Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/Esiste una letteratura ebraica francese?: differenze tra le versioni

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Come già notato ''supra'', una delle caratteristiche più interessanti della scena francese è la voce data agli ebrei [[w:Sefarditi|sefarditi]], quegli ebrei provenienti da un ambiente mussulmano piuttosto che cristiano. L'identità può essere scoperta e poi definita solo in relazione a qualcosa di differente. Gli ebrei di Francia provenienti dal Nordafrica sono stati consapevoli, a causa della loro situazione, di tre raggruppamenti, per quanto sfumati e modificati — i mussulmani africani, i cristiani francesi e gli ebrei. '''Albert Memmi''' (n. 1920), originario di Tunisi, non è interessante solo per le sue circostanze biografiche, ma anche per il modo in cui ha cercato tramite queste circostaneze di dare risalto alla sua situazione ed identità, investigando il significato della propria ebraicità sullo sfondo di un mondo occidentale non intimamente familiare.<ref name="Memmi">Albert Memmi, nato in Tunisia (a Tunisi), allora un protettorato della Francia, da famiglia di lingua araba, è il figlio di François Memmi, artigiano sellaio ebreo italiano e Marguerite Sarfati, ebrea sefardita di ascendenza locale. Memmi ha avuto un'istruzione dal sistema scolastico francese, prima al Liceo Carnot di Tunisi e poi all'Università di Algeri, dove ha studiato filosofia e, infine, alla Sorbona. Memmi si ritrova al crocevia di tre culture e ha costruito la sua opera sulla difficoltà di trovare un equilibrio tra Oriente e Occidente. Accanto al suo lavoro letterario, ha perseguito una carriera di insegnante presso il Liceo Carnot a Tunisi (1953) e, dopo l'indipendenza della Tunisia, in Francia presso l'Ecole Pratique des Hautes Etudes e presso l'Università di Nanterre (1970). Sebbene abbia sostenuto il movimento di emancipazione della Tunisia, non riuscì a trovare una sua nuova sistemazione nel nuovo stato islamico. Ha pubblicato il suo primo romanzo in gran parte autobiografico, ''La Statue de sel'', nel 1953, con la prefazione di [[w:Albert Camus|Albert Camus]]. La sua opera più nota è un saggio teorico con prefazione di [[w:Jean-Paul Sartre|Jean-Paul Sartre]]: ''Portrait du colonisé, précédé du portrait du colonisateur'', pubblicato nel 1957, che apparve all'epoca come un supporto per i movimenti di indipendenza. Questa opera mostra come la relazione tra colonizzatori e colonizzati condizioni l'uno e l'altro. Memmi è noto anche per la ''Anthologie des littératures maghrébines'' pubblicata nel 1965 (volume I) e il 1969 (Volume II), apparsa in Italia in occasione del decimo anniversario dell'indipendenza dell'Algeria. L'autore è membro del comitato di sponsorizzazione della ''Coordination française pour la Décennie de la culture de paix et de non-violence'' e fa anche parte del comitato patrocinante dell'associazione ''La Paix maintenant (Pace ora)''. È membro del Comitato d'Onore della ''Association pour le droit de mourir dans la dignité''. '''Concetto di ebraicità''': Nei primi anni 1970, Albert Memmi riflette su ciò che significa essere ebrei e fonda il concetto di ebraicità come base della sua opera di esplorazione dell'essere ebreo. Questo concetto, del quale ha gettato le basi, sarà poi utilizzato da molti filosofi. '''Concetto di eterofobia''': Nel suo libro ''Le racisme'', Albert Memmi sviluppa il concetto di ''eterofobia'': "Il rifiuto degli altri in nome di non importa quale differenza." Questo termine si riferisce alla paura diffusa e aggressiva di altri che può trasformarsi in violenza fisica. Il razzismo è una particolare espressione di eterofobia. Per ulteriori notizie biografiche e critiche, si vedano Guy Dugas, ''Albert Memmi, écrivain de la déchirure'', Naaman, 1984; Nathalie Saba, ''Les paradoxes de la judéité dans l'œuvre romanesque d'Albert Memmi'', Edilivre-Aparis, 2008 — entrambi consultati per il presente testo. Opere di Alberr Memmi: ''La Statue de sel'', Corréa, 1953; ''Agar'', Corréa, 1955; ''Portrait du colonisé, précédé du portrait du colonisateur'', Buchet/Chastel, 1957; ''Portrait d'un juif'', Gallimard, 1962; ''Anthologie des écrivains maghrébins d'expression française'', Présence africaine, 1964; ''La Libération du juif'', Payot, 1966; ''L'Homme dominé'', Gallimard, 1968; ''Le Scorpion ou la confession imaginaire'', Gallimard, 1969; ''Juifs et Arabes'', Gallimard, 1974; ''Le Désert, ou la vie et les aventures de Jubaïr Ouali El-Mammi'', Gallimard, 1977; ''La Dépendance, esquisse pour un portrait du dépendant'', Gallimard, 1979; ''Le Mirliton du ciel'', Lahabé, 1985; ''Ce que je crois'', Fasquelle, 1985; ''Le Pharaon'', Julliard, 1988; ''L'Exercice du bonheur'', Arléa, 1994; ''Le Racisme'', Gallimard, 1994; ''Le Juif et l'Autre'', Christian de Bartillat, 1996; ''Le Buveur et l'amoureux - le prix de la dépendance'', Arléa, 1998; ''Le Nomade immobile'', Arléa, 2000; ''Dictionnaire critique à l'usage des incrédules'', éd. du Félin, 2002; ''Portrait du décolonisé arabo-musulman et de quelques autres'', Gallimard, 2004; ''Térésa et autre femmes'', éd. du Félin, 2004; ''Le Testament insolent'', Odile Jacob, 2009; ''Portraits'' [raccolta di prec. pubbl.], edizione critica di Guy Dugas, coll. Planète libre, CNRS, 2015.</ref> La sua prima e più duratura preoccupazione è la sua propria identità: "Discendevo da una tribù berbera non riconosciuta dai Berberi, poiché ero un ebreo e non un mussulmano, un abitante di città e non uno di montagna... Indigeno in una nazione di colonizzazione, ebreo in un ambiente antisemita, africano in un mondo dove l'Europa era trionfante" (''Portrait d'un juif'', 1962) Era un ''puzzle'', per gli altri ma anche per se stesso, e doveva quindi approfondire, investigare il problema. Universalmente non era accettato, quale simpatizzante dei colonizzati per quanto egli stesso non fosse mussulmano; quale ebreo sebbene non europeo; quale borghese; quale nordafricano sradicato. Scopre che gli ebrei orientali non si sono molto distinti nei circoli culturali occidentali. Questi stessi circoli hanno ben poche informazioni precise sull'Islam e la rispettiva condizione contemporanea (e presto dovranno scontare questa ignoranza sulla propria pelle), ma sono posseduti da ambizioni coloniali devastanti o da vaghe nozioni romantiche. Come portavoce di tale condizione ibrida, Memmi presenta non solo il suo Ebraismo, ma anche la sua comprensione dell'Islam. La condizione ebraica che riesce ad isolare, la chiama ''"judéité"'', in parallelo a ''"négrité"'' [negritudine]. Questa ''judéité'' è il riconoscimento del fatto d'essere un ebreo, distinto dall'Ebraismo — un religione — o giudaismo o nazione ebraica, tutti termini collettivi, che secondo Memmi non indicano autoidentificazione. ''Judéité'' si applicherebbe a coloro che, essendo ebrei e come ebrei, sentono di nutrire questo carattere in un qualche modo.<ref name="Memmi"/>
 
[[File:Juifs tunisiens.jpg|thumb|Ebrei tunisini nel 1900]]
Il libro di Memmi, ''Juifs et Arabe'' (1974), asserisce che, da una parte, gli ebrei orientali in Israele sono sottorappresentati e, dall'altra, che la situazione degli berei nelle nazioni mussulmane è poco conosciuta. La "questione ebraica" è stata percepita in Occidente come peculiare e limitata alla cultura cristiana, e anche il sionismo è stato reputato un fenomeno europeo occidentale. Ma anche le terre arabe hanno avuto e hanno ancora i propri ghetti ebraici e "chi potrebbe visitarli senza rimanerne traumatizzato?" Contraddicendo l'impressione prevalente che tali relazioni negative presenti in questi paesi siano generate dal sionismo, in realtà il sionismo era fiorito come un primo prodotto dell'oppressione degli ebrei in queste aree geografiche. È vero che gli arabi furono colonizzati dall'Europa, ma gli ebrei in terre arabe soffrirono una doppia colonizzazione, prima come indigeni e poi come non arabi. Memmi non nega il diritto dei palestinesi di determinare il proprio destino come nazione, ma, dice, ci sono due diritti: "Entrambi siamo e rimaniamo vittime della storia umana; le nostre due vicende sono notevolmente parallele."<ref name="Memmi"/> Ciò che tragicamente ma inevitabilmente successe tra Israele ed il mondo arabo fu uno scambio di popolazioni. In breve, l'ebreo orientale condivide la "condizione ebraica comune". E allora cosa ne è della ''judéité'' che Memmi ha formulato? "La ''judéité'' non è soltanto un modo d'essere, più o meno transitorio, da parte del soggetto. Essere ebrei è una condizione imposta ad ogni ebreo, in gran parte dall'esterno; è principalment il risultato di relazioni tra ebrei e non ebrei." Ciò potrebbe somigliare alla definizione negativa dell'ebreo data da Sartre. Ma per Sartre "ebreo è una persona considerata tale da altri. Ma ciò mi lascia insoddisfatto. Un ebreo, per me, prima di tutto, è qualcuno ''trattato'' come tale da altri, e capace di essere trattato ancor peggio."<ref name="Memmi"/> La ''judéité'' deve avere una realtà in situazioni dirette. E per quanto riguarda l'ipotesi che l'ebreo possa e debba assimilarsi alla cultura generale, Memmi sostiene che questa cultura generale, anche se apparentemente secolarizzata, è fondamentalmente religiosa, tagliando fuori quindi l'esperienza ebraica da qualsiasi altra: "In poche parole, essere ebrei è non partecipare completamente alla cultura dominante, non frequentare lo stesso tempio degli altri concittadini, non vivere gli stessi ritmi collettivi, non reagire sempre con la stessa sensibilità, con tutte le relative conseguenze che ne conseguono."<ref name="Memmi"/>
 
L'autore riassume cos'è per lui essere ebreo, sotto tre voci: 1) essere consapevoli di esserlo; 2) che ci sia una condizione oggettiva (cioè, che il soggetto sia effettivamente ebreo, e sia trattato come tale dagli altri); 3) appartenere ad una data cultura. L'ebreo indubbiamente è. Esiste. Ma è anche oppresso. E gli ebrei sono oppressi non soltanto in un particolare rispetto, ma in tutte le dimensioni collettive. In altre parole, dobbiamo ammettere che sono oppressi come popolo: "Di conseguenza, oppressi come popolo, gli ebrei non possono essere veramente liberati, eccetto come popolo. Oggi, la liberazione dei popoli ha un carattere nazionale."<ref name="Memmi"/> Il sionismo è il risultato logico della sua posizione, un sionismo che naturalmente non viola principi sociali o egalitari, ma piuttosto li conferma. Dopo tutto, qual'è l'alternativa? Essere un ebreo arabo? "Obiettivamente, come si dice, non ci sono comunità ebree in nessuna nazione araba: e non troverai un solo ebreo arabo che sia pronto a ritornare al proprio paese natio."<ref name="Memmi"/> E ciò per la detta ragione: l'esperienza ebraica nel mondo arabo è stata tanto negativa quanto quella nel mondo cristiano. È stata la funzione semplice ma sublime dello Stato di israele di metter fine all'oppressione degli ebrei — passata, presente e potenziale. L'ebreo colonizzato può diventare Israele liberato, senza nessun effetto necessariamente dannoso su altri gruppi che cercano la propria liberazione. Memmi si sposta dalla percezione della posizione anomala dell'ebreo sotto l'Islam ad un riconoscimento della nazionalità patria dell'ebreo, e quindi al veicolo di espressione di questa nazionalità: il sionismo e l'attuale Israele.<ref name="Memmi"/>
 
 
 
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