Guida maimonidea/Etica e fede: differenze tra le versioni

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[[File:Fragment of the Cairo Genizah - The Passover Haggadah, page 1 of 4.png|thumb|335px|left|Frammento rinvenuto nella [[w:Geniza del Cairo|Geniza del Cairo]]<ref>La data specifica è sconosciuta: i documenti rinvenuti nella Geniza variano in data, andando dall'870 e.v. fino al 1880.</ref>]]
 
Nel suo ''Saggio sulla risurrezione'', Maimonide descrisse un incontro con un illustre studioso che aveva dubbi se Dio fosse corporeo o meno: "Ho incontrato alcuni che pensano di essere tra i saggi di Israele — per Dio, questi sanno veramente la via della Legge, sin dall'infanzia, e si dibattono in discussioni giuridiche — ma non sono sicuri se Dio sia corporeo, con occhi, mani e piedi... o se Egli abbia un corpo." Altri studiosi che Maimonide conosceva erano certi di saperlo: "Altri, che ho conosciuto in certe terre, asseriscono positivamente che EgliaEgli sia corporeo e chiamano miscredente chiunque non la pensi differentemente... Ho ricevuto notizie simili anche di alcuni che non ho incontrato" (''Saggio sulla risurrezione'', p. 212).
 
Incontri come questi rafforzavano la posizione di Maimonide che la conoscenza della ''halakhah'' non era in alcun modo collegata alla conoscenza di Dio e non forniva garanzie di estirpare credenze erronee — credenze che Maimonide considerava inferiori persino all'idolatria. Poiché la formazione talmudica non provvede gli strumenti necessari a comprendere i principi di fede, il saggio può benessimo essere ignorante dei principi di fede anche se è erudito in tutti i dettagli della ''halakhah''. Come risultato, costui può adorare un dio fisico, e quindi estraneo, anche mentre dimostra grande meticolosità nell'osservanza della ''halakhah''.<ref name="Kreisel">Theodore Howard Kreisel, ''Maimonides` Political Thought: Studies in Ethics, Law and the Human Ideal'', State University of New York Press, 1999, cap. 3, pp. 93-124 & ''passim''.</ref> Maimonide pertanto decise di inserire i principi di fede in qualsiasi trattato halakhico avrebbe scritto:
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Nell'introduzione a ''Pereq Ḫeleq'', dopo la sua identificazione della più grande ricompensa dell'uomo nell'immortalità dell'anima e la comprensione del Creatore, Maimonide parla della punizione peggiore: "Ed il male ultimo è l'escissione dell'anima e la sua perdita, il suo non avere il privilegio di continuare ad esistere... Chiunque si sia appigliato ai piaceri fisici, disprezzando la verità e scegliendo la falsità, viene tagliato fuori da tale beneficio e rimane nient'altro che materia annullata." L'immagine tradizionale — quella dell'anima che lascia il corpo e appare in giudizio davanti ad un tribunale celeste — svanisce in virtù di questa nozione. L'immortalità dell'anima si ottiene attraverso la comprensione dell'intelligibile, e la scomparsa, l'annullamento è il risultato diretto di una vita in cui si è mancato di attuare il proprio potenziale di essere umano. Questa veduta delle cose non lascia spazio alla Geenna come luogo di vasti tormenti e punizioni ''postmortem'', dato che l'anima del peccatore non sopravvive la propria morte e quindi non può essere tormentata. Maimonide, cita comunque la Geenna, ma solo brevemente e senza elaborazione:
{{q|Ma Geenna è un termine per la pena che accade al malvagio, ed il talmudTalmud non chiarisce la natura di tale pena. Alcuni dicono che il sole si avvicina a costoro e li brucia, citando come prova il versetto " Ecco infatti sta per venire il giorno rovente come un forno" (Malachia 3:19), ed altri dicono che una strana febbre appare sui loro corpi e li brucia, citando come prova il versetto "il mio soffio vi divorerà come fuoco." (Isaia 33:11)|''Introduzione a Pereq Ḫeleq''}}
 
Questa brano implica, da una parte, che Maimonide si sentì obbligato a far riferimento al concetto tradizionale della Geenna ma, dall'altra, che non poteva seriamente integrarlo nella sua prospettiva sistematica.
 
Nel suo ''Mishneh Torah'', "Leggi sul pentimento", Maimonide ribadì queste formulazioni del mondo a venire e dell'immortalità dell'anima, ed enfatizzò le due idee chiave che ci si associavano. Una è che l'immortalità dell'anima è, in effetti, il risultato della connessione della persona con gli oggetti della sua cognizione durante il corso della vita, non un miracolo basato su un inchiesta di un tribunale celeste che decide, dopo l'ascesa dell'anima al cielo, se questa meriti il bastone o la grazia eterna. L'altra idea è costruita sulla spiritualizzazione della vita religiosa, in quanto la più alta realizzazione dell'uomo è la conoscenza, e che il mondo a venire non fornisce quindi una ricompensa fisica ma la realizzazione perfezionata — e piacevole — di una vita di ricerca e conoscenza.<ref name="Anima"/>
 
Maimonide non cita la Geenna nella ''Mishneh Torah'', in accordo con la sua coerente posizione sulla natura dell'uomo e della sua anima. Anche lì egli determina che il peggior male che possa accadere al peccatore è che nulla rimane di lui dopo la morte e che la sua presenza nel mondo è terminata. Nel 1232, dopo la morte di Maimonide, sorse una grande controversia sul ''Libro della Conoscenza'' (''Sefer ha-Madda'', primo volume della ''Mishneh Torah'') e sulla ''Guida''. I critici di Maimonide accusarono che egli non credesse nell'esistenza della Geenna, reputando ciò un'ulteriore motivo per bandire il ''Libro della Conoscenza''. Ma lì, come altrove, Maimonide aprì una porta ad una lettura più tradizionale di ciò che aveva scritto, ed i suoi difensori nella polemica, incluso Nahmanide, indicarono la sua citazione della Geenna nell'introduzione a ''Pereq Ḫeleq'' o al suo riferimento, nella ''Mishneh Torah'', al giudizio del peccatore.<ref>Si vedano le allusioni di Maimonide nella ''Mishneh Torah'', "Leggi del pentimento", 3, 5;6. Nahmanide, ''Kitvei ha-Rambam'', ediz. Shavel, II, pp. 291-292.</ref> Questa dura disputa sul suo lascito non fu senza ragione, poiché la sua ferma posizione in merito all'anima e alla sua immortalità contraddice il suo breve riferimento alla Geenna. Può darsi che su questo punto i critici di Maimonide capissero la sua vera posizione.<ref name="MosheHal"/>
 
==Risurrezione e perfezione==
[[File:Valley of Hinom PA180093.JPG|thumb|Tombe nella Valle di Gē-hinnom, nota anche come Geenna, sul lato sud del monte Sion (Israele)]]
L'interpretazione da parte di Maimonide della natura e scopo della vita umana portò ad un riesame non solo della Geenna ma anche della risurrezione dei morti come elemento centrale del sistema tradizionale di ricompensa e punizione. Questo problema venne a galla durante la vita di Maimonide, a seguito della critica fattagli da Samuel ben Eli. I capitoli della ''Mishneh Torah'' che parlano in dettaglio del mondo a venire non menzionano la risurrezione, e Samuel ben Eli sosteneva che non fosse una coincidenza. Secondo Samuel, Maimonide negava la risurrezione del corpo, reputandola allegoricamente come una sopravvivenza dell'anima dopo la morte. La stessa affermazione fu fatta, verso la fine della vita di Maimonide, nel 1202, da R. Meir Halevi Abulafia di Toledo. In risposta a tale accusa, R. Aaron Hakohen di Lunel, un ammiratore provenzale di Maimonide, scrisse una difesa particolareggiata. Maimonide stesso aveva risposto a samuel ben Eli nel suo ''saggio sulla risurrezione'', scritto nel 1191. Ma in realtà Maimonide negava qualcosa che egli stesso aveva elencato come uno dei principi determinanti l'appartenenza al popolo ebraico? Prima di proporre una risposta a tale domanda, si devono descrivere gli aspetti degli insegnamenti di Maimonide che sollevano questa domanda.<ref name="MosheH1">Moshe Halbertal, ''Maimonides, op. cit.'', cap. 3, pp. 142-148.</ref><ref name="Principi"/><ref name="Anima"/>
 
Nei passi del ''Commentario alla Mishnah'' e della ''Mishneh Torah'' che discutono dei riferimenti biblici alla ricompensa e punizione fisiche, Maimonide propone un argomento chiave: le ricompense fisiche promesse nella Torah per l'osservanza dei comandamenti, come la pioggia, l'assenza di malattie, la prosperità, e l'indipendenza, non sono lo scopo di quell'osservanza. Lo scopo della ricompensa fisica è quello di facilitare la ricerca del vero scopo — la consocenza del Creatore. Un uomo che si confronta con la sventura, la fame, la malattia, o l'esilio, non sarà libero di perseguire ciò che lo conduce alla perfezione. La sua vita sarà consumata dalle avversità che gli si presentano e non avrà né il tempo psicologico né quello fisico di dedicarsi all'impresa che lo renderebbe veramente capace di svilupparsi. Allora, la ricompensa fisica promessa dalla Torah è semplicemente un modo di liberare l'uomo a seguire aspirazioni più elevate:
{{q|Poiché l'uomo non si può impegnare nel servizio di Dio quando è ammalato, o affamato, o assetato o durante un tempo di guerra; ed Egli dichiarò pertanto che tutto ciò fosse rimosso, e che fossero sani e in pace, cosicché la loro conoscenza di Dio potesse essere perfezionata e si meritassero il mondo a venire. Dato che non è il proposito della Torah che la terra sia riccamente produttiva o che il popolo viva a lungo o abbia copi sani; piuttosto, essi saranno sostenuti da tutte queste cose nel realizzare [il vero proposito].|''Introduzione a Pereq Ḫeleq''}}
 
La stessa idea viene ribadita nella ''Mishneh Torah'':
{{q|Egli ci ha inoltre promesso nella Torah che, se osserveremo i relativi ordini gioiosamente e allegramente, e mediteremo continuamente sulla sua [della Torah] saggezza, Egli rimuoverà da noi gli ostacoli che ci impediscono di osservarla, come la malattia, la guerra, la carestia, e altre calamità; e ci conferirà tutti i benefici materiali che rafforzeranno la nostra abilità ad adempiere la legge, come l'abbondanza, la pace, la copiosità di argento ed oro. Pertanto non occuperemo tutti i nostri giorni a soddisfare i nostri bisogni corporali, ma avremo tempo libero per studiare la saggezza e osservare il comandamento, e quindi ottenere la vita nel mondo a venire.|''Libro della Conoscenza'', "Leggi sul pentimento", 9:1}}
 
==Note==