Storia della letteratura italiana/Battista Guarini: differenze tra le versioni
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Insieme all'''Aminta'' di Tasso (1573), ''Il pastor fido'' di Guarini è uno dei più importanti drammi pastorali nela letteratura di questo periodo. A queste due opere si rifaranno vari continuatori e imitatori, tra cui il più celebre è Guidubaldo Bonarelli (1563-1608).<ref>Giuseppe Petronio, ''L'attività letteraria in Italia''. Palumbo, Palermo, 1971, p. 335.</ref>
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[[Immagine:Battista Guarini.jpg|thumb|left|Battista
Quando nel 1573 il trono di Polonia
▲Nato a Ferrara il 10 dicembre 1538 da una famiglia di origini veronesi che vantava tra i suoi membri l'umanista quattrocentesco Guarino Veronese, studiò legge a Padova, e fu professore di eloquenza nella stessa città, finché nel 1567 passò al servizio di Alfonso II d'Este, presso cui fu poeta di corte - assieme a Torquato Tasso, già conosciuto nell'ambiente patavino - e diplomatico.<ref>P. Bargellini, ''Pian dei Giullari'', Firenze, Vallecchi, vol. II, 1952, p. 348</ref>
Guarini
▲Quando nel 1573 il trono di Polonia rimase vacante, le ambizioni di numerosi principi e potenti si indirizzarono verso est, nella speranza di ricoprire il prestigioso ruolo, che sarebbe stato assegnato tramite elezione. Questa ambizione nutriva anche Alfonso, che era rimasto vedovo per la seconda volta, e inviò quindi in Polonia Guarini per sondare il terreno, ricevendone notizie confortanti, tanto che a Ferrara già si cantava vittoria.
Guarini
▲Guarini dovette fare un secondo viaggio nel novembre 1575, rischiando di annegare nelle acque in tempesta del Danubio e di venire rapito dai briganti cosacchi. Gli sforzi di promuovere il proprio signore furono però vani, perché le elezioni videro una netta vittoria di Stefano Báthory, il voivoda di Transilvania.<ref>L. Chiappini, ''Gli Estensi'', Milano, Dall'Oglio, 1967, p. 298</ref> Il poeta rievocherà più avanti le avventure del viaggio nel ''Discorso sulle cose di Polonia''.
Tornato da Alfonso nel 1585,
▲Guarini lasciò nel 1583 la corte per trascorrere un periodo nella sua villa del Polesine, con l'intenzione di attendere a una favola pastorale, di cui aveva già avuto l'idea dopo aver assistito alla rappresentazione dell'''Aminta'' tassesca dieci anni prima all'isola del Belvedere.<ref>S. Guglielmino, H. Grosser, ''Il sistema letterario'', vol. 2/A, Milano, Principato, 1996, p. 348</ref> Iniziò quindi la composizione del ''Pastor fido''.
== ''Il pasto fido'' e le altre opere ==
▲Tornato da Alfonso nel 1585, interruppe il rapporto nel 1588; fu alla corte granducale toscana dal 1599 al 1601 e dal 1602 al 1604 alla corte urbinate di Francesco Maria II della Rovere.
{{vedi source|Il pastor fido}}
L'opera di Guarini ha come fine il consenso da parte del pubblico cortigiano, teso in particolare a suscitare meraviglia e piacere. La tragicommedia ricorre a un linguaggio elevato, suscita emozioni nello spettatore per la viceda narrata ma non raggiunge mai la catastrofe tragica, bensì si conclude con un lieto fine tipico della commedia. Diversamente da quanto avviene per la produzione più propriamente barocca, la mescolanza di generi in Guarini ricerca sì gli artifici e le complicazioni, ma mantenendo comunque un proprio equilibrio.<ref>Giulio Ferroni, ''Profilo storico della letteratura italiana'', Einaudi, Torino, 2001, p. 419.</ref>
Guarini compose anche un'altra commedia, ''L'idropica'' (1584). Ricca è la produzione prosastica: oltre a quanto già citato ci sono giunti il ''Trattato delle politiche libertà'' (in difesa della repubblica e contro i Medici, inedito fino al 1818), il dialogo ''Il Segretario'' (1594) e numerose lettere.<ref>P. Bargellini, cit., pp. 348-349</ref> Meno interessante e meno copiosa fu invece l'attività poetica, confluita nelle ''Rime''.▼
▲Guarini compose anche un'altra commedia, ''L'idropica'' (1584). Ricca è la produzione prosastica: oltre a quanto già citato ci sono giunti il ''Trattato delle politiche libertà'' (in difesa della repubblica e contro i Medici, inedito fino al 1818), il dialogo ''Il Segretario'' (1594) e numerose lettere.<ref>P. Bargellini,
Battista è ricordato anche come umanista. Fondamentale il suo contributo al nuovo modo, umanistico e rinascimentale, di intendere l'insegnamento. Il suo ''De ordine docendi ac studendi'' ne è prova concreta. Lo studio è un'attività libera, liberatoria e serena. Contro il vecchio meccanismo scolastico, ribadisce che il riposo ed il gioco sono utili, dannosi invece i modi rigidi di educare tutti medioevali. Si sofferma sull'importanza della retorica, della dialettica, del contatto con i classici diretto.
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