Guida maimonidea/Filosofia e concetti: differenze tra le versioni

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Naturalmente, si potrebbe applicare una lettura più stretta e dire che quello che Maimonide intende è che la sfera si muove incessantemente solo da quando il mondo fu creato. Nella ''Guida'' tuttavia Maimonide afferma espressamente che la prova dell'esistenza di Dio nella ''Mishneh Torah'' si basa sull'esistenza eterna del mondo. Usa l'argomento del "dilemma" nella seguente maniera: Se il mondo fu creato, l'esistenza di Dio può essere provata proprio sulla base della creazione. Se d'altra parte il mondo è eterno, l'esistenza di Dio può essere provata sulla base del moto perpetuo della sfera: "Per tale ragione troverai sempre che ogniqualvolta, in ciò che ho scritto nei libri di giurisprudenza, vengo a menzionare i fondamenti e inizio con lo stabilire l'esistenza della divinità, la stabilisco con discorsi che adottano il modo della dottrina dell'eternità del mondo" (''Guida'' I:71). E così, nel suo trattato halakhico, Maimonide adotta la posizione che sostiene l'eternità del mondo, la più filosofica delle due posizioni. Chiunque creda che Maimonide nascose questa posizione ai suoi lettori, può far riferimento alla dichiarazione espressa nell'apertura della ''Mishneh Torah''.<ref name="Nihilo"/>
 
È importante stressare il punto seguente. La questione se l'esistenza di Dio debba essere provata sulla base di un movimento continuo della sfera o del fatto che il mondo fu creato non sia di per se stesso così cruciale. Ciò che le dà un enorme peso religioso è il fatto che le due prove generano immagini differenti della divinità. Chi vede la creazione del mondo come prova dell'esistenza di Dio intende Dio come una personalità sovrana compresa di volontà, mentre chi basa la prova sul movimento perpetuo della sfera e l'eternità del mondo intende la divinità come un essere dalla cui esistenza si genera il mondo. Tale essere non interviene intenzionalmente nella creazione eccetto come prima causa, ragione ultima dell'ordine con cui opera l'universo. Nella ''Guida'', Maimonide articola la tensione tra i due concetti di Dio come personalità o come essere equiparandola alla tensione tra volontà e saggezza. Sebbene, come maimonide afferma nella ''Guida'', egli abbia adottato questa prova del movimento eterno della sfera, solo come un'opzione tra due prove possibili, il fatto che abbia scelto l'eternità del mondo in piena consapevolezza delle sue implicazioni come opzione presentata nella ''Mishneh Torah'' è di grande importanza.<ref name="Divine">David Burrell, ''Knowing the Unknowable God: Ibn Sina, Maimonides, Aquinas'', Notre Dame, 1986, ''passim''; Carlos Fraenkel, "Maimonides’ God and Spinoza’s Deus sive Natura", ''Journal of the History of Philosophy'' 44, 2006, pp. 169–215; Kenneth Seeskin, ''Searching for a Distant God: The Legacy of Maimonides'', Oxford University Press, 2000, pp. 123-140.</ref>
==Fede e profezia==
 
{{WIP|Monozigote}}
La propensità di Maimonide per l'eternità del mondo è evidente anche nell'assenza totale di qualsiasi riferimento alla storia nelle sue considerazioni su Dio ed il mondo, nei primi capitoli della ''Mishneh Torah''. Non basa l'esistenza di Dio o l'espressione diretta ed immediata della Sua presenza su fattori come l'Esodo dall'Egitto o i miracoli delle dieci piaghe o l'attraversamento del Mar Rosso. La visione di Dio prima di tutto come il Dio della storia, il Dio che dimostra la Sua esistenza con miracoli che spezzano i confini dell'ordine naturale, è una visione profondamente radicata e ampiamente accettata dalla tradizione ebraica. Il Dio biblico è spesso descritto come il Dio della storia: "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto" (Es. 20:2). Il commento di Nahmanide riguardo a questo versetto dimostra la centralità dell'esodo dall'Egitto nel pensiero ebraico sull'incontro col divino: "Egli ha detto ''che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto'' perché l'averlo fatto dimostra la Sua esistenza e la Sua volontà; poiché ne siamo usciti con la conoscenza e provvidenza [di Dio]. Dimostra inoltre la creazione ex nihilo, dato che l'esistenza eterna del mondo implicherebbe che nulla può cambiare nella natura; e dimostra la [Sua] potenza" (''Commentario di Nahmanide alla Torah'', Es. 20:2). Secondo questa interpretazione, una violazione delle leggi della natura occorsa mediante l'avvenimento di un miracolo costituisce la forma più basilare della rivelazione divina. Nahmanide aveva ragione a collegare la consapevolezza del Dio della storia alla negazione dell'eternità del mondo, poiché quest'ultimo concetto è fondato sul rifiuto dell'idea di una volontà divina che cambia l'ordine della creazione.<ref name="Divine"/>
{{...}}
 
Che i primi capitoli della ''Mishneh Torah'' non facciano riferimento alla storia è di grande importanza per gli annali del pensiero ebraico. L'omissione segue da quesi capitoli intesi a forgiare una consapevolezza religiosa costruita esclusivamente sulla causalità della natura stessa, non su dipartite dal corso normale della natura attraverso l'intervento di una suprema volontà divina. La prova dell'esistenza di Dio si basa sul moto continuo e immutabile della sfera, connesso nella sua essenza all'ordine fisso espresso nell'esperienza. Per di più, l'amore di Dio ed il timore di Dio, che stanno all'apice dell'esperienza religiosa, sono connessi alla contemplazione dell'ordine naturale dell'universo e la saggezza che comporta. Non c'è da stupirsi che, quando Maimonide parla dell'autentificazione della profezia, egli rifiuti di considerare un miracolo come evento che rappresenti la presenza non mediata di Dio. Il Dio della ''Mishneh Torah'' propende più verso la saggezza piuttosto che la volontà. In uno sforzo senza precedenti a creare un sistema vincolante di fede per tutto Israele, Maimonide evita di includere il denominatore comune più fondamentale della tradizione. Al contrario, nei capitoli introduttivi del suo trattato, egli tenta di dirigere la consapevolezza religiosa verso un concetto specificamente filosofico della divinità.<ref name="Divine"/>
 
==Padri fondatori e profeti==
[[File:Abraham meets Melchisedech (San Marco).jpg|thumb|250px|Abramo incontra Melchisedec (mosaico del XIII secolo, Basilica di San Marco, Venezia)]]
I quattro capitoli conclusivi di "Leggi sui Fondamenti della Torah" trattano della profezia. In termini connessi col suo concetto di Dio, Maimonide descrive la profezia come saggezza, non come atto di volontà. Inizia la discussione come segue:
{{q|È uno dei principi basilari della religione che Dio causi agli uomini di profetizzare. Ma lo spirito della profezia si posa solo sull'uomo saggio che si distingue per grande saggezza e forte carattere morale, le cui passioni non lo sopraffanno mai in nessuna cosa, ma che ha sempre le proprie passioni sotto controllo grazie alla sua facoltà razionale, e possiede una mente ampia e tranquilla. Quando uno, abbondantemente in possesso di queste qualità e sano fisicamente, entra il "[[w:Pardes|Pardes]]" e pondera continuamente quei grandi temi astrusi — avere la giusta mente capace di comprenderli ed afferrarli; santificarsi, ritirarsi dalle vie dell'uomo ordinario che cammina nelle oscurità dei tempi, addestrarsi zelantemente a non avere nemmeno un pensiero per le vanità dell'epoca ed i suoi intrighi, ma tenere la propria mente libera, concentrata su cose più elevate come se fosse avvinto al Trono Celeste, per comprendere le forme pure e sante e contemplare la saggezza di Dio riflessa nelle Sue creature, dalla prima forma fino al centro della Terra, perciò imparando a comprendere la Sua grandezza — su tale uomo scenderà immediatamente lo Spirito Santo. E quando lo spirito si poserà su di lui, la sua anima si congiungerà agli angeli chiamati ''Ishim''. Verrà mutato in altro uomo e capirà di non essere più quello di prima, e sarà esaltato al di sopra di altri uomini saggi.|"Leggi sui Fondamenti della Torah"}}
 
La ''halakhah'' inizia con una frase che sembra collegarsi all'idea della volontà divina: prendendo l'iniziativa ed esercitando la Sua volontà, Dio "induce gli uomini a profetizzare". Tale interpretazione, coerente con l'impostazione biblica tradizionale, vede la concessione della profezia come una scelta intenzionale fatta da Dio; a volte, Dio impone la profezia persino a quel profeta che esita ad accettare la propria missione o cerca di sfuggirne.<ref name="Profeta">Howard Kreisel, ''Prophecy: The History of an Idea in Medieval Jewish Philosophy'', Dordrecht, 2001; David Bakan, ''Maimonides on Prophecy: A Commentary on Selected Chapters of the Guide of the Perplexed'', Northvale, 1991, ''passim''; David Blumenthal, "Maimonides’ Intellectualist Mysticism and the Superiority ofnthe Prophecy of Moses", ''Studies in Medieval Culture'' 10, 1977, pp. 51-67, rist. ''Approaches to Judaism in Medieval Times'', David Blumenthal (cur.), pp. 27-51.</ref>
 
Tuttavia, man mano che la ''halakha'' si sviluppa, diventa chiaro che Dio non ha un ruolo attivo e volitivo nella profezia. Il testo descrive il modo di vita del profeta e la sua perfezione personale. È libero dal dominio degli impulsi e la sua vita è dedita all'ideale della contemplazione della natura e della divinità. La sua separazione totale dalle follie del mondo e la devozione alla conoscenza di Dio apporta la profezia: "su tale uomo scenderà immediatamente lo Spirito Santo." La profezia non prende parte a miracoli che implichino una rivelazione della volontà divina nell'ambito della vita umana. È piuttosto il risultato causale di un certo modo di vita, che dà come risultato la discesa "immediata" dello Spirito Santo sul profeta. La profezia è l'ascesa del profeta al mondo divino, e non il messaggio della divinità ad un essere umano. La profezia così concepita può essere vista come il profeta che si sintonizza con successo su una frequenza che trasmette costantemente.<ref name="Profeta"/>
 
==Magia e idolatria==