Biografie cristologiche/Gesù ed Ebraismo: differenze tra le versioni

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Anche passi dei Vangeli attestano un'immagine di Dio come "padre" nella nuova famiglia di Gesù. Per esempio, [https://www.biblegateway.com/passage/?search=matteo+23%3A9&version=CEI;LND;NR1994 Matteo 23:9] ammonisce "Non chiamate nessuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli." La nozione di un unico Padre, nei cieli, è consistente con le credenze ebraiche.<ref name="Barr"/>
 
Sebbene sia preferibile considerare ''Abba'' quale termine aramaico del primo secolo piuttosto che un [[w:ABBA|gruppo musicale svedese]] del ventesimo, la traduzione "Papà" non è giusta.<ref name="Barr"/> Il termine significa "padre" e non è un'espressione associata primariamente coi bambini. Anche gli stessi scrittori del Nuovo Testamento non considerano che significhi "Papà", poiché in ciascuno dei tre usi l'aramaico ''Abba'' viene subito reso col vocativo greco ''o pater'', "Padre". L'unico posto nei Vangeli in cui Gesù stesso sembra usare l'appellativo ''Abba'' è [https://www.biblegateway.com/passage/?search=marco+14%3A36&version=CEI;LND;NR1994 Marco 14:36], nel Getsemani: "Abba, Padre, ogni cosa ti è possibile; allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi." Paolo due volte cita l'invocazione ad ''Abba'': [https://www.biblegateway.com/passage/?search=romani+8%3A15&version=CEI;LND;NR1994 Romani 8:15] dice "per il quale gridiamo: «Abba, Padre»" e [https://www.biblegateway.com/passage/?search=Galati+4%3A6&version=CEI;LND;NR1994 Galati 4:6] parimenti dice "Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei vostri cuori che grida: «Abba, Padre!»" Anche Joachim Jeremias, l'accademico che per primo propose la traduzione "Papà", ritrasse la sua tesi e la chiamò "un pezzo di ingenuità inammissibile."<ref name="Ashton">John Ashton, "Abba", in D.N. Freedman (cur.), ''The Anchor Bible Dictionary'', vol. I, Doubleday, 1992, p. 7, che cita Joachim Jeremias, "Abba", in J. Jeremias, ''The Prayers of Jesus'', trad. John Bowden, SCM, 1967, pp. 11-65.</ref>
 
Né era Gesù l'unico ebreo a chiamare Dio ''Abba'', sebbene ciò possa essere stato il tratto distintivo del suo insegnamento. Il fatto che Paolo conservi l'aramaico quando scrive ai conversi gentili di lingua greca — il primo uso di ''Abba'' per "Padre nei cieli" appare in Galati 4 — implica che l'invocazione possa benissimo risalire a Gesù. Forse Gesù enfatizzava l'appellativo più di quanto non lo facessero altri ebrei; potrebbe aver sentito una connessione personale, mentre i suoi compatrioti ebrei assumevano un approccio più comunitario. Per esempio, invocazioni ebraiche al "Padre" tendono essere congregazionali, in assemblea comune; quando Gesù chiama ''Abba'' nel Getsemani, la sua invocazione è interamente personale. Non sta parlando a nome di nessuno se non se stesso. Ma il ''Padre nostro'' non è un esempio unico di un'invocazione unica: la preghiera inizia con "Padre nostro", non "Padre mio".<ref name="Ashton"/>
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La riga successiva nella versione matteana del ''Padre nostro'', "Sia santificato il tuo nome", è una componente della maggior parte delle preghiere ebraiche. Per esempio, il [[w:Kaddish|Kaddish]] — fore meglio noto per essere recitato in occasioni di lutto, e preghiera in aramaico, la lingua parlata da Gesù — inizia: "Venga riconosciuto grande e santo il Nome eccelso [di Dio]". Gli ebrei sin dagli inizi riconobbero che il nome di Dio è sia sacro che ineffabile. Un numero di [[w:Manoscritti del Mar Morto|Manoscritti del Mar Morto]], dal Qumran, riportano le quattro lettere del nome divino ([[w:lingua ebraica|ebraico]]: ''yod, heh, vav, hey'', translitterato '''YHWH''') in paleoebraico, uno stile antico di scrittura, piuttosto che nei caratteri regolari. La santificazione del nome divino mediante l'uso di circonlocuzioni appare anche nel Nuovo Testamento. Per esempio, il Vangelo di Matteo tende a parlare di "regno dei cieli" invece del "regno di Dio".<ref name="Cross">Amy-Jill Levine, Dale C. Allison Jr., & John Dominic Crossan (curatori), ''The Historical Jesus in Context'', Princeton University Press, 2006, pp. 77-102 e ''passim''.</ref>
 
"Venga il tuo regno" si correla nella tradizione ebraica con l'espressione ''[[w:'Olam Ha-Ba|''olam ha-bah'', "il mondo a venire'']]. Il "mondo a venire" è l'era messianica, un'epoca distinta e infinitamente migliore di "questo mondo" (''olam ha-zeh''). L'appello di Gesù al mondo a venire ha anche un conspicuo connotato politico. La preghiera invoca il regno ''divino'', non quello di Cesare o dei suoi lacchè, come Erode Antipa, il sovrano della Galilea che giustiziò Giovanni Battista, o Ponzio Pilato, il governatore romano che crocifisse Gesù.<ref name="Cross"/>
 
Oggigiorno una quantità di cristiani (ed ebrei) pensano che l'Ebraismo manchi di una nozione di era messianica o di aldilà. L'opinione scaturisce in parte da secoli di confronti tra cristiani ed ebrei su come definirsi reciprocamente. Più la chiesa si concentrava su quello che gli ebrei chiamavano "il mondo a venire" e quindi sulla salvezza ottenibile tramite un'ortodossia di credenze necessarie, e più la sinagoga sottolineava la vita di ''questo'' mondo e la santificazione della vita mediante le opere. In parte, certe branche dell'Ebraismo moderno scelsero di snellire o persino eliminare dalla liturgia materiali che implicavano il soprannaturalismo. Tuttavia anche per queste congregazioni, la visione che il mondo può essere riparato (visione nota come [[w:Tiqqun 'Olam|''Tiqqun `olam'' (ebr. תיקון עולם)]], "riparazione del mondo") e l'enfasi sull'operare per ottenere tale riparazione, mantiene ferma l'idea di un mondo migliore, un "mondo a venire".<ref name="Levine">Amy-Jill Levine, ''The Misunderstood Jew, cit.'', pp. 43-52.</ref>
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L'unica vera "antitesi" di questa sezione del Discorso della Montagna è Matteo 5:43-44: "Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori." Nessuna legge comanda l'odio dei nemici. Al contrario, [https://www.biblegateway.com/passage/?search=Proverbi+25%3A21&version=CEI;LND Proverbi 25:21] afferma: "Se il tuo nemico ha fame, dagli pane da mangiare, se ha sete, dagli acqua da bere." D'accordo, c'è un aspetto compensativo in questa affermazione, poiché il proverbio indica che coloro che agiranno in questa maniera benevola verso il proprio nemico ammasseranno "carboni ardenti sul suo capo
e il Signore ti ricompenserà" (25:22). Gesù va quindi oltre la tradizione biblica. Ciò nonostante, almeno il nemico viene sfamato, e serve a ricordare a coloro che sentono il Discorso della Montagna che "amare il nemico" include anche assistenza fisica, tra cui il "pane quotidiano".<ref name="Levine"/>
 
La riga successiva del ''Padre nostro'', "Dacci oggi il nostro pane quotidiano" è ridondante. "Dacci oggi il nostro pane", oppure "Dacci il nostro pane quotidiano" sarebbe il modo diretto, ma chiedere il "pane quotidiano" e aggiungere "oggi" è ripetitivo. Alcune traduzioni riportano "[https://www.biblegateway.com/passage/?search=Mt%206%3A9-13&version=LND Dacci oggi il nostro pane ''necessario''] (LND)", ma il problema del versetto sta nella parola greca che viene usualmente tradotta "quotidiano", ''epiousion'' (ἐπιούσιον). Il termine non appare altrove nella letteratura dell'epoca, e secondo il Padre della Chiesa [[w:Origene|Origene]] (185-254) fu coniato dagli evangelisti stessi.<ref name="Prega">>Origene, ''Sulla preghiera'' 27, 7; si veda la voce ''epiousion'' in Frederick W. Danker (cur.), ''A Greek-English Lexicon of the New Testament and Other Early Christian Literature'', 3<sup>a</sup> ed., University of Chicago Press, 2000, pp. 376-377.</ref> Le definizioni variano da "necessario per vivere" a "per il giorno seguente" a "che viene". Forse la traduzione migliore allora sarebbe "Dacci oggi il pane dell'indomani", che ha più senso in un contesto ebraico del primo secolo. I testi ebraici parlano dell`''olam ha-bah'', il mondo a venire, come un glorioso banchetto. [https://www.biblegateway.com/passage/?search=Isaia+25%3A6&version=CEI;LND Isaia 25:6] presagisce che "Il Signore degli eserciti preparerà su questo monte a tutti i popoli un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti pieni di midollo, di vini vecchi e raffinati. ''[[w:Apocalisse di Baruc|2 Baruch]]'', un'apocalisse scritta dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70, riporta questa bella visione:<ref>Dalla traduzione inglese di A.F. Klijn, in James H. Charlesworth (cur.), ''The Old Testament Pseudepigrapha'', vol. I, Doubleday, 1983, pp. 615-652. Paralleli rabbinici sul banchetto ed i grandi mostri includono il Talmud palestinese ''Sanhedrin'' 10:5; ''Genesi Rabbah'' 19:4; e ''Pesiqta de Rav Kahana'' 6:8.</ref>
{{q|E [[w:Behemoth|Behemoth]] si rivelerà dal suo luogo, e [[w:Leviatano|Leviatano]] verrà dal mare, i due grandi mostri che ho creato nel quinto giorno... e saranno di nutrimento per tutti coloro che sono rimasti. Anche la terra darà frutti per diecimila volte. E da una vite germoglieranno mille rami, ed un ramo produrrà mille grappoli, ed un grappolo produrrà mille chicchi, ed un chicco produrrà un ''cor'' di vino. E coloro che sono affamati godranno.|''[[w:Apocalisse di Baruc|2 Baruch]]'' 29:4-7}}
 
''[[w:Pirke Avot|Pirke Avot]]'', dalla Mishnah, attribuisce a Rabbi Jacob il detto: "Questo mondo è come un vestibolo davanti al mondo a venire: preparati nel vestibolo affinché tu possa entrare nella sala del banchetto" (4:16).
 
Anche oggi, in sinagoga il venerdì notte o sabato mattina, gli ebrei accolgono lo Shabbat servendo cibo, perché lo Shabbat è una pregustazione — letteralmente — del mondo a venire. La stessa idea appare sulle labbra di Gesù, quando parla del giorno che "molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe" (Mt 8:11) e quando descrive Lazzaro reclinato (come se stesse su un triclinio) sul petto di Abramo ([https://www.biblegateway.com/passage/?search=Luca+16%3A23&version=CEI;LND Luca 16:23]). Nella chiesa, una pregustazione dell'era messianica è ciò che si incontra nell'Eucaristia (Comunione), alla "tavola del Signore".<ref name="Cross"/>
 
"Dacci oggi il pane dell'indomani" pertanto significa "venga il tuo regno, quando potremo mangiare al banchetto messianico." Questa è la speranza profetica, la visione profetica. Pur tuttavia gli altri significati del difficile termine greco non devono essere esclusi da questa enfasi sulla tavola messianica. Il gioco di parole è una nota forma di espressione nella cultura ebraica. La stessa riga potrebbe anche significare "Padre caro, dacci cibo in sufficienza per la giornata, cosicché i nostri figli non muoiano di fame." La preghiera quindi porta all'azione, poiché Dio in verità non dà "pane", ma grano. Il pane proviene dalla fatica umana. Similmente la benedizione ebraica standard prima di mangiare, "Benedetto sei Tu, O Signore, Re dell'Universo, che ci dai il pane dalla terra", mostra lo stesso paradosso, poiché il "pane" non proviene dalla terra. Né il ''Padre nostro'' né la benedizione ebraica sono un desiderio astratto di cibo che caschi dal cielo; sia l'uno che l'altro sono un'invocazione concreta che Dio spinga i nostri cuori a fare la cosa giusta. Entrambi insistono che umanità e divinità operino insieme.<ref name="Cross"/>
 
==Recuperare il Gesù ebreo==