Guida maimonidea/Critica del linguaggio: differenze tra le versioni

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Alla luce delle intense disamine religiose di queste credenze relative a Dio, il male passa dall'essere un fatto tragico con cui bisogna confrontarsi ad essere un problema religioso di prim'ordine. Mette in pericolo, con ragione, la struttura basilare della fede. Ma oltre al conflitto concettuale con i fondamenti della fede, il problema del male crea una profonda crisi esistenziale rispetto alla vita in generale. Una persona di fronte al male diventa consapevole del grande divario tra i propri giudizi morali e la struttura causale dell'universo. La struttura gli sembra totalmente arbitraria, insensibile ai suoi valori basilari. Le leggi cieche della natura danneggiano tutti, anche i neonati che non hanno mai peccato e i giusti che hanno solo compiuto buone azioni per tutta la vita. Una volta che la persona conosce il bene ed il male, non è più a suo agio nel mondo. Sente una tragica lacerazione, un senso di alienazione dall'universo. Il mondo appare senza senso, un posto estraneo nel quale viene gettato e lasciato a lottare con la crudeltà cieca dell'esistenza e dei suoi molti tormenti. L'esame del problema del male da parte di Maimonide dimostra come fosse preoccupato tanto dal disagio esistenziale quanto dall'enigma teologico, ed egli analizza entrambi contemporaneamente.<ref name="Male"/>
 
Molte impostazioni che affrontano il problema del male cercano di convalidare sia la bontà di Dio e sia la Sua onnipotenza negando che il male esista veramente. La storia della teologia è colma di tali impostazioni, che tendono ad essere dubbie e problematiche. Maimonide fa parte di questa tradizione, e trattando il problema, egli nega l'esistenza del male. Perciò si assume un compito molto difficile, che si adopera a svolgre in un modo unico, permeato della sua visione complessiva del mondo.<ref name="Male"/>
 
Prima di considerare il modo specifico in cui Maimonide nega l'esistenza del male, dobbiamo notare due posizioni convenzionali del problema del male che egli rifiutò. La prima è quella in cui si incolpava il sofferente, la vittima. Secondo questa posizione, è la giustizia divina che decreta la sofferenza del mondo, ma non possiamo percepire tale giustizai fino alla fine. Questa è la convinzione degli amici di Giobbe, i quali asseriscono che la sua sofferenza fosse evidenza dei suoi peccati commessi. Potrebbe non aver capito di aver peccato, ma se esamina attentamente le sue azioni — dicono gli amici — scoprirà che in verità la sofferenza gli è stat imposta giustamente. Sebbene il Libro di Giobbe poi rifiuti questa posizione, essa è riecheggiata nella storia religiosa fino ad oggi. La morte di bambini indifesi ed innocenti viene vista come punizione, a volte per i peccati dei loro genitori e a volte per coloro che si dice siano reincarnati in essi. Argomenti di questo tipo peggiorano le cose: non solo non riescono a risolvere il problema del male, ma lo peggiorano incolpando la vittima. In risposta alla terribile angoscia di Giobbe per la morte dei suoi figli, i suoi amici procedono orridamente ad incolparlo della loro morte. Giobbe protesta contro la loro asserzione e Dio lo rivendica, affermando che egli non ha colpa. Maimonide interpretò Giobbe secondo la premessa che egli non debba essere incolpato delle sue sofferenze. Rigettò la posizione che risolverebbe il problema del male interpretando tutta la sofferenza come risultato del peccato.<ref name="Male"/>
 
Similmente, Maimonide rifiutò anche il secondo argomento convenzionale, che intendeva usare il mondo a venire come strumento per risolvere il problema del male in questo mondo. Secondo tale argomento, i tormenti subiti dal giusto in questo mondo aumenteranno la loro ricompensa nel mondo a venire, ed i piaceri provati dal malvagio in questo mondo aumenteranno la loro punizione nel mondo a venire. Per giustificare Dio nel mondo a noi conosciuto, è necessario postulare un altro mondo, in cui i conti sono regolati e tutti i problemi risolti. Il mondo che percepiamo nel senso stretto non può essere giusto a meno che non ci sia un secondo mondo in cui le ingiustizie sono rimediate. Maimonide credeva che questo argomento, come il primo, complica il problema piuttosto che risolverlo. Nel discutere le tribolazioni, egli rifiuta "ciò che viene generalmente accettato dalla gente riguardo all'oggetto delle tribolazioni...: Dio infligge calamità ad un individuo, senza che siano state precedute da peccato, onde poter aumentare la sua ricompensa" (III:24, p. 497). Perché non aumentare la ricompensa del giusto senza farlo soffrire? L'argomento non sembra meno abietto dell'incolpare la vittima e affermare che debba aver peccato per meritarsi l'afflizione. Secondo Maimonide, il mondo a venire è il risultato naturale della vita in questo mondo. Non è inteso come soluzione del problema del male, poiché, tra l'altro, non riesce affatto a risolverlo. Nella ''Guida'', Maimonide suggerisce un altro modo per negare l'esistenza del male, uno basato su una triplice divisione dei mali che possono affliggere una persona. I primi mali sono quelli che sorgono semplicemente perché la persona è un essere materiale. Morte, malattia, infermità e ferite, tutte scaturiscono dalla natura difettosa del materiale con cui l'uomo è formato. I mali del secondo tipo sono provocati da altre persone; esempi ovvi sono le guerre, i crimini e le ingiustizie. Infine, ci sono i mali autoimposti, avvenuti come risultato del comportamento stesso della persona. Rischi eccessivi incorsi per ottenere troppa ricchezza o onori eccessivi, regimi alimentari futili e distorti, desideri che non possono essere realizzati — tutto ciò apporta malattia fisica e sofferenza psichica. Maimonide sostiene che un'analisi di ciascun tipo di male possa rivelare il problema e portare alla conclusione che non c'è male al mondo che debbe essere attribuito alle limitazioni della potenza divina o all'indifferenza di Dio verso la sofferenza.<ref name="Male"/><ref name="Halbert3">Moshe Halbertal, ''Maimonides, cit.'', 2014, pp. 329-341 & ''passim''.</ref>
 
I mali sofferti da una persona siccome è un essere materiale, sostiene Maimonide, sono "privazioni", cioè situazioni che non hanno una vera esistenza e che ci appaiono come l'assenza di una situazione desiderata. La malattia è l'assenza di salute, la morte è l'assenza di vita, l'infermità è l'assenza di completezza, e così via. In questi casi, Dio non crea il male perché il male non esiste veramente, e tutto ciò che esiste è bene. Il male è l'assenza di una certa realtà; l'esistenza di per se stessa è bene.<ref name="Halbert3"/>
 
Di tutti gli argomenti filosofici esposti nella ''Guida'', questo sembra essere il più debole. Prima di tutto, il male causato dall'assenza del bene può a volte causare grande dolore e sofferenza insopportabile. Il dolore stesso può difficilmente essere descritto come assenza, poiché è reale, esistente e rovente. Oltre a ciò, l'argomento sembra essere un gioco logico casistico che contribuisce ben poco ad una comprensione della questione. Cosa ci si guadagna a chiamare qualcosa l'assenza di un'altra? C'è sicuramente qualcosa d'altro in gioco dietro al fragile argomento dell'assenza, un argomento più profondo e significativo: i danneggiamenti e i mali che risultano dalla nostra natura materiale sono condizioni necessarie.
 
==La Provvidenza==