Le religioni della Mesopotamia/I Babilonesi: differenze tra le versioni

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{{quote|Se anche le Teste Nere<ref>Qui inteso per "esseri umani", sono gli dèi che parlano.</ref> dovessero venerare un altro dio,<br>è egli il dio di ciascuno di noi.|Tavola VI, vv. 119-120|lū zizama ṣalmāt qaqqadīm ilāni <br>nâši mala šumi nimbū šū lū ilni|lingua=AKK}}
 
Il procedimento con cui la classe sacerdotale babilonese riesce a modificare la cosmogonia mesopotamica a vantaggio del proprio dio poliade è stata ben identificata da Giovanni Pettinato. L'assiriologo italiano, in ''Mitologia assiro-babilonese'' (pp. 38 e sgg.), nota come nel testo sumerico conosciuto come la ''Lista Reale Sumerica'' (sumerico: [nam]-lugal an-ta ed<sub>3</sub>-de<sub>3</sub>-a-ba; ''Quando la regalità discese dal cielo''), testo composto tra il 2100 e il 1900 a.C.<ref>La sua redazione definitiva appartiene alla dinastia di Isin (1950 a.C.; cfr. Giovanni Pettinato, ''La Saga di Gilgameš'', Milano, Mondadori, p. LXXVIII)</ref><ref>Una insuperata edizione di questa opera è di Thorkild Jacobsen, ''The Sumerian King List'', University of Chicago Oriental Institute, Assyriological Studies 11, University of Chicago Press, 1939.</ref> con la finalità di gettare le basi tradizionali e politiche dell'unificazione del territorio di Sumer (Mesopotamia meridionale)<ref>Enrico Ascalone, ''Mesopotamia'', Milano, Electa, 2005, p.10.</ref>, la prima città sumera a cui viene assegnata la regalità dagli dèi sia proprio la città di Eridu, il cui dio poliade è Enki, una delle quattro divinità più importanti per i Sumeri. Dal che, avendo Babilonia ereditato la regalità dalla prima città a cui è stata assegnata dalla potenza divina, allo stesso modo Marduk, figlio di Ea (l'Enki sumerico), eredita dal padre la regalità sugli dèi. Questo profondo processo di cambiamento teologico vuole dunque sostituire come re degli dèi un dio del tutto secondario, se non addirittura nemmeno appartenente alle tradizione mesopotamica<ref>pettinato mas 23</ref>, ma lo fa con grande attenzione religiosa.
 
L'opera religiosa dei Babilonesi non si ferma, infatti, alla rielaborazione della tradizionale cosmogonia sumerica, affronta anche i temi profondi dell'umanità, quell'umanità che, nell'<nowiki></nowiki>''[[Le religioni della Mesopotamia/La letteratura religiosa in Mesopotamia/Enûma Eliš|Enûma Eliš]]'', è venuta ad essere grazie a una decisione del dio Marduk. Così i racconti sumeri inerenti alla figura del re divino [[Le religioni della Mesopotamia/La letteratura religiosa in Mesopotamia/Gilgameš|Gilgameš]] vengono dadai questiBabilonesi raccolti, nel XVIII secolo a.C., nel primo poema religioso dell'umanità, individuato con il titolo di ⌈šu⌉-tu-ur e-li š[ar-ri] (lett. ''Egli è superiore agli altri [re]''), che noi conosciamo meglio nella versione neoassira rinvenuta tra i resti della biblioteca reale nel palazzo del re Assurbanipal (Aššur-bāni-apli) a Ninive, capitale dell'impero assiro<ref>questa redazione tarda del poema, attribuita allo scriba ed esorcista cassita Sîn-lēqi-unninni, risale quindi presumibilmente al XII secolo a.C. e comunque anteriormente all' VIII secolo a.C.</ref>. In questo poema il re di Uruk, Gilgameš, re per due terzi dio e per un terzo uomo, affronta con l'amico Enkidu diverse avventure a sfondo mitologico, finché Enkidu non trova la morte per punizione divina. La scomparsa di Enkidu, e la consapevolezza della presenza della morte, conducono Gilgameš ad abbandonare la propria dignità regale e, coperto solo di una pelle di leone, a raggiungere i gli estremi confini del mondo per trovare una risposta alla propria angoscia e quindi per conseguire quell'immortalità che gli dèi avevano consegnato a Utanapištim (anche Atraḫasis, lo Ziusudra sumerico), [[Le religioni della Mesopotamia/La letteratura religiosa in Mesopotamia/Atraḫasis|l'unico uomo sopravvissuto al Diluvio Universale]]. Nel suo peregrinare, Gilgameš incontra la divina taverniera Šiduri la quale, nella versione antico babilonese, così risponde al re di Uruk:
 
{{q|Gilgameš dove stai andando?<br> La vita che tu cerchi, tu non la troverai.<br> Quando gli dèi crearono l'umanità, <br> essi assegnarono la morte per l'umanità,<br>tennero la vita nelle loro mani.<br>Così Gilgameš, riempi il tuo stomaco,<br>giorno e notte datti alla gioia,<br>fai festa ogni giorno.<br> Giorno e notte canta e danza,<br>che i tuoi vestiti siano puliti, <br>che la tua testa sia lavata, lavati con acqua,<br>giosci del bambino che tiene (stretta) la tua mano,<br>possa tua moglie godere al tuo petto:<br>questo è il retaggio (dell'umanità).|''Epopea di Gilgameš'', versione paleo babilonese, (in accadico: ⌈šu⌉-tu-ur e-li š[ar-ri]; ''Egli è superiore agli altri [re]''); Tavola di Meissner- Millard OB VA+BM 1-14; traduzione di Giovanni Pettinato, ''La Saga di Gilgameš'', p.213|'''<sup>d</sup>'''GIŠ e-eš ta-da-a-al<br>ba-la-ṭam ša ta-sa-ḫa-ḫu-ru la tu-ut-ta<br> i-nu-ma ilū(''dingir'')<sup>meš</sup> ib-nu a-wi-lu-tam<br> mu-tam iš-ku-nu a-na a-wi-lu-tim<br>ba-la-ṭám in-a qá-ti-šu-nu iṣ-ṣa-ab-tu<br>at-ta '''<sup>d</sup>'''GIŠ lu ma-li ka-ra-aš-ka<br>ur-ri ù mu-šī ḫi-ta-ad-dú at-ta<br>u4-mi-ša-am šu-ku-un ḫi-du-tam<br>ur-ri ù mu-šī su-ur ù me-li-il<br> lu ub-bu-bu ṣú-ba!(''KU'')-tu-ka<br> qá-qá-ad-ka lu me-si me-e lu ra-am-ka-ta<br> ṣú-ub-bi ṣe-eḫ-ra-am ṣā-bi-tu qá-ti-ka<br> mar-ḫī-tum li-iḫ-ta ⌈ad-da-am⌉ in-a su-ni-⌈ka⌉<br> an-na-ma šī[m-ti a-wi-lu-tim?]<ref>[http://www.soas.ac.uk/baplar/recordings/the-epic-of-gilgamesh-old-babylonian-version-bmvat-lines-ii0-iii14-read-by-martin-west.html Lettura del testo accadico.]</ref>|lingua=AKK}}
 
Gilgameš continua il suo peregrinare finché non raggiunge Utanapištim il quale, dopo che il re di Uruk ha fallito le prove per conseguire l'immortalità, si decide a consegnargli la "pianta della giovinezza". Ma qui accade, secondo Pettinato, un fatto teologicamente significativo: il re di Uruk non mangia la pianta, ma la riserva innanzitutto ai vecchi della propria città affinché possano conseguire la giovinezza.
 
Ma gli dèì avevano destinato tale pianta solo la re e quindi questi, alla fine, la perde, rubata da un serpente:
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{{q|Del resto anche il mondo divino è sempre attento ai bisogni dell'uomo, partecipa delle sue ansie, allevia il suo pesante destino: è questa la grande differenza tra il mondo mesopotamico e il tanto declamato mondo civile e razionale dei Greci. Proprio tutte le arti divinatorie e l'astrologia, come loro massima espressione, sono una testimonianza eloquente che i "segni" impressi nelle stelle sono messaggi del mondo divino all'uomo affinché egli possa trarre da ogni manifestazione sia terrestre sia celeste insegnamenti su come vivere meglio.| Giovanni Pettinato, ''Mitologia assiro-babilonese'', p. 37}}
 
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{{quote|Il [Signor]e mi afferrò<br> Il [Signor]e mi (ri)mise in piedi;<br> il [Signor]e mi ha fatto (ri)vivere.<br>Mi ha tratto [dal pozzo]<br>mi ha chiamato fuori dalla distruzione.|''Ludlul bēl nēmeqi'', Tavola IV, vv.2-6; traduzione di Giorgio R. Castellino|[be-l]í ú ṣa-bít-an-ni<br>[be-l]í ú-pat-t[in]-an-ni<br>[be-l]í ú-ba-liṭ-an-ni<br>[ina ḫas-t]i e-kim-an-ni<br>[ina ka-ra-]še-e id ⌈kan⌉ <sup>an</sup>-ni| lingua=AKK}}