Guida maimonidea/Etica e fede: differenze tra le versioni

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Questa formulazione di principi di fede vincolanti — principi che formano la base di appartenenza alla comunità d'Israele e definiscono che ha lasciato tale comunità — fu veramente un passo rivoluzionario nella storia del pensiero ebraico.<ref name="KraemerJ">Joel L. Kraemer, "Maimonides. The Life and World of One of Civilization`s Greatest Minds'', Doubleday, 2008, Parte 3, pp. 164-186 & ''passim''.</ref> Maimonide associò i principi alla ''Mishnah'' nel trattato Sanhedrin, ma i saggi del Talmud non formularono mai dei principi di fede. L'appartenenza alla comunità era determinata primariamente riferendosi alle norme di condotta che dimostrano fedeltà alla ''halakhah'', ed un buon grado di diversità era permesso rispetto alle questioni di opinione e fede.<ref name="KraemerJ"/>
 
Quanto sopra è vero riguardoè a quasi tutti i principi che Maimonide formulò. Alcuni saggi pensavano che Dio fosse corporeo; altri pregavano tramite intercessori come per esempio gli angeli; altri ancora credevano che il Messia sarebbe stato un profeta più grande di Mosè; e altri sostenevano che la Torah sarebbe stata annullata alla fine del mondo. Oltre a ciò, il Talmud solleva la possibilità che il Messia non sarebbe più venuto, perché il tempo della sua venuta era stato fatto passare. La letteratura rabbinica è piena di credenze e posizioni in contrasto con ciascuno dei principi di Maimonide, poiché quella letteratura vedeva la fede non come una serie di stretti principi cognitivi, il rispetto dei quali era una condizione indispensabile all'apartenenza alla comunità ebraica, ma semplicemente come un affidamento a Dio e dedizione a Lui ed alla Sua parola. Non c'è quindi da stupirsi che nelle generazioni successive a Maimonide, pensatori come Hasdai Crescas, Joseph Albo e Isaac Abrabanel stabilirono alternative ai tredici principi di Maimonide. L'opposizione tradizionale a questo approccio fu espresso chiaramente nel XIX secolo da rR. Moses Sofer (detto ''Hatam Sofer''), che asserì che all'ebreo non era richiesto di credere a nient'altro se n onnon che la Torah veniva dal cielo. Tale fede era vincolante perché formava la base cognitiva dell'osservanza diligente dei comandamenti, eed era la condizione necessaria per avere la piebapiena appartenenza alla comunità di Israele.<ref name="KraemerJ"/><ref name="Principi"/>
 
Detto questo, ci si può allora chiedere cosa spinse Maimonide a fare un passo così radicalmente differente. La risposta implica una svolta profonda nella sua cognizione dell'uomo, svolta causata dall'incontro tra tradizione ebraica e filosofia arabo-aristotelica.<ref name="MosheHal">Moshe Halbertal, ''Maimonides, op. cit.'', cap. 3, pp. 137-142.</ref>
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==Immortalità e anima==
[[File:Rambam-fourth-principle.pdf|thumb|300px|Testo autografo del ''Commentario alla Mishnah'': la pagina mostra il "Quarto Principio", tratto dalla introduzione al Trattato Sanhedrin, ed include una nota a margine (sinistro) che Maimonide aggiunse in seguito e che quindi non appare nelle edizioni premoderne]]
L'associazione di Maimonide col reame culturale di Aristotele ed i suoi interpreti lo condusse a proporre una lettura innovativa dei concetti teologici basilari dell'Ebraismo, incluso Dio e le Sue qualità, la profezia, la provvidenza, la creazione, ed i miracoli. Ma l'incontro col mondo greco nella sua veste araba implicò un ulteriore scontro, non meno drammatico, riguardo al significato della vita umana e l'realizzazione del potenziale umano. Come Maimonide trattò le complessità e le problematiche del concetto di Dio è un tema che verrà esaminato nei [[Guida maimonidea/Guida dei Perplessi|capitoli riguardanti la ''Guida dei perplessi'']], poiché l'argomento non viene considerato nel ''Commentario alla Mishnah''. Quest'ultimo è un'opera intesa per tutti gli studenti di letteratura rabbinica e non specificamente per coloro che hanno interiorizzato una veduta aristotelica del mondo, e riguarda il confronto complesso e turbolento col significato dell'umanità e della vita umana. L'internalizzazione profonda del pensiero aristotelico in merito alla natura della vita giusta, come interpretata da al-Farabi, pose un'enfasi maggiore sulla fede come componente centrale dell'identità ebraica.<ref name="Farabi">Lawrence Berman, "Maimonides the Disciple of al-Farabi", ''Israel Oriental Studies'' 4, 1974, pp. 154-178.</ref>
 
Nella concezione aristotelica, la qualità definitrice dell'uomo è la sua abilità a distinguere tra verità e falsità. Il potenziale umano è raggiunto mediante l'apprendimento, fino al punto in cui l'intelligenza ne è capace, della verità sul mondo e su Dio. Secondo Aristotele, dopo che l'uomo ha sottratto ciò che condivide con le piante (nutrimento e crescita) e con gli animali non umani (sensi), ciò che rimane è la qualità distintamente umana, cioè, l'intelligenza posta nell'anima. L'attore umano è caratterizzato dalla sua abilità di agire sulla base (o al contrario) della riflessione intelligente. La vita giusta comporta l'adempimento dell'abilità caratteristica dell'uomo, quella di ottenere la conoscenza.<ref name="Farabi"/> Maimonide accettò questa opinione del significato della vita umana, e la ''Guida'' descrive l'essenza dell'uomo definendo l'immagine di Dio in lui: "Poiché l'intelletto che Dio fece traboccare nell'uomo e che ne è la perfezione ultima... Fu a causa di ciò che di lui fu detto che fu creato ''nell'immagine di Dio e in Sua somiglianza'' (''Guida'' I:2). Perciò, la vita umana ottiene la sua realizzazione attraverso la conoscenza: "La sua perfezione ultima è di diventare razionale ''in actu'', voglio dire, di avere un intelletto ''in actu''; ciò consisterebbe nel suo conoscere tutto riguardo a tutti gli esseri che è nella capacità dell'uomo conoscere secondo la sua perfezione ultima" (''Guida'' III:27).
 
Si suppone che tutte le altre attività siano asservite a questo più alto proposito. Poiché l'uomo è anche una creatura materiale, necessita di una società ordinata, ben strutturata che possa fornirgli le essenzialità della vita. A tal fine, deve esserci un sistema politico ordinato dalla legge, il cui scopo è trattare dei bisogni corporali. Tale scopo è raggiunto anche dallo sviluppo di qualità morali, sia perché rendono possibile l'esistenza di una società appropriata e regolare sia perché permettono all'uomo di conmtrollare i suoi altri impulsi, presupposto per una vita di ricerca e contemplazione. Nell'introduzione al ''Commentario alla Mishnah'', egli offre la seguente formulazione della vita umana come mezzo per raggiungere lo scopo della ricerca: "Dato che essi [i saggi] scoprirono che il fine [dell'uomo] è soltanto un'attività, e tutte le altre attività sono di conservare la propria esistenza in modo da perfezionare tale unica attività, che è quella di apprendere le cose intelligibili e conoscere le verità come sono. Nel quinto degli ''Otto Capitoli'' (introduzione al suo commentario al trattato ''Avot''), questa formulazione appare ancor più energicamente: "È giusto che una persona impieghi tutte le forze della sua anima per avanzare nella conoscenza... e per prefiggeresi un solo proposito, cioè, la comprensione di Dio, che Egli sia glorificato ed esaltato, secondo le abilità della persona, cioè, la sua conoscenza. E deve dedicare tutte le sue azioni, i suoi movimenti e parole, a quello scopo" (''Ibid.'', p. 241).
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Il collocamento di questa posizione al centro dell'Ebraismo da parte di Maimonide, ebbe un vasto effetto sullo status della ''halakhah''. I particolari dei comandamenti che richiedevano o proibivano varie azioni non sono lo scopo dell'esistenza religiosa; piuttosto, sono solo il mezzo che permette all'uomo di adempiere il suo proposito come creatura consapevole. La Torah comanda non solo la costruzione di una società retta e lo sviluppo di attributi morali, che siano il mezzo per ottenere la perfezione umana. Oltre a ciò, comanda convinzioni giuste e impegno nella contemplazione come via verso una più alta perfezione.<ref name="MosheHal"/>
<!--- spazio riservato al testo futuro --->
 
Il concetto aristotelico tuttavia non è l'unico immaginabile, e si potrebbe assumere una posizione totalmente differente riguardo al significato della vita umana, una posizione che abbia radici profonde nella tradizione ebraica. In tale posizione, all'uomo, solo tra tutte le creature, è concesso il libero arbitrio, e ciò che lo caratterizza è l'abilità di usare la sua volontà per soggiogare i suoi desideri e passioni a leggi e modelli di condotta appropriata. È la ''halakhah'' che dirige l'uomo a farlo, e l'adempimento della ''halakhah'' in tutti i suoi particolari è l'essenza della distintività umana. La volontà di ottemperare i comandamenti relativi all'azione, e certamente la loro vera osservanza, sono espressione del carattere distintivo umano e della sua perfezione, non l'abilità di distinguere tra vero e falso. Come notato, Maimonide non accetta quest'ultimo concetto, e crede che la perfezione umana si ottenga attraverso l'attività intellettuale. Rende quindi l'adempimento dei comandamenti attivi un mezzo piuttosto che un fine e integra la ''halakhah'' con quello che pensa sia uno strato aggiuntivo di impegno molto importante: la formulazione vincolante di credenze ed opinioni vere e proprie riguardo a Dio e al mondo.<ref>Concetto bellissimo e fondamentale per l'essere umano, anche secondo il pensiero moderno laico, avvicinandosi a teorie filosofiche moderne che pongono l'intelletto al di sopra del fondamentalismo religioso, onde ottenere un ''giusto mezzo'' socratico nell'ambito della ragione e della ricerca di Dio; Tommaso d'Aquino ne fece tesoro, nella sua ''Summa''. Cfr. ''int. al.'', John S. Spong, ''Re-claiming the Bible for a Non-Religious World'', HarperOne, 2011.</ref>
 
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==Note==