Il buddhismo mahāyāna/Le dottrine "mahāyāna"/Madhyamaka: differenze tra le versioni
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La critica di Nāgārjuna si rivolse soprattutto alla dottrina che sosteneva i fenomeni come dotati di natura propria o "essenza" (''svabhāva''), tale critica equivaleva a sostenere che nulla aveva una propria realtà intrinseca e indipendente se non nelle cause e condizioni (''pratītyasamutpāda'', cin. 十二因緣 ''shíèryīnyuán'', ''jūni innen'', tib. ''rten 'brel yan lag bcu gnyis'') dalle quali il fenomeno scaturisce.
Questa critica fondata sulla vacuità è, secondo Nāgārjuna, un recupero dell'autentico insegnamento del Buddha Śākyamuni<ref>Rispetto all'insegnamento della vacuità negli ''Āgama-Nikāya'', cfr. nel Canone pāli: ''Majjhima-nikāya'' 72; 121; 140; ''Samyutta-nikāya'' 20,7; nel Canone cinese: ''Diyigongjing'' T.D. 2,92c.</ref>, ma Nāgārjuna introduce in questa critica anche la dottrina dell'interdipendenza dei fenomeni<ref>Così Kajyama Yuichi «Nagarjuna, however, introduces into that theory the concept of mutual dependency. Just as the terms long and short take on meaning only in relation to each other and are themselves devoid of independent qualities (longness or shortness), so too do all phenomena (all dharmas) lack own being (''svabhava'').» in ''Encyclopedia of Religion'' Usa, Mac Millan, 2004, pag. 5552.</ref> ogni cosa dipende nella sua natura da tutte le altre, ogni fenomeno preso di per sé è vuoto di una sua "sostanzialità" inerente (non esiste di per sé ma solo in relazione agli altri). I fenomeni hanno di fatto natura istantanea, il che significa che quando un fenomeno è venuto in essere, ciò che lo causa è già necessariamente finito; l'importante implicazione filosofica che scaturisce da questa
== Āryadeva e Rāhulabadra ==
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