Biografie cristologiche/Il Cristo divino: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Nessun oggetto della modifica
Riga 21:
La convizione sviluppatasi che il programma del Messia consistesse della trascorsa fase preparatoria e della futura aspettativa naturalmente indusse speculazioni circa la natura di Gesù. Che gli fosse stata garantita una risurrezione speciale e fosse asceso al cielo in attesa di ritornare poteva, e palesemente doveva, implicare che egli fosse in un qualche modo speciale più che umano, e quindi in un qualche modo speciale divino. La letteratura del Nuovo Testamento sfortunatamente non ci fornisce un rapido e semplice riassunto della maniera in cui si svilupparono le opinioni che Gesù fosse più che umano. Tale riassunto viene qui presentato con l'avvertenza che si basa su riferimenti incerti, e non è interamente soggetto ad una convalida documentaria. Ciò vale specialmente nel caso delle prime fasi, in cui riassumo nella frase "Figlio dell'Uomo" la visione che Gesù fosse più che umano.<ref name="Sunto">Per questa specifica sezione si vedano specialmente [[w:E.P. Sanders|E.P. Sanders]], ''Jesus and Judaism'', Fortress, 1987; [[w:Geza Vermes|Géza Vermès]], ''Jesus the Jew'', Fortress, 1973; ''id.'', ''The Gospel of Jesus the Jew'', University of Newcastle upon Tyne, 1983; ''id.'', ''Jesus and the World of Judaism'', SCM, 1983; ''id.'', ''The Religion of Jesus the Jew'', Fortress, 1993; James H. Charlesworth, ''Jesus within Judaism'', Doubleday, 1988; James H. Charlesworth (cur.), ''Jesus` Jewishness: Exploring the Place of Jesus in Early Judaism'', Crossroads, 1991; [[w:John Meier|John Meier]], ''A Marginal Jew'', 5 voll., 1991/2007 (trad. ital. ''Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico'', Queriniana, 2001/2009); Bernard Lee, ''The Galilean Jewishness of Jesus'', Paulist, 1988; Géza Vermès, ''Jesus in His Jewish Context'', Fortress, 2003; Donald A. Hagner, ''The Jewish Reclamation of Jesus'', Zondervan, 1984.</ref>
 
È probabile che nessuna frase biblica abbia provocato più teorie di "Figlio dell'Uomo". L'espressione viene usata in molti passi di [[w:Libro di Ezechiele|Ezechiele]] dove, dichiaratamente da tutte le parti in causa, significa molto di più di "uomo". La frase che è più direttamente relazionata al Nuovo Testamento si riscontra in [[w:Libro di Daniele|Daniele]] [https://www.biblegateway.com/passage/?search=daniele+7%3A13&version=CEI;LND 7:13]. Lì leggiamo di una visione di ciò che dovrebbe avvenire nel giudizio finale, e in tale visione le nazioni pagane sono raffigurate come bestie orrende, mentre in contrasto Israele è rappresentato come "uno simile ad un ''figlio di uomo''". Se siamo giustificati nel connettere questo passo di Daniele con le aspettative del Messia, come in verità bisogna, allora che l'espressione "Figlio dell'Uomo" diventi sinonimo di Messia è comprensibile. In molti passi dei Vangeli (col loro raro uso della parola Messia) Gesù è equiparato col "Figlio dell'Uomo" e in molti di questi passi viene raffigurato in discorso diretto usando l'espressione con riferimento a se stesso. Diversi studiosi moderni sostengono l'opinione che questi passi rappresentino parole attribuite a Gesù dalla chiesa in evoluzione, piuttosto che parole autentiche di Gesù, ma questa è questione accademica sulla quale non s'intende qui divagare. Questo però è rilevante, che Gesù fosse visto durante la sua vita, o appena dopo, come tale "Figlio dell'Uomo" sovrannaturale, la cui dimora, nell'immagine vivida di Daniele, era il cielo, e che fosse destinato ad "apparire sulle nubi del cielo"; nei Vangeli si asserisce che Gesù sia ritornato in cielo dopo la risurrezione, e un giorno ''ritornerà'' apparendo sulle nuvole.<ref name="Sunto"/>
 
Il fatto che si considerasse Gesù il sovrannaturale "Figlio dell'Uomo" manca di specificare la natura esatta del suo essere sovrannaturale; fu un'affermazione e non una definizione lessicale. Inoltre fu un'affermazione espressa interamente nel contesto di sezioni dell'Ebraismo, e non fu in nessun modo, di per se stesso, un prodotto del pensiero gentile. Possiamo riassumere questo aspetto della presente discussione in questo modo: una volta che i seguaci di Gesù si convinsero che egli era risorto, non c'era nulla di incompatibile con il loro Ebraismo nel concepirlo il Figlio dell'Uomo Celeste. D'altra parte, coloro che non credettero fosse risorto negarono che egli era il Figlio dell'Uomo, non perché non credessero all'''idea'', ma perché non credevano in questa particolare identificazione.<ref name="Scholem"/><ref name="Botea"/>
 
Il movimento del Gesù risorto si diffuse al di fuori della Palestina e, naturalmente, nel mondo greco-romano. In tale ambiente diverso accadde un altro cambiamento nel modo di descrivere la natura sovrannaturale di Gesù. Da una parte, il cambiamento coinvolse l'eliminazione di aspetti del pensiero messianico ebraico. Questioni come la distruzione del dominio coloniale romano sulla Palestina ed il ristabilimento della dinastia ebraica, con ebrei radunati da tutto il mondo, non aveva certo la stessa importanza per i gentili di Atene o di Roma quanto ne aveva per gli ebrei di Galilea. Invero, tra gentili delle aree ellenistiche l'importanza del Gesù sovrannaturale stava nel suo significato per tutto il mondo, piuttosto che per la storia strettamente ebraica. Il Nuovo Testamento conserva quelle che sono solo vaghe allusioni o fioche vestigia delle speranze messianiche specificamente ebraiche. Un brano, Atti 1:6, rappresenta i discepoli, dopo la risurrezione di Gesù, che gli chiedono: "È questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?"<ref>La risposta è : "Non sta a voi di sapere i tempi e i momenti adatti, che il Padre ha stabilito di sua propria autorità" (Atti 1:7).</ref> Altre tracce vaghe o rimanenze del pensiero ebraico sono le allusioni a Gesù al suo processo e crocifissione come il "Re dei Giudei" <ref>Mentre Marco 15:12 parla del "Re dei Giudei", il parallelo in Matteo 27:17 riporta "Gesù chiamato il Cristo".</ref>(Marco 15:2, 12, 18, 26 e 32; Mt 27:11, 29, 37 e 42; Lc 23:2-3 e 38; Gv 18:33, 39; 19:3, 14-15, 19-21).<ref>Non ci sono paralleli diretti in Luca rispetto a Marco 15:12 e 18; quanto a Marco 15:32, il parallelo in Luca 23:35 manca della frase "Re d'Israele".</ref> Forse c'è qualche rilevanza a questa discussione nel passo di Giovanni 18:36, dove Gesù dice a Pilato : "Il mio regno non è di questo mondo..."; forse qusto passo ripudia chiaramente qualsiasi connessione che potesse rimanere tra la messianicità e le aspirazioni nazionali ebraiche. Ci sono coloro che interpretano Luca 13:1, che cita "quei Galilei il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici", come un'allusione a quella sorta di attività patriottica antiromana che poteva aver accompagnato il movimento guidato da Gesù (come si vedrà nel [[Biografie cristologiche/L'uomo Gesù|successivo capitolo 5]]).<ref name="Botea"/>
 
==Note==