Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/Esiste una letteratura ebraica francese?: differenze tra le versioni

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[[File:André Spire 1927.jpg|thumb|left|180px|André Spire nel 1927]]
[[File:Edmond Fleg.jpg|thumb|right|150px|Edmond Fleg]]
Esiste naturalmente una visione differente, che si esprime all'estremo nella sua percezione della letteratura ebraica come cultura letteraria "semitica" in opposto ad una cultura letteraria "iafetica": "La cultura iafetica rende l'uomo astratto, ed è assorta dalla ''cosa in se stessa'', dal soggetto, dall'assoluto, dal principio. Il suo centro di gravità è qualcosa di molto distante, un elaborato sistema copernicano che si muove verso il sole milioni di chilometri da noi." Così afferma il critico francese Emmanuel Rais<ref name="Rais">Emmanuel Rais, "Poètes Juifs d'expression Française", ''Le Monde Juif'', agosto-settembre 1949; ''id.'', "Les écrivains juifs d'expression Française", ''Le Monde Juif'', febbraio 1950.</ref> Nella concezione iafetica, la persona individuale è ridotta a nient'altro che una minima parte dello schema — mentre la visione ebraica, continua Rais, pone l'uomo al centro, come afferma la [[w:Mishnah|Mishnah ''Avot'']], dove è condannato colui che interrompe il proprio apprendimento per osservare un suggestivo fenomeno naturale. "La Natura non è altro che la creazione di Dio, da ammirare non per se stessa, ma come testimonianza della saggezza di Dio... Ecco perché, per il poeta ebreo, alla Natura viene sempre assegnato un significato al di là dell'intrinseco, ed è solo un termine metaforico, un segno in un sistema alfabetico di riferimento. Non sarà mai di per se stesso il centro, ma il fine. La quintessenza del mondo ebraico è l'antropomorfismo."<ref name="Rais"/> Per l'ebreo, Dio è un essere vivente e non un concetto astratto; il Dio degli antenati, non dei filosofi. "Questo è il nocciolo di tutta la cultura ebraica, niente viene chiuso, niente proibito, solo l'accento è diretto altrove — tutti i fenomini naturali sono considerati non per se stessi, in principio, in astratto, ma come funzione dell'uomo al suo centro. È per gli uomini che Dio ha creato il mondo, ed è sotto questo aspetto che il poeta ebreo Lo vede, anche se si reputa un ateo."<ref name="Rais"/> Rais asserisce che lo scrittore ebreo è basilarmente un animale differente, sebbene la sua situazione sia complicata da vari gradi di assimilazione culturale: "La quercia più bella è quella che somiglia meno al tiglio e che sia più difficile da scambiare per un'altra specie di albero. Sarebbe la quercia più specifica, più tipica di tutte; l'ibrido, ciò che è di categoria incerta sta solo in periferia, ai margini."<ref name="Rais"/> E ciò accade anche in letteratura. La poesia, quanto più se stessa, è totalmente differente, come espressa da Edmond Fleg e André Spire.<ref name="Beate">[https://books.google.co.uk/books?id=GOmLCY8VQYgC&dq=E.+Rais,+%22Po%C3%A8tes+Juifs+d%27expression+Fran%C3%A7aise%22&source=gbs_navlinks_s Beate Wolfsteiner, ''Untersuchungen zum französisch-jüdischen Roman nach dem Zweiten Weltkrieg''], Walter de Gruyter, 2003, pp. 138-144 & ''passim''.</ref> Entrambi "non solo si proclamano ebrei nelle proprie scelte di soggetti (nella misura in cui il soggetto è il risultato di una scelta deliberata per un vero poeta), ma anche riguardo alla struttura interiore delle loro opere. È sufficiente per un ebreo essere poeta in qualsiasi lingua per essere poeta ebreo. La sola condizione necessaria è sincerità e onestà con se stesso. È sufficiente, in pratica, essere quello che uno è senza sacrificare gli elementi necessari della propria personalità nell'illusione fallace di snobbismo assimilazionista."<ref name="Rais"/> Con la Bibbia, il non ebreo tende a trattarla liberamente. Il poeta ebreo, sostiene Rais, è lontano dalla forma alessandrina classica e dalla poetica in prosa (tendenza postsimbolista): "Il mondo occidentale ha un'inclinazione allo statico, nell'affermazione e costrruzione. L'ebreo, invece, è un elemento mobile, dialettico."<ref name="Rais"/>
 
Quesdto carattere separato è stato difficile da descrivere o anche da isolare nella prosa. Altre descrizioni del romanzo ebraico evidenziano, come ha fatto de Boisdeffre, l'omogeneità basilare della cultura francese: "La Francia ha il genio dell'unità, nessun talento per la diversità, nessuna propensione al pluralismo."<ref name="Blot">Jean Blot, "The Jewish novel in France", ''European Judaism'', Vol. 5, nr. 1, 1970, fascicolo ''Europe: 25 Years Later'', Ignaz Maybaum (cur.), publ. Athenaeum-Polak & Van Gennep Ltd, Amsterdam.</ref> Tale opinione non nega il carattere ebraico del romanzo, ma lo colloca primariamente nelle reazioni ad una data circostanza storica, come [[w:Olocausto|l'Olocausto]], che ha compromesso il senso fondamentale dell'ebreo francese di identificarsi con questa nazione, sua patria, o il successo di Israele nella [[w:Guerre dei Sei Giorni|Guerra dei Sei Giorni]] che improvvisamente trasformò la condizione di tale nazione (e l'esistenza collettiva ebraica) e quindi, secondariamente, la condizione dell'ebreo non israeliano ai propri occhi e a quelli degli altri.<ref name="Blot"/>
 
Esistono pertanto tre interpretazioni differenti presentate come il carattere della narrativa ebraica in Francia: 1) essenzialmente non esiste tale narrativa eccetto come fenomeno regionale transitorio e locale; 2) la letteratura ebraica francese esiste certamente e risponde in vari gradi di intensità a circostanze storiche, riflettendo un senso ebraico di insicurezza, orgoglio o incertezza; 3) esiste una narrativa ebraica di carattere così specifico che non solo ha un colore determinato dai propri temi e reazioni palesi, ma è intrinseco alla sua natura e linguaggio.<ref name="Beate"/>
 
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