Le religioni della Mesopotamia/La letteratura religiosa in Mesopotamia/Atraḫasis: differenze tra le versioni

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[[File:Bm-epic-g.jpg|upright=1.4|thumb|Tavola cuneiforme che riporta il ''Poema di Atraḫasis'', la versione paleobabilonese in lingua accadica del mito del Diluvio Universale. Risalente al XVII sec. a.C., questa tavola è stata rinvenuta a Sippar ed è oggi conservata presso il British Museum di Londra.]]
 
'''Atraḫasis''' ([[lingua accadica|accadico]], lett. "il molto saggio"; ma reso anche come '''Atramḫasīs''', '''Atra-ḫasis''', '''Atar-ḫasis''' o '''Atrahasis'''), presente nella letteratura in lingua accadica anche come '''Utanapištim''' ([[lingua accadica|accadico]]; lett. "Colui che ha trovato la vita"; reso anche come '''Ut-napištim''' o '''Utnapištim''') e, nella letteratura sumerica, indicato con il nome di '''Ziusudra''' (sumerico, ''Zi-u4-sud-ra'', lett. "Vita dai giorni prolungati"; reso anche come '''Ziusura'''), conosciuto nella successiva letteratura in lingua greca come '''Xisouthros''' (nella ''Storia di Babilonia'' ({{polytonic|Βαβυλωνιακὰ}}) di [[Berosso]]), è il re di [[Šuruppak]] (oggi Tell Fara, nella parte centro-meridionale dell'Iraq) e l'eroe dei poemi mesopotamici inerenti al '''[[Diluvio Universale]]''', evento mitico a cui lui sopravvisse, e a cui gli dèi consegnarono l'immortalità.
 
==Ziusudra nella letteratura sumerica==
===La [[Lista Reale Sumerica]] e i re anti-diluviani===
La ''[[Lista Reale Sumerica]]'' (sumerico: [nam]-lugal an-ta ed<sub>3</sub>-de<sub>3</sub>-a-ba; ''Quando la regalità discese dal cielo'') è un testo in cuneiforme sumerico composto tra il 2100 e il 1900 a.C.<ref>La sua redazione definitiva appartiene alla dinastia di Isin (1950 a.C.; cfr. [[Giovanni Pettinato]], ''La Saga di Gilgameš'', Milano, Mondadori, p. LXXVIII)</ref><ref>Una insuperata edizione di questa opera è di [[Thorkild Jacobsen]], ''The Sumerian King List'', University of Chicago Oriental Institute, Assyriological Studies 11, University of Chicago Press, 1939.</ref> con la finalità di gettare le basi tradizionali e politiche dell'unificazione del territorio di Sumer (Mesopotamia meridionale)<ref>[[Enrico Ascalone]], ''Mesopotamia'', Milano, Electa, 2005, p.10.</ref>.
 
Esistono diverse versioni giunte a noi di questo fondamentale documento della civiltà sumerica. Alcune di queste, segnatamente quelle indicate con le sigle WB, P5 e K forniscono chiaramente una lista di re vissuti antecedentemente al Diluvio Universale (in sumerico ''amāru'', in accadico ''abūbu''). Tra queste tre fonti, quella indicata con la sigla WB<ref>Ashmolean Museum 1923.444, edita da Langdom.</ref> è la più completa e quindi utilizzata dagli studiosi.
 
Questo testo si avvia con il principio di "regalità" che discende dal cielo (''nam]-lugal an-ta ed3-de3-a-ba'': "Quando la regalità scese dal cielo" ) per essere assegnato per la prima volta alla città sumera di [[Eridu]] in cui resta per complessivi 64.800 anni, successivamente tale principio si trasferisce alla città di [[Bad-Tibira]] per altri 108.000 anni, per poi discendere sulla città di [[Larak]] per ulteriori 28.800 anni, poi a [[Sippar]] per 21.000 anni e infine, prima del Diluvio Universale, a [[Šuruppak]]:
{{quote|A Shuruppak Ubartutu<br>divenne re e regno 18.600 anni:<br>1 re;<br> i suoi anni di regno sono 18.600<br>Sono 5 città, <br> 8 re;<br> i loro anni di regno sono 241.200.<br>Il diluvio spazzò via ogni cosa.|''Lista Reale Sumerica'' (WB), 32-39; traduzione di [[Giovanni Pettinato]]|šuruppag<sup>ki</sup> ubara-tu3-tu3<br>lugal-am3 mu 18600 i3-ak<br>1 lugal<br>mu-bi 18600 ib2-ak<br>5 iri<sup>ki</sup>-me-eš<br>lugal<br>mu-<bi> 241200 ib2-ak<br>a-ma-ru ba-ur3-«ra-ta»|lingua=SUX}}
 
In questa versione della Lista Reale Sumerica Ubartutu (Ubara-Tutu) è l'ultimo re prima del Diluvio. In un'altra tavola, che gli studiosi indicano come WB 62 (datata alla fine del III millennio, scritta sempre in sumerico ed edita da Langdon), viene citato Ziusudra (''zi-u4-sud-ra dumu su-kur-lam'': "Ziusudra uomo di Šuruppak")<ref>Quindi piuttosto che figlio di Sukurlam tale nome va inteso come la città di Šuruppak. In tal senso cfr. nota 32 p. 76 Jacobsen.</ref>.
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===Ziusudra e il mito sumerico del Diluvio Universale===
Il mito del Diluvio Universale è di origine sumerica. Come vedremo più avanti, la causa del Diluvio viene fatta risalire a una scelta divina. In un poema, in lingua sumerica, conosciuto come ''Enki e Ninḫursaĝa'' risalente agli inizi del secondo millennio (tre testi: Nippur, Ur e uno di provenienza sconosciuta), e che conserviamo in 284 versi con pochi passi lacunosi, viene così descritto il mondo prima della civiltà.
{{quote|Quando (Enki) da solo a Dilmun giaceva,<br> il posto dove egli giaceva con sua moglie Ninsikila,<br> quel posto era puro, quel posto era splendente.<br> A Dilmun il corvo non gracchiava;<br> l'[[Francolinus francolinus|uccello-dar]] (''Francolinus francolinus'') non gridava "Dar! Dar!";<br> il leone non uccideva;<br> il lupo non sbranava l'agnello;<br>il cane non soggiocava le capre;<br>il porco non mangiava l'orzo;<br>alla vedova quando aveva sparso il malto sul tetto,<br> gli uccelli non mangiavano il malto;<br>la colomba non mangiava il seme;<br>l'ammalato agli occhi non diceva: "Sono ammalato agli occhi!";<br>colui che aveva mal di capo non diceva: "Ho male al capo!";<br>la donna vecchia non diceva: "Sono una donna vecchia!";<br>l'uomo vecchio non diceva: "Sono vecchio!";<br> la vergine non trovava acqua nella città per bagnarsi;<br> il traghettatore non diceva: "È mezzanotte!";<br> l'araldo non andava in giro;<br> il cantante non cantava [dicendo]: "Elulam!";<br> fuori della città non si udivano pianti.|''Enki e Ninḫursaĝa'', 8-28. Traduzione di Giovanni Pettinato, in ''I Sumeri'', p.76|dili-ni-ne dilmun<sup>ki</sup>-a u3-bi2-in-nu2<br>
ki '''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''en-ki '''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''nin-sikil-la ba-an-da-nu2-a-ba<br>
ki-bi sikil-am3 ki-bi dadag-ga-am3<br>
dilmun<sup>ki</sup>-a uga<sup>mušen</sup> gu3-gu3 nu-mu-ni-be2<br>
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Dilmun (anche Tilmun o Telmun) è il nome con cui i Sumeri indicavano l’attuale isola di Bahrein includendo, probabilmente anche l’isola di Failaka. Tali isole erano molto importanti per gli scambi commerciali. In questo mito Dilmun viene descritta come una terra vergine, pura, santa, priva di civilizzazione. Ninskila, paredra del dio Enki, chiede a quest’ultimo di fornirla di acqua per avviare la produzione agricola. Enki si avvale del dio Sole, Utu, e l’isola si avvia verso la civilizzazione. Come vedremo, nel racconto sumerico del Diluvio Dilmun sarà il luogo che gli dèi destineranno a Ziusudra, l'unico uomo sopravvissuto al Diluvio e da loro reso immortale.
 
Per quanto attiene il mito sumerico del Diluvio Universale disponiamo di una tavola in lingua sumerica<ref>Poebel 1914 pp.7 e sgg., Civil 1964 pp.138 e sgg., Jacobsen 1981 pp.513 e sgg., Saporetti 1982 pp.19 e sgg., Pettinato 1971 e 2001. </ref> che precederebbe di più di un secolo il poema assiro-babilonese di Atraḫasis, quest'ultimo risalente al periodo paleobabilonese (XVIII secolo a.C.). Questa tavola raccoglie, quindi, la più antica versione sumerica del mito del Diluvio Universale. Essa fu rinvenuta a Nippur (Nibru, oggi Nuffar) nel 1895 e fu pubblicata per la prima volta dall'assiriologo tedesco [[Arno Poebel]] (1881-1958) nel 1914 in ''Historical and Grammatical Text''. La tavola risulta non ben conservata, il suo testo cuneiforme muove lungo sei colonne. Le prime 36 righe sono andata perdute, lì dove probabilmente si sarebbe narrata la creazione dell'uomo da parte del dio Enki e della dea Nintu (conosciuta anche come Ninḫursanga). C'è però una minaccia per l'umanità e un dio (Enki o forse Enlil<ref>Per Bottéro/Kramer è Enki (''Uomini e dèi della Mesopotamia'', p.601); Per Pettinato, che invece più che una minaccia rileva la condizione miserevole dell'umanità appena creata è, forse, il dio Enlil, il re degli dèi, che intende porvi rimedio (''Mitologia sumerica'', pos.2719). Per Pettinato il ruolo di Enki come "difensore dell'umanità" apparterrebbe alla teologia babilonese, tesa a sostituire il dio Marduk, dio poliade di Babilonia in qualità di re degli dèi, a Enlil il sovrano divino della città sumerica di Nippur (Nibru) al riguardo cfr. e ad esempio, ''Mitologia assiro-babilonese'' pp. 20 e sgg.</ref>) prende la parola:
{{quote|38. "Mi o[ppongo] all'annientamento dei miei uomini,<br>39. E per Nintu, (r)ipristinerò le mie creature;<br>40. (Re)installerò la popolazione presso di lei<br>41. Affinché (ri)costruiscano le loro città, Dove li (ri)metterò al riparo (?)<br>42. Che ne (ri)edifichino la muratura, ciascuno nel suo spazio sacro;<br>43. Che vi erigano (di nuovo?) luoghi sacri(?) Ciascuno nel suo spazio (?)<br>44. Fornirò loro acqua pura per spegnere il fuoco (?);<br>45. (Ri)stabilirò fra essi Cerimoniale sacro e augusti Poteri!<br>46. La terra sarà (di nuovo?) irrigata E la prosperità (re)staurata!"<br>47. Quando dunque An, Enlil, Enki e Ninḫursag<br> 48. Ebbero propagato di nuovo le teste-nere,<br>49. si rimoltiplicarono ovunque gli esseri viventi,<br>50. E, per arricchire la campagna, (Ri)apparvero quadrupedi di tutte le speci.|''Il racconto in sumerico del Diluvio Universale'', 38-50; traduzione in Bottéro/Kramer, p.601|38. nam-lu2-ulu3-ĝu10 ḫa-lam-ma-bi-a ga-ba-/ni-ib\-[…]<br>
39. <sup>[[dingir|d]]</sup>nin-tur5-ra niĝ2-dim2-dim2-ma-ĝu10 sig10-[sig10]-/bi\-[a] ga-ba-ni-ib-gi4-gi4<br>
40. uĝ3 ki-ur3-bi-ta ga-ba-ni-ib-gur-ru-ne<br>
41. iriki me-a-bi ḫe2-em-mi-in-du3 ĝissu-bi ni2 ga-ba-ab-dub2-bu<br>
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45. ĝarza me maḫ šu mi-ni-ib-šu-du7<br>
46. ki a im-ma-ab-dug4 silim ga-mu-ni-in-ĝar<br>
47. an <sup>[[dingir|d]]</sup>en-lil2 <sup>[[dingir|d]]</sup>en-ki <sup>[[dingir|d]]</sup>nin-ḫur-saĝ-ĝa2-ke4<br>
48. saĝ gig2-ga mu-un-dim2-eš-a-ba<br>
49. niĝ2-gilim ki-ta ki-ta mu-lu-lu<br>
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{{quote|140. Allora [Nin[tu... le sue] crea[ture...],<br>141. la santa Inanna pian[se] per il suo popolo,<br>142. Enki rimurginava con sé stesso:<br>143. (ché) An, Enlil, Enki (e)Ninḫursag,<br>144. gli dèi dell'universo avevano prestato giurmaneto nel nome di An ed Enlil.|''Il racconto in sumerico del Diluvio Universale'', 140-144; traduzione Giovanni Pettinato, in ''Mitologia sumerica'', pos. 2760|
140. ud-bi-a <sup>[[dingir|d]]</sup>nin-/tur5\ […] DIM2 A […]<br>
141. kug <sup>[[dingir|d]]</sup>inana-ke4 uĝ3-bi-še3 a-nir mu-[un-ĝa2-ĝa2]<br>
142. <sup>[[dingir|d]]</sup>en-ki šag4 ni2-te-na-ke4 ad i-ni-/in\-[gi4-gi4]<br>
143. an <sup>[[dingir|d]]</sup>en-lil2 <sup>[[dingir|d]]</sup>en-ki <sup>[[dingir|d]]</sup>nin-ḫur-saĝ-ĝa2-[ke4]<br>
144. diĝir an ki-ke4 mu an <sup>[[dingir|d]]</sup>en-lil2 mu-X-[pad3]|lingua=SUX}}
 
Ed ecco che il re di Šuruppak, Ziusudra, re devoto agli dèi, sostava in preghiera nel tempio (righe 145-150) quando:
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numun nam-lu2-ulu3 ḫa-lam-e-/de3\ [nam-bi ba-tar]<br>
di-til-la inim pu-uḫ2-ru-[um-ma-ka šu gi4-gi4 nu-ĝal2]<br>
inim dug4-ga an '''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''en-[lil2-la2-ka] [šu bal-e nu-zu]<br>
nam-lugal-bi bal-bi /ba\-[bur12 e-ne šag4 kuš2-u3-de3]|lingua=SUX}}
 
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{{quote|"Ti avevo tuttavia fatto giurare sul cielo e sulla terra<br>Come An e Enlil in persona,con il loro[...]Avevano prestato giuramento!"<br> E Enki(?) fece di nuovo uscire dalla terra Gli esseri-viventi(?).<br>Frattanto Ziusudra, il re,<br>Essendosi prostrato davanti ad An ed Enlil,<br>Questi si affezionarono a lui.<br>Inoltre gli concessero una vita Simile a quella degli dèi:<br>Un soffio di vita immortale, come quello degli dèi!<br>Ecco come il re Ziusudra,<br>Che aveva salvato gli animali e il genere umano,<br>Fu insediato in una regione al di là del mare: A Dilmun, là dove si leva il sole|251-261; traduzione in Bottéro/Kramer, p.604|
zi an-na zi ki-a i3-pad3-de3-en-ze2-en za-zu-da ḫe2-em-da-la2<br>
an <sup>[[dingir|d]]</sup>en-lil2 zi an-na zi ki-a i3-pad3-de3-ze2-en za-da-ne-ne im-da-la2<br>
niĝ2-gilim-ma ki-ta ed3-de3 im-ma-ra-ed3-de3<br>
zi-ud-su3-ra2 lugal-am3<br>
igi an <sup>[[dingir|d]]</sup>en-lil2-la2-še3 giri17 ki su-ub ba-/gub!\<br>
an <sup>[[dingir|d]]</sup>en-lil2 zi-ud-su3-ra2 mi2-e-/eš2?\ […-dug4-…]<br>
til3 diĝir-gin7 mu-un-na-šum2-mu<br>
zi da-ri2 diĝir-gin7 mu-un-<na>-ab-ed3-de3<br>
ud-ba zi-ud-su3-ra2 lugal-am3<br>
mu niĝ2-gilim-ma numun nam-lu2-ulu3 uru3 ak<br>
kur-bal kur dilmun-na ki <sup>[[dingir|d]]</sup>utu e3-še3 mu-un-til3-eš|lingua=SUX}}
 
Con gli ultimi versi, 262-265, che tuttavia sono andati perduti, si conclude il più antico racconto sumerico del mito del Diluvio Universale.
 
A tal proposito, tuttavia, occorre ricordare le conclusioni dell'assiriologo italiano [[Giovanni Pettinato]] il quale così chiosa su questa tavola la quale dunque conterrebbe:
{{quote|la più antica redazione del Diluvio sumerico, menzionato già nella Lista Reale Sumerica, e che anticipa di più di un secolo il racconto assiro-babilonese di Atramḫasīs|[[Giovanni Pettinato]], ''Mitologia sumerica''}}
 
Lo studioso italiano ha ribadito la sua posizione in merito anche nella voce Atrahasis della ''Encyclopedia of Religion'' edita dalla Macmillan nel 2005<ref>{{quote|Preceding the Akkadian myth of Atrahasis is the document that contains the oldest version of the Sumerian Flood, already mentioned in Sumerian King List. It predates the Assyro-Babylonian version of the Atrahasis poem by more than a century, but it is completely fragmentary.|p.599}}</ref>.
 
L'assiriologa britannica [[Stephanie Dalley]] ritiene invece che la redazione di tale tavola in lingua sumerica sia basata su un'opera precedente composta in lingua accadica<ref>{{quote|A Sumerian story of Ziusudra and the Flood, still largely incomplete, appears to be a relatively late composition based on Akkadian version of the story, [...]|[[Stephanie Dalley]], ''Myths from Mesopotamia'', Oxford, Oxford University Press, 2000, p.6}}</ref>. Della stessa opinione gli studiosi inglesi [[Jeremy Black]] e [[Anthony Green]]<ref>{{quote|Ziusura is the hero of the story of the Flood in a Sumerian version probably dating from the late Old Babylonian Period. [...]. A version in Akkadian of the Flood Story, incorporating the creation of mankind, may be of slightly earlier date; part of a later Standard Babylonian version also survives. In these, the protagonist is called Atra-hasis, 'the very wise'. |''Gods, Demons and Symbols of Ancient Mesopotamia'', Londra, The British Museum Press, 2004 (1998), p. 189}}</ref>. Tale fu l'opinione anche di [[Jean Bottéro]] e [[Samuel Noah Kramer]] i quali, ritenendo quest'opera sumerica prodotta su un originale accadico, precisano così sul poema paleobabilonese in lingua accadica di Atraḫasis:
{{quote|''Creato'' è la definizione; non si tratta certamente di una traduzione dal sumerico, e tanto meno di un rifacimento di un'opera pensata e redatta in questa lingua: ogni sua parte denuncia una composizione originale tipicamente paleobabilonese.|Jean Bottéro e Samuel Noah Kramer, ''Uomini e dèi della Mesopotamia'', Milano, Mondadori, 2012, p. 561}}
 
D'altronde anche Pettinato è assolutamente convinto che tale poema, quello in lingua accadica di Atraḫasis, appartenga esclusivamente alla tradizione assiro-babilonese:
{{quote|Il mito di Atramḫasis, una creazione puramente assiro-babilonese, è la summa del pensiero semitico sul mondo divino e sulla realtà umana dalle origini del mondo fino a quello attuale, passando per le varie fasi del divenire, come il Diluvio e la nuova creazione.|[[Giovanni Pettinato]], ''Mitologia assiro-babilonese'', p.311}}
 
==Atraḫasis, Utanapištim, nella letteratura assiro-babilonese==
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Di questo poema conserviamo diversi frammenti risalenti a differenti periodi: sette testi di origine paleobabilonese, due di epoca mediobabilonese, circa una dozzina risalenti al periodo neoassiro (con modifiche) e infine due appartenenti al periodo neobabilonese.
 
Partendo da un frammento rinvenuto nel 1874 nella [[Biblioteca di Assurbanipal]] (668-627 a.C.) siamo venuti a conoscenza dell'esistenza questa opera. Nel 1956 l'assiriologo danese [[Jørgen Læssøe]] (1924-1993) ne ricostruì il testo dimostrando che si era di fronte all'opera religiosa più antica inerente alla "Genesi". Successivamente, nel 1965, l'assiriologo britannico [[Wilfred George Lambert]] pubblicò i frammenti raccolti al British Museum di Londra nel suo ''Cuneiform texts from Babylonian tablets in the British Museum'' che consistevano nel testo più antico a nostra disposizione (quindi paleobabilonese), risalente al XVIII secolo a.C.
 
Del testo più antico, paleobabilonese, conosciamo il nome dello scriba autore: Ipiq-Aya (precedentemente identificato con i nomi di Kasap-Aya, Ku-Aya o anche Nûr-Aya), probabilmente originario di Sippar e che operò sotto il regno babilonese di Ammi-ṣadûqa (1702-1682). Il testo si compone di tre tavole, ognuna delle quali si sviluppa per otto colonne, quattro sul fronte e quattro sul retro, ogni colonna si compone di circa 55 righe. L'intera opera si compone dunque di complessive 1.245 righe, di cui solo alcune sono giunte a noi.
 
*'''I Tavola: gli dèi Igigi si ribellano alle dure corvée, gli dèi Anunnaki decidono allora di creare gli uomini affinché li sostituiscano; il dio Enki/Ea e la dea-madre Mummu generano gli uomini, ma dopo 1.200 anni di attività il loro "baccano" convince Enlil a inviargli un'epidemia, ma questa viene vanificata dall'intervento di Enki/Ea'''.
{{quote|1. Quando gli dèi erano uomini, <br>2. sottostavano alle corvée, portavano il canestro di lavoro; <br>3. -il canestro di lavoro degli dèi era troppo grande,<br>4. il lavoro oltremodo pesante, la fatica enorme-;<br> 5. i grandi [[Anunnaki]], i sette, <br>6. avevano imposto la corvée agli Igigi|I Tavola, vv. 1-6; traduzione di [[Giovanni Pettinato]]|
1. i-nu-ma i-lu a-wi-lum <br>
2. ub-lu du-ul-la iz-bi-lu šu-up-ši-[i]k-ka <br>
3. šu-up-ši-ik i-li ra-bi-[m]a <br>
4. du-ul-lu-um ka-bi-it ma-a-ad ša-ap-ša-qum <br>
5. ra-bu-tum '''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''a-nun-na-ku si-bi-it-tam<br>
6. du-ul-lam u2-ša-az-ba-lu '''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''i-g[i-g]i |lingua=AKK}}
 
Il ''Poema di Atraḫasis'' si apre con la condizione venuta ad essere subito dopo la cosmogonia: il dio Cielo, Anu, è salito in cielo; Ea (Enki), è sceso nell'Apsû, il mondo sotterraneo delle acqua abissali, sopra le quali poggia la terra; Enlil ha preso per sé la terra, con tutti gli esseri viventi in essa contenuta. Agli dèi [[Igigi]] è stato invece imposto il lavoro sulla terra, ambito in cui regna il dio Enlil. Gli Igigi scavano i fiumi, tra cui il Tigri e l'Eufrate, e i canali. Il pesante lavoro degli dèi Igigi, svolto di giorno e di notte, dura per 2.500 anni. Così, a partire dal rigo 39 della I Tavola del ''Poema'', questi dèi iniziano a rimurginare, finché, uno di loro (di cui non conosciamo il nome, forse Alla) li sprona ad abbandonare il lavoro e a ribellarsi. Gli Igigi danno ascolto al loro compagno e gettano nel fuoco gli strumenti da lavoro, e marciando uniti, si indirizzano verso il santuario di Enlil (l'E-kur, lett. "Casa Montagna"). È passata da poco la mezzanotte e il santuario del dio Enlil è circondato dalla folla tumultuosa degli Igigi. Gli dèi servitori di Enlil, Kalkal e Nusku, osservano preoccupati la scena: il primo chiude la porta del santuario mentre il secondo si decide a svegliare il suo signore avvertendolo del pericolo. Enlil fa quindi portare le armi e barricare le porte, dopodiché fa convocare Anu ed Ea. Giunti gli altri due Anunnaki, Enlil gli espone i fatti e il pericolo che corre, domandandogli se deve provocare la battaglia. Anu gli consiglia di inviare Nusku affinché si conoscano le ragioni di tale rivolta. Nusku si reca dagli Igigi spiegando di essere stato inviato da Anu e da Enlil per conoscere le loro ragioni, gli Igigi rispondono al messo divino che tutti insieme hanno deciso la ribellione e che la ragione di questa risiede nel duro lavoro a loro imposto. Nusku torna nel santuario di Enlil e riferisce agli Anunnaki la risposta degli Igigi. Enlil piange e medita di abbandonare la terra e salire in cielo con Anu, restituendo a lui le competenze divine sulla terra. Anu replica<ref>In un frammento del I millennio, K. 7109+, conservato al British Museum, Anu interviene dopo che qualcuno ha suggerito a Enlil di convocare uno degli Igigi per destinarlo a un castigo supremo.</ref> che ben comprende le ragioni degli Igigi, troppo grande è la loro fatica, quindi suggerisce di creare l'uomo (''Lullû'')<ref>Nel frammento BM 78257, sempre conservato al British Museum e datato all'incirca allo stesso periodo, è Ea e non Anu a difendere le ragioni degli Igigi e a proporre la creazione dell'uomo.</ref>, quindi fa convocare la dea Mami, la dea madre, affinché operi questa creazione e fa comunicare la sua decisione agli Igigi, i quali, sentendosi sollevati dalle estenuanti corvée, esultano.
 
Mami si rende disponibile alla creazione dell'uomo, ma spiega che senza l'aiuto di Enki/Ea, ovvero delle sue purificazioni, non può procedere. Ea decreta le purificazioni e indica in un dio il sacrificio necessario affinché si possa procedere alla creazione del primo uomo: con la carne e il sangue di un dio, impastati con l'argilla, può venire infatti ad essere l'uomo. Gli Anunnaki decidono di sacrificare il dio Wê (il dio Intelligenza, il dio Spirito) la cui carne consentirà all'uomo di possedere l'<nowiki></nowiki>''eṭemmu''<ref>Da intendersi come lo "spirito dei morti", lo "spettro", cfr. ''Assyrian Dictionary'', vol. 4, Chicago, The Oriental Institute of Univesity of Chicago, 2008 pp. 397 e sgg. Il marchio dell'<nowiki></nowiki>''eṭemmu'' consentirà quindi all'uomo di sopravvivere alla morte, come spettro, un marchio, sostiene il ''Poema'', che non deve essere fatto cadere nell'oblio, v. 218.</ref>. Mammu si prepara quindi all'opera di creazione, per questa ragione gli dèi Igigi decidono di indicare Mammu in qualità di "Signora di tutti gli dèi" (Bêlet-kala-ilî). Ea (o Mammu) mescola l'argilla quindi convoca gli Anunnaki e gli Igigi che sputano sopra l'impasto. L'uomo si prepara a "essere" e gli verrà assegnato il compito che prima spettava agli dèi Igigi: il pesante lavoro sulla terra.
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Il dio Enki/Ea non non vuole che l'umanità venga sterminata, allora invia un sogno ad Atraḫasis. Le righe 3-10 contenenti l'invocazione di Atraḫasis nei confronti di Enki/Ea sono andate perdute, successivamente i l'eroe del ''Poema'' chiede spiegazione del sogno al dio. Enki/Ea parlando per mezzo di una parete, invita Atraḫasis ad abbattere la sua casa e quindi a costruire una barca, suggerendogli di nasconderla affinché il dio Sole, Šamaš (Utu), non la scorga. La barca, precisa Enki/Ea, deve essere grande e solida, dopodiché, avverte il dio, io ti «farò piovere uccelli in gran numero e pesci in ceste» (rigo 35). Atraḫasis convoca gli anziani della città e li avverte che Enlil ed Enki/Ea sono in dissidio, per questa ragione lui, Atraḫasis, devoto del secondo dio (rigo 45), ha deciso di abbandonare la terra, regno di Enlil, per recarsi nel regno di Enki/Ea. Gli artigiani della città lo aiutano a costruire la grande barca, terminata la quale, Atraḫasis inizia a riempire con i suoi beni e con gli esemplari di tutti gli animali. Infine organizza un banchetto. Il tempo sulla città cambia repentinamente, il cielo si oscura e iniziano i primi tuoni. Atraḫasis si rifugia nella barca tappando con il bitume il boccaporto. Il Diluvio Universale si scatena e le «genti morivano come mosche» (rigo 19). Il terribile Diluvio inorridisce anche gli dèi e Enki/Ea è infuriato nel vedere le sue creature sterminate. La dea Mammi si dispera (dal rigo 32 e sgg.) domandandosi come possa «restare qui in questa dimora di dolore»; gli uomini riempiono il mare «come moscerini di fiume,/ come pezzi di legno, eccoli ammucchiati sulla spiaggia». Le prime 29 righe della V colonna sono andate perdute. Il Diluvio ha termine e la barca di Atraḫasis approda sulla cima di un monte, Atraḫasis libera tutti gli animali e sacrifica per mezzo di una fumigazione odorosa agli dèi. Enlil si avvicina alla barca e resosi conto che un uomo è scampato al Diluvio si infuria domandandosi chi abbia tradito il divino giuramento. Anu suggerisce che possa essere stato Enki/Ea il quale a questo punto interviene confessando il suo intervento a favore di Atraḫasis, invitando Enlil a calmarsi e ricordandogli che al colpevole che va indirizzata la punizione. I versi 27-38 sono andati perduti, qui gli dèi dovevano trovare un accordo e quindi concedere l'immortalità ad Atraḫasis. La Tavola riprende con la soddisfazione degli dèi e con Enki/Ea che convoca Mammu, la dea-madre a cui chiede di imporre agli uomini la mortalità e la triplice legge che consiste nella rendere alcune donne infeconde, far imperversare il demone (il demone-Pašittu) che strappa i bambini dalle madri e istituire la consacrazione di alcune di loro (le donne-Ugabtu, le donne-Entu, le donne-Igiṣītu) proibendo loro, in questo modo, di divenire genitrici. Altre 42 righe perdute, poi un inno in onore di colui che ha salvato la stirpe dell'umanità nei giorni del Diluvio Universale.
 
=== Utanapištim nella versione classica babilonese dell'<nowiki></nowiki>''[[Epopea di Gilgameš]]'': Tavole X e XI ===
{{Vedi anche|Gilgameš}}
Il titolo comunemente assegnato a questa opera, "Epopea di Gilgameš", è moderno e non riferibile in alcun modo ai suoi estensori. Nei cataloghi antichi, sumeri, assiri e babilonesi, qualsiasi opera era identificata con il suo primo rigo, o più precisamente con parte del suo primo rigo. Questa versione, indicata dai moderni come "classica", è attribuita allo scriba ed esorcista cassita Sîn-lēqi-unninni e fu rinvenuta, circa due secoli orsono, in frammenti di argilla tra le rovine della biblioteca reale nel palazzo del re Assurbanipal (Aššur-bāni-apli) a Ninive, capitale dell'impero assiro. Tale opera è stata certamente raccolta e canonizzata prima dell'VIII secolo a.C., forse intorno al XII secolo a.C., e successivamente fedelmente riprodotta come era costume degli scribi. Questa versione classica era raccolta in XII tavole, la cui maggior parte è composta da tre colonne, sia nella parte anteriore che in quella posteriore. Ogni colonna si compone di 50 righe, dal che gli studiosi deducono che l'intera opera fosse composta da circa 3000 righe, di cui più 2000 sono giunte fino a noi. La divisione dell'Epopea classica nelle XII tavole non segue una logica di "contenuto", ma semplicemente di "lunghezza": quando una tavola esauriva lo spazio per il racconto, questo veniva fatto seguire in quella successiva; accade quindi che un singolo racconto dell'Epopea possa occupare lo spazio di più tavole.
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* ''' La triste partenza di Gilgameš e la perdita della pianta della giovinezza'''. Gilgameš è disperato e invita il battelliere Uršanabi a ripulirlo dalla propria sporcizia e dalle pelli logore, donandogli nuovamente un aspetto regale. Gilgameš si predispone quindi a tornare a Uruk da re. Ma la moglie di Utanapištim invita il marito a fare un dono di commiato a Gilgameš, questi si risolve a comunicargli, per dono, un secondo segreto: esiste una pianta pungente come un rovo, se Gilgameš la raggiunge e la raccoglie... (qui, al rigo 286, il testo è lacunoso ma dal prosieguo si capisce che mangiando questa pianta Gilgameš può riacquistare la giovinezza). Ascoltato ciò, Gilgameš scava un canale e si immerge nelle sottostanti acque dell'Apsū, raccogliendo la pianta miracolosa. Gilgameš si decide tuttavia a non mangiarla subito ma a dividerla con i vecchi di Uruk per provarne gli effetti. Intrapreso il viaggio di ritorno, il re di Uruk si ferma per lavarsi in una pozza d'acqua, nel mentre si purifica, un serpente si avvicina e, annusata la pianta della giovinezza, la mangia, perdendo così la sua vecchia pelle. Gilgameš è nuovamente disperato e piange amaramente la perdita della pianta. <br>
Il filologo e assiriologo francese Raymond-Riec Jestin così chiosa la narrazione della ricerca dell'immortalità da parte dell'eroe di Uruk:
{{quote|... l'idea "essere è rappresentata da Gilgamesh, nella veste più positiva del volere vivere e di "tendenza a preservare nell'essere", come dimostra lo smarrimento dell'eroe di fronte alla morte di En-ki-du; quest'ultima, appunto, provocando un contrasto violento e una brusca interruzione dell'azione, rappresenta il "non essere" di fronte al quale l'"essere" si rivolta e cerca il modo di non venire annullato a propria volta. Tuttavia, la semplice continuità e il consolidamento nell'esistenza non è una soluzione: il riavvicinamento dei contrari non può avvenire a vantaggio di uno solo dei due poli; di qui il fallimento del tentativo dell'eroe di conquistare l'immortalità. È il serpente, uno dei simboli dell'eterno ritorno, ad apparire con la sua muta periodica per esprimere la natura di ciò che compone l'opposizione di Essere e Non-essere, il Divenire, il mutamento continuo dell'eterno ritorno. Si comprende meglio, allora, l'atteggiamento incolore di Gilgamesh di ritorno a Uruk: di lui non si dice quasi più nulla, perché era ormai diventato superfluo dopo quest'episodio d'importanza fondamentale.|[[Raymond-Riec Jestin]] in Puech 107}}
 
== Xisouthros nella ''Storia di Babilonia'' (Βαβυλωνιακὰ) di Berosso ==
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* Opere in lingua italiana con le versioni integrali di questi miti mesopotamici:
** Per quanto attiene alla letteratura in lingua sumerica:
*** [[Giovanni Pettinato]], ''Mitologia sumerica'', Torino, Utet, 2001.
*** [[Giovanni Pettinato]], (a cura di), ''La Saga di Gilgameš'', Milano, Mondadori, 2008.
*** [[Jean Bottéro]] e [[Samuel Noah Kramer]], ''Uomini e dei della Mesopotamia'', Torino, Einaudi, 1992.
** Per quanto attiene alla letteratura in lingua accadica:
*** [[Giovanni Pettinato]], ''Mitologia assiro babilonese'', Torino, Utet, 2005.
*** [[Giovanni Pettinato]], (a cura di), ''La Saga di Gilgameš'', Milano, Mondadori, 2008.
*** [[Jean Bottéro]] e [[Samuel Noah Kramer]], ''Uomini e dei della Mesopotamia'', Torino, Einaudi, 1992.
* Altre traduzioni e studi:
**[[Luigi Cagni (storico)|Luigi Cagni]], «La religione della Mesopotamia», in ''Storia delle religioni. Le religioni antiche'', Laterza, Roma-Bari 1997, ISBN 978-88-420-5205-0
** W. G. Lambert and [[Alan Millard|A. R. Millard]]. ''Atrahasis: The Babylonian Story of the Flood''. Eisenbrauns, 1999. ISBN 1-57506-039-6.
** Q. Laessoe. "The Atrahasis Epic, A Babylonian History of Mankind". ''Biblioteca Orientalis'', '''13''' [1956]. pp. 90-102.
** Jeffrey H. Tigay. ''The Evolution of the Gilgamesh Epic''. Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1982. ISBN 0-8122-7805-4.