Guida maimonidea/Halakhah e comandamenti: differenze tra le versioni

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==Decodificazione e critica==
[[File:Rabbi Moses ben Nachman (Nahmanides) - Wall painting in Acre, Israel.jpg|thumb|250px|Affresco murale di Rabbi [[w:Moshe ben Nahman Girondi|Moshe ben Nahman Girondi]], noto come Nahmanide, con il nome catalano Bonastruc ça (de la) Porta e coll'acronimo ''Ramban'' (Girona, 1194 – Akko, 1269)]]
Il secondo principio dell'introduzione di Maimonide al ''Libro dei Comandamenti'' definisce ciò che fu dato al Sinai. In esso, Maimonide afferma: "Non tutto quello che deriva usando i [[w:Ermeneutica talmudica|tredici principi ermeneutici]] per interpretare la Torah, o per estensione, è degno di essere elencato." Ciò prosegue i fini della prima regola, cioè, isolare lo status della rivelazione di Mosè rispetto al resto del corpo halakhico come suo nucleo esclusivo, stabile e immutabile. Tuttavia le affermazioni che fa nella seconda regola vanno molto oltre sia in termini di audacia intellettuale che in termini della sua relazione alla letteratura talmudica.<ref name="Talmud">Israel Ta-Shma, ''Interpretation of the Talmud in Europe and North Africa, 1:1000-1200'', Magnes Press, 1999; vedi anche Hanina Ben Menachem, ''art. cit.'', pp. 95-106; Jacob Levinger, ''op. cit.'', ''ibid.''</ref> Per mezzo di questo principio, Maimonide tenta di allontanare non solo le profezie e le promulgazioni rabbiniche dall rivelazione a Mosé, ma anche la Torah di per se stessa dalla rispettiva interpretazione rabbinica. Maimonide asserisce che ciò che deriva usando i tredici principi ermeneutici della Torah Orale non è degno di essere elencato. Secondo la sua opinione, leggi che i saggi derivarono usando questi metodi di interpretazione non hanno lo status di comandamento enunciato a Mosè sul Monte Sinai, e non sono incluse nel suo conteggio dei comandamenti. Tali leggi sono considerate comandamenti rabbinici sebbene siano derivate attraverso l'interpretazione di versetti biblici. Lo status di ''"de-Orayta"'' viene assegnato solo a interpretazioni trasmesse da Mosè, non a leggi prodotte dai saggi.<ref name=Halbertal">M. Halbertal, ''op. cit.'', 2014, pp. 116-120.</ref>
 
Secondo Maimonide, la distinzioe tra interpretazioni date a Mosè sul Monte Sinai e quelle che i saggi crearono attraverso i loro sforzi intellettuali si basa sulla testimonianza dei saggi stessi. Dove i saggi indicano esplicitamente che la loro interpretazione è del "corpus della Torah" o ''"de-Orayta"'', vuol dire che essi la ricevettero come tradizione da Mosè, e dove non attestano ciò esplicitamente, la legge che ne risulta ha uno status rabbinico:
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Da un esame più attento, questa strutturazione della ''halakhah'' indica che, nell'ambito della vasta marea di interpretazioni e controversie presenti nel Talmud, Maimonide tentò di isolarne uno strato di leggi ricevute indisputabili. Egli asserisce che soltanto questo strato ha la condizione di ''de-Orayta'' e soltanto se fu dato a Mosè sul Sinai. Il tentativo di Maimonide di formulare questo nucleo del corpus halakhico impone un'altra distinzione sul contenuto del Talmud: la distinzione tra interpretazioni ricevute e interpretazioni che non furono ricevute. Il Talmud distingue tra interpretazioni genuine e testo ad interpretazione libera — ''"asmakhta"''. In contesti specifici, un'interpretazione viene introdotta solo per fornire un supporto testuale ad una promulgazione o decreto rabbinci; in tali casi, chiamati ''asmakhta'', la presenza di un'interpretazione biblica non comprova l'origine biblica della legge. Tuttavia la distinzione tra interpretazioni ricevute ed interpretazioni che non furono ricevute, e l'affermazione che tale distinzione determina se un ''halakhah'' sia ''de-Orayta'' o meno, non si trova nel Talmud. Nel Talmud, una norma che deriva tramite interpretazione basata su uno dei tredici principi ermeneutici è considerata avente lo status di ''de-Orayta'', anche se non fu trasmessa dal Sinai. Se, come succede occasionalmente nel Talmud, tale interpretazione non garantisce lo status di ''de-Orayta'' alla ''halakhah'', ciò significa che questa interpretazione è una ''asmakhta'' e non un'interpretazione genuina.<ref name=Halbertal">M. Halbertal, ''op. cit.'', 2014, p. 119.</ref><ref name="Sinai"/>
 
La determinazione di Maimonide che le leggi basate sui tredici principi ermeneutici hanno status rabbinico provocò uno shock tra gli halakhisti del suo tempo. Pinẖas il Giudice chiese spiegazioni a Maimonide su questa materia (''Responsa Rambam'', nr. 355), ed egli ribadì il principio che una legge derivata da metodi di interpretazione ed analogia non è ''de-Orayta'' a meno che non sia dichiarato esplicitamente. Nel ''responsum'', egli rimandò Pinẖas alle regole all'inizio del ''Libro dei Comandamenti'' affinché ottenesse una migliore comprensione della sua posizione.<ref name="Sinai"/>
 
L'approccio di Maimonide all'interpretazione rabbinica istigò una delle critiche più dure da parte di [[w:Nahmanide|Nahmanide]] nelle sue glosse al ''Libro dei Comandamenti'', pur stimando altamente il Maestro. Alla fine di un'obiezione prolungata contro questa regola, Nahmanide scrisse:
{{q|Sono consapevole del fatto che molti altri passi talmudici contraddicono le parole del Maestro [Maimonide]. Ma il contenuto dell'opera del maestro è piacevole e totalmente dilettevole — ad eccezione di questa regola, che sradica le grandi montagne del Talmud e demolisce le mura fortificate della Gemara; per gli studenti del Talmud, questa materia è cattiva ed amara. Lasciamola perdere e non parliamone.|''Libro dei Comandamenti con Glosse di Nahmanide'', secondo principio)}}
 
Secondo Nahmanide, le leggi desunte usando i tredici principi ermeneutici hanno lo status ''de-Orayta'' nella letteratura talmudica. Ribadisce questo principio svariate volte: "Non abbiamo trovato tale opinione tra i saggi, per i quali i principi eremeneutici erano come materie espresse esplicitamente nella Torah, sebbene essi possano desumere indipendentemete queste materie" (''Ibid.''); ed in seguito: "poiché questi principi ermeneutici sono come materie affermate esplicitamente nella Torah."
 
Nahmanide rinforza la sua affermazione con vaste quantità di prove dal Talmud ed indica le autocontraddizioni di Maimonide risultanti dalla discrepanza tra il principio espresso nella seconda regola e i suoi verdetti basati sulle fonti talmudiche. La sua serie di prove porta Nahmanide a rovesciare la regola di Maimonide: "Pertanto dobbiamo dire il contrario, che tutto ciò che deriva nel Talmud da uno dei tredici principi ermeneutici è ''de-Orayta'' a meno che essi dicano che è una ''asmakhta''" (''Ibid.'', p. 34). Ovunque il Talmud desuma esegeticamente una ''halakhah'', si suppone che sia ''de-Orayta'', a meno che non venga dichiarato esplicitamente che è una ''asmakhta''. Oltre all'incompatibilità della posizione di Maimonide con le fonti talmudiche, Nahmanide solleva un problema concettuale interno con l'interpretazione maimonidea:
{{q|''Stupenda per me la tua saggezza, troppo alta, e io non la comprendo'' (Salmi 139:6). Dato che se diciamo che i principi ermeneutici non furono ricevuti dal Sinai, non fummo comandati di interpretare e spiegare la Torah con quelli. Se è così, essi non sono veri, e la verità sta nel significato diretto del versetto, non nel significato interpretato, come citato dal detto dei saggi, che un versetto non devia dal suo significato diretto. Avremo pertanto tagliato la radice della nostra accettazione tradizionale dei tredici principi ermeneutici come anche la maggior parte del Talmud, che si fonda su di essi. Tuttavia [Maimonide] ribadisce che ciò non significa che non siano veri. Ma se allora sono proprio veri, perché distinguere tra dove i [saggi] lo menzionano esplicitamente e dove non dicono niente? Poiché, se crediamo che una volta che qualcosa non è scritta [direttamente] nella Torah, non viene inclusa nei comandamenti, anche quelle materie citate nel Talmud come ''de-Orayta'' che furono derivate per estensione o analogia, non furono scritte.|''Ibid.''}}
 
Nahmanide formulò il problema concettuale come argomento casuale: se maimonide crede che quella interpretazione rabbinica non è vera interpretazione, e non è considerata vera parola della Torah, egli rischia di minare l'autorità della ''halakhah'' nel suo complesso. E se le interpretazioni rabbiniche sono vere e proprie, perché non dovrebbero avere lo status di interpretazioni desunte biblicamente? Nahmanide sottolineò che Maimonide stesso aveva affermato di non basare la sua posizione sull'inaffidabilità delle interpretazioni rabbiniche o di sostenere che sono tutte solo ''asmakhta'': "Affinché non pensiate che siamo preclusi dall'elencarle perché sono incerte, e la legge desunta usando quel principio è forse esatta e forse no — questa non è la ragione.|''Libro dei Comandamenti'', p. 13}}
 
Se questa è la spiegazione di Maimonide, allora la seguente domanda concettuale può essere posta: come si può simultaneamente considerare un'interpretazione corretta e tuttavia affermare che non abbia lo status legale del testo che interpreta? Inoltre, le glosse di Nahmanide dimostrano il grande divario tra la posizione di Maimonide e la discussione del Talmud. Maimonide era ben consapevole di questi problemi e delle contraddizioni interne che scaturivano dalle costrizioni imposte dalla sua seconda regola. Perché allora vide ciò come fondamentale per il suo metodo? Alternativamente, perché costruì il suo approccio alla ''halakhah'' in modo tale che vaste porzioni potessero essere in opposizione alle categorie che egli impose al materiale? Ed infine, quale modello esegetico consiglia Maimonide per risolvere il problema concettuale sollevato da Nahmanide?<ref>L'argomento trattato per risolvere la questione qui posta, viene affrontato nel capitolo seguente. Cfr. anche Jacob Levinger, ''Maimonides Halakhic Thinking'', Magnes Press, 1965, pp. 67-101; e M. Halbertal, ''op. cit.'', p. 120.</ref>
 
==Note==
<references/>
 
{{Avanzamento|50100%|2021 ottobre 2014}}
[[Categoria:Guida maimonidea|Halakhah e comandamenti]]