Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/Un'identità letteraria ebraica: differenze tra le versioni

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L'ebraico era quindi sconosciuto e lo yiddish degradato. Per raggiungere i suoi lettori, Mendeli dal 1862 in poi si spostò consapevolmente verso lo yiddish, senza però abbandonare la sua prima preferenza (la prima edizione del romanzo in ebraico ''Haavoth vehabanim'' apparve nel 1866. In seguito, subito prima della succitata dichiarazione autobiografica, dal 1866 in poi ritornò alla scrittura ebraica.<ref name="Entin">[http://worldlibrary.org/eBooks/WPLBN0002250337-Di-zaylen-fun-der-nayer-Idisher-li-era-ur--nayn-lek-tsyes-v-egen-Mendeli-Moykher-Sforim--Sholem-by-Entin--Joel.aspx Joel Entin, ''Di zaylen fun der nayer Idisher li era ur'', 1923].</ref>
 
Questa terza fase — la sua seconda in ebraico — fu quella maggiormente apprezzata e lodata da Bialik. I suoi primi scritti in ebraico erano nella forma del primo "moderno", ristabilendo frasi già composte nel contesto di una narrativa contemporanea e adottando un tono quasi biblico ma senza il relativo impeto. Il successo del nuovo Mendeli si ritrovò invece nel suo incorporare le sue innovazioni yiddish nella forma dell'ebraico, creando una lingua alquanto differente, più flessibile e viva. La sua seconda ''fase ebraica'' consistette principalmente nel riproporre le sue opere yiddish in ebraico. In yiddish l'autore aveva adottato la persona narrante del "libraio" (''mocher sefarim''), da cui il suo soprannome appunto. Il libraio è spesso il narratore e uno dei personaggi principali delle sue storie. Come carattere itinerante, egli può osservare la scena in tutte le sue forme, in tutto il territorio della Zona di Residenza.<ref>''Zona di residenza'' (''Čerta osedlosti'') era il termine dato alla regione dell'Impero Russo, lungo il suo confine occidentale, in cui gli ebrei avevano il permesso di risiedere in permanenza, e oltre la quale di solito la residenza era interdetta agli ebrei. Si stendeva dalla linea di demarcazione alla frontiera russa con l'Impero tedesco e l'Impero Austro-Ungarico.<sup>''Da voce su Wikipedia''</sup></ref> Questo processo di osservazione divenne la sua chiara direzione di scrittura, riportando non tanto la specificità del luogo, il relativo carattere e incidente, quanto il generico permenate questi aspetti. Mendeli annota in maniera accalorata in ''Sefer haqabtzanim'' (''Libro degli accattoni'', 1909): "tutto Israele è accattone", producendo una pesante caratterizzazione dell'ebraismo a lui contemporaneo.<ref name="Mendeli"/> La sua prima storia in ebraico alla nuova maniera — ''Beseter raam'' (1886) — introduceil lettore ebraico a "Kisalon" (letteralmente "Città degli Stolti"), che non riporta configurazioni individuali ma sembra una delle tante città ebraiche. "Questa Kisalon, con la quale apro la mia storia, è particolarmente importante in quanto ovunque vivano gli ebrei, così è chiamata... Kisalon è una città completamente ebrea in tutti i sensi. Non esiste rispetto per l'architettura, le sue case non si reggono e sono incolori. La bellezza e la grazia vengono considerate indegne e quindi senza nessun valore."<ref name="Mendeli"/> Aver adottato le sembianze di libraio permette a Mendeli di girare liberamente e generalizzare. E tale generalizzazione vien fatta sulla base di confronti, e con forte critica. L'autore fa parte, ma non proprio, della scena rappresentata. Ci appartiene culturalmente, eppure riesce ad osservare con distacco e demolire il suo bersaglio, molto nelle sue prime opere, un po' di meno in seguito.
 
Lo yiddish aveva la virtù di essere capito dalle masse ebree. L'ebraico era la lingua (sacra) adorata da tutti gli strati del popolo ebraico e in tutte le sue fasi storiche. L'autore, spostandosi spesso da una lingua all'altra, diviso tra lealtà e proposito, tentò di fonderle insieme e riuscì quindi a creare un nuovo pubblico.<ref name="Entin"/>
 
[[File:Berdichevski.jpg|thumb|Micha Josef Berdyczewski]]
Se Mendeli creò uno strumento per cementare la collettività ebraica nella narrativa, il suo contemporaneo più giovane, '''Micha Josef Berdyczewski''' (1865-1921) si concentrò maggiormente sul singolo ebreo, particolarmente su quel tipo di ribelle che si spostava oltre i confini di un certo mondo ebraico alla ricerca di un panorama più vasto per soddisfare il proprio spirito ed intelletto. Nato a Medzibezh, in Podolia, dove la popolazione ebraica nel 1897 veniva registrata a 6040 abitanti, cioè il 73,9% del totale (a quel tempo Ucraina russa), passò la giovinezza a Dubow, Kiev, ma poi si trasferì fuori della Zona di Residenza, andando in Germania: a Breslau nel 1890 e a Berlino nel 1892. Trascorse il resto della sua vita quasi esclusivamente in Germania e Svizzera, scrivendo in yiddish e tedesco, sebbene in caratteri ebraici — produsse racconti, saggi e polemiche ricostruzioni di storia ebraica, proponendo un'antitesi all'ebraismo ''mainstream'', secondo una tradizione clandestina che era stata, secondo lui, repressa del rabbinismo.<ref>M.J. Berdyczewski, ''Kol Kitvey'', 2 voll., Tel Aviv, 1951, ''s.v.''.</ref>
 
Da sottolineare nella biografia di Berdyczewski il carattere sia tipico che unico della sua personalità artistica: tipico nel senso del tono letterario, ribelle contro le limitazioni del suo ambiente e sfondo culturale, pur tuttavia abbarbicato fermamente al cordone ombelicale della storia, destino e lingua ebraici. Inusitato è comunque il suo scavare nella lingua ebraica (la maggioranza delle sue opere è in ebraico, tra cui circa 150 racconti) al di fuori dei centri tradizionali della cultura ebraica e del relativo pubblico.
 
==Note==
<references/>
 
 
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