Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/Ai bordi dell'Europa: la scena italiana: differenze tra le versioni

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Tuttavia, fino alle guerre napoleoniche, gli ebrei italiani in tutti i vari staterelli dove era stato loro permesso di stabilirsi (per esempio, non nel Regno di Napoli), furono un elemento distinto nell'ambito territoriale, separati su base religiosa dai cattolici. Il primo ghetto fu creato a Venezia nel 1516, e l'Italia del postrinascimento vide una fuga di ebrei a causa dell'intolleranza e delle restrizioni proibitive. Per esempio, dalla metà del XVII secolo alla metà del XVIII secolo, gli ebrei di Venezia diminuirono in numero da 5000 a 1500 residenti. L'apice di tali deprivazioni fu l'"Editto sopra gli ebrei" di Pio VI del 1775, che "riassumeva in quarantaquattro clausole, una più degradante dell'altra, tutte le misure persecutorie dei suoi predecessori."<ref name="italebrei"/> Tuttavia, come l'Impero Austriaco stava subendo cambiamenti, così anche succedeva per i possedimenti austriaci in Italia. Il ''Toleranz-Patent'' dell'imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena, emesso nel 1781, offriva agli ebrei dell'Impero condizioni modificate sebbene condizionali; ed in seguito, un'altra grande potenza europea, la Francia, invase l'Italia e ne occupò una parte. I "Diritti dell'uomo" della Francia rivoluzionaria furono abbracciati entusiasticamente dagli ebrei italiani, che sostennero l'invasore. Gli ebrei adottarono quindi il titolo di "cittadino" e le porte dei ghetti cominciarono a cadere (nel vero senso della parola).<ref name="italebrei"/>
 
Dopo l';inversione di marcia degli anni 1820 e 1830, seguiti dalle rivoluzioni abortite del 1848, il Liberalismo venne intronizzato con la cristallizzazione e unificazione del nuovo Regno d'Italia sotto Vittorio Emanuele II, a partire dalla metà di quel secolo. Vari territori vennero gradualmente incorporati nel Regno, incluso quello della più grande città e dimora della maggiore comunità ebraica, Roma, nel 1867, quando fu nominata capitale dell'Italia unita.<ref name="italebrei"/>
 
[[File:Corriere testata 1938.jpg|thumb|left|300px|''Corriere della Sera'': prima pagina del giorno in cui passarono le leggi razziali, nel 1938]]
Da quel momento, gli ebrei furono talmente allineati con lo spirito nazionale che molti aderirono al Partito Fascista quando fu fondato nel 1919. La posizione di Mussolini fu in genere considerata non razzista e non antisemita, ma al terzo Congresso del 1921 ebbe a dichiarare: "Voglio che si sappia che per il Fascismo la questione razziale è di grande importanza. I fascisti devono fare tutto il possibile per mantenere intatta la purezza della razza, poiché è la razza che crea la storia."<ref name="italebrei"/> Con l'ascesa del Fascismo la condizione degli ebrei mutò drammaticamente: le associazioni comunitarie furono rese obbligatorie nel 1930 e, dal 1936, il Fascismo si avvicinò maggiormente al Nazismo quando la Germania sostenne l'invasione dell'Abissinia da parte dell'Italia. Nel 1938 leggi razziali vennero introdotte in Italia sul modelle di quelle di Norimberga: "Una delle caratteristiche più terribili della persecuzione fu la sua immediatezza. In Germania, suolo preparato da generazioni di propaganda velenosa, c'erano voluti quattro anni per ridurre gli ebrei nella condizione critica in cui ora si trovavano; in Italia lo stesso avvenne quasi in giornata."<ref name="italebrei"/> L'Italia entrò in guerra quale alleato dei nazisti il 10 giugno 1940, ma dopo la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943, la Germania, piuttosto che ritirarsi, intensificò la sua occupazione — ed iniziarono i noti avvenimenti di massacro ebraico. Nel tardo 1943 iniziarono le deportazioni della popolazione ebraica di Roma e del Norditalia verso i campi di sterminio. Tuttavia "meno di 8000 morti possono essere comprovate tra gli ebrei che i tedeschi deportarono dall'Italia. Più di 5/6 della popolazione ebraica stimata a circa 52000 persone nel 1939, sopravvissero alla guerra."<ref name="Reit">Gerald Reitlinger, ''Final Solution: Attempt to Exterminate the Jews of Europe, 1939-45'', Vallentine Mitchell & Co., ed. rived. 1968. Cfr. anche Martin Gilbert, ''The Holocaust'', HarperCollins, 1989; Raul Hillberg, ''The Destruction of the European Jews'', Holmes & Meier Publishers, ediz. minore, 1986.</ref>
 
Necessariamente, la letteratura discussa in questo capitolo è quella dei sopravvissuti. Direttamente o indirettamente, si esaminerà la storia di questa antica comunità in tempi moderni, così profondamente radicata nella vita della nazione e tuttavia traumatizzata dalla consapevolezza della separazione. Qui si tratta di un prodotto totalmente italiano, erede di un patrimonio ebraico ancor più antico. Nel ventesimo secolo, l'aspetto ebraico fu culturalmente periferico sebbene storicamente decisivo. Il destino ebraico era ora un destino umano piuttosto che uno di tipo specifico etnico o religioso. L'ebraismo italiano, per misura e associazione culturale con la nazione ospitante, fu chiaramente una tendenza moderna — sebbene più ridotta di tante altre comunità ebraiche, non fu meno significativa. Non ha condiviso l'orrore totale delle altre in Europa per svariate ragioni, ma ne è stata più che segnata. E questo è quando interviene la sua specificità: parte integrale della splendida storia d'Italia, ha anche un'altra storia. La letteratura degli ebrei italiani non viene più scritta, seppur parzialmente, in ebraico ma, nella sua italianità, quale che ne sia la tematica, mantiene le precorse caratteristiche.<ref name="LettEbr">Laura Quercioli Mincer, ''Patrie dei superstiti. Letteratura ebraica del dopoguerra in Italia e in Polonia'', Lithos,2010; si veda anche Roberto Bonfil & Maria Mayer (curatori), ''Italia : studi e ricerche sulla cultura e sulla letteratura degli ebrei d'Italia'', Vol. 1 Nr. 1, Universita Ebraica Gerusalemme - Istituto di lingue e letterature, 1976.</ref>
 
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