Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/Primavera breve: in Germania tra le due guerre: differenze tra le versioni

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[[File:Franz Rosenzweig1917.jpg|thumb|Franz Rosenzweig e commilitoni (1917)]]
Per Kafka, nella parabola il mondo è rappresentato dall'immagine del portone presso il quale l'uomo di campagna aspetta pazientemente nella speranza di entrare. Ma aspetta invano, ed il portone gli viene chiuso in faccia proprio al momento della sua morte. Sembra che la preghiera dell'ebreo, nella funzione liturgica di chiusura del Giorno dell'Espiazione (''Yom Kippur''), in cui supplica l'apertura della porta, sia respinta. Per un altro teologo ebreo-tedesco dell'epoca, '''Franz Rosenzweig''' (1886-1929),<ref>Franz Rosenzweig (Kassel, 25 dicembre 1886 – Francoforte sul Meno, 10 dicembre 1929) è stato un filosofo tedesco, allievo di Heinrich Rickert e di Friedrich Meinecke. Come il suo amico e collaboratore, il filosofo Martin Buber, fu un esponente di quell'ebraismo più aperto al Cristianesimo. Nato da una famiglia ebraica non troppo osservante, la sua formazione è stata prettamente secolare, studiando storia e filosofia presso le Università di Gottinga, Monaco di Baviera e Friburgo. Dopo un primo avvicinamento alle posizioni esistenzialistiche in funzione anti-idealistica, in polemica soprattutto con il grande e unitario sistema filosofico di Hegel, del quale è considerato uno specialista, s'incamminò in una nuova elaborazione che denominò "filosofia esperiente" o "empirismo assoluto" che troverà formulazione scritta nella sua opera più importante ''La stella della redenzione'' del 1921. Visse perlopiù a Francoforte in un periodo in cui la cultura ebraica molto attiva era rappresentata dai nomi dello psicoanalista Erich Fromm, dal noto esperto del misticismo ebraico e della Kabala ebraica, Gershom Scholem, e dal filosofo Martin Buber che allora stava lavorando alla sua concezione del "principio dialogico". Con quest'ultimo Rosenzweig ha inoltre lavorato per la traduzione della Torah dall'ebraico al tedesco, ed è stato il fondatore della Casa dell'educazione ebraica, un posto dove gli ebrei possono riscoprire le loro radici e la propria cultura. Dal 1924 fino alla morte tenne la cattedra di filosofia e teologia ebraica dell'Università di Francoforte. Egli soffriva di una grave malattia muscolare, la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e continuò a scrivere solo con l'aiuto della moglie. Tra gli autori nei quali si risente un'influenza del suo pensiero va annoverato l'esponente della Scuola di Francoforte e critico d'arte Walter Benjamin.<sup>''[https://it.wikipedia.org/wiki/Franz_Rosenzweig Cfr. Wikipedia]''</sup></ref> l'unico scopo di vita come scrittore sia quello di tenere la porta aperta. Il movimento della sua opera maggiore, ''La stella della redenzione'' (1921), avviene dalla realtà della morte "alla vita", che viene realizzato non con l'immortalità personale, bensì tramite la vitalità dell'essere ebreo.<ref name="Stella">''La stella della redenzione'' (''Der Stern der Erlösung'', 1921), nelle intenzioni di Franz Rosenzweig, è un'opera intesa come ultima parola e solo in quanto tale definitiva e però relativa (al pensiero della morte). Anche se alcune spiegazioni si troveranno nel successivo ''Das neue Denken'', pubblicato nel 1925, il libro resta di fatto un poco misterioso e seppure viene venduto nelle comunità ebraiche con una certa frequenza, è di fatto poco letto, e soprattutto, in vita l'autore, piuttosto travisato o del tutto ignorato. In qualche modo quindi, è un libro ultimo, di comprensione e accettazione in ambito filosofico (non solo ebraico) quale postumo. Scritto durante la prima guerra mondiale dapprima su cartoline postali, il libro si basa sulla figura della stella a sei punte (stella di David) che conta a partire dall'alto verso destra gli elementi di Dio, Rivelazione, Uomo, Redenzione, Mondo, Creazione, nei due triangoli dunque di tre essenze (divino, umano, cosale) nelle loro tre relazioni, al quale si applica una lettura intrecciata e non scomponibile di tre ambiti di pensiero: la teologia cristiana, la riflessione religiosa ebraica e la filosofia. Nonostante l'opera fosse conosciuta e citata direttamente dalle diverse edizioni tedesche, una traduzione completa italiana è apparsa solo nel 1985, a cura di Gianfranco Bonola, presso Marietti editore di Genova e poi altrove.<sup>''[https://it.wikipedia.org/wiki/La_stella_della_redenzione Cfr. Wikipedia]''</sup></ref> Rosenzweig scrisse tale opera principalmente dalle trincee, verso la fine della guerra, inviando il testo a casa su cartoline postali dell'esercito. Tuttavia solo alcuni mesi prima dello scoppio della Grande Guerra, l'autore, la cui principale preoccupazione era la rivitalizzazione dell'ebraismo, aveva contemplato la conversione al cristianesimo — ma voleva entrare nel cristianesimo come ebreo "attraverso l'ebraismo".<ref name="Levi">Leonello Levi, ''Franz Rosenzweig - Filosofo, Teologo dell'Ebraismo nella Germania del primo '900'', Ed. Sometti, Mantova 2012, pp. 34-46 & ''passim''.</ref> Si recò quindi per l'ultima volta, o così pensava, a far visita alla sinagoga nel Giorno dell'Espiazione del 1913 — e ne uscì trasformato in ''ebreo''.<ref>Tale esperienza non viene registrata nei suoi scritti, ma è riportata dalla madre al suo biografo Nahum Glatzer. Cfr. Nahum Norbert Glatzer, ''Franz Rosenzweig - his life and thought'', New York: Schocken Books, 1953, ''s.v.''</ref> Da quel momento in poi, Rosenzweig ha cercato la fonte dell'ebraismo tradizionale e la sua forza nella vita contemporanea. Iniziò a vedere l'ebraismo come al di là della storia, metastorico, fisso nella sua verità, costantemente valido, posto nel tempo ma oltre qualsiasi moento specifico. Il suo grande maestro, Hegel (1770–1831), aveva postulato un sistema nel quale la Storia era diventata Dio, ed era poi stata racchiusa nelle sue leggi. Per Rosenzweig, Dio doveva risiedere fuori della Storia e quindi controllarla. La libera azione divina implica un processo a tre fasi: 1) creazione — che stabilisce la relazione tra Dio da un lato e, dall'altro, la transitorietà e la morte; 2) rivelazione — il punto in cui Dio chiama l'uomo; 3) redenzione — che libera l'uomo dalla finalità della morte tramite il ciclo dell'anno sacro. Kierkegaard (1813-1855) aveva cercato tale sviluppo nel cristianesimo, il "salto" personale del cristiano nella fede, oltre la legge fissa della razionalità. Rosenzweig vide questa trascendenza espressa nell'esperienza passata ma continuativa del popolo ebraico. Non attraverso l'"essenza dell'ebraismo", come ebbe a dire in riferimento al filosofo e rabbino Leo Baeck (1873–1956), ma in risposta all'invocazione costante "Ascolta, O Israele" (''Shema Israel'')<ref>Lo ''Shema'' in ebraico שמע, "Ascolta" (a volte detto ''Shema Israel'', שמע ישראל) è una preghiera della liturgia ebraica. È in genere considerata la preghiera più sentita, forse assieme al Kaddish. La sua lettura (''Qiriat Shema'') avviene due volte al giorno, nella preghiera ebraica mattutina ed in quella serale.</ref>
 
Perché Rosenzweig aveva considerato la conversione al cristianesimo? In un senso, era semplicemente perché, come egli ammise, si trovava a vivere in un contesto cristiano — società cristiana, letteratura cristiana, architettura, musica, tutto cristiano, e quindi l'ebraismo si ritrovava in enorme svantaggio; mentre il cristianesimo poteva essere accettato e assorbito naturalmente nell'ambiente, l'ebraismo doveva essere affermato contro ogni probabilità e difeso con immagini concrete di rituale e pratica. Inoltre il cristianesimo era visto (dai cristiani, naturalmente) come la consumazione ed il compimento dell'ebraismo — sebbene compimento necessario. Per chi sentisse aneliti religiosi nella Germania del XX secolo, il cristianesimo era una scelta naturale.<ref name="Glatzer">[http://books.google.co.uk/books/about/Franz_Rosenzweig_his_life_and_thought.html?id=7lPuAAAAMAAJ&redir_esc=y Nahum Norbert Glatzer, ''Franz Rosenzweig - his life and thought''], New York: Schocken Books, 1953/1961. In partic. si veda l'edizione [http://books.google.co.uk/books?id=NMkKpvxqgc0C&pg=PR3&source=gbs_selected_pages&cad=3#v=onepage&q&f=false Hackett Publishing, 1998, pp. 23-31] e capp. segg.</ref>
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[[File:Ehrenberg-Hochzeit1913F.jpg|thumb|Rosenzweig al matrimonio di Hans ed Else Ehrenberg, 1913<ref>Prima fila, seduti (da sin. a destra): Franz Rosenzweig (in piedi), Victor Ehrenberg e Paul Ehrenberg (dietro a Victor), Else Ehrenberg (sposa), Hans Ehrenberg (sposo), Emi Ehrenberg (madre dello sposo, seduta). Seconda file, da sin. a destra: Rudolf Ehrenberg (in piedi), sorella della sposa (dietro), madre della sposa (davanti), Victor Goldsmith (dietro), sorella della sposa (davanti), Mona Philips (moglie di Carlo). Terza fila (da sin. a destra):
Otto Ehrenberg (padre della sposo), Richard Ehrenberg, Carlo Philips, il padre della sposa.</ref>]]
Rosenzweig, dall'essere un ebreo marginale, mise l'ebraismo al centro della sua vita — e nel farlo, insistette che "nell'essere ebrei non dobbiamo rinunciare a nulla, ma ricondurre tutto all'ebraismo. Dalla periferia nuovamente al centro, dall'esterno all'interno" (discorso all'apertura del ''Freies Jüdisches Lehrhaus'' a Francoforte). Gli intellettuali ebrei del mondo germanofono all'inizio del secolo avevano in genere indossato le tracce residue dell'ebraismo con orgoglio, ma non avevano di certo considerato l'ebraismo quale fulcro del loro essere. Quindi l'attività Buber/Rosenzweig indicava un riorientamento radicale. Rosenzweig reputava insoddisfacenti le principali tendenze dell'ebraismo contemporaneo. Sia gli assimilazionisti che i sionisti correvano il rischio lottare per un obiettivo irraggiungibile, ed entrambi, se avessero avuto successo nel realizzarlo, avrebbero spezzato la connessione con l'ebraismo storico e diasporico. Essere in contatto con l'ebraismo era come essere in contatto con una forza viva, dinamica, e non un sistema chiuso — e, come aveva affermato quando era ancora un giovanotto, il mondo è lo strumento col quale il ricercatore può trapassare l'abisso: "Le parole sono lapidi / le parole sono ponti sopra baratri. Di solito li si attraversa senza guardar giù. Se uno guarda giù, rischia di sentirsi mancare. / Le parole sono anche assi poste sopra un fosso, a nasconderlo. / Essere un filosofo è come aprire tombe, scrutare gli abissi, calarsi nei fossi" (''Diario'', nota del 17 novembre 1906). La filosofia (e, naturalmente, la teologia) non è un'impresa sicura, ma come un aprire forzatamente accessi serrati. La sua funzione in qualità di teologo ebreo era di sconvolgere il compiacimento borghese delle forme fisse ma morte, onde poter far risorgere il vecchio ma ancor vitale ebraismo. Un ebraismo, tra l'altro, che, come aveva scoperto durante i suoi distaccamenti militari, era tutt'altro che decadente o moribondo, tra le comunità sefardite in Jugoslavia o tra le masse di ebrei in Polonia. Lì otteneva un modello di appartenenza ad un popolo ben oltre la comprensione di coloro che lo disprezzavano, i tedeschi benestanti, occidentalizzati e assimilati: l'ebraismo piuttosto era in disfacimento in Germania, dove si era cristallizzato in forme morte.<ref name="Glatzer"/> Altri importanti eventi nella vita di Rozenzweig sono la sua fondazione del ''Frankfurt Lehrhaus'' per lo studio dell'ebraismo nel 1920, e la sua paralisi progressiva, che notò per la prima volta non molto più tardi, nel 1921, poco dopo la pubblicazione de ''La stella''.<ref name="Glatzer"/> Accettò la malattia come parte necessaria del tutto. Del fatto dice: "Io stesso ne ebbi deboli e rari preannunci... ma ora è semplicemente la realtà: morire è ancor più bello che vivere" (lettera a Gertrud Opperheim, sua amica di sempre, maggio 1922). E anche dopo, cercò di integrare la morte senza sentimentalità: "La sentimentalità appartiene agli spettatori. Chi muore non è sentimentale... Non scambierei posto con nessuno." La sua situazione fisica non interruppe mai la sua continua devozione all'esperienza e promozione dell'ebraismo. Egli caratterizza il significato del suo pezzo "I costruttori" (un'epistola indirizzata a Martin Buber nel 1923, che tratta del posto che la Legge ha nell'ebraismo) come segue: "In che modo gli ebrei cristiani, gli ebrei razionali, gli ebrei religiosi, gli ebrei in autodifesa, sentimentalità, lealtà, in breve gli ebrei con il "trattino" qualificativo, come ne ha prodotti il diciannovesimo secolo, possano nuovamente, senza pericolo per se stessi o per l'ebraismo, deventare ''ebrei''" (lettera a Eugen Rosenstock, 25 agosto 1924). Passò i suoi ultimi anni collaborando con Buber ad una nuova traduzione della Bibbia (''Die fünf Bücher der Weisung''), e presentando le nozioni centrali de ''La stella'' al pubblico generale. Ciò faceva parte della sua missione educativa che includeva la direzione della Lehrhaus o, almeno, farne parte attiva nonostante la sua grave condizione fisica. Sempre consapevole di tale condizione terminale, Rosenzweig si rappresenta la via della conoscenza come sbarrata da una porta che verrà presumibilmente aperta al momento della morte. Ma a tale porta non riesce ad avvicinarcisi: "Quando un uomo sta vicino ad una porta sbarrata, non riesce a vedere cosa c'è dietro, proprio come non riesce a vederlo neanche quando se ne trova lontano" (lettera a Hans Ehrenberg, 21 giugno 1925). Questa immagine, condivisa con Kafka, potrebbe esserne stata ingluenzata. Certamente Rosenzweig aveva una fortissima ammirazione per il romanziere, ed ebbe ad affermare che ''Il castello'' gli ricordava della Bibbia più di qualsiasi altro libro, "e questa è la ragione per cui leggerlo non può dirsi un piacere."<ref name="Glatzer"/>
 
Il pensiero di Rosenzweig è esistenziale, cioè prende il punto di partenza dalla persona pensante stessa: "Credo che una filosofia, per essere adeguata, debba scaturire dal pensare generato dal punto di vista del pensatore. Per ottenere l'obiettività, il pensatore deve procedere arditamente dalla sua situazione soggettiva." (''La stella della redenzione'') E "tutta la conoscenza del Tutto trova la sua fonte nella morte, nella paura della morte."<ref name="Stella"/> In questa sua grande opera, l'autore senza sosta oppone il dualismo anima/corpo, il circolo chiuso disegnato da Hegel, e qualsiasi preteso sforzo di formulare il pensiero uscendo dall'esperienza del soggetto sofferente. Mentre la filosofia annullerebbe la morte non riconoscendola come significativa, il suo "nuovo modo di pensare" procede da essa. La morte è il riconoscimento della vita — non è una macchina fuori dal corpo che scrive filosofia. La sfida di questo nuovo pensare (da Schopenhauer e fino a Nietzsche) fu che rimpiazzò la concezione del mondo (''Weltanschauung'')<ref>Il termine ''Weltanschauung'' appartiene alla lingua tedesca ed esprime un concetto fondamentale nella filosofia ed epistemologia tedesca, spesso applicato in vari altri campi, ''in primis'' nella critica letteraria e della storia dell'arte. Non è letteralmente traducibile in lingua italiana perché non esiste nel suo lessico una parola che le corrisponda appieno: essa esprime un concetto di pura astrazione che può essere restrittivamente tradotto con "visione del mondo", "immagine del mondo" o "concezione del mondo" e può essere riferito a una persona, a un gruppo umano o a un popolo, come a un indirizzo culturale o filosofico o a un'istituzione ideologica in generale e religiosa in particolare.<sup>''[https://it.wikipedia.org/wiki/Weltanschauung Cfr. Wikipedia]''</sup></ref> con la concezione della vita (''Lebensanschauung''). La filosofia tradizionale " ha sempre indagato l'essenza delle cose" (''Il Nuovo Pensiero'', 1925)<ref>''Das neue Denken'' (1925), trad. it. ''Il nuovo pensiero'', a cura di Gianfranco Bonola, commento di Gershom Scholem, Venezia: Arsenale, 1983.</ref> Ma "in verità ciò che fa la nuova filosofia, il nuovo pensiero, è di impiegare il metodo del gran buonsenso quale metodo del pensare scientifico." Il pensiero è legato al suo tempo e situazione. "In qualsiasi momento, la cognizione è legata proprio a quel momento e non può rendere il suo passato non passato, o il suo futuro non futuro." Anche la rivelazione è centrale allo schema, perché sebbene Dio debba essere separato (altrimenti l'uomo adorerebbe se stesso), tuttavia deve essere anche conoscibile. Il nuovo pensiero si interessa del linguaggio, la sua dinamica, modificazione e cambiamento, delle relazioni umane e del modo in cui queste vengono modificate, e anche di Dio, ma nel modo in cui uno entra in una relazione diretta con Lui. Pertanto Dio non è una categoria astratta, postulata dalla logica — se lo fosse la rivelazione sarebbe superflua e quindi impossibile. Inoltre sarebbe valutabile soltanto da coloro di grande e specializzato intelletto, non da ogni essere umano. La "nuova teoria della conoscenza" richiede che il contatto con Dio sia realizzato nella vita attiva. Non è interessata in verità accettate generalmente, in verità matematiche verità tautologiche, bensì in quelle questioni che l'uomo è disposto a pagare di persona, anche con la vita. Il nuovo pensiero oppone gli "ismi" con quello che sembra un altro "ismo" ma non lo è — "l'assoluto empiricismo".<ref name="Glatzer"/>
 
[[File:Martin Buber portrait.jpg|thumb|left|150px|Martin Buber, ritratto in Israele (ca. 1950)]]
Qui bisogna ricordare, scaturito da questa caratterizzazione fidelista del pensiero ebraico, '''Martin Buber''' (1878-1965), collaboratore e collega anziano di Rosenzweig, e più noto al pubblico generale dello stesso Rosenzweig.<ref>Martin Mordechai Buber (Vienna, 8 febbraio 1878 – Gerusalemme, 13 giugno 1965) è stato un filosofo, teologo e pedagogista austriaco naturalizzato israeliano. Si deve a lui l'emersione alla cultura europea del movimento ''chassidim'', ma soprattutto a lui si deve l'idea che la vita è fondamentalmente non-soggettività, bensì intersoggettività, anzi per Buber soggetto e intersoggettività sono sincronicamente complementari e ne era talmente convinto che non esitò ad affermare: "In principio è la relazione".</ref> Buber è stato contemporaneamente un rivitalizzatore dell'ebraismo, un proponente di un sionismo umanistico, un riscopritore dello Chassidismo, un interprete della parola biblica e un sostenitore del dialogo significativo, tra uomo e uomo, e tra uomo e Dio. L'opera di Buber ''L'io e il tu'' (1922)<ref name="Io">''Ich und Du'', Berlino, 1922; trad. it. ''L'io e il tu'', tr. Anna Maria Pastore, Pavia: Irsef, 1991.</ref> viene caratterizzata da Rosenzweig come facente parte del nuovo pensiero. Quest'opera è centrale nelle problematiche teoriche di Buber su materie sociali, religiose ed ebraiche. Come Rosenzweig, egli cerca un punto di partenza a procedere. Come Rosenzweig, egli prende l'individuo che sperimenta la vita come situazione primaria. Tuttavia per Buber, l'esperienza primaria è la relazione — e questa relazione è fatta di due tipi: Io-Tu e Io-Esso. L'Io non esiste di per se stesso, ma è dipendente dal carattere della sua relazione. E quanto alla seconda categoria: "L'Io della parola primaria Io-Esso, cioè, l'Io non contrapposto dal Tu ma circondato da una moltitudine di contenuti, non ha presente, solo passato." Pertanto Io-Tu contiene l'Esso, categorizzandolo. "Esso" diventa un "fu". D'altra parte, "Tu non ha limiti". "Tu" non viene legato, "tu" continua a vivere — un'esperienza vitale, continuativa, automodificante dell'"Io".<ref name="Io"/>
[[File:Martin Buber.jpg|thumb|180px|Martin Buber in classe, all'Università Ebraica di Gerusalemme (ca. 1952)]]
Buber è stato molto discusso e analizzato, ed i suoi scritti sono così diffusi e disponibili da rendere superflui ulteriori apprezzamenti. Tuttavia deve essere giustamente riconosciuto non solo come portavoce dell'ebraismo tedesco, ma come un'importante voce contemporanea. L'ebraismo tedesco fu di molteplici ambizioni, fini e successi intellettuali. Rappresenta inoltre il primo tentativo nel mondo moderno di costruire un ebraismo totale, intransigente, che da una parte non si ritiri dal mondo moderno (e dal suo rispettivo pensiero), né, dall'altra, si restringa per potersi adattare a tale mondo. Assorbe piuttosto che farsi assorbire. Nessuno ha mai inciso la sua atmosfera e gli oscuri problemi in maniera più agghiacciante di Kafka in una serie di immagini conturbanti. Ma anche altri hanno tentato di rendersene conto tramite la reinterpretazione, lo studio e la revisione delle fonti tradizionali ed dell'esperienza attuale. Purtroppo il relativo completamento durò poco e quindi, forse, venne falsificato. La vita ebraica in Germania (e nel mondo germanofono) attraversò l'assimilazione, l'ortodossia, la simbiosi culturale ed il revivalismo. Tuttavia, dopo la Grande Guerra, durò circa una generazione: il suo fato dopo il 1933 è un'appendice patetica ad una storia affascinante.<ref name="Weimar"/>
 
<!--- da inserire nel testo --
Martin Buber portrait.jpg|Martin Buber, ritratto in Israele (ca. 1950)
Martin Buber.jpg|Martin Buber in classe, all'Università Ebraica di Gerusalemme (ca. 1952)
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==Note==
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[[Categoria:Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo|Primavera breve: in Germania tra le due guerre]]