Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/Esiste una letteratura ebraica francese?: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Nessun oggetto della modifica
Riga 86:
 
[[File:André Schwarz-Bart.jpg|thumb|left|André Schwarz-Bart]]
Non c'è stato romanzo di scrittore ebreo francese che abbia avuto più grande risonanza di ''Le Dernier des Justes (L'ultimo dei giusti)'' di '''[[w:André Schwarz-Bart|André Schwarz-Bart]]''' (1928-2006).<ref name="Bart">André Schwarz-Bart, di origini polacche ed ebraiche, figura tra gli esponenti di maggior spicco della [[w:letteratura francese|letteratura francese]] post-bellica. La sua opera più nota è il romanzo ''Le Dernier des Justes'' (''L'ultimo dei giusti'', Feltrinelli, 2007), nel quale narra la storia completa di un'intera famiglia ebrea, dalle Crociate alla deportazione ad Auschwitz. Ha vinto il [[w:Prix Goncourt|Prix Goncourt]] nel 1959 e il [[w:Jerusalem Prize|Jerusalem Prize]] nel 1967. I suoi genitori emigrarono dalla Polonia nel 1924, quattro anni prima della sua nascita. Nel 1941, quando la Francia fu militarmente occupata dalla Germania nazista, essi furono deportati ad Auschwitz e gasati. Il giovane André, rimasto solo, si unì alla Resistenza francese. Ebbe però inizialmente alcuni problemi, poiché la sua lingua madre era lo [[w:Lingua yiddish|yiddish]] e non il [[w:Lingua francese|francese]]. A queste esperienze lo scrittore si è spesso rifatto per i suoi romanzi e non solo nel già citato ''Le Dernier des justes''. Il resto della sua vita è segnato dall'attività di scrittore, finché le complicazioni seguite a un grave intervento cardiochirurgico ne hanno causato il decesso nel 2006 nella [[w:Guadalupa|Guadalupa]], territorio delle Antille francesi dove era nata la moglie Simone, anche lei scrittrice. Con la moglie ha scritto ''Una donna chiamata solitudine''. Opere: ''Le Dernier des Justes'', Prix Goncourt 1959, Livre de Poche, 1968; ''La Mulâtresse Solitude'', Le Seuil, 1972; ''Étoile du matin'', Le Seuil, 2009; ''Un plat de porc aux bananes vertes'', con la moglie Simone, Seuil, 1967; ''Hommage à la femme noire'', con Simone Schwarz-Bart, Éditions Consulaires, 1989. Per critica biografica e letteraria, si vedano [http://www.caraibes-mamanthe.org/laureats_prix_carbet_de_la_caraibe_2008.html Aude Désiré, "Simone et André Schwarz-Bart, lauréats du prix Carbet"], ''Association Mamanthé'', 15 dicembre 2008; [http://judaisme.sdv.fr/perso/schwbart/arche.pdf Francine Kaufmann, "André Schwarz-Bart, le Juif de nulle part"], ''L’Arche'' nr. 583, dicembre 2006, pp. 84-89. Cfr. anche Pierre Gamarra, "Les livres nouveaux". ''Europe'', nr. 519-521, 1972, pp. 274–276 (con recensione de ''La Mulâtresse Solitude'').</ref> È una riflessione non solo sull'Olocausto ma anche cul corso del destino ebraico, attraverso la storia ed il mito. Tuttavia la posizione del libro è ambivalente. In ogni generazione ci sono stati trentasei (ebr. [[w:Zaddiq#Lo Zaddiq Nistar o lamedvovnik|''lamed-vav'']]), spesso ignoti agli altri e a volte anche a se stessi: questa storia è stata narrata sin dai tempi del Talmud. Ma il romanzo di Schwarz-Bart specula sulla funzione dell'uomo giusto ([[w:Tzadik|tzadik]]) e suggerisce che questo particolare lignaggio del giusto, i Levy, è ora giunto alla fine. Un uomo giusto nasce per il martirio nel senso popolare e in quello letterale, per soffrire e rendere testimonianza. Questa particolare discendenza dei Levy risale a York, nel 1185. Naturalmente, vi è stato martirio precedentemente, in tutta l'Europa, ma il martirio di Yom Tov Lévy "venne elevato oltre la tragedia comunitaria fino a diventare leggenda." La leggenda è che "il mondo si basa su trentasei uomini giusti, i lamed-vav, non distinti in nessun modo dai comuni mortali, a volte sconosciuti a se stessi [neanche loro sanno di esserlo]". Sono necessari "perché i lamed-vav sono il cuore intensificato del mondo, e tutti i nostri dispiaceri vengono versati su di loro, come dentro ad un recipiente." Sono come gli altri, solo di più, e si distinguono per l'esperienza ebraica collettiva. Sono casi tragici, e più tragici di tutti sono coloro che non sanno quello che sono.<ref name="Bart"/>
 
I Levy sono presenti alle espulsioni dalle varie nazioni europee — Inghilterra, Francia, Spagna, ecc. e soffrono nei pogrom. Nella Polonia del XIX secolo, a Mordecai Levy, nonno dell'"ultimo giusto" Ernie, viene chiesto perché il lamed-vav debba soffrire così tanto. La risposta è che egli "prende su se stesso la nostra sofferenza... e la eleva al cielo, e la pone ai piedi del Signore che perdona. Ecco perché il mondo continua... nonostante tutti i nostri peccati." Non deve compiere miracoli, perché egli é un miracolo. Poi la generazione successiva (Benjamin) si sposta a Varsavia, e quindi a Berlino, dove succede qualcosa di nuovo: Benjamin cessa di credere nella leggenda, anzi non vuole crederci. Il figlio di Benjamin Ernie, nella Germania di Hitler, dichiara: "Dio non è qua. Ci ha dimenticati." Quando Ernie sente parlare della leggenda, apprende anche che il soffrire del lamed-vav non cambierà nulla. I giusti possono "splendere", ma non accede niente. Mordecai crede che la sofferenza serva solo a glorificare il Nome, ma Ernie, ora arruolatosi in Francia nel 1938, "sentiva lo stesso antico stupore che non ci fosse rima o ragione nell'universo."<ref name="Bart"/> Questo è ciò che deduce, e lo dice. Ma la sua vita parla differentemente. Fuori dal pericolo a Marsiglia, sceglie di ritornare nella Parigi occupata, va nuovamente "tra le fiamme". Ma stranamente, in termini secolari, non si unisce ai gruppi della resistenza, perché "per lui sarebbe stata una morte di lusso. Non aveva desiderio di distinguersi, o staccarsi dalle umili processioni del popolo ebraico." Anche se avesse cessato di credere, si comportava comunque come un lamed-vav, rappresentando gli ebrei, contenendo in sé le loro sofferenze, interpretando il ruolo di martire. Questo è ciò che fece Gesù, secondo Ernie. Si presenta a Drancy, il campo di concentramento di Parigi, prima di esservi chiamato. Con questo, entra "nell'ultimo girone dell'inferno dei Levy". E procede oltre, deportato ad Auschwitz, entrando quello che è ormai diventato il "regno di Israele".<ref name="Bart"/>
Riga 94:
Una visione molto differente del trascorso mondo ebraico in un nuovo contesto europeo ci viene presentato da ''Le Livre de ma Mère'' di '''[[w:Albert Cohen (scrittore)|Albert Cohen]]''' (1895-1981), commovente rapsodia della madre morta.<ref name="Cohen">Albert Cohen, ebreo d'origine greca, naturalizzato svizzero-francese, funzionario della ''[[w:Società delle Nazioni|Società delle Nazioni]]'' (poi ''[[w:Nazioni Unite|Nazioni Unite]]''), proveniente da una famiglia ebrea di industriali del sapone. Nel 1900 i suoi genitori (Albert aveva solo 5 anni) emigrarono a Marsiglia per sfuggire alle persecuzioni razziali. Qui si diedero al commercio di olio d'oliva e poi di uova, mandando dapprima il figlio a scuola presso un istituto privato cattolico, poi al liceo Thiers, dove tra i compagni di scuola diventò amico di [[w:Marcel Pagnol|Marcel Pagnol]]. Si diplomò nel 1913 e l'anno successivo si trasferì a Ginevra, dove studiò diritto e letteratura. L'attività letteraria di Cohen cominciò nel 1921, con la pubblicazione della raccolta di poesie ''Paroles juives''. In seguito pubblicò il romanzo ''Solal'' (1930), che intendeva parte di un ciclo su una famiglia ebrea i cui membri erano coraggiosi combattenti di buonumore contro le ingiustizie sociali. In qualche modo autobiografico (come in fondo tutti i suoi scritti), il protagonista era un giovane greco che si affacciava ai primi amori sull'isola di [[w:Cefalonia|Cefalonia]] affascinato dall'avventura e dalla morte. La reazione della critica fu ottima e il libro ebbe un grande successo. Nel 1938 uscì ''Mangeclous'', un romanzo attorno all'ipocrisia e ai tentativi di scavalcarla da parte di cinque amici, anche loro greci, tra educazione sentimentale e politica. Dopo 16 anni, Cohen diede alle stampe ''Le Livre de ma mère'' (1954), un ritratto affettuoso dal tono tenero considerato d'ottima misura da parte dei critici. Nel 1968 uscì il suo libro più famoso, ''Belle du Seigneur''. Premiato con il [[w:Grand Prix du roman de l'Académie française|Grand Prix du roman de l'Académie française]], il romanzo riprende i personaggi di Solal del libro omonimo e di ''Mangeclous'' come fosse una sorta di trilogia. Alcune sue scene, tagliate su richiesta dell'editore [[w:Gaston Gallimard|Gaston Gallimard]], vennero pubblicate a parte l'anno successivo con il titolo ''Les Valeureux''. Da qualcuno considerato come il migliore "inno alla donna" del XX secolo, il libro è tuttora venduto in molte copie come una delle più affascinanti e liriche storie d'amore della letteratura francese. Opere: ''Paroles juives'' (1921); ''Solal'' (1930 e, corretta, 1969), trad. Elena Tessadri, ''Solal'', Rusconi, 1982; trad. Giovanni Bogliolo, Milano: Rizzoli, 1994; ''Mangeclous'' (1938 e, corretta, 1969); ''Le Livre de ma mère'' (1954), trad. Giovanni Bogliolo, ''Il libro di mia madre'', Rizzoli, 1992; ''Ezéchiel'' (teatro) (ed. definitiva 1956); ''Belle du Seigneur'' (1968), trad. Eugenio Rizzi, ''Bella del Signore'', Rizzoli, 1991; ''Les Valeureux'' (1969); ''Ô vous, frères humains'' (1972), trad. Carla Coletti, ''A voi fratelli umani'', Marietti, 1990; ''Carnets 1978'' (1979), trad. [[w:Dianella Selvatico Estense|D.S. Estense]], ''Diario'', Rizzoli, 1995. Per biografia e critica letteraria si vedano Bella Cohen, ''Albert Cohen, mythe et réalité'', Gallimard, 1991; [http://books.google.fr/books?id=QwGg54-ukBIC Alain Schaffner, Philippe Zard, ''Albert Cohen dans son siècle''], Le Manuscrit, 2003; Maxime Decout, ''Albert Cohen : les fictions de la judéité'', Classiques-Garnier, 2011.</ref> Che le possa dedicare un tale libro appassionato pare quasi incestuoso: chiaramente la madre rappresenta la propria giovinezza, il proprio passato, un mondo trascorso. E la sua morte è per lui la morte della sua giovinezza. "Compiangere tua madre è compiangere la tua gioventù." Con la sua morte "la mia morte si avvicina". La sua morte è per lui un richiamo alla propria mortalità. Lo riempie inoltre di rimorsi, sentendo di non averla apprezzata sufficientemente. Forse anche di essere stato lontano da lei nei suoi ultimi momenti, a Londra. Ora sono entrambi condannati alla solitudine: "Tutto finito, tutto finito, niente più mamma, mai più. Siamo entrambi veramente soli, tu sottoterra, io nella mia stanza. Io, quasi morto tra i viventi, tu quasi viva tra i morti."<ref name="Cohen"/>
 
Questa è anche una sorta di autobiografia, ma ossessivamente concentrata sull'unico soggetto. Suo padre non viene quasi mai citato, eccetto con il commento ''en passant'' che di solito era disoccupato. Quando l'autore si trasferisce a Ginevra da Marsiglia all'età di diciotto anni, l'isolamento di sua madre (il suo matrimonio era stato di convenienza) pare totale; i momenti culminanti della sua vita sono le proprie visite ad Albert a Ginevra, altrimenti e presa a scrivergli, a preoccuparsi di lui, ad essere orgogliosa dei suoi successi letterari e professionali in generale. La sua ossessione di lui deve essere stata pari all'ossessione di Albert per lei. Ma le preoccupazioni interiori aumentano con la sua morte. Nella propria estraneità (sono originari di [[w:Corfù|Corfù]]) e nelle proprie superstizioni, la madre è chiaramente ebrea. Vuole che Albert frequenti la sinagoga anche se è ateo, ed osservi anche le altre cerimonie religiose, come "protezione dal malocchio". Questa espressione delle sue origini la estrania dall'ambiente francese, ed è consapevole che suo figlio si è innalzato al di là delle proprie umili origini. Ora che ella è morta, Albert è consumato dai rimorsi. Poiché non l'ha amata sufficientemente, e non è stato premuroso con lei come doveva esserlo, ora cerca una qualche compensazione nozionale. Raramente le scriveva, quindi ora si rimprovera: "Non volevi scriverle dieci parole, pertanto ora scrivine quarantamila." Il suo amore per Albert, d'altra parte non aveva limiti, sebbene egli avesse fatto ben poco per meritarselo: "L'amore di mia madre non aveva paragoni. Perdeva ogni discernimento quando si trattava di suo figlio. Accettava tutto di me, posseduta da una spirito divino che percepiva l'amato, il povero amato, così poco divino." Non potrà mai più essere amato così, incondizionatamente. Sua figlia lo ama ora, ma ella poi passerà oltre e se ne andrà per la sua strada, via. Sua madre aveva il genio dell'amore, come altri possono avere il genio dell'arte. Ora Albert è totalmente desolato senza di lei: "Sono un frutto senza albero, un pulcino senza chioccia, un cucciolo solo nel deserto, e ho freddo. Voglio essere il cocco di Mamma. È ridicolo parlare così alla mia età? Ebbene, così stanno le cose."<ref name="Cohen"/>
<!--- da inserire nel testo
 
Amedeo-modigliani-max-jacob-andre-salmon-ortiz-de-zarate-montparnasse-paris-1916.jpg|Amedeo Modigliani, Max Jacob, Andre Salmon e Ortiz de Zarate in una vecchia foto presa da Jean Cocteau a Montparnasse, Parigi 1916
Esercizio autorivelatorio, questo libro evidenzia anche l'inevitabilità della situazione. I vivi sono condannati a vivere e a godere la vita, offendendo quindi i morti. Ma naturalmente anche i vivi a loro volta moriranno, e verranno offesi. Perlomeno, da morta la madre non è più ebrea: "Gli occhi degli ebrei viventi sono sempre impauriti. Tale è la nostra specialità, la sfortuna." Vuole credere nella vita eterna dopo la morte, quando potrà rincontrare sua madre. Tuttavia per ciò necessita di un supporto convincente nella fede — ma tale supporto non sembra avvenire.<ref name="Cohen"/>
--->
 
==Note==
<references/>