Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/Al centro della rivoluzione: Russia: differenze tra le versioni

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[[File:BORIS BESIDE THE BALTIC AT MEREKULE, 1910 by L.Pasternak.jpg|thumb|Ritratto di Boris Pasternak, eseguito dal padre Leonid nel 1910]]
Per molti aspetti, '''Boris Pasternak''' (1890-1960)<ref name="Boris">Boris Leonidovič Pasternak (in russo: Борис Леонидович Пастернак; Mosca, 10 febbraio 1890 – Peredelkino, 30 maggio 1960) è stato un poeta e scrittore russo, Premio Nobel nel 1958. Dopo la seconda guerra mondiale Pasternak mise mano al suo primo e unico romanzo, ''Il dottor Živago'' (Доктор Живаго). Il romanzo venne rifiutato dall'Unione degli Scrittori che ai tempi del regime bolscevico-stalinista non poteva permettere la pubblicazione di un libro che, fortemente autobiografico, raccontava i lati più oscuri della Rivoluzione d'ottobre. La stesura dell'opera, che fu bandita dal governo, fu causa per l'autore di persecuzioni intellettuali da parte del regime e dei servizi segreti che lo costrinsero negli ultimi anni della sua vita alla povertà e all'isolamento. Ad ogni modo il manoscritto riuscì a superare i confini sovietici e il libro, nel 1957, venne pubblicato per la prima volta in Italia, tra molte difficoltà, dalla casa editrice Feltrinelli in una edizione diventata poi storica, di cui subito parlò il critico letterario Francesco Bruno. Il libro si diffonderà in occidente e nel giro di pochissimo tempo, tradotto in più lingue, diventerà il simbolo della testimonianza della realtà sovietica.
Nel 1958, ''Il dottor Živago'' frutterà a Pasternak l'assegnazione del Premio Nobel per la letteratura. Tra le altre sue opere sono da segnalare anche diverse raccolte di poesie, alcune delle quali raccolte nel volume ''Autobiografia e nuovi versi'', che poté pubblicare per la prima volta solo in Italia, e ''Il salvacondotto'', sorta di opera autobiografica riferibile non tanto alle vicende della sua vita quanto alla sua vocazione intellettuale. Cfr. la biografia {{cita web|url=http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/biography/Pasternak.html |titolo=''Boris Leonidovich Pasternak Biography'' |editore=Jewishvirtuallibrary.org |data= |accesso=1 settembre 01/09/2014}}</ref> assomiglia a Osip Mandelstam.<ref name="Lazar">Lazar Fleishman, ''Boris Pasternak: The Poet and His Politics'', Harvard University Press, 2013, pp. 264–266.</ref> Loro stessi si consideravano tipi di poeta molto diversi.<ref>Si veda il resoconto della famosa conversazione tra Stalin e Pasternak su Mandelstam. Stalin chiese l'opinione di Pasternak sul collega, dopo che Mandelstam era stato notato negativamente. Pasternak sottolineò la differenza di carattere poetico tra di loro, sebbene confermasse la qualità di Mandelstam. Cfr. Fleishman, ''Boris Pasternak: The Poet and His Politics, cit.'', p. 44.</ref> Tuttavia entrambi possedevano un base di Simbolismo, entrambi enfatizzavano l'uso dell'immagine, entrambi affermavano i valori individuali di fronte alla pressione dello Stato, entrambi furono inclusi nelle liste di "disapprovazione ufficiale" delle Autorità dalla fine degli anni '30 in poi, ed entrambi avevano un'estrazione ebraica, rigettandola però in vari modi.<ref name="Lazar"/> Pasternak fu lo scrittore più prolifico tra i due, principalmente un poeta.<ref name="Poesie">Si vedano alcune sue poesie in trad. ital. su [http://vagheggiando.blogspot.co.uk/2006/05/citazioni-da-pasternak.html ''Citazioni & Poesie di Pasternak''].<small>URL consultato 02/09/2014</small></ref>
:''In ogni cosa ho voglia di arrivare</br>
:''sino alla sostanza.</br>
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Che il popolo sovietico non fu mai schiavo è da discutersi, in base ai resoconti di ciò che accadde in quel regime. La già citata '''Eugenia Ginzburg''' (1904-1977), sedicente comunista leninista, narra nel suo ''Viaggio nella vertigine'' (1967) le sue orrende esperienze — diciotto anni in prigione e campi di lavoro senza una ragione particolare. Poiché venne riabilitata insieme a molti altri nel 1956, può forse permettersi di affermare che lo stalinismo fosse un'aberrazione transitoria da sussumersi sotto il titolo "culto della personalità": per lei rappresentò qualcosa che "fu e mai più sarà". Nel testo pare rallegrarsi della situazione che "ora sia possibile dire a tutti cosa successe allora". Solo che il suo resoconto non fu mai pubblicato nell'USSR: dovette essere fatto uscire di straforo, a sua insaputa, e pubblicato inizialmente a Milano nel 1967.<ref name="Memorial">Si veda la recensione del libro a [http://www.memorialitalia.it/2011/05/03/evgenija-ginzburg-viaggio-nella-vertigine/ ''Memorial'' - "Evgenija Ginzburg, Viaggio nella vertigine"], di Stefano Garzonio, “Il Manifesto”, 1 maggio 2011.</ref> La sua testimonianza degli orrori dello stalinismo sembrano convincenti e confermano altri resoconti. Per lei, il 1934 fu l'inizio di quel periodo che raggiunse il suo apice con i processi-farsa del 1936 e 1937. In quella prima fase, Ginzburg afferma di se stessa: "Non avevo il minimo dubbio che la linea di partito fosse quella giusta"; l'unica sua riserva riguardava la personalità di Stalin stesso, che ella rifiutava di riverire. Altri, anche coloro che erano stati condannati ingiustamente "riuscivano stranamente a combinare un sano giudizio di ciò che stava accadendo, con un culto personale veramente mistico di Stalin." L'autrice non scorge l'ironia nel suo rifiuto dello stalinismo a favore del leninismo, sebbene Lenin sia stato il creatore del sistema sotto il quale Ginzburg stessa aveva sofferto così tanto. Tuttavia il suo resoconto afferma i valori umani, la centralità dell'individuo, il valore della poesia, fornendo inoltre molte informazioni. Di fatto, comunque, il "sistema" che torturò e schiavizzò la popolazione e soppresse la libera espressione aveva preceduto Stalin e lo sopravvisse. Mandelstam, Pasternak, Babel, Solzhenitsyn e la stessa Ginzburg (per citare solo alcuni esempi) furono pubblicati e letti nel mondo esterno, ma mai nell'Unione Sovietica finché esistette.<ref name="Hingley"/>
 
[[File:Ilf Petrov.jpg|thumb|Ilf sulla sinistra, in compagnia di Evgenij Petrov]]
C'è quindi da esser grati che, nonostante tutto, siano sopravvissuti e siano stati pubblicati così tanti scritti e di così grande qualità. Il contributo ebraico è evidente, per quanto sempre frenato, a volte represso, inaspettatamente accetto per brevi periodi, e ambivalentemente problematico. Una delle grandi opere di umorismo sovietico, ''Le dodici sedie'' (1928),<ref>Traduzione italiana: Il'ja Arnol'dovič Il'f, Evgenij Petrovič Petrov, ''Le dodici sedie'', Rizzoli Editore (BUR) 1993.</ref> fu scritto da un ebreo, '''Ilya Ilf''' (1897-1937) in collaborazione con Evgenij Petrov (1903–1942). Anche Ilf originò da quel centro di risorse della cultura ebraica che era Odessa, ed introduce un'abbondanza di folklore ebraico nel suo racconto del giovane astuto e giramondo Ostap Bender. Bender afferma: "Nessuno ci ama, ad eccezione del Dipartimento Investigativo Criminale, che pure non ci ama." E scrive un necrologio immaginario per se stesso: "Ha amato e sofferto. Amava il denaro e soffriva per la sua mancanza." Lo humour è grottesco, mentre la trama si sviluppa in modi imprevisti verso direzioni essenzialmente improbabili. Nel 1927 in Russia l'umile impiegato Ippolit Vorob'janinov, proveniente dalla cittadina di provincia di Stargorod, viene a scoprire che l'anziana suocera ha lasciato in punto di morte un'enorme eredità. Si tratta di un'enorme quantità di diamanti seppelliti nell'imbottitura ricoperta di raso di un antico servizio di dodici sedie da salotto. Ippolit vorrebbe sapere qual è la sedia giusta, ma la donna morendo ha portato il segreto con sé nella tomba. Come se non bastasse alcune sedie vengono pignorate dalla polizia e essendo antiche e di grande valore vengono esposte in un famoso museo di Mosca. Sulle tracce delle dodici sedie si mette anche il prete ortodosso Padre Fёdor, un uomo eccentrico, gaudente ed estremamente attaccato al denaro, che aveva saputo dei diamanti attraverso la confessione della proprietaria. Dopo un primo scontro tra Padre Fёdor ed Ippolit, da cui escono entrambi malconci e con una sedia rotta, ma senza i diamanti, Vorob'janinov si mette in affari con il giovane astuto e giramondo Ostap Bender, per ricercare le sedie al museo. Ve ne sono almeno sette e i due compari le distruggono tutte, sperando di trovare la refurtiva nelle imbottiture dei cuscini, ma niente. E intanto Padre Fёdor si trova sempre sulle loro tracce, per poi mettersi da solo alla ricerca delle sedie restanti, giungendo in case di nobili e venendo preso a calci da contadini. Nella ricerca delle altre sedie, i pasticcioni Ippolit e Ostap arrivano persino a corrompere giudici, archivisti e a finire in una compagnia teatrale inglese in tournée, finendo sempre nei pasticci e non trovando mai quel che cercano. Alla fine, mentre Padre Fёdor si ritira dalla ricerca dopo aver cercato addirittura di ammazzarsi per il fallimento, i due protagonisti si avviano alla ricerca dei diamanti sempre più a fondo nella sconfinata Russia, sopportando fatica e freddo dell'inverno. Alla fine, superate persino le pendici del Caucaso, Ostap e Ippolit giungono in un'umile pensione di Mosca per ristorarsi. Lì Ippolit, sfinito e disgustato dai continui comandi e rimproveri di Ostap e desideroso di non spartire con lui il bottino, gli taglia la gola con un rasoio. Nel nuovo Club per gli addetti ferroviari della città Vorob'janinov scopre quindi l'ultima sedia del famoso servizio della suocera. La sonda, ma non trova nulla, finché il guardiano non rivela a Ippolit che mesi prima gli era capitato di distruggere senza volerlo una sedia uguale, trovando i diamanti e i gioielli. Usò questi ultimi per sostenere la costruzione del nuovo Club. Sfinito e in preda alla povertà, a Ippolit non resta che guadagnarsi da vivere mendicando e fingendo, in maniera buffa, di avere attacchi epilettici.<ref>[https://it.wikipedia.org/wiki/Le_dodici_sedie Cfr. Wikipedia ''s.v.'' ''"Le dodici sedie"''.]</ref> Nell'immediata euforia poststalinista del "disgelo" (termine coniato da Ehreburg), quest'opera venne ristampata in un'edizione di 200000 copie.<ref>Si veda [http://lib.ru/ILFPETROV/ilf_petrov_12_chairs_engl.txt testo e commento alla trad. inglese], su ''Lib.RU''</ref> La storia è stata più volte trasposta in film, dai registi Nicolas Gessner, Mel Brooks, Monty Banks, Carlo Mazzacurati ed altri.
 
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