Guida maimonidea/Maghreb e Terra Santa: differenze tra le versioni

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L'intensità delle tribolazioni sopportate dagli ebrei maghrebini è evidenziata da una terrificante lettera inviata da Fustat nel 1148. La scrisse Solomon ben Judah Hakohen di Sijilmasa, un profugo del Maghreb, a suo padre, le cui attività commerciali l'avevano condotto a Mirbat, una città portuale della punta meridionale della Penisola Araba sull'Oceano Indiano:
{{q|Tu vorrai sapere notizie del Maghreb, che faranno bruciare le orecchie di tutti coloro che le sentiranno... Dopo ciò, egli [Abd al-Mu`min] conquistò Tlemcen e uccise tutti coloro che vi risiedevano eccetto quelli che trasgredirono [cioè, che si convertirono all'Islam]... Dopo esser entrato in città [Sijilmasa], radunò tutti gli ebrei ed offrì loro l'opzione di trasgredire [convertirsi all'Islam], e dopo sette mesi di pressioni, durante i quali essi [gli ebrei] pregarono e digiunarono, uno dei suoi ufficiali venne e richiese che trasgredissero. Loro si rifiutarono, e centocinquanta ebrei furono trucidati per l'unità del Nome di Dio... e il resto trasgredì.ì Il primo dei trasgressori fu Joseph ben `Imran, il ''dayyan'' di Sijilmasa. Per questo io mi lamento e piango... E le comunità del Maghreb furono tutte distrutte a causa dei loro peccati; nessuno rimase... che portasse un nome ebreo. Coloro che furono uccisi furono uccisi, e coloro che trasgredirono trasgredirono.|Haim Hirshberg, "On the decrees of the Almohads and the Trade with India: A Letter from 1148"<ref>Haim Zeev Hirshberg, "On the decrees of the Almohads and the Trade with India: A Letter from 1148", ''Isaac Beer Jubilee Book'', Israel Historical Society, 1961, pp. 134-135, in ebraico.</ref>}}
 
Le conquiste degli Almohadi guidati da Abd al-Mu`min distruzzero le comunità ebraiche del Maghreb. Alcuni ebrei morirono nel resistere la conversione forzata; altri accettarono l'Islam sotto pressione, continuando a vivere come ebrei in segreto (tra loro il rabbino della comunità di Sijilmasa, Joseph ben `Imran, e anche il succitato Joseph ben Aknin); ed altri ancora fuggirono al di là del dominio almohade. La dinastia degli Almohadi cercò di creare un'estensione territoriale senza ebrei né cristiani, rifiutando la veduta tradizionale mussulmana che il "popolo del libro" — ebrei e cristiani — fossero ''dhimmis'', con diritto a protezione. Secondo gli storici mussulmani del tempo, agli ebrei che accettarono i dettami dell'Islam non vennero acùùcordata la stessa condizione sociale dei mussulmani. Gli Almohadi confiscarono proprietà, negarono i diritti di commercio, rapirono bambini ebrei per farli crescere cvome mussulmani, e pretesero che gli ebrei indossassero indumenti speciali che li distinguessero come stranieri e inferiori.<ref name="Kraemer1">Joel L. Kraemer, ''Maimonides. The Life and World of One of Civilization's Greatest Minds'', Doubleday, 2010, Parte II, pp. 83-124.</ref>
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Il resoconto di Ibn al-Qifti provocò un gran putiferio tra gli studiosi maimonidei. La conversione all'Islam di uno dei principali halakhisti post-talmudici, anche se sotto pressione, era una notizia sensazionale. Ma la nota di Ibn al-Qifti è unica e non corroborata da altre fonti indipendenti note a tutt'oggi ed è tutta da provare. Se il resoconto fosse accurato, non avrebbe potuto essere negato facilmente, poiché Maimonide era già una figura prominente e rinomata nel Maghreb. Se la conversione all'Islam di un personaggio marginale come il rabbino di Sijilmasa venne conosciuta in tutta la regione, un simile atto da parte di Maimonide e della sua famiglia a maggior ragione sarebbe stato più che risaputo, anche se i sostenitori di Maimonide avessere cercato di nasconderlo.<ref name="Halbertal1"/> Inoltre, i profughi delle persecuzioni vagavano per tutto il Nordafrica, e molti di loro raggiunsero l'Egitto. Se Maimonide si fosse veramente convertito sotto pressione, molte persone ne avrebbero approfittato e usato tale fatto contro di lui. Maimonide aveva numerosi nemici in Egitto e Babilonia, che sarebbero stati più che felici di usare tali informazioni per minare la sua autorità halakhica e spirituale una volta per tutte. D'altra parte, Maimonide stesso fu dell'opinione, come si vedrà più avanti, che un ebreo obbligato a diventare mussulmano poteva farlo piuttosto che venire ucciso. È quindi concepibile che Maimonide, se si fosse trovato a dover decidere sotto pena di morte, avrebbe potuto scegliere di dichiarare fede all'Islam, salvandosi quindi la vita, per poi fuggire in una località dove poteva apertamente dichiararsi ebreo. Tuttavia, dato che Ibn al-Qifti, come specificato, rimane la sola fonte di questa storia, uno può certamente rimanere scettico del suo resoconto.
 
La condizione degli ebrei che si erano convertiti coercitivamente ma erano rimasti ebrei in segreto divenne una materia alquanto controversa, e Maimonide ne venne coinvolto mentre si trovava ancora nel Maghreb. Il problema verteva sulla questione se un ebreo potesse scegliere di rimanere in vita simulando un'apparenza mussulmana fintanto che il furore fosse passato. La faccenda si complicava se tale ebreo avesse scelto di morire piuttosto che accettare l'Islam, per il fatto che i suoi figli sopravvissuti sarebbero stati allevati come mussulmani. Un ''responsum'' di autore sconosciuto e che era molto diffuso nel Maghreb asseriva decisamente che l'Islam era idolatria e che uno doveva rinunciare alla vita piuttosto che dichiararne fede. Tale dichiarazione, denominata ''shahada'' in arabo, richiedeva che l'ebreo attestasse che non esisteva altro dio all'infuori di Allah e che Muhammad era il Suo profeta. Il suddetto ''responsum'' equiparava ciò all'accettazione dell'idolatria, secondo la regola talmudica di "essere uccisi piuttosto che trasgredire"; ed un tribunale ebraico poteva imporre la pena capitale a colui che avesse scelto di trasgredire per salvarsi la vita.<ref>Chiaramente, non c'era scampo! Situazione tipo "tra incudine e martello" o "dalla padella alla brace", tanto per usare qualche cliché.</ref> Inoltre, il verdetto sosteneva che qualsiasi comandamento della Torah ottemperato in segreto da uno che si è convertito non ha nessun valore, e poiché ha abbandonato la comunità di Israele, las sua preghiera è repellente: "Uno che pronuncia quella confessione è un pagano, anche se adempie l'intera legge pubblicamente e privatamente... Se uno dei convertiti forzati entra in una delle loro case di preghiera [cioé, una moschea], anche se non dice parola, e poi va a casa e offre le proprie preghiere, tali preghiere sono contate contro di lui come peccati aggiuntivi e trasgressioni." (''Lettera sul martirio'', p. 16).<ref name="Iggeret">Maimonide, ''Lettera sul martirio'', vers. ingl. in Abraham Halkin & David Hartman, ''Epistles of Maimonides: Crisis and Leadership'', Jewish Publication Society, 1985, pp. 15-45.</ref> Questo ''responsum'' respingeva fermamente tutti coloro che nel Maghreb si erano convertiti coercitivamente, estromettendoli dalla comunità di Israele. Negava loro qualsiasi prospettiva di collegamento continuativo con l'Ebraismo, anche parziale, e recideva totalmente le loro connessioni con Israele. Prima ancora di essere conosciuto quale autorità prominente ed definitiva, Maimonide rispose a tale sentenza nella sua ''Lettera sul martirio (Iggeret ha-shemad)''.<ref name="Iggeret"/>
La condizione degli ebrei che si erano convertiti coercitivamente ma erano rimasti ebrei in segreto divenne una materia alquanto controversa, e Maimonide ne venne coinvolto mentre si trovava ancora nel Maghreb.
 
==Note==