Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/Un'identità letteraria ebraica: differenze tra le versioni

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Lo scrittore ebreo nell'età post-illuminista (tardo XIX secolo) si ritrovava con una gamma di possibilità identificatrici. In quanto ebreo, si poteva identificare con il gruppo ebraico e rivolgersi ad una platea ebraica. In quanto operatore nell'ambito di un contesto di una data nazione ospitante, poteva provare ad integrarsi in quella specifica entità nazionale. Poteva usare lo yiddish o il polacco o il russo (il 90% degli ebrei si trovava nell'Europa orientale prima del 1880), a seconda delle circostanze della propria istruzione e ambiente. Tuttavia esisteva anche e sempre di più, un elemento di scelta; certamente non del tutto libero ed incirconscritto, ma crescente, con l'aumentata mobilità e accessibilità ad eventi mondiali. Tale elemento di marginalità, la possibilità di un'identificazione personale, la scelta di un pubblico e di una fedeltà culturale, non è sconosciuta agli scrittori di altre estrazioni, ma confrontava lo scrittore ebreo in particolare. Poteva semplicemente scrivere nella lingua della sua patria, rivolgendosi ai rispettivi lettori? Normalmente tale domanda non sorgeva tra scrittori non ebrei: esisteva infatti una coincidenza di lingua, cultura, affiliazione, nazione e religione. Poche erano le lingue emotivamente neutrali. Il polacco per esempio non solo era la lingua di una regione geografica, ma il mezzo di espressione di un gruppo represso e di forti aspirazioni indipendentistiche dopo le ripetute divisioni e soggiogazioni della Polonia nel tardo XVIII secolo e primo XIX secolo. Il russo era la lingua di una grande letteratura, ma anche di una cultura cristiana ed antisemita. Pure il tedesco ed il francese avevano le proprie tradizioni ed erano spesso associati con particolari ambizioni nazionali.<ref name="Schocken">Barry W. Holtz (cur.), ''Schocken Guide to Jewish Books: Where to Start Reading About Jewish History, Literature, Culture and Religion'', Schocken Books, 1992, ''passim''.</ref>
 
Per l'ebreo non poteva quindi esserci una soluzione semplice, anche in questa primaria problematica della lingua. La lingua poteva di per se stessa costituire un'ideologia. Scrivere in una lingua non ebraica poteva implicare non solo un'associazione con un certo pubblico, ma anche una condivisione di comunità e destino. D'altra parte, la scelta di una lingua ebraica comportava diverse difficoltà. Il vernacolare ebraico predominante nell'Europa orientale era lo yiddish, ma questo aveva una tradizione letteraria ridotta e degli svantaggi relativi al mondo, cultura e futuro ebraici.<ref name="Schocken"/> L'ebraico era considerato da molti la lingua ebraica ''par excellence'', per la sua storia, la sua quintessenza ed universalità ebraiche, ed il suo potenziale (visto ideologicamente) se rivitalizzata. Esisteva però un pubblico molto ristretto per l'ebraico, e lo scrittore in ebraico, come qualsiasi altro scrittore, ha bisogno di lettori. Qui si cercherà di esaminare una serie di risposte a tali questioni, implicite o esplicite, date da alcuni scrittore ebrei dell'epoca.à Chiaramente, tali risposte saranno governate, in un certo qual modo, da fattori predeterminati, come per esempio la madrelingua e l'ambiente sociale, ma anche dall'ideologia (sebbene a volte non dichiarata). Queste risposte indicavano il modo in cui lo scrittore ebreo vedeva se stesso e la sua funzione, la sua società, il proprio futuro e quello del suo gruppo, e le proprie aspirazioni (e del suo gruppo).<ref name="Modern">Sheila E. Jelen, Michael P. Kramer, L. Scott Lerner (curatori), ''Modern Jewish Literatures: Intersections and Boundaries'', University of Pennsylvania Press, 2010, pp. 43-52 e segg.</ref>
 
L'era post-illuminista aveva catapultato l'ebreo in un mondo di opzioni o, per lo meno, di tentazioni. Il suo posto non era più un dato fisso entro una cultura religiosa disposta rigidamente. Poteva quindi essere ebreo (in qualunque misura) e anche qualcosa d'altro, che fosse nazionale o internazionale, unitariamente culturale o interculturale. Si è affermato che l'estrazione ebraica abbia avuto notevoli ripercussioni in questa area post-religiosa. Per esempio, in merito all'arte per l'arte stessa, un critico ha scritto:
{{quote|Gli ebrei qui non avevano una tradizione di estetica quale ''sfera autonoma'', né una nozione radicata storicamente del poeta come eroe e guida. Alcuni scrittori ebrei sembrano vagamente imbarazzati dall'idea di un'originalità artistica anche quando ci aspirano, quasi fosse un qualcosa che hanno rubato al Romanticismo europeo senza essere mai completamente sicuri della propria genuinità.|R. Alter, ''Defenses of the Imagination'', Philadelphia, 1997}}
 
Sicuramente la Bibbia contiene grande letteratura, ma la molla dell'opera è appassionatamente religiosa piuttosto che estetica. La tradizione rabbinica aveva come suo oggetto il chiarimento del ruolo ebraico nell'osservanza dei comandamenti, in esplicazione dei testi "rivelati" e della funzione divina, e non il racconto di favole come tali. Stessa cosa accadeva per la direzione principale presa dalla letteratura medievale, che fosse "religiosa" o "secolare". Persino coloro che si spostavano dalla tradizione ne erano comunque condizionati, nell'ambito dei termini della retorica adottata. Poteva forse essere che il carattere metaestetico del condizionamento ebraico continuasse a controllare gli interessi dello scrittore ebreo e le sue aspirazioni inconsce nel mondo del secolarismo positivista moderno?<ref name="Schocken"/>
 
Non esiste una risposta unica a tale domanda. Non solo esiste una molteplicità di personaggi coinvolti nella problematica, ma anche una disparità di sviluppi, di ipotesi circa la platea di lettori, la rispettiva cultura ed il linguaggio. Il grado di integrazione dell'ebreo era alquanto differente nella Parigi e Vienna ''fin-de-siècle'', rispetto a quello di Ucraina e Lituania. Anche le condizioni stavano rapidamente cambiando, sia all'esterno con i nuovi nazionalismi, un proletariato sofferente e la crescita demografica; sia internamente, in termini di esposizione ebraica locale al mondo esterno, le sue aspirazioni, sia verso l'espressione religiosa (chassidismo, talmudismo, riforma, ecc.), verso l'integrazione (liberalismo, socialismo, capitalismo), sia verso il nazionalismo ebraico (bundismo, sionismo).<ref name="Modern"/> Se ne esaminano alcuni casi particolari qui appresso.
 
[[File:Ravnitzki An-ski Mocher Sforim Bialik Frug.jpg|thumb|Il gruppo letterario di Odessa (da sinistra): Y. Ravnitzki, S. An-ski, Mendeli Mocher Sefarim, H.N. Bialik, S. Frug (ca. 1916)]]
'''Shalom Yaakov Abromowitz''', popolarmente noto come Mendeli Mocher Sefarim (1836-1917) ha la principale distinzione di essere conosciuto quale fondatore di due letterature moderne — quella yiddish e quella ebraica. Un compendio di letteratura yiddish afferma di lui che "non solo è rinomato quale grande e originale scrittore yiddish, ma anche come il primo grande artista in yiddish... ha infatti sollevato la letteratura yiddish dalle sue umili basi."<ref>Z. Rejzen, ''Lexicon für der Yiddisher litėratur'', Vilna, 1926.</ref> Il poeta H.N. Bialik, in due saggi che trattano della posizione di Mendeli nella rosa degli autori ebraici, scritti dopo l'uscita di un'edizione in tre volumi dell'opera di Mendeli nel 1912, scrive che, "quando si leggono gli scritti di Mendeli, si prova la sensazione costante di trovarsi davanti non solo all'opera di un artista, ma del 'primario', con tutta l'enfasi che tale parola possiede per noi ebrei (''Mendeli ushloshet hakrakhim'')".<ref>Nel presente testo, ebraico e yiddish vengono traslitterati per facilitarne la trascrizione.</ref> ''Primario'' indica l'autorità inerente all'interpretazione classica, quella delle fonti primarie appunto, che nel rango della gerarchia tradizionale ebraica non solo è ''primaria'' cronologicamente, ma anche in importanza. Bialik inoltre asserisce che Mendeli da solo ha creato un nuovo standard linguistico, che è diventato lo strumento basilare della letteratura ebraica a partire da quel momento (''yotzer hanusah'').<ref>H.M. Bialik, ''Kol Kitvey'', 4 voll., Tel Aviv, 1939.</ref> Fino ad allora la lingua della letteratura ebraica moderna era stata una ''pastiche'' di citazioni di forme arcaiche. Mendeli, anche senza l'uso di un vernacolo corrente, aveva incorporato tutti gli strati della lingua, oltre all'aramaico e al sapore dello yiddish parlato, in un unico blocco integrato.
 
Lo ''status'' di Mendeli come fondatore di entrambe le letterature non è mai stato messo in dubbio. Nato nella provincia di Minsk, si appropriò di due tradizioni linguistiche potenzialmente ebraiche e le trasformò affinché raggiungessero il suo pubblico. Chiaramente scrisse per lettori e di lettori ebrei, sia per divertimento che per una critica mordente. Una delle fonti che ci illustrano la sua estrazione è una sua breve dichiarazione autobiografica del 1889 (''reshumoth letholdothay'') dove discute le origini della sua ispirazione, il suo passato e alcuni dei suoi intenti letterari. Fino all'età di 13 anni, "non c'era nulla nel mio mondo eccetto la Legge ebraica, e non sapevo nulla a parte il Talmud".<ref name="Mendeli">Mendeli M. Sefarim, ''Kol Kitvey'', Tel Aviv, 1947.</ref> Tuttavia, fu influenzato anche dall'ambiente naturale dei suoi luoghi: la natura gli fornì sempre sollievo e distensione, in contrasto con la povertà e le ristrettezze del suo paese. Tale contrasto lo galvanizzò nello scrivere, suggerendogli poi i contenuti ed i toni. Mendeli fu didattico nello spirito illuminista, cercando di ravvivare e migliorare; il suo primo impulso fu di utilizzare la "lingua sacra" nel raccontare le storie che lo affascinavano. Questa era dopotutto la "fonte d'Israele". Tuttavia, dopo alcune esperienze in tale vena, arrivò alla spiacevole ma ovvia conclusione che "la maggioranza dei [miei] lettori non conoscono questa lingua, ma parlano il tedesco-ebraico. Che scopo ha un autore di sudare così duramente, se poi non ottiene nulla?"<ref name="Mendeli"/> Bisogna avere un pubblico. E quindi, per raggiungere tale pubblico, dovette rivolgersi allo yiddish. Ma anche lì incontrò difficoltà:
{{quote|Lo yiddish ai miei tempi era un vaso vuoto che non conteneva niente di positivo, solo un sacco di stupidaggini, spazzatura e inutilità create da cretini senza padronanza della lingua, lette da poveracci che non capivano, e quelli che capivano si vergognavano di ammettere di leggere tali scemenze.|M.M. Sefarim, ''Kol Kitvey, cit.'', 1947}}
L'ebraico era quindi sconosciuto e lo yiddish degradato. Per raggiungere i suoi lettori, Mendeli dal 1862 in poi si spostò consapevolmente verso lo yiddish, senza però abbandonare la sua prima preferenza (la prima edizione del romanzo in ebraico ''Haavoth vehabanim'' apparve nel 1866. In seguito, subito prima della succitata dichiarazione autobiografica, dal 1866 in poi ritornò alla scrittura ebraica.<ref name="Entin">[http://worldlibrary.org/eBooks/WPLBN0002250337-Di-zaylen-fun-der-nayer-Idisher-li-era-ur--nayn-lek-tsyes-v-egen-Mendeli-Moykher-Sforim--Sholem-by-Entin--Joel.aspx Joel Entin, ''Di zaylen fun der nayer Idisher li era ur'', 1923].</ref>
 
Questa terza fase — la sua seconda in ebraico — fu quella maggiormente apprezzata e lodata da Bialik. I suoi primi scritti in ebraico erano nella forma del primo "moderno", ristabilendo frasi già composte nel contesto di una narrativa contemporanea e adottando un tono quasi biblico ma senza il relativo impeto. Il successo del nuovo Mendeli si ritrovò invece nel suo incorporare le sue innovazioni yiddish nella forma dell'ebraico, creando una lingua alquanto differente, più flessibile e viva. La sua seconda ''fase ebraica'' consistette principalmente nel riproporre le sue opere yiddish in ebraico. In yiddish l'autore aveva adottato la persona narrante del "libraio" (''mocher sefarim''), da cui il suo soprannome appunto. Il libraio è spesso il narratore e uno dei personaggi principali delle sue storie. Come carattere itinerante, egli può osservare la scena in tutte le sue forme, in tutto il territorio della Zona di Residenza.<ref>''Zona di residenza'' (''Čerta osedlosti'') era il termine dato alla regione dell'Impero Russo, lungo il suo confine occidentale, in cui gli ebrei avevano il permesso di risiedere in permanenza, e oltre la quale di solito la residenza era interdetta agli ebrei. Si stendeva dalla linea di demarcazione alla frontiera russa con l'Impero tedesco e l'Impero Austro-Ungarico.<sup>''Da voce su Wikipedia''</sup></ref>
 
==Note==