dinastia Song<ref>Questa dinastia è suddivisa in due periodi: la Dinastia Song settentrionale (960-1127, capitale: Biàn, 汴); la Dinastia Song meridionale (1127-1279, capitale: Lín'ān, 臨安).</ref> e avviando la riunificazione di tutta la Cina. Tale riunificazione fu tuttavia fermata al Nord dalla presenza del potente stato sino-barbaro dei Liáo (遼)<ref>Questa dinastia, denominata Dinastia Liao, rappresenta l'unione di otto tribù del popolo Qìdān (契丹) guidate da un ''khan'' che dominò parte della Cina settentrionale dal 907 al 1125 avendo come capitale, dal 936, Yandu l'attuale Pechino. Nel 1125 questo regno fu conquistato dalla Dinastia Jin formata dai ''khan'' di una tribù tungusa fino a quel momento tributaria dei Liáo. I Jin, che stabilirono nel 1127 la propria capitale a Biàn strappata al dominio della Dinastia Song, furono conquistati dai mongoli nel XIII secolo.</ref>, conquistati nel 1125 da un altro popolo delle steppe, i Jīn (金), e, ad Occidente, dal regno di origine tibetana Tangut (cinese: 党项, Dǎngxiàng)<ref>Questo regno viene indicato come Dinastia Xia occidentale (1032-1227, capitale: Níngxià) e venne conquistato dai mongoli nel XIII secolo.</ref>.
Anche se durante la Dinastia Song furono ritirate le norme persecutorie contro il buddhismo e questa dinastia fu generalmente, anche se moderatamente, favorevole al ''saṃgha'', i suoi imperatori si mostrarono particolarmente devoti alla Chiesa daoista. Nel 1008 Lǎozǐ fu, insieme a Confucio, proclamato guida spirituale dell'intera umanità. Nel 1012 fu diffuso il culto daoista dell'Imperatore di Giada (玉皇 ''Yùhuáng'') come suprema divinità. I Buddha e i Bodhisattva furono invece considerati, dalla Corte imperiale, come divinità inferiori rispetto al pantheon daoista. Allo stesso modo i monaci buddhisti dovettero sottomettersi alla consacrazione daoista, mentre gli imperatori elargivano denaro e terre ai soli monasteri della religione fondata da Lǎozǐ. Persino la seconda diffusione del Canone buddhista in xilografia, che ha origine proprio durante questa dinastia, la si deve al solo intervento di un privato. Nel 1068, con il varo della norma per la vendita dei certificati di monaco buddhista, si consentì a chiunque di entrare nel ''saṃgha'' magari al solo scopo di pagare meno tributi e senza che fosse richiesta alcuna preparazione. Ciò portò al decadimento dei monasteri buddhisti, visti come luogo di evasione delle tasse, e al loro discredito presso le classi colte. La fede buddhista resistette invece nelle campagne dove, grazie alla setta del Loto Bianco (白蓮教, ''Báiliánjiào'' ) fondata nel 1133 dal monaco tiāntái Máo Zǐyuán (茅子元, 1086-1166), si diffuse accompagnandosi a speranze millenaristiche legate alle figure del Buddha Amitābha (阿彌陀, Āmítuó) e del Buddha del futuro, Maitreya (彌勒, Mílè), divenendo presto origine anche di numerose sette segrete dedite alla cospirazione politica.
 
=== Il [buddhismo sotto la dominazione mongola degli Yuan (1279-1368) ===
Image:Chogyal.JPG|thumb|180px|Drogön Chögyal Phagpa, V patriarca della scuola Sakya del buddhismo tibetano, consigliere di Kublai Khan, responsabile degli affari religiosi dell'Impero mongolo e primo vice-re del Tibet.
 
La dinastia mongola degli Yuan fu decisamente tollerante con tutte le religioni professate lungo il suo vasto impero. Ciononostante, dopo un periodo di attenzioni favorevoli al buddhismo Chán, iniziato nel 1247 con la nomina del monaco chán Haiyuan ad amministratore degli "affari buddhisti" e dopo la conquista del Tibet, la dinastia mongola si fece sempre più portavoce della cultura religiosa del buddhismo tibetano. A partire dal 1260, l'imperatore Kublai Khan (cinese 忽必烈, Hūbìliè, regno: 1260-1294) fu fortemente influenzato da un Lama tibetano, il V patriarca della scuola Sakya Drogön Chögyal Phagpa (1235-1280, cinese 發合思巴, Fāhésībā), a cui affidò tutti gli affari religiosi dell'impero. Da quel momento furono i lama (tibetano ''bla ma'', cinese 喇嘛 ''lǎmá'') tibetani ad esercitare il controllo sul ''saṃgha'' buddhista cinese, nonché sui religiosi delle altre fedi presenti nell'impero mongolo. Questo controllo, esercitato in modo violento e terroristico<ref>«Il Lamaismo divenne di fatto la religione di Stato, a danno del Sangha cinese che per molti decenni fu soggetto a un regime lamaista terroristico.» Erik Zurcher in: ''Il buddhismo in Cina'', ''buddhismo''. Giovanni Filoramo (a cura di). Bari, Laterza, 2007, pag.227. Cfr. anche Mario Sabattini e Paolo Santangelo. ''Storia della Cina''. Bari, Laterza, 2000, pag. 470.</ref> provocò delle forti diffidenze da parte del clero buddhista e del popolo cinese nei confronti delle credenze e delle usanze lamaiste che non penetrarono mai nel tessuto culturale buddhista cinese, interpretate, inoltre, come frutto della imposizione di una casta “occupante” e “barbara”. Questa diffidenza, se non aperta ostilità, consenti ai monasteri delle scuole buddhiste cinesi di fungere da luogo di autentica tradizione agli occhi del popolo.
 
=== Il buddhismo durante la Dinastia nazionale dei Ming (1368-1644) ===
Immagine:Status of Kuan Yin.jpg|thumb|left|180px|Porcellana raffigurante il Bodhisattva Guānyīn, Dinastia Ming.
 
Gli ultimi anni della dominazione mongola furono caratterizzati da una crisi economica lungo tutto l'impero e da numerose ribellioni nelle campagne ispirate dalla setta segreta buddhista del Loto bianco e organizzate dall'esercito clandestino dei Turbanti Rossi (紅巾 ''Hóngjīn''). Da quest anarchia crescente emerse la figura di Zhū Yuánzhāng (朱元璋, 1328-98, successivamente incoronato imperatore con il ''niánhào'' di Hóngwǔ, 洪武, regno: 1368-98), figlio di contadini morti durante la carestia del 1344. Rifugiatosi diciassettenne nel tempio buddhista di Huángjué (黄觉) e divenuto monaco, Zhū Yuánzhāng vi rimase fino al 1352 quando aderì alla setta del Loto bianco entrando nell'esercito ribelle dei Turbanti Rossi. Gli eventi portarono l'ex monaco Zhū Yuánzhāng a divenire capo della rivolta anti-mongola e infine, il 23 gennaio 1368, primo imperatore della Dinastia Ming. Sotto questa dinastia il buddhismo cinese ebbe una certa ripresa anche se i sovrani predilessero le dottrine confuciane, emarginando e controllando sia il buddhismo che il Daoismo. In questo periodo emersero, tuttavia, delle figure di un certo rilievo come il monaco Yúnqī Zhū Hóng (雲棲祩宏, 1535-1615), che promosse numerose associazioni laiche buddhiste e polemizzò duramente contro i gesuiti e le dottrine cristiane. Altri monaci di rilievo di questo periodo furono Hanshan Déqìng (憨山德凊, 1546-1623), Zibo Zhēnkě (紫柏真可, 1543-1604) e Ŏuyì Zhìxù (蕅益智旭, 1599–1655).
 
=== Il buddhismo durante la Dinastia manciù dei Qing (1644-1912) ===
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=== Il buddhismo durante la Repubblica di Cina (1912-1949) ===
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=== Il buddhismo nella Cina di oggi ===
[[File:Three Ancestors Temple - nigu.JPG|thumb|upright=1.8|Monache che recitano dei sutra in un tempio nella provincia di Anhui in Cina.]]
[[File:Buddhism Mass in Ghost Festival.JPG|thumb|upright=1.4|Festa religiosa al tempio di Guǎnghuà (广化寺), Pechino.]]
La condizione odierna del buddhismo cinese all'interno della Repubblica popolare cinese risente dei drammatici eventi accaduti in Cina nella seconda metà del secolo scorso.
 
A partire dal 1949 e fino a tutto il 1976, il buddhismo in Cina ha sofferto tragiche persecuzioni e distruzioni dovute all'ideologia anti-religiosa comunista del Governo che in quegli anni era al potere. Da un periodo di pressante controllo si è passati, nel corso della tragica esperienza della Rivoluzione culturale, ad imprigionamenti di massa, assassinii e distruzioni su larga scala di monasteri, templi e opere d'arte religiosa.
 
Con la morte di Máo Zédōng (毛澤東, 1893-1976) e con la caduta della Banda dei quattro, eventi datati all'autunno 1976, il clima nei confronti delle comunità buddhiste cinesi si è fatto finalmente più favorevole.
 
Da quel momento il Partito comunista cinese è stato più attento e rispettoso delle esigenze di queste comunità religiose e cerca, tutt'oggi, di riparare alle persecuzioni e alle distruzioni dei drammatici decenni della Rivoluzione culturale.
 
Così, a pochi anni dalla morte di Máo Zédōng, dal 16 al 23 dicembre del 1980 l'Associazione buddhista cinese (中国佛教协会, '' Zhōngguó Fójiào Xiéhuì'', fondata nel 1953, raccoglie tutte le realtà buddhiste del Paese) poté convocare regolarmente, e dopo decenni di assenza, la sua Quarta Assemblea con 254 delegati da tutto il Paese, eleggendo Zhào Pùchū (赵朴初, 1907-2000) come presidente.
 
Dal 1981 la stessa Associazione ha ripreso a diffondere la sua pubblicazione ufficiale, ''Fǎyīn'' (法音, ''Voce del Dharma''), e ha potuto riaprire l'Istituto di studi buddhisti di Pechino.
 
Il 20 aprile 1983 finalmente il Governo ha varato la "Risoluzione per le ordinazioni monacali" che ha consentito di effettuare le ordinazioni monastiche in modo regolare e non più segreto. La Quinta Assemblea dell'Associazione si è svolta nella primavera del 1987, in quella occasione si è deciso di fondare l'Istituto di Cultura buddhista cinese con una propria biblioteca. Alla Sesta Assemblea, svoltasi nell'ottobre 1993, hanno partecipato direttamente importanti responsabili politici del Governo cinese e del Partito comunista. La Settima Assemblea, come la Sesta, è stata indirizzata soprattutto a condurre l'Associazione in un ambito "coerente" con le "politiche di unità nazionale" promulgate dal Governo. Mentre nel 2003 si è svolto regolarmente il cinquantenario dell'Associazione dei buddhisti cinesi.
 
Se consideriamo che agli inizi degli anni ottanta erano sopravvissuti solo circa 25&nbsp;000 tra monaci e monache, la cui quasi totalità aveva trascorso decenni nei campi di rieducazione e di lavoro forzato del Partito comunista cinese, si può considerare come estremamente positiva l'evoluzione da quegli anni bui fatti di torture e imprigionamenti per il saṃgha cinese. Le distruzioni dei monasteri e dei templi furono infatti drammatiche, pochi i testi originali sopravvissuti, migliaia le esecuzioni.
 
Oggi sono principalmente quattro i monasteri che hanno ripreso regolarmente la formazione dei monaci e la loro ordinazione e si trovano a: Qīxiáshān (栖霞山) nei pressi di Nanchino, Nántōng (南通), Chéngdū (成都), Monte Pǔtuó (普陀山) nei pressi di Níngbō. Il buddhismo professato da questi monaci è quasi dappertutto sincretico e amalgama dottrine originariamente diverse, derivate soprattutto dalle scuole Chán, Zhēnyán e Jìngtǔ, unite a principi razionalistici di stampo marxista, tesi a realizzare, in questo mondo e attraverso il socialismo, la Terra pura, unendo la pratica meditativa con il lavoro agricolo.<ref>«Molti monaci considerano però questi impegni come un prezzo da pagare per accontentare i burocrati del partito, mentre di fatto nei monasteri sono insegnate le dottrine e le pratiche tradizionali, in modo abbastanza sincretico.» In: Sergio Ticozzi. ''La tradizione buddhista in Cina'' Religioni Cinesi, Quarto Quaderno. 2,2002,71.</ref>
 
Nei monasteri vengono accuratamente conservati e studiati tutti i testi tradizionali e i loro commentari delle differenti scuole, considerati necessari alla formazione monastica. Le statistiche indicano in circa 200&nbsp;000 i monaci esistenti oggi in Cina, di cui circa la metà (40&nbsp;000 monaci e 60&nbsp;000 monache) appartiene al c.d. "buddhismo Han" ovvero al buddhismo di non derivazione lamaista ma autenticamente cinese. I templi oggi funzionanti sono circa diecimila. Tutti questi dati risultano, peraltro, in costante aumento. Come sempre più diffusi sono i pellegrinaggi dei cittadini cinesi sui quattro monti sacri del buddhismo cinese: Monte Wǔtái (五台山) nello Shanxi, Monte Jǐuhuá (九華山) nello Anhui, Monte Éméi (峨嵋山) nel Sichuan, Monte Pǔtuó (普陀山) nello Zhejiang.
 
Ogni anno circa 500 nuovi studenti-monaci, in genere sono giovani diplomati, entrano a far parte delle istituzioni formative buddhiste<ref>È da tener presente, tuttavia, che per entrare nelle istituzioni monastiche occorre sia la segnalazione del Centro buddhista locale, sia l'approvazione degli Uffici di governo locali per gli affari religiosi.</ref>. I corsi di queste istituzioni, della durata di due-quattro anni, riguardano la meditazione, lo studio delle scritture buddhiste, la filosofia e una lingua straniera. Alcuni studenti-monaci, terminato il corso, continuano a studiare presso le facoltà universitarie di filosofia. Il corso prevede anche un livello di formazione politica, ma non risulta particolarmente "oneroso". Nel 1995 si è provveduto alla ristampa integrale, in lingua cinese, del Canone buddhista cinese e del Canone tibetano. I contatti tra il saṃgha cinese e i saṃgha degli altri paesi sono costanti. In particolar modo con il saṃgha thailandese e birmano del buddhismo Theravāda. Nel giugno del 1993 il patriarca thailandese Nyanasamvara Suvaddhana (1913-) ha compiuto una visita in Cina dove è stato accolto da migliaia di monaci cinesi e dove ha compiuto, insieme a loro, dei riti religiosi. Nell'agosto del 1995 una folta delegazione buddhista cinese, invitata dalla comunità buddhista francese, ha visitato i luoghi del Dharma di sette paesi europei.
 
Molto attiva è anche l'Associazione buddhista sino-giapponese, tesa a far conoscere le tradizioni religiose dei due paesi fortemente collegate sul piano storico.
 
L'Associazione buddhista cinese è, infine, molto attiva sul piano caritatevole e sociale, finanziando la Croce rossa e varie attività nei confronti dei cittadini più bisognosi. I cittadini cinesi stanno riscoprendo in questi anni il valore religioso delle dottrine buddhiste. Anche se non conoscono in modo approfondito tali dottrine si impegnano sempre di più nella osservanza dei precetti religiosi e delle pratiche devozionali. In occasione delle festività religiose i templi si riempiono ormai di migliaia di fedeli i quali, oltre ad accendere gli incensi, ascoltano i sermoni dei monaci e consumano insieme dei pasti vegetariani in un'atmosfera di festività.
 
=== Il buddhismo a Taiwan e a Hong Kong ===
[[File:Taiwan 2009 HuaLien City JingSi Hall FRD 8410.jpg|left|thumb|upright=1.4|Il tempio di Tzu Chi (Taiwan), sede della Organizzazione non governativa|ONG buddhista guidata dalla monaca Cheng Yen.]]
Il buddhismo a Taiwan ha subìto uno sviluppo senza precedenti a partire dal 1949 quando migliaia tra monaci e monache cinesi si riversarono nell'isola per sfuggire alle persecuzioni delle truppe di Máo Zédōng.
 
Oggi sono circa diecimila i monaci buddhisti presenti a Taiwan con quattromila tra templi e monasteri. Un quarto dei 22 milioni di cinesi di Taiwan si dichiara apertamente buddhista. I lignaggi e gli insegnamenti del buddhismo di Taiwan sono gli stessi di quelli ereditati dalla Cina nazionalista e consistono prevalentemente in lignaggi del buddhismo Chán, ma la caratteristica del buddhismo taiawanese moderno è che ha deciso di eliminare i confini tra le diverse scuole, unendo lignaggi e insegnamenti.
 
Il buddhismo taiwanese è noto a livello internazionale per le sue attività missionarie e caritatevoli. Tra queste ultime emerge la figura della monaca Cheng Yen (證嚴法師, 1937-), detta "Madre Teresa di Taiwan" per la sua intensa attività di aiuto nei confronti dei malati e dei poveri. Nelle attività missionarie va invece ricordato il monaco Hsing-yun (星雲大師, 1927-), fondatore del centro per le attività culturali e missionarie Fokwangshan a Kaohsiung (高雄) e promotore di circa settanta missioni in tutto il mondo tra cui il tempio di Tempio di Hsi-lai (西來寺) a Los Angeles. I buddhisti di Taiwan hanno fondato, il 9 novembre 2001 a Yung Ho (永和, Taipei), il "Museo mondiale delle religioni".
 
Anche il territorio di Hong Kong, governato dal Regno Unito fino al 1997, fu luogo di rifugio per centinaia di monaci buddhisti fuggiti dalla Cina comunista. Soprattutto sull'Isola di Lantau (爛頭) dove ancora oggi esistono circa sessanta templi.
 
Il saṃgha monastico di Hong Kong conta oggi circa tremila persone, che con i fedeli laici attivi, superano le ventimila unità, tutte aderenti alla Federazione buddhista di Hong Kong (fondata nel 1945) che ha festeggiato il suo cinquantenario il 9 maggio 1995. Tra i templi e i monasteri più importanti nell'area di Hong Kong vanno citati: il monastero di Bǎolián (寶蓮寺) sull'isola di Lantau, il tempio dei Diecimila Buddha (萬佛寺) a Shatin (沙田) e il tempio della ''Foresta orientale'' (Dōnglínsì, 东林寺) di Lowai. Il 29 dicembre 1993 è stata inaugurata una enorme statua del Buddha (alta oltre i 26 metri) denominata 天壇大佛 (''Tiān Tán Dà Fó'') nel monastero di Bǎolián con una grande partecipazione popolare.
 
==Cronologia==
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| I sec. || Arrivo a Péngchéng (彭城, oggi Xuzhou) e a Luòyáng (洛陽), durante la Dinastia Han, dei primi monaci e delle prime scritture buddhiste ''Hīnayāna'', provenienti dall'Asia Centrale
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| 148 || Giunge a Luòyáng il principe persiano, divenuto monaco, Ān Shìgāo (安世高) che ordinerà, secondo la tradizione, il primo monaco cinese, Yán fódiào (嚴佛調) di Línhuái.
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| 150 || Giunge a Luòyáng il missionario Mahāyāna e traduttore kushan Lokakṣema nel 168 convertirà il primo monaco buddhista cinese al Mahāyāna
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| 170 || Ān Shìgāo termina la prima traduzione del ''Mātaṅga-sūtra'' (conservato nel ''Mìjiàobù''), primo sutra a contenere ''mantra'' e ''dhāraṇī'', elementi di pratica spirituale caratteristici del successivo buddhismo Vajrayāna
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| 181 || Giunge a Luòyáng il mercante persiano Ān Xuán (安玄) che diviene discepolo di Ān Shìgāo
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| 188 || Viene completata la prima traduzione del ''Vimalakīrti Nirdeśa sūtra'' (conservato nel ''Jīngjíbù'')
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| III sec. || Giunge a Luòyáng il sogdiano Saṃghavarman (康僧鎧, Kāng Sēngkǎi)
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| 224 || Il monaco indiano Vighna (維祇難, Wéizhīnán) giunge a Wǔcháng insieme a Zhu Jiangyan (竺將炎) e completa la prima versione cinese del ''Dhammapada'' (conservato nel ''Běnyuánbù'')
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| 225 || Arrivo a Nánjīng da Luòyáng, dove era nato, del monaco di origine yuezhi, Zhī Qiān (支謙) il quale completa la versione cinese dei primi ''Prajñāpāramitā Sūtra'' (conservati nel ''Bōrěbù'')
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| 247 || Giunge a Nánjīng da Hanoi il sogdiano Kāng Sēnghuì (康僧會)
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| 260 || Zhū Shìxíng (朱士行), originario dell'Henan raggiunge il Regno di Khotan per procurarsi alcuni ''Prajñāpāramitā Sūtra''. È il primo monaco cinese a raggiungere l'Asia centrale.
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| 265 || Di ritorno da un viaggio lungo l'Asia centrale, giunge a Cháng'ān il monaco yuezhi Dharmarakṣa che fonda la prima scuola di traduttori
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| 265 || Dharmarakṣa completa la prima traduzione del Sutra del Loto (正法華經 ''Zhèng fǎhuā jīng'', conservato nel ''Fǎhuābù'')
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| IV sec.|| I barbari invadono la Cina del Nord dove fondano diverse dinastie. La Corte imperiale si ritira nella Cina meridionale
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| IV sec.|| Saṃghadeva completa le traduzioni in cinese degli ''Āgama'' indiani (conservati nel ''Āhánbù'')
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| 310 || Il monaco taumaturgo Fótúchéng (佛圖澄) giunge a Luòyáng
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| 365 || Dào'ān (道安), discepolo di Fótúchéng, fonda a Xiāngyáng (襄陽, oggi nella provincia di Hubei) un importante monastero
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| 380 || Huìyuan (慧遠), discepolo di Dào'ān, fonda sul Monte Lú il monastero di Dōnglín (东林寺)
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| 399 || Fǎxián (法賢) parte da Nánjīng per raggiungere l'India
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| 401|| Kumārajīva giunge a Cháng'ān dove fonda una scuola di traduttori e introduce gli insegnamenti della scuola indiana Madhyamaka
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| 403|| Kumārajīva traduce la prima versione del ''Amitābha-sūtra'' (cinese, 阿彌陀經 ''Amítuó jīng'', conservato nel ''Bǎojībù'')
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| 403|| Kumārajīva traduce una versione del ''Sutra del Diamante'' (sanscrito ''Vajracchedikā-prajñāpāramitā-sūtra'', cinese 金剛般若波羅蜜經 ''Jīngāng banruo boluómì jīng'', conservato nel ''Bōrěbù'')
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| 404 || Huìyuan redige lo ''Shāmén bùjìng wángzhě'' (沙門不敬王者) con cui respinge gli interventi politici nei monasteri buddhisti
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| 406 || Kumārajīva traduce la più importante versione del ''Sutra del Loto'' (妙法蓮華經 ''Miàofǎ Liánhuā Jīng'', conservato nel ''Fǎhuābù'')
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| 410 || Buddhabhadra giunge a Cháng'ān, ma respinto dagli allievi di Kumārajīva, raggiunge il Monte Lú per poi recarsi a Nánjīng
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| 411 || Fǎxián rientra a Nánjīng
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| 417 || Buddhabhadra e Fǎxián completano la prima traduzione del ''Mahāyāna Mahāparinirvāṇa-sūtra'' (大般泥洹經 ''Dà bān níhuán jīng'', conservato nel ''Nièpánbù'')
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| 417 || Dàoshēng (道生), allievo di Kumārajīva, abbandona Nánjīng in polemica con Buddhabhadra e Fǎxián per la loro traduzione del ''Mahāyāna Mahāparinirvāṇa-sūtra'' e fa ritorno sul Monte Lú
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| 420 || Buddhabhadra completa la prima traduzione dell' ''Avataṃsakasūtra'' (cinese (華嚴經 ''Huāyánjīng'', conservato nel ''Huāyánbù'')
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| 421 || Dharmakṣema completa una nuova traduzione del ''Mahāyāna Mahāparinirvāṇa-sūtra'' con i capitoli riportati dal Khotan
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| 445 || L'imperatore Tàiwǔ (太武), della Dinastia Wei settentrionale, scatena la prima persecuzione antibuddhista della Storia della Cina
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|V sec. || L'imperatore Wénchéng (文成) della Dinastia Wei settentrionale per riparare ai massacri provocati dal suo predecessore fa scolpire le Grotte di Yúngāng (雲崗石窟)
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| V sec. || Dharmakṣema completa la prima traduzione del ''Laṅkāvatārasūtra'' (cinese 楞伽經 ''Lèngqiéjīng''). Questa traduzione è andata tuttavia perduta
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| V sec. || Gli allievi di Kumārajīva fondano la scuola Sānlùn (三論宗) basata sulle dottrine Madhyamaka
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| 511 || L'imperatore Wǔ (武) della Dinastia Liang meridionale vara leggi ispirate al Dharma buddhista
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| 526 || Presunto arrivo a Nanyue del monaco indiano Bodhidharma, fondatore della scuola buddhismo Chan|Chán
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| 548 || Il monaco e traduttore indiano Paramārtha giunge a Nánjīng con 250 rotoli di scritture e introduce in Cina la scuola indiana Cittamātra
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| 574 || L'imperatore Wǔ (武) della Dinastia Zhou settentrionale avvia la seconda persecuzione anti-buddhista
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| 575|| Zhìyǐ ((智顗) fonda sui Monti Tiāntái primo monasteroTiāntái
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| 581|| L'imperatore Wén (文) della Dinastia Sui riunifica la Cina e si proclama ''Cakravartin'' (轉輪聖王 ''zhuǎnlún shèngwáng''), il re universale che governa mediante il Dharma buddhista
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| 594 || Zhìyǐ compila il ''Móhē Zhǐguān'' (摩訶止觀), il primo trattato cinese sulla meditazione
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| VI sec. || Tánluán (曇鸞) fonda nel monastero di Xuánzōng (玄宗), la scuola Jìngtǔ (淨土宗) (Terra Pura)
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| VI sec. || Il letterato Xún Jǐ (荀濟) pubblica il ''Lun fojiao biao'' attaccando duramente le comunità buddhiste
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| VI sec. || Tánqiān (曇遷) fonda la scuola Shèlùn (攝論宗) basata sugli insegnamenti cittamātra. Questa scuola verrà assorbita nel VII sec. dalla scuola Fǎxiāng (法相宗)
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| 625 || Il monaco coreano Hyegwan (coreano エカン, cinese 慧灌 Huìguàn) fonda in Giappone la scuola Sanron basata sul lignaggio e gli insegnamenti della scuola cinese Sānlùn (三論宗)
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| 645 || Xuánzàng (玄奘), rientra a Chang'an, da dove era partito nel 629 per un viaggio lungo l'India e fonda la scuola Fǎxiāng basata sugli insegnamenti cittamātra
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| 653 || Il monaco giapponese Dōshō (道昭) di ritorno dalla Cina fonda in Giappone la scuola Hosso seguendo il lignaggio della scuola cinese Fǎxiāng
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| 685 || Il monaco Fāzàng (法藏) diffonde presso la Corte imperiale le dottrine dell' ''Avataṃsakasūtra'' (華嚴經, ''Huāyánjīng'', conservato nello ''Huāyánbù'') fondando di fatto la scuola Huāyán (華嚴宗)
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| 693 || L'imperatrice Wǔ Zétiān (武則天) della Dinastia Tang si proclama ''Jīnlún shèngshén huángdì'' (金輪聖神皇帝, Sacra sovrana della Ruota d'Oro), perseguendo una decisa politica a favore del buddhismo
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| 695 || Yìjìng (義淨) rientra a Luòyáng, era partito da Canton nel 671 per un viaggio lungo l'India e lo Sri Lanka
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| 695 || il monaco khotanese Śikṣānanda giunge a Luòyáng su invito dell'imperatrice Wǔ Zétiān e avvia una traduzione dell' ''Avataṃsakasūtra
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| VII sec. || Presunto incontro tra Dàoxìn (道信) e il III patriarca del Chán Sēngcàn (僧璨) sul Monte Lú
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| VII sec. || Dàoxìn fonda sul Monte Dòngshān (東山) (oggi nell'Hubei) il primo monastero Chán
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| VII sec. || Dàoxuān (道安) fonda la scuola Lǜ (律宗) basata sul ''Vinaya'' Dharmaguptaka, presto tutte le scuole buddhiste cinesi adotteranno questo ''Vinaya''
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| 713 || Bodhiruci completa la prima traduzione del ''Ratnakūṭasūtra'' (大寶積經, ''Dà bǎojī jīng'', è conservato nel ''Bǎojībù'')
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| 720 || Il maestro indiano di scuola Vajrayāna, Vajrabodhi (671-741), sbarca a Guǎngzhōu proveniente da Sri Lanka. Nello stesso anno Vajrabodhi ordina monaco il suo allievo Amoghavajra (705-774) giunto cinque anni prima in Cina da Samarcanda
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| 724 || Subhākarasiṃha e Yīxíng (一行) completano la prima traduzione del ''Mahāvairocanāsūtra'' (大日經, Dàrì jīng), fondando la scuola di impronta Vajrayāna denominata Zhēnyán (眞言宗)
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| 740 || Il monaco coreano Simsang (cinese 審祥 Shěnxiáng), fonda in Giappone la scuola Kegon basata sul lignaggio e gli insegnamenti della scuola cinese Huāyán (華嚴宗)
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| 751 || Il generale di origini coreane Gāo Xiānzhī (高僊芝, ?-756) al comando di truppe cinesi viene sconfitto, vicino al fiume Talas (fiume)|Talas, da un esercito arabo condotto da Ziyad ibn Salih. È il primo scontro tra arabi musulmani e cinesi. Da questo momento l'islamizzazione forzata dell'Asia centrale non incontrerà più ostacoli.
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| 754 || Il monaco cinese Jiànzhēn (鑑眞, 688–763) fonda in Giappone la scuola Ritsu basata sugli insegnamenti della scuola cinese Lǜ (律宗, ''Lǜ zōng'')
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| 800|| Il monaco chán Bǎizhàng Huáihái (百丈懷海, 720-814), modificando il ''Vinaya'' Dharmaguptaka, introduce il lavoro per i monaci. Questo evento consentirà alla scuola Chan di sfuggire alle persecuzioni dell'845
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| 805|| Il monaco giapponese Saichō, rientrato da un pellegrinaggio in Cina, fonda la scuola Tendai che eredita il lignaggio e gli insegnamenti dalla scuola cinese Tiāntái
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| 806|| Il monaco giapponese Kūkai, rientrato da un pellegrinaggio in Cina, fonda la scuola Shingon che eredita il lignaggio e gli insegnamenti dalla scuola cinese Zhēnyán
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| 819 || Il famoso letterato confuciano Hán Yù (韓愈) invia alla Corte un memoriale contro le religioni straniere, con particolare riguardo al buddhismo cinese|buddhismo
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| 845|| L'imperatore Wǔzōng della Dinastia Tang scatena la terza e più grande persecuzione anti-buddhista nella Storia della Cina. Decine di migliaia di templi vengono distrutti e 250&nbsp;000 monaci costretti a tornare allo stato laicale. Il buddhismo cinese sopravviverà, ma non riconquisterà più i fasti e la credibilità culturale dei secoli precedenti
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| 960|| La Dinastia Song abolisce le norme anti-buddhiste, ma prosegue la marginalizzazione della cultura buddhista, rispetto a quella confuciana e daoista
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| 983|| Prima edizione xilografica del Canone buddhista cinese
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|1068|| Viene varata una Legge che permette l'acquisto dello ''status'' di monaco buddhista dietro il pagamento di una somma di denaro. Condizione vantaggiosa per chi voleva essere esentato dalle tasse. Il saṃgha buddhista subisce un ulteriore svilimento spirituale e culturale senza precedenti
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|1133|| Il monaco tiantai, Máo Zǐyuán, fonda la setta del Loto Bianco (白蓮教, ''Báiliánjiào'') che si diffonde presto nelle campagne ed è all'origine dei successivi movimenti rivoluzionari
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|1175|| Il monaco giapponese tendai, Hōnen (法然), fonda la scuola Jōdo-shu che eredita gli insegnamenti della scuola cinese Jìngtǔ (淨土宗)
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|1191|| Il monaco giapponese tendai, Eisai, di ritorno da un pellegrinaggio in Cina diffonde gli insegnamenti della scuola Chán Línjǐ (臨濟) (giapp. Zen Rinzai)
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|1227|| Il monaco giapponese tendai, Dōgen, di ritorno da un pellegrinaggio in Cina fonda la scuola Zen Soto che riprende il lignaggio e gli insegnamenti della scuola cinese Chán Caódòng (曹洞)
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|1260|| I mongoli della Dinastia Yuan impongono alle scuole buddhiste cinesi il controllo da parte di lama tibetani. I monasteri buddhisti cinesi divengono occasione del riscatto popolare cinese anti-mongolo
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|XVI sec.|| Il monaco chán Zhū Hóng (株宏, 1535-1615) diffonde la pratica della recitazione del nome di Amitâbha nei monasteri Chán come pratica del ''gōng'àn'' (公案), caratterizzando il successivo buddhismo Chán
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|1564|| Il monaco cinese chán Yǐnyuán (隱元) giunge in Giappone dove fonda la scuola Zen Ōbaku (黃蘗) caratterizzata dalla pratica dello zazen, dei kōan e dalla recitazione del nembutsu
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|1603||Il gesuita Matteo Ricci, missionario in Cina, pubblica il ''Tiānzhǔ shíyì'' (天主實義) in cui attacca la dottrina buddhista definendo il Buddha 'arrogante'.
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== Note ==
<references/>
 
== Bibliografia ==
* Mario Poceski. ''China'' in ''Encyclopedia of Buddhism''. New York, McMillan, 2004, pagg. 139-45. ISBN 0-02-865910-4.
* Erik Zurcher. ''Il buddhismo in Cina'' in Giovanni Filoramo (a cura di), ''Buddhismo''. Bari, Laterza, 2001, pagg. 185-236. ISBN 978-88-420-8363-4
* Paul Demieville. ''Il buddhismo cinese'', in Henri-Charles Puech ''Storia del buddhismo''. Bari, Laterza, 1984, pagg. 157-227.
* Richard H. Robinson e Williard L. Johnson. ''La religione buddhista''. Roma, Ubaldini, 1998, pagg.209-67. ISBN 88-340-1268-2
* Sthephen F. Teiser ''Buddhism: Buddhism in China''. Encyclopedia of Religion, Second Edition, New York, Thomson Gale and Macmillan Reference, 2005, pagg. 1160-9. ISBN 0-02-865735-7
* Mauricio Y. Marassi. ''Il Buddismo Māhāyana attraverso i luoghi, i tempi e le culture. La Cina''. Genova, Marietti, 2009 ISBN 978-88-211-6533-7