Biografie cristologiche/Disposizioni e differenze: differenze tra le versioni

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Questo problema di collegare la carriera ebraica di Gesù con la sua morte romana mette in discussione molte ed estremamente diverse ricostruzioni moderne di Gesù e del suo messaggio. Più Gesù viene immaginato come insegnante il cui messaggio — che siano arguti aforismi sovversivi del [[w:Cinismo|cinico]] ebreo errante, o l'etica esistenziale del pio [[w:Chassidismo|chassid]], o la proclamazione antitemplare antinazionalista del visionario galileo — sfida essenzialmente le autorità religiose ebree, e più difficile diventa spiegare il ruolo di Pilato. Le speigazioni vanno da un Gesù che muore per caso (preso accidentalmente da un'azione di polizia contro una quaqlche sorta di dimostrazione) o per sbaglio (Roma pensava che egli fosse un agitatore incendiario, ma veramente non lo era), al considerare gli apparentemente offesi sacerdoti quali veri iniziatori, che avevano preso accordi con Pilato affinché Roma facesse quello che loro non potevano fare, cioè giustiziarlo (e questo in effetti espande l'interpretazione dei Vangeli). Contro queste tesi, altri storici hanno speculato che Gesù in realtà avesse capeggiato una sorta di movimento più politico e ribelle di quanto i Vangeli osino ritrarre, cosicché Roma rispose per le rime come Roma naturalmente soleva fare.<ref>[[w:Shmuley Boteach|Shmuel Boteach]], [https://books.google.co.uk/books/about/Kosher_Jesus.html?id=wv7OGNUpIHsC&hl=en ''Kosher Jesus'', Gefen Publishing House, 2012, ''passim''].</ref>
 
Tuttavia, la croce di Gesùè è un ostacolo fondamentale per tutte queste ricostruzioni. Coloro che sottolineano la sua offesa di ebrei altolocati notano giustamente che i sommi sacerdoti passati e presenti citati nei Vangeli, [[w:Anna (sommo sacerdote)|Anna]] e [[w:Caifa|Caifa]], insieme detennero tale posizione per diciasette anni dei venti che la Giudea, e quindi Gerusalemme, fu sotto il diretto controllo romano: presumibilmente ebbero ottimi rapporti con qualunque prefetto fosse stato al potere. Se azvessero deciso di eliminare Gesù, Pilato sarebbe di certo stato felice di accontentarli. Ciò potrebbe spiegare la morte di Gesù per mano romana, ma non la sua crocifissione specificamente. Pilato avrebbe potuto eliminare facilmente Gesù senza tanta fanfara, assassinandolo con mezzi più semplici.<ref name="Croce">John D. Crossan, ''The Historical Jesus: The Life of a Mediterranean Jewish Peasant'', HarperCollins, 1991, pp. 88-93; Nils Dahl, ''The Crucified Messiah and Other Essays'', Augsburg, 1974, ''passim''; anche Donald Juel, ''Messiah and Temple: The Trial of Jesus in the Gospel of Mark'', Scholars Press, 1977; Paula Fredriksen, "What You See Is What You Get: Context and Content in Current Research on the Historical Jesus", ''Theology Today'' 52, 1995, pp. 75-97.</ref> (L'enfasi dei Vangeli sulla popolarità di Gesù — "I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di impadronirsi di lui con inganno, per ucciderlo. Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non succeda un tumulto di popolo» (Mc 14:1-2) — rende molto più strana la decisione di Pilato di crocifiggerlo.) E coloro che parlano del forte contrasto tra il messaggio ebraico religioso di Gesù, e la sua morte romana politica, devono affermare che le storie dei Vangeli sono deliberatamente e terribilmente ingannevoli, sia immettendoci troppo significato, poiché Gesù morì veramente per errore (Roma pensava che fosse politicamente pericoloso, ma non lo era), oppure oscurandone il reale significato, poiché Gesù era veramente antiromano e politico (pertanto Roma faceva bene, secondo i propri paramentri, a crocifiggerlo). Ma queste teorie successive si scontrano decisamente con un secondo fatto indiscutibile, che si rinviene nel primo movimento cristiano: sebbene Gesù venisse giustiziato come eversore politico, ciò non accadde ai suoi seguaci.<ref name="Croce"/>
 
Se Roma avesse veramente creduto, per errore o meno, che Gesù rappresentasse un qualche tipo di minaccia politica, molti oltre gesù sarebbero morti. Pilato non avrebbe mai rischiato o tollerato l'esistenza di quello che poteva considerare un gruppo rivoluzionario. Inoltre, la prima testimonianza cristiana, le lettere di Paolo scritte a metà secolo, raffigurano i discepoli comodamente stabiliti a Gerusalemme, a dirigere una missione nel Mediterraneo senza nessun indizio di restrizioni da parte di Roma — o anche dalla gerarchia sacerdotale gerosolimitana. Chiaramente, nessuno al potere si preoccupava troppo di questo movimento. Allora perché il suo capo morì in quel modo?<ref name="Paula">Paula Fredriksen, ''Jesus of Nazareth'', Macmillan, 1999, pp. 8-12.</ref>
 
Questa è un'anomalia cruciale. Poiché cerchiamo cause e connessioni tra eventi che possano spiegarli, modelli di significato nell'evidenza cvhe rimane, spesso corriamo il rischio di anacronismo: la nostra conoscenza di ciò che veramente accadde influenza i nostri sforzi di presentare in modo convincente l'esperienza di agenti antichi le cui azioni desideriamo capire e spiegare. Vediamo cause e assegnamo motivazioni con una chiarezza che i reali caratteri storici non possono assolutamente avere perché, a nostra differenza, non sapevano cosa riservava loro il futuro. Nella ricerca del Gesù storico, questo rischio professionale si esprime nella tendenza di molti studiosi ad assegnare a Gesù pensieri o azioni che spieghino, in maniera concreta, quello che infine diventò il Cristianesimo. Quando ci ritroviamo con la maggioranza dei testi che costituiscono il Nuovo Testamento — diciamo, a fine primo secolo o inizio del secondo — il Tempio di Gerusalemme non esisteva più, i Farisei stavano emergendo come i maggiori sopravvissuti della guerra tra ebrei e romani, e la base etnica del movimento cristiano iniziava un importante spostamento dai suoi inizi ebraici al suo futuro gentile. Di conseguenza, le antiche leggi e tradizioni ebraiche attuate presso il Tempio avevano ben poca applicazione pratica per la vita religiosa del tardo primo secolo, sia per ebrei sia (per quanto si possano distinguere le due comunità così presto) per cristiani. I Farisei, il gruppo più illeso del periodo dopo la distruzione, erano anche i più articolati nel conservare e presentare la propria particolare interpretazione della Torah. Ed i gentili, che fossero pagani o cristiani, non furono mai ritenuti da parte degli ebrei, ma anche da parte della maggioranza degli ebrei cristiani, come responsabili dei mandati della Legge (''Halakhah''). Ma ora, come cristiani, erano diventati adoratori del Dio di Israele. Qual'era quindi il loro rapporto coi Suoi insegnamenti trasmessi mediante la rivelazione biblica?<ref name="Paula"/><ref name="Croce"/>
 
Gli evangelisti incorporano queste problematiche postdistruzione nella loro raffigurazione di Gesù, la figura fondatrice/fondamentale delle loro comunità. Pertanto anche il loro Gesù esibisce una consapevolezza religiosa posttemplare; anche lui ha i suoi argomenti più accalorati coi Farisei; anche lui sembra allontanarsi del presente ebraico per rivolgersi verso un futuro gentile. E non c'è scampo: l'unica opzione per ricostruire Gesù è rivolgersi appunto agli evangelisti, perché rappresentano il migliore corpo probativo per ricostruirlo come figura storica. Ma dobbiamo essere consapevoli dei modi in cui il loro contesto storico, posto all'incirca verso l'ultima parte del primo secolo, modella la loro presentazione di Gesù e la sua stessa: la Galilea e la Giudea ebraiche nei giorni di una grande varietà settaria, orientata intorno al culto vibrante del tardo [[w:Secondo Tempio|Secondo Tempio]].<ref name="Croce"/>
 
==Note==
<references/>
 
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[[Categoria:Biografie cristologiche|Disposizioni e differenze]]