Storia della letteratura italiana/Pietro Bembo: differenze tra le versioni

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== Le ''Prose della volgar lingua'' ==
{{vedi source|Prose della volgar lingua}}
Offerte in forma di manoscritto a papa Clemente VII nel 1524 e pubblicate l'anno seguente a Venezia, le ''Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua'' sono il documento più autorevole della discussione sulla lingua cinquecentesca ed ebbero un'influenza decisiva sullo sviluppo della lingua italiana. L'opera è un dialogo in tre libri tra Carlo Bembo (fratello dell'autore), Giuliano de' Medici, Federico Fregoso e Ercole Strozzi. La discussione verte sulla lingua «perfetta» che deve essere utilizzata in poesia e in prosa, e la questione viene analizzata da diversi punti di vista. Viene

Nel anzituttoprimo affermatalibro viene ripercorsa la storia del volgare e si afferma la superiorità del fiorentino degli autori del Trecento, ma viene escluso Dante, in quanto utilizza una lingua con troppi elementi umili e compositi. LaNel secondo libro si discute di stile, della scelta cadedelle parole, della loro disposizione, del ritmo della prosa. Nel terzo libro si parla invece della grammatica del volgare, ripresa dai modelli infinetrecenteschi sudi Petrarca, che diventa modello per le opere in versi, e Boccaccio, per i testi in prosa.<ref name="Petronio263">Giuseppe Petronio, ''L'attività letteraria in Italia'', Firenze, Palumbo, 1970, p. 263.</ref> Il modello linguistico scelto ha il vantaggio, secondo Bembo, si sottrarre le opere letterarie sia alla realtà del mondo quotidiano, sia alla minaccia del tempo, conferendo ai testi stabilità.<ref>Giulio Ferroni, ''Profilo storico della letteratura italiana'', Einaudi, Torino, 2001, p. 304-5.</ref>
 
Il modello bembiano permetteva di superare lo sperimentalismo linguistico e le varie ''koiné'' regionali in favore di una lingua che avesse un'estensione nazionale. La sua teoria rispondeva alle esigenze sorte nel Quattrocento con il ritorno al volgare e la riscoperta della letteratura duecentesca e trecentesca, oltre alla necessità di avere una lingua letteraria illustre che superasse la frammentazione linguistica, conseguenza del frazionamento politico.<ref name="Petronio263"/> La soluzione di Bembo, d'altra parte, è espressione della volontà di avere uno strumento utile per una letteratura aristocratica, elevata e immobile, lontana dal parlato del popolo, che è di per sé mutevole). Da questo deriva la contrarietà agli ibridismi, agli sperimentalismi e a tutto quello che poteva minare la stabilità della lingua.<ref>Giuseppe Petronio, ''L'attività letteraria in Italia'', Firenze, Palumbo, 1970, p. 264.</ref>
 
Le tesi di Bembo ebbero degli oppositori, ma si affermarono ben presto e conobbero la consacrazione quando [[../Ludovico Ariosto|Ludovico Ariosto]] pubblicò la sua terza edizione dell'''Orlando furioso'', dopo avere riveduto il poema alla luce dei canoni bembiani.
 
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