La religione greca/Le teologie dei filosofi/Diogene: differenze tra le versioni
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==Antistene, Diogene e gli altri "Cani": lo sforzo dei devoti a Eracle per la conquista della libertà assoluta==
Diogene il "Cane" (Diogene di Sinope, IV secolo a.C.) è considerato il fondatore di quella via di vita filosofica che va sotto il nome di "
Va subito detto che il termine "cinismo" occorre comunemente in lingua italiana per indicare un atteggiamento nei confronti della vita, e dei suoi eventi, che nulla ha a che fare con lo stile di vita e di giudizio propugnato dagli antichi seguaci di questa via filosofica<ref>Da notare che l'attenta lingua tedesca riserva a ciò due termini differenti: ''Kynismus'', per la via filosofica antica, e ''Zynismus'', per l'atteggiamento moderno.</ref>.
Se Diogene di Sinope è comunemente considerato il fondatore/diffusore dello stile di vita dei "
{{q|Perché, secondo me, amici, ricchezza e povertà gli uomini l’hanno non in casa, ma nell'anima. Vedo tanti privati i quali, pur possedendo moltissime sostanze si ritengono poveri al punto da affrontare ogni fatica, ogni rischio per guadagnare di più: conosco pure dei fratelli che hanno avuto la stessa eredità e tuttavia uno ha per le spese il necessario e il soprappiù, mentre l’altro manca di tutto: e so di certi tiranni tanto affamati di ricchezze che commettono delitti molto orrendi degli uomini più disperati, taluni, infatti, per bisogno rubano, altri invadono le case, altri fanno schiavi gli uomini: ci sono tiranni che distruggono famiglie intere, uccidono in massa e spesso per il denaro riducono città intere in servitù. Questi io li compiango e molto per la loro tragica ossessione. Mi pare che si trovino nella stessa condizione di quanti, pur avendo molto, e molto mangiando, non si riempiono mai. Per parte mia, i miei possessi sono tanti che faccio fatica io stesso a trovarli: eppure mi permettono abbondantemente di sfamarmi quando mangio, di dissetarmi quando bevo e di coprirmi infine, sì da respingere il freddo, quando sto fuori, meglio del nostro ricchissimo Callia: quando poi sto in casa, le pareti mi sembrano davvero tuniche, il tetto un manto spesso, dormo, infine, difeso cosi bene dalla coperta, che è un affar serio levarsi dal letto. E se talvolta il mio corpo ha bisogno d’amore, ciò che ho mi basta perché con grandissima gioia mi accolgono quelle da cui vado, non volendo nessun altro avvicinarle. E tutte queste cose mi paiono così dolci che, mentre le compio, una per una, non desidererei mai riceverne gioia maggiore, minore sì: tanto alcune di esse mi sembrano più gradite di quanto conviene! Ma quel che io stimo di più nella mia ricchezza è che, se adesso mi fosse strappato ogni mio avere, non vedo lavoro tanto ignobile da non offrirmi un nutrimento sufficiente. Se, infatti voglio indulgere un po’ alle mie voglie, non compro cibi di gran pregio al mercato -ché costano troppo- ma me li faccio dispensare dall'appetito, perché molto contribuisce al piacere raggiungerlo dopo essere stati a lungo in attesa di soddisfarlo che poter usare cose di gran pregio, come adesso, per esempio, che con questo vino di Taso, a mia disposizione, lo bevo senza aver sete. Inoltre è naturale che siano molto più giusti quelli che cercano la frugalità che i grandi dispendi: infatti, chi si contenta di quel che ha, non brama l’altrui. E’ bene poi riflettere che questa ricchezza rende anche liberali. Il nostro Socrate, dal quale l'ho acquistata, non la misurava né la pesava con me, ma me ne dava tanta quanta potevo portarne ed io ora non ne sono geloso con nessuno e a tutti gli amici la mostro senza gelosia e divido con chiunque voglia la ricchezza della mia anima. E, ciò che è ancora più splendido, guardate la mia assoluta libertà, per cui posso osservare quel che vale la pena osservare, ascoltare quel che vale la pena ascoltare e - quel che a me interessa di più- stare in piena libertà da mattina a sera insieme a Socrate. Il quale non ammira chi conta molto denaro, ma passa il tempo insieme a quelli che gli piacciono. |Discorso di Antistene riportato in Senofonte, ''Il Simposio'' IV,34 e sgg.; traduzione di R. Laurenti, in Giannantoni 248-9}}
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La ragione dell'accostamento alla disprezzante figura del "cane" risiede nella scelta di vita condotta e propugnata dai κυνικοί i quali erano usi dormire e mangiare nelle piazze pubbliche, e lì a volte anche accoppiarsi o masturbarsi<ref>Goulet-Cazé, 414</ref>. Va detto che tale scelta di vita, per quanto per certi versi riprovevole ai sensi del vivere comune, si fondava su una profonda meditazione e valutazione della vita stessa<ref>Reale V, 48</ref>.
Il fulcro dell'insegnamento dei Cinici era infatti quello di realizzare l'intima e autentica essenza dell'uomo, liberandolo in questo modo dai condizionamenti sociali e dai suoi stessi accadimenti biografici, e quindi consegnandolo alla felicità (εὐδαιμονία). Per far ciò occorre, secondo i "
Quindi bastare a sé stessi (αὐτάρκεια) ed essere indifferenti alle vicende del mondo (απάθεια).
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