Prontuario di diritto romano/I vizi della volontà: differenze tra le versioni

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Nella dizione originale, l'''<nowiki>actio metus</nowiki>'' era detta ''«actio metus ac vis causa»'', ma poi il termine ''vis'' fu abolito. Consisteva nella richiesta del quadruplo della prestazione eseguita sotto minaccia, o del quadruplo del danno subito. Tale azione spettava non solo contro l'autore o il mandante della ''vis compulsiva'', ma anche contro chiunque avesse abusato o acquisito o goduto della cosa frutto della violenza. Il convenuto poteva liberarsi restituendo la cosa.</br>
La tutela della vittima del ''metus'' si inquadrava nell'attività del pretore diretta a reprimere qualsiasi forma di dolo o violenza; a proposito del ''metus'', Labeone diceva che esso "non è qualsivoglia timore, ma il timore di un male più grave" (cfr. art. 1435 Codice civile vigente).
 
==Il ''dolus''==
 
Ultimo vizio della volontà riconosciuto dallo ''ius civile'' era il ''dolus malus'', cioè il contegno malizioso che, in un negozio bilaterale, trae in inganno la controparte. Anche qui in fondo si riconosceva l'esigenza sociale di tutelare chi era stato raggirato, e di difendere l'individuo da certi errori che di per sé sarebbero stati irrilevanti ma che (se causati da dolo) rendevano il negozio attaccabile.</br>
Anche la repressione del dolo fu opera del diritto pretorio: Cicerone diceva che fu iniziativa del giurista Aquilio Gallo, che redasse la ''Lex Aquilia''.</br>
Famosa è la definizione del dolo fornita da Labeone: "ogni astuzia, inganno, macchinazione, tesi ad ingannare, circonvenire, imbrogliare".</br>
Nel Digesto si legge: "distinguiamo il dolo ''causam dans'', quando senza il raggiro (il negozio) non si sarebbe stipulato, e il dolo ''incidens'' quando l'artifizio non è stato l'unica causa della stipulazione". Ma entrambe le forme di dolo erano considerate causa di annullabilità del negozio.</br>
Lo ''ius honorarium'' concesse come rimedio l' ''actio doli'' e l' ''exceptio doli'': la prima era esperibile dalla vittima del raggiro quando aveva già adempiuto la propria prestazione e mirava ad ottenerne la restituzione. L' ''actio doli'' era un'azione penale infamante, caratterizzata dall'intrasmissibilità passiva e dall'esperibilità entro un anno dal raggiro. A discrezione del pretore, poteva essere concessa l' ''actio in factum'', non infamante, sia dopo un anno dal raggiro, sia contro gli eredi dell'autore del dolo.</br>
Dalle parole di Ulpiano ("l'editto pretorio ha anche tali parole: giudicherò quelle cose fatte con frode, se intorno ad esse non vi sarà altra azione giudiziaria e se la cosa mi sembrerà opportuna") si deduce che l'''<nowiki>actio doli</nowiki>'' aveva carattere sussidiario, in quanto promovibile solo in mancanza di altri rimedi; la giurisprudenza la ritenne applicabile anche nel caso in cui il dolo fosse stato conseguente alla formazione del negozio.</br>
L'''<nowiki>exceptio doli</nowiki>'' era invece opponibile a chi dopo aver agito col dolo) chiedeva l'adempimento del negozio: anche qui si distingueva una ''exceptio doli specialis seu praeteriti'' per il dolo commesso al tempo della conclusione del negozio, ed una ''exceptio doli generalis seu praesentis'' per il dolo commesso in un momento successivo (di più larga applicazione).