Le religioni e il sacro/Il sacro: differenze tra le versioni

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{{q|assunto nel suo valore universale e sbiadito significa solamente segreto, nel senso di straniero a noi, di incompreso, di inesplicato, e in quanto ''mysterium'' costituisce quel che è da noi considerato una pura nozione analogica, ricavata dall'ambito del naturale, senza che effettivamente attinga la realtà. In se stesso però, il misterioso religioso, l'autentico ''mirum'', è, se vogliamo coglierlo nell'essenza più tipica, il 'Totalmente altro', il ''tháteron'', l’<nowiki></nowiki>''anyad'', l’<nowiki></nowiki>''alienum'', l’<nowiki></nowiki>''aliud valde'', l'estraneo, e ciò che riempie di stupore, quello che è al di là della sfera usuale, del comprensibile, del familiare, e per questo "nascosto", assolutamente fuori dall'ordinario, e colmante quindi lo spirito di sbigottito stupore. |Rudolf Otto, ''Il sacro'', p. 41}}
Quindi per Rudolf Otto l'esperienza umana del "sacro" si qualifica come terrificante e irrazionale; un'esperienza indicata come ''mysterium tremendum'' davanti ada una "realtà" a cui viene attribuita una schiacciante superiorità e potenza. Ma che è anche una realtà dotata di ''mysterium fascinans'' in cui può realizzarsi la pienezza dell'essere. Otto identifica queste esperienze come "numinose" (esperienze del divino), di fronte al quale l'uomo si sente annichilito. Esse vengono ritenute al di là dell'umano e persino del cosmico. Il "sacro" va quindi sempre inteso come "totalmente Altro" (''gaz Andere'') rispetto all'ordinario, al profano. La peculiarità del "sacro" è inoltre, per Otto, riconducibile alla sua impossibilità ada essere spiegato o ricondotto ada un linguaggio pertinente per altri oggetti di ricerca.
 
Lo storico delle religioni svedese Nathan Söderblom (1866-1931) è stato il primo studioso a evidenziare come
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{{q|L'uomo prende coscienza del sacro perché esso si manifesta come qualcosa del tutto diverso dal profano. Per tradurre l'atto di questa manifestazione del sacro abbiamo proposto il termine ''ierofania'', che è comodo, tanto più in quanto non implica alcuna precisazione supplementare: non esprime niente di più di quanto è intrinseco al suo contenuto etimologico, vale a dire che ''qualcosa di sacro ci si mostra''.|Mircea Eliade, ''Il sacro e il profano'', p. 14}}
 
Per Eliade la storia delle religioni, dalla preistoria ada oggi, è costituita dall'accumularsi di "ierofanie" ovvero dalla manifestazione di realtà "sacre". Il "sacro" non ha nulla a che fare con il nostro mondo, il "profano". Anche se tutto il mondo fisico può essere assunto, nella cultura umana, soprattutto arcaica, al rango di sacro. La pietra o l'albero possono essere investiti della potenza del sacro senza perdere le loro caratteristiche fisiche, "profane". Essendo "potenza" per le culture arcaiche il "sacro" assurge a massima realtà e risulta saturo d'essere. Per Eliade il Cosmo desacralizzato, disincantato, ovvero considerato del tutto privo di quella potenza, è una scoperta recente dell'umanità. L'uomo moderno quindi, per Eliade, ha difficoltà a comprendere il rapporto dell'uomo arcaico con la "sacralità". "Sacro" e "profano" sono due modi di essere completamente diversi. Per l'uomo arcaico, ad esempio, molti atti del tutto fisiologici ("profani") per l'uomo moderno, sono investiti di sacralità: l'alimentazione, la sessualità, ''etc.''
{{q| Ogni rito, ogni mito, ogni credenza, ogni figura divina riflette l’esperienza del sacro, e di conseguenza implica le nozioni di essere, di significato, di verità. […] Il "sacro" è insomma un elemento nella struttura della coscienza, e non è uno stadio nella storia della coscienza stessa. Ai livelli più arcaici di cultura vivere da essere umano è in sé e per sé un atto religioso, poiché l’alimentazione, la vita sessuale e il lavoro hanno valore sacrale. In altre parole, essere – o piuttosto divenire – un uomo significa essere "religioso". | Mircea Eliade. ''Storia delle credenze e delle idee religiose'' vol. I. Sansoni, 1999, pag.7}}