Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/Un'identità letteraria ebraica: differenze tra le versioni

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Anche nell'Europa occidentale esisteva un senso d'identità ebraica o insoddisfazione sulle possibilità d'espressione ebraica. Naturalmente le circostanze erano però diverse. Non c'era una società ebraica definita in modo particolare, dopo la scomparsa dei ghetti imposti legalmente, della corrente illuministica e della Rivoluzione francese. Molti ebrei si erano spostati dall'oriente all'occidente, quando ciò era diventato possibile, alla ricerca di miglioramento ed istruzione, e logicamente avevano assorbito le caratteristiche delle società ospitanti, comprese le abitudini e le lingue. L'autore ebreo che scriveva in una lingua europea non poteva pertanto avere un pubblico specificamente ebreo nel senso dato da Jabotinsky (con l'eccezione limitata della stampa ebraica locale), o nel modo in cui avrebbe potuto se scriveva in yiddish o ebraico. Ciò nondimeno provava spesso un percepibile sentimento di differente lealtà o senso di identificazione. E a volte ciò gli veniva attribuito volente o nolente. '''Max Nordau''' (1849-1923) ne rappresenta un interessante esempio calzante. Successivamente rinomato come uno dei padri fondatori e portavoce del Movimento Sionista, Nordau si era già fatto un nome in qualità di medico e critico culturale ("il grande diagnosta").<ref>[http://www.treccani.it/enciclopedia/max-nordau/ Nordau ‹nò-›, Max] in Treccani.it - Enciclopedie on line, [http://www.treccani.it/istituto Istituto dell'Enciclopedia Italiana], 15 marzo 2011 </ref> I suoi libri degli anni 1880 e 1890 avevano avuto vasta diffusione, anche quando tale diffusione era stata soggetta a restrizioni come possibile fonte di pericolo per lo Stato.<ref name="Maxa">Anna & Maxa Nordau, ''Max Nordau: A Biography'', Nordau Committee, 1943, ''passim''.</ref> Egli applica un apparato analitico alla civiltà contemporanea e afferma, ammassando forse assurdamente tutti i fenomini culturali e letterari, che è malata. Sintomatici sono Baudelaire, Ibsen e Wagner. La religione è una frode,<ref>Famosa è la sua frase: "Dio è il nome che dall'inizio dei tempi fino ai giorni nostri gli uomini hanno dato alla loro ignoranza." (da ''Biologie der Ethik'').</ref> i ciarlatani imperversano, la monarchia è un'impostura.<ref name="Maxa"/> Tutte queste privazioni di libertà vengono citate nel suo ''Die conventionellen Lügen der Kulturmenscheit'' (1883, ''Le menzogne convenzionali della nostra civiltà'') come minacce alla vera umanità. Sebbene possano essere curate, Nordau conclude in maniera favorevole:
{{quote|Vedo la civiltà d'oggi — le cui caratteristiche sono il pessimismo, la menzogna e l'egotismo egocentrico — seguita da una civiltà di verità, amore del prossimo e contentezza. L'umanità, che oggi è un'idea astratta, sarà poi un dato di fatto. Felici le generazioni successive, che si ritroveranno a vivere nell'atmosfera pura del futuro, ammantati da un sole più luminoso, in comunione perpetua: vera, illuminata, forte e libera!|''Die conventionellen Lügen der Kulturmenscheit'', 1883}}
Non c'è dubbio che qui, e in modo particolare in ''Entartung'' (1893, ''Degenerazione''),<ref>M. Nordau, trad. it. ''Degenerazione'', Piano B, 2009.</ref> Nordau sia succube di distorsione, eccessiva semplificazione, troppo ottimismo (quando gli conviene) e persino una certa insipienza.<ref>Céline Kaiser , ''Rhetorik der Entartung: Max Nordau und die Sprache der Verletzung'', Transcript Verlag, 2007, pp.17-23.</ref> G.B. Shaw, nella sua recensione di ''Degenerazione'' intitolata "The sanity of Art" (''Liberty'', 27 luglio 1895) asserisce che Nordau non comprende come operano la poesia e l'arte: non comprende ciò che Ibsen vuole comunicare, i suoi principi morali e la sua critica, né cosa riesce a trasmettere la musica di Wagner. Il punto in questione non è comunque se Nordau ŏavesse ragione o meno. Ci si deve piuttosto chiedere dove si posizionava in relazione alla società e alla cultura contemporanee. E sia come critico che come sionista, la sue vedute erano cosa a parte: fu infatti un caso marginale, e ciò venne notato dai critici suoi contemporanei che commentarono le sue opere. Karl Bleibtrau,<ref>K. Bleibtrau, ''Revolution der Literatur'', 1886, Reprint 1973, Verlag Maiemeyer, ISBN 978-3-484-19022-1.</ref> per esempio, si chiede se Nordau fosse un francese, un tedesco o un ungherese. In verità "è nato in Ungheria, ha raramente visitato la Germania e ha risieduto a lungo a Parigi."<ref name="Horin">Meir Ben-Horin, ''Max Nordau: Philosopher of Human Solidarity'', London Jewish Society, Hillel Foundation:Londra, 1956.</ref> Questo è il punto. Nordau proveniva dell'Ungheria, andò in Austria e visse in Francia — e scrisse in tedesco. Non appartenne quindi a nessun luogo incondizionatamente.
 
In breve, lo si potrebbe ''categorizzare'' come "ebreo", una categoria che attraversa i confini culturali e politici. Tuttavia è un riconoscimento che diventerà sempre più centrale per questo tipo di scrittore marginale, medico e critico erudito. Fu di particolare importanza per Theodor Herzl (1860-1904) ed il Movimento Sionista, dal primo Congresso Sionista del 1897, sia come analista della situazione ebraica contemporanea sia come formulatore della bozza di programma. La sua analisi dell'ebraismo contemporaneo, come anche quella di Herzl, è interessante, poiché procede dall'Occidente, dove il progresso e l'emancipazione si erano consolidati da almeno un secolo. Non c'era, come si è già scritto, una comunità "orientale" di per sé, e ancora non erano avvenuti pogrom. Stranamente però, date le speranze progressiste, l'antisemitismo stava aumentando ed il forte impatto dell'aspettativa delusa si fece sentire più percettibilmente in Occidente. Nordau, nel suo famoso discorso al primo Congresso, disse: "Gli uomini del 1792 ci hanno emancipato solo per amor di principio",<ref name="Horin"/> cioè non era stata un'emancipazione sinceramente ''sentita'' e profonda, ma solo originata dalla logica del principio critico d'uguaglianza per tutti. L'ebreo allora cade dalla padella alla brace: "Ha perso la casa del ghetto, ma la sua terra natia gli è negata."<ref name="Horin"/> L'ebreo medievale poteva forse essere miserando, ma almeno aveva un posto definito, sia per se stesso che rispetto agli altri. Ora invece il quadro diventa uniformemente deprimente, sia materialmente che spiritualmente. C'è sofferenza materiale nell'Europa orientale, Nordafrica e Asia occidentale. E nell'Europa occidentale "la miseria è morale." L'emancipazione esiste per legge, ma non nel sentimento. Il sionismo viene visto come la risposta giusta in questo momento, con l'ascesa del nazionalismo in generale, l'aumento della coscienza politica, il fallimento dell'Emancipazione<ref>L‘''Emancipazione degli ebrei'' fu un processo esterno ed interno che si sviluppò in varie nazioni e vide l'espansione dei diritti del popolo ebraico d'Europa, incluso il riconoscimento dei diritti di cittadini paritari, e l'assegnazione formale di cittadinanza ai singoli individui. Comprese l'impegno nell'ambito delle varie comunità di integrarsi nella società come cittadini. Occorse gradualmente a partire dal XVIII secolo fino al XX secolo. L'emancipazione ebraica fece seguito all'Età dell'Illuminismo e alla concomitante ''Haskalah'' (Illuminismo ebraico). Varie nazioni abrogarono o sostituirono precedenti leggi discriminatorie applicate in particolare contro ebrei nei loro luoghi di residenza. Cfr. [https://it.wikipedia.org/wiki/Emancipazione_ebraica Wikipedia, ''s.v.'' "Emancipazione ebraica"] e rispettive note bibliografiche, in partic. [http://www.myjewishlearning.com/history/Modern_History/1700-1914/Emancipation_and_Enlightenment/In_the_West.shtml Eli Barnavi, "Jewish Emancipation in Western Europe"], ''My Jewish Learning''.</ref> e l'impossibilità e l'indesiderabilità di "metter indietro l'orologio".<ref name="Horin"/>
 
[[File:Arthur Schnitzler 1912.jpg|thumb|Arthur Schnitzler]]
Si prenda ora in esame lo scrittore ebreo da un'altra prospettiva, sebbene in contesto simile. Il drammaturgo e scrittore di romanzi '''Arthur Schnitzler''' (1862-1931) apparentemente non poteva certo soffrire di schizofrenia culturale. Nato, cresciuto e operante a Vienna, scrisse in tedesco e fu uno degli autori più rinomati del suo tempo e del suo ambiente, incarnando per molti quell'era e quel luogo.<ref> Per approfondimenti su Schnitzler ed il suo atteggiamento nei confronti dell'ebraismo, si veda Fausto Cercignani, ''Il fine secolo viennese. Arthur Schnitzler, Richard Beer-Hofmann e Karl Kraus'', in ''Studia austriaca – “Sprach-Wunder”. Il contributo ebraico alla letteratura austriaca'', Milano, CUEM, 2003, pp. 33-49.</ref>
 
Schnitzler era un rappresentante alquanto tipico dell'ebraicità viennese, sia culturalmente che nelle origini. Sebbene fosse nato a Vienna, suo padre, inizialmente di cognome Zimmerman, era medico di successo e proveniva dall'Ungheria. Il grosso degli ebrei arrivò a Vienna in seguito a due fattori (sebbene ci fosse stato un contesto comunitario ebraico a Vienna a partire dal XII secolo): il primo fu la successiva divisione della Polonia nel tardo XIX secolo e quindi l'incorporazione della Galizia nell'Impero Asburgico. Il secondo fu la rivoluzione del 1848 che permise il libero movimento degli ebrei e quindi portò alle migrazioni verso Vienna di coloro che ambivano a migliorare la propria condizione sociale e culturale. Vienna era il centro politico, commerciale e culturale del grande Impero e fiorì notevolmente sotto Francesco Giuseppe. La comunità ebraica divenne tipica di molte nel mondo occidentale, abbracciando una copiosa varietà di pratiche e forte senso di identificazione, aumentando di numero ma assimilandosi considerevolmente ai margini. I decenni degli anni 1860 e 1870 furono noti per il loro liberalismo e Schnitzler si sofferma su questa atmosfera nelle sue memorie. Tuttavia annota anche l'antisemitismo prevalente e persino crescente dell'ultimo periodo, specialmente alla fine del secolo:
{{quote|Ma quando queste pagine verranno lette, non apparirà forse più possibile ottenere una giusta impressione (almeno lo spero) dell'importanza, spiritualmente quasi più che politicamente e socialmente, che veniva assegnata alla cosiddetta questione ebraica quando furono scritte queste righe. Non fu possibile, specialmente non per un ebreo nella vita pubblica, ignorare il fatto di essere ebreo.|A.Schnitzler, ''Jugend in Wien'', 1968 (diario dal 1862 al 1889)<ref>Si consultino i suoi ''Diari e Lettere'', trad. G. Farese, Collana Le Comete, Feltrinelli ISBN 8807530163; (a cura di T. Nickl e H. Schnitzler), ''Giovinezza a Vienna. Autobiografia'', trad. A. Di Donna, Collana Testi e Documenti n. 18, Editore ES, 2007 ISBN 8877106948.</ref>}}
Di conseguenza, sebbene Schnitzler fosse cresciuto in una casa quasi totalmente priva di pratiche e osservanze ebraiche, fu molto consapevole della sua ebraicità, associata col sentimento antiebraico. Il suo ''Barmitzvah'' fu celebrato senza rituale, ma venne comunque notato, anche se solo come un tredicesimo compleanno di una qualche maggiore importanza rispetto ad altri suoi genetliaci. Frequentò istruzione ebraica, sebbene durante la sua adolescenza si considerasse un ateo.
 
==Note==