Guida maimonidea/Interpretazione ed ermeneutica: differenze tra le versioni

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A questo punto si può affrontare la natura della deduzione esegetica che Maimonide descrive, e la sua relazione alla deduzione logica. Ritorniamo all'esempio della legge. Supponiamo anche che qualcuno abbia proprio dedotto che se portare un veicolo in un parco pubblico è proibito, ''a fortiori'' è proibito portarne uno nel cortile scolastico. Inoltre, supponiamo di trovare qualcuno che sia in disaccordo, che affermi che questo ragionamento ''a fortiori'' non sia valido, perché c'è una differenza tra scuola e parco pubblico. Secondo questo disputante, nel caso della scuola, a differenza del parco pubblico, abbiamo interesse che i genitori entrino nel cortile coi loro veicoli. In questa controversia, nessuna delle parti è in disaccordo sul precedente, o sulla proibizione da cui la proibizione aggiuntiva deriva; tutti sono d'accordo che i veicoli non debbano entrare nei parchi pubblici. La controversia verte sulla questione se i due casi siano analoghi, cioè, se un cortile scolastico sia simile ad un parco pubblico rispetto alla proibizione di far entrare un veicolo.<ref name="Bertal"/>
 
La semantica dei principi deduttivi come ''a fortiori (kal va-ẖomer)'' e analogia lessicale (''gezeira shava'') non può essere formulata in termini assoluti. È sempre possibile che ci sia un'ulteriore domanda: nel caso dell'analogia lessicale, che similarità di contenuto comporta la similarità di linguaggio? Nel caso di ''kal va-ẖomer'', ciò che consideriamo la premessa più debole o più forte lo è veramente? In questi tipi di deduzione e simili, uno può supporre che le conclusioni sono disputate senza stabilire che ciascuna parte in realtà usa una premessa differente. Maimonide può quindi dire che nell'interpretazione deduttiva non c'è controversia sulle premesse, ma solo sulle leggi che ne derivano. Ecco perché Maimonide chiamò queste analogie "principi retorici", sottolineando che questi principi di deduzione non sono di carattere puramente logico.<ref name="Hensh"> David Henshkeh, "The Reason for Halakhah in Maimonides` Thought", ''Maimonidean Studies'' 4, 2000, pp. 45-80 (in ebr.); id., "The Foundations of Maimonides Theory of Halakhah", ''Shenaton Ha-Mishpat ha-Ivry'' 20, 1997, pp. 103-149.</ref>
 
Questo quadro dell'interpretazione, che emerge dal ''Commentario alla Mishnah'' e dal ''Libro dei Comandamenti'', rivela la concezione della ''halakhah'' che Maimonide voleva raggiungere. Secondo lui, c'è un nucleo di contenuto sul quale non esiste controversia, che ha uno status speciale, e dal quale la ''halakhah'' si ramifica. Il suo status deriva dalla sua connessione diretta a Mosè. L'interpretazione costruita su tale nucleo non ne forma parte, perché non lo definisce; l'esegeta non altera o cambia i concetti e le premesse, ma ne desume nuove leggi. Esistono dispute che possono emergere da queste deduzioni, e questa è la fase in cui la controversia entra nel reame della ''halakhah''. Il nucleo stesso è impervio alla controversia e non è definito dagli esegeti.<ref name="Hensh"/> Secondo questa affermazione, il nucleo non necessita di interpretazione; è chiaro, sia per virtù di una semplice lettura che per mezzo della tradizione. Poiché queste interpretazioni non definiscono le premesse, esse non fanno parte del testo, ma si originano da loro come branche che si snodano dalle radici. Lo status esclusivo di Mosè viene così mantenuto in questo modello, sia perché solo le sue parole hanno lo status giuridico di ''de-Orayta'' sia perché le sue parole stesse non sono disputabili.<ref name="Hensh"/><ref name="Bertal"/>
 
La concezione dell'interpretazione di Maimonide è particolarmente interessante. Di primo acchito, l'interpretazione si riferisce al tentativo dell'esegeta di partecipare all'autorità del testo, dato che vede le sue parole come un'interpretazione che tenta di parlare con la forza del testo autorevole e non con la propria forza. Secondo Maimonide, nessun uomo può condividere l'autorità di Mosè, neanche nell'interpretazione del suo testo. Il paragone dell'interpretazione con le branche crea distanza e imposta una strattura di autorità tra le deduzioni dell'esegeta e le radici stesse: le parole di Mosè hanno lo status di 'de-Orayta''; le leggi dedotte da loro hanno lo status di legge rabbinica.<ref name="Hensh"/><ref name="Bertal"/>
 
==Fondamenta ed organizzazione==
[[File:William Blake - Moses Receiving the Law - Google Art Project.jpg|thumb|''Mosè riceve la Legge'' (disegno di [[w:William Blake|William Blake]], 1780)]]
La condizione speciale di Mosè nella concezione maimonidea della ''halakha'' è evidente in un'altra componente della sua filosofia halakhica: la relazione tra ''halakhah'' e profezia. Diverse discussioni talmudiche stabiliscono che "non è in cielo", che una volta che la Torah fu data a Mosè, nessun profeta ha il permesso di aggiungere o interpretare i comandamenti per via profetica. La Torah fu trasmessa dai saggi, che la interpretano in virtù di tradizioni ricevute o proprie facoltà di raziocinio. Quedsto principio aveva delle eccezioni nel Talmud stesso, e vari halakhisti cercarono supporto da illuminazioni divine nel determinare la ''halakhah''. Quindi, per esempio, esiste una raccolta di ''responsa'' di R. Jacob di Marvege intitolata ''Responsa dal cielo (She`elot u-Teshuvot min ha-Shamayim)''. Tra tutti gli halakhisti medievali, Maimonide differenzia in maniera del tutto inequivocabile tra la ''halakhah'' e la profezia. Inoltre, assegna a questa differenziazione un nuovo significato concettuale, che riguarda la sua concezione di autorità profetica.<ref name="Bertal1">Moshe Halbertal, ''Maimonides: Life and Thought'', Princeton University Press, 2013, pp. 126-133.</ref>
 
==Note==
<references/>
 
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