Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/Al centro della rivoluzione: Russia: differenze tra le versioni

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[[File:NKVD Mandelstam.jpg|thumb|left|Osip Mandelstam schedato dall'NKVD dopo il suo arresto]]
A volte tuttavia la pressione fisica dell'immediato presente è troppo gravosa. Persino Mandelstam fu disposto nel 1936 a scrivere un'ode a Stalin per poter cercare di salvare sua moglie e, quindi, la propria poesia (si deve notare infatti che, se non fosse stato per Nadezhda, la poesia di Mandelstam non sarebbe sopravvissuta).<ref name="Coetzee">J.M. Coetzee, "Osip Mandelstam and the Stalin Ode", ''Representations'', No.35, Special Issue: ''Monumental Histories'', 1991), pp. 72–83.</ref> Nadezhda scrive: "Ogniqualvolta che, ad un certo punto, si presentano in una forma particolarmente intensa il terrore mortale e la pressione di problemi totalmente insolvibili, le questioni generali sulla natura dell'essere passano in secondo piano. Come possiamo restare stupiti davanti alle forze della natura e alle leggi eterne dell'esistenza, se un tipo di terrore mondano viene sentito così tangibilmente nella vita di tutti i giorni?" Nadezhda vive in gran parte nella sfera pubblica. La vita negli anni 1930 era cambiata ed aveva cambiato la gente. Anche la natura della felicità era cambiata: "Abbiamo perso la capacità di essere gioiosi spontaneamente e non ritorneremo ad esserlo mai più." Sebbene si dovette rinunciare anche alla miseria pubblica, perché lo scontento poteva implicare controrivoluzionarismo. Come fa la scrittrice Eugenia Ginzburg, Nadezhda asserisce che le donne sopravvivono meglio a lungo termine: "Gli uomini sembravano più forti e sopportarono i primi shock, ma poi il loro cuore cedette e pochi sopravvissero fino ai settant'anni." Il Terrore era riuscito nel suo intento di intimidazione generale. "Per far precipitare l'intero paese in una paura cronica il numero delle vittime deve esser fatto crescere a cifre astronomiche."<ref name="Lupi"/> Mandelstam non aveva connessioni con questa sfera pubblica, sebbene in contrasto sia interessante sapere che Babel conosceva personalmente Yezhov, capo del MKVD, e si associava ai cekisti.<ref>La ''Čeka'' (pronuncia delle due lettere ЧК, abbreviazione di чрезвычайная комиссия ''črezvyčajnaja komissija'', "Commissione straordinaria", in russo) fu un corpo di polizia politica sovietico creato da un decreto del 20 dicembre 1917 da Lenin e Feliks Edmundovič Dzeržinskij e che durò fino al 1922, per combattere i nemici del nuovo regime russo. La Čeka è stata la prima di numerosi servizi segreti operanti nello stato sovietico e antenata del ben più celebre KGB. Dopo la Čeka si realizzò il GPU, successivamente l'NKVD e, infine, il KGB, predecessore dell'attuale FSB. I membri della Čeka furono chiamati ''čekisti''. Tale termine si è radicato nella lingua russa tanto che, nonostante i numerosi cambiamenti di nome durante il tempo, è stato sempre utilizzato per indicare gli effettivi dei servizi di sicurezza per tutta la durata dello stato sovietico ed è ancora in uso nella Russia moderna.<sup>''[https://it.wikipedia.org/wiki/%C4%8Ceka Cfr. Wikipedia]''</sup></ref> Perché? Per toccare con mano la morte? "No", disse Babel, "non la voglio toccar con mano — voglio solo annusarla e sentire come odora."<ref name="Babel1">Vedi anche la [http://web.stanford.edu/~gfreidin/Publications/babel/Babel_Scribners_Freidin1990.pdf biografia di Babel], di Gregory Freidin, su ''Stanford.edu'' — per una recensione critica delle opere di Isaac Babel, cfr. ''int. al.'' Jerome Charyn, ''Savage Shorthand: The Life and Death of Isaac Babel'', Random House, 2005; Antonina N. Pirozhkova, ''At His Side: The Last Years of Issac Babel'', Steerforth Press, 1998; Gregory Freidin (cur.), ''The Enigma of Isaac Babel: Life, History, Context'', Stanford University Press, 2009; infine, Isaac Babel & Nathalie Babel Brown, ''Isaac Babel: The Lonely Years 1925-1939 : Unpublished Stories and Private Correspondence'', David R Godine (cur.), 1995. Si veda anche, per i testi, l'opera narrativa completa dello scrittore: ''L'armata a cavallo e altri racconti di Isaak Babel'', traduzioni in ital. di Franco Lucentini, Gianlorenzo Pacini e Renato Poggioli, Einaudi, 1969.</ref>
 
In tale atmosfera, la prosa, la poesia ed i suoi lettori divennero cosa speciale — la gente coinvolta era una "razza a parte". Mandelstam affermò: "I custodi della fiamma si nascondevano in angoli bui, ma la fiamma non si estingueva. È qui e tutti la possono vedere." Ma non c'era resistenza perché ognuno si sentiva distrutto, gli assassini quanto le vittime, intrappolati in un sistema che avevano aiutato a costruire. Nadezhda era una combattente come altri: sosteneva il marito, lo accompagnava, registrava la sua poesia preservandola, dibattendosi il più possibile per liberarlo e cercare la sua riabilitazione. Mandelstam morì in circostanze incerte, ufficialmente il 27 dicembre 1938 — ma non ci fu prova della morte e, in ogni caso, "una persona poteva considerarsi deceduta dal momento che veniva spedita ai campi o, in verità, dal momento del suo arresto, che veniva automaticamente seguito dalla sua condanna e verdetto di imprigionamento in un campo."<ref>Nel 1938, dopo il secondo arresto del marito e la sua morte nel campo Vtoraja Rečka situato a Vladivostok, Nadezhda cominciò a vivere da nomade, sfuggendo al suo probabile arresto e cambiando frequentemente residenza e lavoro. Riuscì a fuggire dall'Unione Sovietica, scappando da Tver', l'ex Kalinin, il giorno prima che vi arrivassero agenti del NKVD. Decise allora di vivere esclusivamente per conservare e pubblicare le opere poetiche scritte dal marito. Si organizzò in modo da conservarle nella propria memoria, perché non aveva fiducia nella carta. Dopo la morte di Stalin, nel 1956, completò la sua tesi e nel 1958 le fu permesso di tornare a Mosca. Nelle sue memorie, pubblicate prima in occidente, si trova un'analisi epica della sua vita e la critica profonda del degrado morale dell'Unione Sovietica dopo gli anni venti. Nel 1979 diede i suoi archivi all'Università di Princeton. Morì a Mosca nel 1980 all'età di 81 anni.<sup>''[https://it.wikipedia.org/wiki/Nade%C5%BEda_Jakovlevna_Mandel%27%C5%A1tam Cfr. Wikipedia]''</sup></ref>
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Anche la sua rappresentazione dell'ebreo è biforcata. C'è l'ebreo di Odessa e l'ebreo di Polonia. Il primo viene caratterizzato dal gangster Benya Kirk, il duro della Moldavanka, e l'altro è un tipo servile, debole, barbuto e occhialuto. Ma chi è il narratore stesso? Anche Babel è occhialuto, erudito e, secondo lui, distorto. In "Risveglio", scrive autobiograficamente e confessa: "Come fu lenta la mia acquisizione delle cose che bisogna sapere! Nella mia gioventù, incatenato alla ''Gemara'',<ref>''Gemara'' (o ''Ghemara'', lingua ebraica: גמרא "studiare"; pronuncia ashkenazita: ''Ghmora''), è la parte del Talmud contenente i commentari rabbinici e le discussioni sorte sull'interpretazione della ''Mishnah''.</ref> avevo condotto una vita da saggio. Quando fui cresciuto, iniziai ad arrampicarmi sugli alberi."<ref name="Babel1"/> Il normale, salutare progresso da bambino ad adulto viene per lui invertito, come per l'archetipico ebreo che incontra nuovamemte in Polonia. In questo racconto si è descritto esplicitamente — ma il narratore emerge implicitamente attraverso le descrizioni sincopate del campo di battaglia. La sua ambizione maggiore è di essere accettato dai compagni, e quindi rigetta la sua natura ereditata e le evidenti caratteristiche. Non vuole far parte della raffigurazione tipica dell'ebreo occhialuto ed intellettuale che si porta sulla spalle ataviche: aspira invece alla fisicità del soldato cosacco. Si allontana quindi dagli ebrei che incontra, e ne parla coem se fossero strani, assolutamente non collegati a lui, una razza esotica a lui estranea.Quando deve condividere il dormitorio con ebrei, scrive: "Nella stanza che mi venne assegnata, scoprii armadi scompigliati, pezzi di pelliccia da donna buttati sul pavimento, frammenti di posate misteriose usate dagli ebrei solo una volta all'anno, a Pasqua." Poi esalta le virtù della spietatezza ed esclama: "ovunque c'era slealtà e masse di sporchi giudei come durante il vecchio regime" (cfr. "Passando in Polonia"). Queste non sono le osservazioni di un ebreo, nemmeno di un ebreo secolarizzato — sono piuttosto le affermazioni di un estraneo, implacabilmente superiore. È forse questa la maschera dell'autore come narratore? Dopo tutto, è pur vero che aspira alla posizione di cosacco, quindi perché non adottare la prospettiva ed il linguaggio del guerriero cosacco?<ref name="Charyn"/>
 
Ma Babel può adottare anche un'altra maschera, persino nella stessa serie di racconti, con l'azione che ha luogo nello stesso ambiente. Può essere ebreo insieme a Gedali: nel racconto "Gedali", egli evoca un ricordo di malinconica infanzia ebraica in termini di nenia sentimentale — nelle vigilie dello Shabbat: "In quelle sere il mio cuore di bambino ondeggiava come una navicella su acque incantate. O i marci Talmud della mia infanzia! O la densa malinconia dei ricordi!" Questo è certo un narratore differente! E la rifrazione della sua compassione è alquanto differente: perché ora si sente la reazione dell'ebreo ortodosso alla rivoluzione. Gedali infatti è pronto ad accettare tale rivoluzione, ma vuole conservare anche la propria tradizione: "La Rivoluzione — le diremo "sì", ma che forse dovremmo dire "no" allo Shabbat?" Non è che Gedali non voglia accettare la rivoluzione, ma che la rivoluzione non vogliavuole accettare Gedali. Spara solo. In verità, sia la rivoluzione che la controrivoluzione sparano. Come si fa a dirne la differenza? Quel vecchio mondo, come anche Mandelstam indicava nella sua prosa e poesia, è morto. "Gedali - gli ho detto - oggi è venerdì ed è già sera [arriva lo Shabbat]. Dove sono i biscotti ebraici da consumare, e la tazza ebraica di the, e un po' di quel Dio in pensione nella tazza di the?" Tutto ciò semplicemente non è più in mostra: i biscotti ebraici, il the ebraico e il Dio ebraico non sono più lì. Il narratore non commenta questo, come non impone le sue conclusioni quando adotta un tono differente in altri racconti.<ref name="Charyn"/>
 
[[File:Babel NKWD.png|thumb|left|Foto di Babel eseguita dal NKVD dopo il suo arresto, nel 1939]]
Babel rende esplicito il contrasto tra i vecchi tipi di ebreo. Nel suo incontro con gli ebrei di Polonia, egli ricorda la propria esperienza in Ucraina: "L'immagine degli ebrei meridionali corpulenti e gioviali, spumeggianti come vino a buon mercato, mi si formò in mente, contrastando con l'amaro disprezzo inerente a queste lunghe schiene ossute, queste tragiche barbe gialle. In questi lineamenti passionali, cesellati dall'angoscia, non c'era grasso, né caldo pulsare del sangue." Di nuovo, non è chiaro da questa asserzione, quale sia la condizione del narratore nel testo, se si identifichi col gruppo che sta osservando — perché egli poi accetta lo stereotipo dell'ebreo come imprenditore e sfruttatore che i Rossi devono sopprimere: "Gli ebrei hanno legato il contadino russo al recinto polacco con fili di lucro, il colono ceco alla fabbrica di Lodz. Erano contrabbandieri, i più abili alla frontiera e quasi sempre devoti difensori della loro fede. Il Chassidismo ha tenuto in soffocante cattività questa popolazione di ambulanti, mediatori e tavernieri" (cfr. "Berestechko")<ref name="Babel1"/> Non si parla qui delle proibizioni contro gli ebrei, delle restizioni di movimento, di opportunità, di residenza e di commercio. L'osservazione è totalmente negativa, come se fatta da un nemico. Nuovamente, è il guerriero rosso che parla con la voce della tradizione cosacca cristiana.è Il narratore (ironicamente?) cerca un travestimento convincente: "Piegato sotto la corona funebre, continuavo per la mia strada, implorando il fato di concedermi la più semplice delle abilità — quella di uccidere il mio prossimo" (conclusione de "Dopo la battaglia"). Infine, racconta la realizzazione della sua ambizione dopo lo sforzo per essere accettato: "Passarono dei mesi e i miei sogni si realizzarono. I cosacchi la smisero di osservare me ed il mio cavallo." (cfr. "Argamak"). Lo diedero per scontato e lo accettarono senza più discutere: aveva dimostrato di poter uccidere, combattere e cavalcare.<ref name="Babel1"/>
Ma Babel può adottare anche un'altra maschera, persino nella stessa serie di racconti, con l'azione che ha luogo nello stesso ambiente. Può essere ebreo insieme a Gedali: nel racconto "Gedali", egli evoca un ricordo di malinconica infanzia ebraica in termini di nenia sentimentale — nelle vigilie dello Shabbat: "In quelle sere il mio cuore di bambino ondeggiava come una navicella su acque incantate. O i marci Talmud della mia infanzia! O la densa malinconia dei ricordi!" Questo è certo un narratore differente! E la rifrazione della sua compassione è alquanto differente: perché ora si sente la reazione dell'ebreo ortodosso alla rivoluzione. Gedali infatti è pronto ad accettare tale rivoluzione, ma vuole conservare anche la propria tradizione: "La Rivoluzione — le diremo "sì", ma che forse dovremmo dire "no" allo Shabbat?" Non è che Gedali non voglia accettare la rivoluzione, ma che la rivoluzione non voglia accettare Gedali. Spara solo. In verità, sia la rivoluzione che la controrivoluzione sparano. Come si fa a dirne la differenza? Quel vecchio mondo, come anche Mandelstam indicava nella sua prosa e poesia, è morto. "Gedali - gli ho detto - oggi è venerdì ed è già sera [arriva lo Shabbat]. Dove sono i biscotti ebraici da consumare, e la tazza ebraica di the, e un po' di quel Dio in pensione nella tazza di the?" Tutto ciò semplicemente non è più in mostra: i biscotti ebraici, il the ebraico e il Dio ebraico non sono più lì. Il narratore non commenta questo, come non impone le sue conclusioni quando adotta un tono differente in altri racconti.<ref name="Charyn"/>
 
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