Guida maimonidea/Etica e fede: differenze tra le versioni

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Aristotele e molti dopo di lui consideravano l'umiltà come l'interiorizzazione della falsa stima di sé che la persona umile possiede. Se la propria opinione di se stessi corrispondesse al proprio vero valore, la persona in questione non si sentirebbe umile, poiché essa è persona virtuosa anche se ha una bassa opinione di sé. L'umiltà è uno stato apparentemente paradossale, in cui una persona interiorizza una falsa consapevolezza circa la propria valutazione del suo valore. Tale critica si basa sulla premessa che le persone umili misurano il proprio valore in relazione ad altri, con ciò diminuendo falsamente la propria statura mentre aumentano esageratamente quella degli altri. Nella tradizione dell'umiltà, tuttavia, un'autovalutazione umile non riflette il paragone della persona modesta rispetto ad altre persone. Riflette invece il suo senso di soggezione, che la porta a valutarsi rispetto al cosmo o a Dio.<ref name="Aristotele"/>
 
Inoltre i commenti di Maimonide in materia non asserisconoindicano che egli consideri l'umiltà come negazione dell'autostima. Implica qualcosa di differente, che pone questa tradizione in confrontazione con l'ideale umano aristotelico. Parlando della virtù della povertà di spirito, Maimonide illustra l'umiltà con una storia che sembra estratta dalla tradizione sufi:
{{q|Ho letto in uno dei libri sulla morale che ad una persona devota fu chiesto: Qual'è il giorno più felice che tu abbia mai passato? Rispose: Fu il giorno quando stavo viaggiando su una nave, e il mio posto a bordo di tale nave era il più basso di tutti, ed ero vestito di stracci. Sulla nave c'erano anche mercanti e uomini ricchi. Stavo sdraiato al mio posto, quando uno degli uomini sulla nave si alzò per urinare. Notando la bassezza e l'inferiorità della mia situazione, si espose e mi urinò addosso. Mi stupii all'impeto della sua audacia ma, per Dio, non mi afflissi affatto della sua azione. Non mi arrabbiai e gioii molto per aver raggiunto un livello in cui non mi ero disperato per l'azione di questa persona deficiente e non ci prestavo attenzione. E non c'è dubbio che questo è il massimo della povertà di spirito, totalmente rimossa dall'orgoglio.|''Commentario alla Mishnah'' 4:4}}
 
La povertà di spirito non è per niente legata ad una bassa valutazione di se stessi. Il pietista, che non si era adirato col ricco mercante che gli aveva urinato addosso, non si credeva così degradato da essere idoneo ad essere urinato addosso. Al contrario. L'uomo umile, l'uomo povero di spirito, è colui la cui autostima non dipende dal riconoscimento sociale. Ne consegue che l'umiltà non è una convinzione della bassezza della propria statura; piuttosto, è un'indifferenza per il valore dell'onore. Una persona umile si è liberata, avendo ottenuto ciò che successivamente viene chiamata "la qualità dell'equanimità''. La sua tranquillità è autonoma, indipendente da come il suo ambiente reagisce nel valutarlo. E così l'indifferenza della persona umile all'onore e al riconoscimento sociale è ancorata al proprio riconoscimento della sua vera autostima, un riconoscimento indipendente da qualsiasi estraneità.<ref name="Noram">Noram Lam, "The Wise and the Pious in Maimonides Teachings", ''Memorial Book of Shmuel Belkin'', Erna Michael College of Hebraic Studies, 1981, pp. 11-28 (in ebr.)</ref>
 
C'è una tensione tra l'umiltà così concepita e l'ideale civico della tradizione repubblicana greco-romana. Il buon cittadino persegue il riconoscimento e vuole apparire ed essere presente nella pubblica arena. La società controlla effettivamente i propri cittadini mediante l'assegnazione di onori e biasimi. La figura di abnegazione e stoicismo che Maimonide presenta è, in questo senso, una creatura apolitica, e Machiavelli e [[w:Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]] avevano buone ragioni di vedere tale figura come una minaccia al potere e alla solidità dello stato. Una persona indifferente di tale sorta, che serve da soldato, non si preoccuperebbe di morire, ma neanche agognerebbe la vittoria.<ref name="Noram"/>
 
Il divario tra l'ideale della povertà di spirito e la virtù della dignità riflette una problematica ancora più basilare e profonda relativa al valore della vita politica. Un buon cittadino, affermava Aristotele, è un uomo buono. Come individuo privato, la persona è nella morsa circolare del ciclo di vita: nascita, lavoro, riposo, e morte, e via di seguito nella generazione successiva. Solo quando emerge nel pubblico dominio politico la persona si realizza veramente come essere umano nel senso completo. Giudica e legifera, valuta le cose e utilizza la forza della ragione, e dà espressione alle sue virtù come essere umano. Da qui il detto di Aristotele che "l'uomo per natura è un animale politico".<ref>[[w:Politica (Aristotele)|''Politica'']], Libro 1, Cap. 2.</ref> La natura dell'uomo come essere completo viene espressa nell'ordinamento politico; al di fuori dell'ordinamento politico stanno gli animali e gli dei. Certamente, nella ''Etica Nicomachea'' troviamo una tensione tra questo nobile ideale civico ed il filosofo che si dedica alla vita contemplativa; tale successiva figura appare nel Libro X del trattato. Ma nonostante la tensione, che è stata ampiamente discussa, la figura umana che Aristotele dipinge magistralmente raggiunge il suo apice nella partecipazione libera e sovrana alla vita pubblica.<ref name="Aristotele"/>
 
Nel ''Commentario alla Mishnah'' e nella ''Mishneh Torah'', Maimonide tratta la vita contemplativa come picco della perfezione umana. L'ordinamento politico è semplicemente un mezzo per raggiungere il fine, necessario perché l'umanità non può esistere senza una divisione del lavoro e impegni di cooperazione. Coerente con tale opinione, egli usa il detto "l'uomo è un animale politico" in maniera alquanto differente: l'abilità dell'uomo di realizzare il suo fine e raggiungere la sua meta dipende dall'esistenza di un corpo politico stabile, ma quel corpo non è altro che un mezzo per promuovere la conoscenza del mondo e di Dio.<ref name="Noram"/><ref name="Otto"/>
 
Due idee — che la capacità di conoscere è l'essenza dell'umanità e che esistono convinzioni/credenze necessarie a mantenere l'ordine politico — portano Maimonide ad intraprendere un profondo spostamento del carattere della religione ebraica, cercando di identificare una serie vincolante di credenze che servano come criterio di appartenenza alla comunità d'Israele. Il processo iniziò col ''Commentario alla Mishnah'' e continuò con la ''Mishneh Torah'', in cui Maimonide formulò la teologia normativa ebraica. Inoltre, questa impostazione fornì alla relazione tra filosofia e tradizione ebraica un significato distintivo che è importante esaminare. La premessa fondamentale della filosofia ebraica premaimonidea era che esistesse un processo razionale, indipendente dalla tradizione o rivelazione, per ottenere la conoscenza di Dio, del mondo, e la moralità. Pertanto, la conoscenza filosofica aveva la capacità di rinforzare la fede, sebbene contraddizioni occasionali potessero richiedere una reinterpretazione. Tale fu l'approccio preso dal primo filosofo sistematico ebreo, Sa`adyah Ga`on, nel suo trattato ''Credenze e Opinioni'', ed costituisce l'elemento più basilare di qualsiasi interpretazione filosofica dell'Ebraismo.<ref name="MosheH3"/> Maimonide fece un considerevole salto per allontanarsi da questa premessa nella sua interpretazione della relazione tra filosofia e religione. Secondo lui, non solo la filosofia ha un peso critico, ma al vita di contemplazione filosofica possiede una dimensione religiose redentrice. I concetti basilari dell'esistenza religiosa — unione con Dio, amore e timore, il mondo a venire, ecc. — sono compresi come esperienze legate profondamente al processo di cognizione e speculazione. L'unione con Dio, per esempio, viene intesa come processo cognitivo, dato che l'epistemologia aristotelica insegna che il pensatore viene identificato con gli oggetti della sua conoscenza. L'amore è un bruciante desiderio di conoscere Dio ed il mondo, ed è generato a causa di precedenti esperienze di conoscenza. Il timore è un ritirarsi, un senso di futilità ed emarginazione che fluisce da una consapevolezza dell'universo e del posto dell'uomo in esso; è tuttavia accompagnato dal desiderio di sapere, definito come amore.<ref name="Noram"/>
 
Il pinnacolo della vita religiosa è la conoscenza di Dio secondo le abilità della persona, e può essere ottenuta mediante la conoscenza della fisica e della metafisica. Tale conoscenza della natura e quello che c'è al di là della natura, che è il fondamento della perfezione religiosa, viene acquisita attraverso un continuo contatto con le fonti della conoscenza che stanno al di fuori della tradizione ebraica — primariamente gli insegnamenti di Aristotele e le rispettive varie interpretazioni nella filosofia araba. Questa opinione non nega solo che ci sia una qualche ostilità tra filosofia e religione; ma indica inoltre e sostiene che per ottenere il più alto ideale di vita religiosa richiede l'utilizzo della tradizione filosofica. Maimonide dunque non condivide il modello di pensiero conosciuto oggi come ''torah u-madda'' (Torah e scienza), modello che cerca di superare i divari tra Torah e scienza e afferma che possono coesistere pacificamente. Per Maimonide, impegnarsi nella scienza è l'apice dell'esistenza religiosa, diretta alla realizzazione dello scopo dell'esistenza umana sulla terra.<ref name="Shatz"/>
 
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