Gli dèi della Grecia: differenze tra le versioni

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==Chaos==
'''Chaos''' (anche '''Caos''', dal greco antico: ''Χάος'') è l'entità primigenia così indicata nella ''Teogonia'' di [[Esiodo]]:
{{Quote|Dunque, per primo fu il Chaos, e poi<br> Gaia dall'ampio petto, sede sicura per sempre di tutti<br> gli immortali che tengono le vette dell'Olimpo nevoso,<br> e Tartaro nebbioso nei recessi della terra dalle ampie strade,<br> e poi Eros, il più bello fra gli dèi immortali,<br> che rompe le membra, e di tutti gli dèi e di tutti gli uomini<br> doma nel petto il cuore e il saggio consiglio.<br> Da Chaos nacquero Erebo e nera Nyx. <br> Da Nyx provennero Etere e Hemere<br> che lei partorì concepiti con Erebo unita in amore.|[[Esiodo]], ''[[Teogonia (Esiodo)|Teogonia]]'', 116-125. Traduzione di [[Graziano Arrighetti]], in Esiodo ''Opere'' : 1998 Einaudi-Gallimard; 2007 Mondadori, p. 9|Ἦ τοι μὲν πρώτιστα Χάος γένετ᾽, αὐτὰρ ἔπειτα<br>Γαῖ᾽ εὐρύστερνος, πάντων ἕδος ἀσφαλὲς αἰεὶ<br>[ἀθανάτων, οἳ ἔχουσι κάρη νιφόεντος Ὀλύμπου,<br>Τάρταρά τ᾽ ἠερόεντα μυχῷ χθονὸς εὐρυοδείης,]<br>ἠδ᾽ Ἔρος, ὃς κάλλιστος ἐν ἀθανάτοισι θεοῖσι, <br>λυσιμελής, πάντων δὲ θεῶν πάντων τ᾽ ἀνθρώπων<br>δάμναται ἐν στήθεσσι νόον καὶ ἐπίφρονα βουλήν.<br>Ἐκ Χάεος δ᾽ Ἔρεβός τε μέλαινά τε Νὺξ ἐγένοντο•<br>Νυκτὸς δ᾽ αὖτ᾽ Αἰθήρ τε καὶ Ἡμέρη ἐξεγένοντο,<br>οὓς τέκε κυσαμένη Ἐρέβει φιλότητι μιγεῖσα. |lingua=grc}}
 
Considerando che originariamente questa parola non aveva l'attuale connotazione di "disordine" che si ritrova nella parola d'uso comune "caos" <ref>In ''Dizionario Greco-Italiano/Italiano-Greco'', F. Schenkl & F. Brunetti, Fratelli Melita Editori, Genova/La Spezia, 1990, ISBN 88-403-6693-8, p. 946; anche [[Cesare Cassanmagnago]] p.927 nota 23.</ref>, il termine greco antico "Chaos" viene reso come "Spazio beante", "Spazio aperto"<ref>La resa in "Spazio beante", "Spazio aperto" è di [[Herbert Jennings Rose]] «il nome significa chiaramente "spazio vuoto, beante"» (Cfr. p.375 dell' ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995). Così rende anche Cesare Cassanmagnago.</ref>, "Voragine"<ref>Questo termine preferito ad esempio da Vernant (cfr. [[Jean-Pierre Vernant]], ''L'universo, gli dei e gli uomini''. Torino, Einaudi, 2001), verte sull'analisi etimologica che lo fa derivare dalla radice *''cha'', radice che richiama il verbo ''cháino/chásko'', "aprire la bocca", quindi qualcosa che si "spalanca" (cfr. [[Maria Michela Sassi]], ''Gli inizi della filosofia: in Grecia'', Torino, Boringhieri, 2009, p.71).</ref> dove indica, nella sua etimologia, "fesso, fenditura, burrone", quindi simbolicamente "abisso" dove sono "tenebrosità, oscurità".
 
[[Esiodo]] lo descrive come ''eghèneto'', non il principio quindi, ma ciò che da questo per primo appare:
 
{{q|"Primo di tutti fu il Caos", dice Esiodo (''Theog.'' 116) è da notare che il verbo (γένετο, non ἤν) implica che non esisteva dall'eternità.|[[Herbert Jennings Rose]]. ''Caos'' in ''Dizionario di Antichità Classiche di Oxford'', vol.1. Milano, Paoline, 1981, p. 375}}
 
{{q|Va notato che il Caos esiodeo non esiste da sempre: si manifesta d'improvviso e perdura, anche dopo che si sono sviluppati gli esseri divini, come uno spazio di fondo, un buco nero dell'universo.|[[Giulio Guidorizzi]]. ''Il mito greco'' vol.1 ''Gli dèi''. Milano, Mondadori, 2009, p.1168}}
 
Il Chaos, secondo alcuni autori, risulta essere nella [[mitologia greca|mitologia]] e nella [[cosmogonia]] degli antichi greci, la personificazione dello stato primordiale di "[[vuoto]]", il buio anteriore alla generazione del [[cosmo]] da cui emersero gli dèi e gli uomini<ref>La Nuova Enciclopedia Universale Garzanti, Milano, 1982, p. 266</ref>.
{{Quote|Caos il vuoto primordiale, una specie di gorgo buio che risucchia ogni cosa in un abisso senza fine paragonabile a una nera gola spalancata (χάσκω, "inghiotto")|[[Giulio Guidorizzi]], ''Il mito greco. Gli dèi.'' vol.1, Milano, Mondadori, 2009, p.5}}
 
Altri interpreti della ''[[Teogonia (Esiodo)|Teogonia]]'' avvertono che Chaos non coinciderebbe solo con il "Vuoto". [[Graziano Arrighetti]] ricorda che su questa nozione/divinità non si ha concordanza tra gli studiosi ma «si è in generale d'accordo che Χάος non è semplicemente il "vuoto", il "luogo" dove le entità vengono in essere e trovano collocazione»<ref>In Esiodo Opere: 1998 Einaudi-Gallimard; 2007 Mondadori, p.325)</ref>; ma, da un'attenta disamina del termine, risulterebbe essere un'[[entità]] non solo spaziale ma anche materiale: «una sorta di nebulosità senza forma associata all'oscurità.» <ref>Così Cesare Cassanmagnago, p.927 nota 23, richiamando Aude Wacziarg ''Le Chaos d' Hésiode'' Pallas, Revue d' Études Antiques 49 (2002): 131–152</ref>.
 
Lo scoliaste lo descrive come ''kenòn'', lo spazio vuoto tra cielo e terra dopo che una possibile unità originaria fu spezzata:
{{Quote|Il Caos è dunque emissione e secrezione verso gli elementi. Alcuni lo dicono acqua, altri aria (...) ''"Venne all’esistenza lo Spazio beante": Chaos è in rapporto a riversarsi; è un luogo vuoto che sta tra terra e cielo; infatti è venuto all’esistenza dall’invisibile''.|''Scolii a Esiodo, Teogonia'', v. 116 Traduzione di [[Cesare Cassanmagnago]]. ''Op.cit'', p.493)}}
 
Quello che Esiodo chiama Chaos non coincide in realtà con quello che i posteri filosofi a partire da Talete identificarono come il principio di tutte le cose o come soprattutto Anassimandro identificò con il termine di [[arché]]<ref>Cfr. Simplicio, ''Commento alla Fisica di Aristotele'' XXIV, 15 e CL, 23</ref>, ma è l'origine di cose che prima non erano, l'entità eterna ma che non esiste dall'eternità. Da Erebo e Notte si generano le negatività del pensiero greco arcaico: Morte, Sonno e Sogni, le Moire e le Kere, Biasimo, Sventura, Discordia.
Esiodo concepisce infatti una seconda generazione dovuta a [[Gaia]] (la madre Terra) che è all'origine del mondo naturale: il cielo, le montagne, il mare e dalla sua unione con [[Urano]] (il Cielo stellato) nasceranno gli dei. Gaia «non è generata da Chaos, di essa si dice solo l'ingenerato esserci <ref>Esiodo, ''Teogonia'', 116, 117</ref> ...né mai si incontrano, Gaia e Chaos; neppure le loro discendenze si incrociano.» <ref>Anna Jellamo, ''Il cammino di Dike: l'idea di giustizia da Omero a Eschilo'', Donzelli Editore, 2005 , p.8.</ref>.
 
Da notare che nella teogonia [[orfismo|orfica]] riportata da [[Eudemo da Rodi]]<ref>Cfr. fr. 150 ; DK I 6,14-18; Kern OF 58-61; Colli 4 [B 9]a.</ref> e dal Papiro di Derveni<ref>Cfr. 9 e sgg.</ref> in principio è la Notte (''Nyx'') e non Chaos. Mentre nella teogonia di ispirazione orfica riportata da Aristofane in ''Gli uccelli''<ref>Cfr. 693 e sgg.</ref> Chaos è all'origine unitamente a Erebo, Notte e Tartaro.
 
Così [[Filodemo di Gadara]] in ''Sulla pietà'' riassume, ad esempio, alcune differenti antiche dottrine teogoniche:
{{q|Alcuni autori sostengono che tutte le cose derivano dalla Notte e dal Tartaro, altri dall'Ade e dall'Etere; colui che scrisse la ''Titanomachia'' dice dall'Etere, Acusilao dal Caos primigenio; nei versi attribuiti a Museo è scritto che in principio era il Tartaro e la Notte.|''Frammenti dei Presocratici'' (Diels-Kranz: 2 B 14); Traduzione di Gabriele Giannantoni in ''Presocratici, testimonianze e frammenti'', tomo 1. Milano, Mondadori, 2009, p. 29}}
 
Per [[Anassagora]]<ref>''Frammenti dei Presocratici'' (Diels 59, B, 1-4).</ref> come per [[Platone]]<ref>Platone, ''Timeo'', 30a e sgg.</ref> il "caos" è il luogo della [[materia (filosofia)|materia]] informe e rozza a cui attinge un principio superiore, la "Mente" per Anassagora e il [[Demiurgo]] per Platone, per la formazione del mondo ordinato: il cosmo<ref>Cfr. G. Bonafede. ''Caos'' in ''Enciclopedia filosofica'' vol.2. Milano, Bompiani, 2006, pp. 1617-8</ref>.
 
==Gaia==
'''Gea''' (in [[lingua greca|greco]] attico: '''Γῆ''') o '''Gaia''' (in greco ionico e quindi in omerico: '''Γαῖα''') è, nella [[religione greca|religione]] e nella [[mitologia greca]], la [[Dio (Greci)|dea]] primordiale, quindi la potenza divina, della [[Terra]].
 
=== Gaia (Gea) nella ''Teogonia'' di Esiodo ===
La ''[[Teogonia (Esiodo)|Teogonia]]'' di [[Esiodo]]<ref>[[Esiodo]], [[Teogonia (Esiodo)|Teogonia]] 116 e sgg.</ref> racconta come, dopo [[Chaos (mitologia)|Chaos]] (Χάος), sorse l’immortale Gaia (Γαῖα), progenitrice dei titani e degli [[Olimpi|dei dell’Olimpo]].
 
Da sola, e senza congiungersi con nessuno, Gaia genera Urano (Οὐρανός, Cielo stellante) pari alla Terra<ref>Si riferisce all'estensione, il Cielo stellante, semisferico, finisce là dove finisce Gaia, la linea di orizzonte indica sia la fine del Cielo stellante che della Terra (Arrighetti, p.326; Cassanmagnago p.929)</ref>, generò quindi, sempre per partenogenesi, i monti, le Ninfe (Νύμφη ''nymphē'') dei monti<ref>Quindi le Oreadi (Ὀρεάδες)</ref> e il Ponto (Πόντος, il Mare)<ref>Distinto quindi da Oceano (Ὠκεανός)</ref>.
 
Unendosi a Urano, Gaia genera i Titani (Τιτάνες): Oceano (Ὠκεανός)<ref>In ''Iliade'', XIV 201, Oceano è detto «padre degli dèi». [[Aristotele]], in ''Metafisica'' I (A) 3,983 intende questo, «Oceano e Teti genitori del divenire», come anticipazione delle teorie di Talete.</ref>, Coio ( Κοῖος, anche Ceo), Creio (Κριός, anche Crio), Iperione (Ύπέριον), Iapeto (Ιαπετός, anche Giapeto), Theia (Θεία, anche Teia o Tia)<ref>Pindaro ''Istmica'' V la canta; da intendere come divinità della luce (cfr. Colonna p.83)</ref>, Rea (Ῥέα), Themis (Θέμις, anche Temi), Mnemosyne (Μνημοσύνη, anche Menmosine), Phoibe (Φοίϐη, anche Febe), Tethys (Τηθύς, anche Teti) e Kronos (Κρόνος, anche Crono).
 
Dopo i Titani, l'unione tra Gaia e Urano genera i tre Ciclopi (Κύκλωπες: Brontes, Steropes e Arges<ref>Dèi con un "occhio solo", i loro nomi richiamano rispettivamente il "Tonante", il "Fulminante" e lo "Splendente".</ref>)<ref>Da notare la differenza con l'<nowiki></nowiki>''Odissea'', IX 187, dove i Ciclopi risultano dei giganteschi e selvaggi pastori e in cui, uno di questi, Polifemo,è figlio di Posidone. Qui, nella ''Teogonia'' esiodea, sono invece tre, dèì figli di Urano e Gaia, costruttori di fulmini che poi consegneranno a Zeus; in Callimaco, ''Inno ad Artemide'', sono gli aiutanti di Efesto, costruttori delle fortificazioni delle città dell'Argolide, ma lo scoliaste (Esiodo ''Theog.'', 139) indica questi ultimi come una "terza" categoria di Ciclopi: «perché di Ciclopi ci sono tre stirpi: i Ciclopi che costruirono le mura di Micene, quelli attorno a Polifemo e gli dèi stessi.»</ref>; e i Centimani (Ἑκατόγχειρες , Ecatonchiri): Cotto, Briareo e Gige dalla forza terribile<ref>Così lo scoliaste (148): «Costoro sono detti venti che prorompono dalle nubi, e sono di sicuro devastatori. Per questo miticamente sono provvisti anche di cento braccia perché hanno pulsionalità guerresche. Cotto, Briareo e Gige sono i tre momenti (dell'anno): Cotto è la canicola, cioè il momento dell'estate, Briareo è la primavera in rapporto con il fiorire ('bryein') e crescere le piante; Gige è il tempo invernale.» (Trad. Cassanmagnago, p. 503).</ref>.
 
Urano, tuttavia, impedisce che i figli da lui generati con Gaia, i dodici Titani, i tre Ciclopi e i tre Centimani, vengano alla luce. La ragione di questo rifiuto risiederebbe, per Cassanmagnago<ref>Cassanmagnago ''Op.cit.'' p.929</ref>, nella loro "mostruosità". Ecco che la madre di costoro, Gaia, costruisce dapprima una falce e poi invita i figli a disfarsi del padre che li costringe nel suo ventre. Solo l'ultimo dei Titani, Kronos, risponde all'appello della madre: appena Urano si stende nuovamente su Gaia, Kronos, nascosto<ref>Nella vagina della madre, ''locheòs'', ( così legge [[Shawn O'Bryhim]], ''Hesiod and the Cretan Cave'' in "Rheinisches Museum fuer Philologie" 140: 95-96, 1997.)</ref> lo evira. Il sangue versato dal membro evirato di Urano goccia su Gaia producendo altre divinità: le Erinni (Ἐρινύες: Aletto, Tesifone e Megera<ref>Questi nomi sono tuttavia di origine ellenistica, mentre la loro presenza è ternaria a partire da Euripide; nell'<nowiki></nowiki> ''Iliade'' il nome è plurale (ad es. XIX, 418) che singolare (ad es. XIX, 87).</ref>), le dee della vendetta<ref>Queste dee rappresentano lo spirito della vendetta nei confronti di chi colpisce i parenti o i membri del proprio clan. Sono anche le divinità che sorvegliano il rispetto degli impegni presi sotto giuramento e che impongono il rispetto del corso "naturale" degli eventi (in quest'ultima accezione cfr. ''Iliade'' XIX, 418 ed Eraclito fr. 94 Diels-Kranz).</ref>, i terribili Giganti (Γίγαντες)<ref>Nell'<nowiki></nowiki>''Odissea'' (VII, 59) sono una tribù selvaggia che perisce insieme al loro capo Eurimedonte.</ref> e le Ninfe Melie (Μελίαι)<ref>Le Ninfe dell'albero di frassino. Anche queste divinità sono strettamente connesse con la guerra essendo il frassino l'albero con cui si costruivano le lance.</ref><ref>Lo scoliaste (187) sostiene che da queste Ninfe viene la prima generazione degli uomini.</ref>.
 
Ponto (Πόντος, il Mare) genera<ref>Non è chiaro se per partenogenesi, o come gli altri successivi a lui, per mezzo dell'unione con Gaia, cf. Arrighetti p.294, Cassanmagnago p.931 (46).</ref> Nereo (Νηρεύς) detto il "vecchio", divinità marina sincera ed equilibrata; poi, sempre Ponto ma unitosi a Gaia, genera Taumante (Θαῦμας)<ref>L'aspetto meraviglioso del mare, cfr. Arrighetti p.294.</ref>, quindi Phorcy (Φόρκυς)<ref>L'aspetto mostruoso del mare, cfr. Arrighetti p.294.</ref>, Cetó (Κητώ)<ref>Anch'esso aspetto mostruoso del mare, cfr. Arrighetti p.294.</ref> dalle belle guance, ed Eurybie (Εὐρύβια)<ref>L'aspetto violento del mare, cfr. Arrighetti p.294.</ref>.
 
Infine Gaia e Tartaro<ref>Cfr. vv. 820 e sgg.</ref> generano Typheo (υφωεύς, anche Tifeo) "a causa dell'aurea" di Afrodite. Questo essere gigantesco, mostruoso, terribile e potente viene sconfitto dal re degli dèi, Zeus, e relegato nel Tartaro insieme ai Titani, da dove spira i venti dannosi per gli uomini.
 
=== Altri miti riguardanti Gea ===
* Apollodoro (''Biblioteca'' I,1) sostiene che Gea abbia dapprima partorito i Centimani (Ecatonchiri) e poi i Ciclopi, Urano, loro padre, gettò questi ultimi nel Tartaro; allora Gea gli partorì i sei Titani (Oceano, Ceo, Iperione, Crio, Giapeto e, per ultimo, Crono) e le sette Titanidi (Tethys, Rea, Temi, Memosyne, Febe, Dione e Tia). Irata con Urano che aveva gettato nel Tartaro i precedenti figli, Gea incita i Titani a sopraffare il padre: tutti accolgono l'invito di Gea tranne Oceano. Aggredito il padre, Crono lo evira.
* Apollodoro (''Biblioteca'' I,6), ci dice che Gea partorì i Giganti, in quanto adirata per la sorte subita dai Titani; sapendo Gea che nessuno degli dèi dell'Olimpo poteva ucciderli ma solo un mortale andò alla ricerca di una pianta magica che impedisse loro di morire anche per mano degli uomini. Saputo ciò, Zeus colse per primo la pianta.
* Eratostene (''Catasterismi'' XIII), ci dice che Museo raccontò che Gea nascose in un antro la spaventosa capra, figlia del dio Elios, affidandola poi alla ninfa Amaltea (Ἀμάλθεια)<ref>Amaltea è invece il nome stesso della capra in Apollodoro I, 1, 6-7; Callimaco ''Inno a Zeus'' 46-9; Diodoro Siculo V, 70,3</ref> la quale con il suo latte nutrì Zeus infante.
 
 
==Eros==
[[File:Eros bow Musei Capitolini MC410.jpg|thumb|right|300px|''[[Eros che incorda l'arco]]'' - Copia romana in [[marmo]] dall'originale di [[Lisippo]] conservata nei [[Musei Capitolini]] di [[Roma]].<br> La prima menzione di Eros armato di arco e frecce la si riscontra nell'opera di [[Euripide]] ''[[Ifigenia in Aulide]]''<ref>Cfr. [[George M. A. Hanfmann]]. ''Oxford Classica Dictionary''. Oxford Univeristy Press, 1970. In italiano ''Dizionario delle antichità classiche'' Cinisello Balsamo, Paoline, 1995, pag.849.</ref>: {{q|Avventurato chi prova fa <br>della dea dell'amore con <br> temperanza e misura, <br> e con grande placidità <br>lungi dagli estri folli, perché <br>duplice è l'arco della beltà <br> che l'Amore (Eros) tende su di noi: <br>l'uno ci porta felicità, <br> l'altro la vita torbida fa.|[[Euripide]] ''[[Ifigenia in Aulide]]'' 542-50. Traduzione di [[Filippo Maria Pontani]] in [[Euripide]] ''Le tragedie''. Milano, Mondadori, 2007}}]]
[[File:Eros e Delfino.jpg|thumb|right|"Eros con delfino", opera romana del II secolo d.C. in marmo bianco a grana fine, utilizzata come ornamento di una fontana: dalla bocca del delfino fuorusciva l'acqua. Già appartenente alla [[Collezione Farnese]] è oggi conservata al [[Museo Archeologico Nazionale di Napoli]]. La presenza di immagini di Eros accompagnato da un delfino è testimoniata da pitture vascolari risalenti fin dal V secolo a.C. e origina dalle iconografie proprie del "giovane sul delfino".]]
'''Eros''' (Ἔρως) è, nella [[religione greca]], il dio dell<nowiki>'</nowiki>'''amore''' fisico e del desiderio<ref>{{q|Eros was the ancient Greek god of sexual (either homosexual or heterosexual) love or desire.|[[M. L.West]] (1987) [[Eleonora Cavallini]] (2005). ''Eros'' in ''Encyclopedia of Religion'', vol.4. New York, Macmillan, 2004, pag. 2832}}</ref><ref>Il corrispondente dio romano è indicato come Amor o Cupido</ref>.<br>
Nella cultura greca ἔρως (ὁ) (''eros (ho)'', l'amore) è ciò che fa muovere verso qualcosa, un principio divino che spinge verso la bellezza<ref>Cfr. [[Ivan Gobry]]. ''Eros'' in ''Le vocabulaire grec de la Philosophie'' 2002, trad.it. ''Vocabolario greco di filosofia''. Milano, Bruno Mondadori, 2004, pag.80. Anche {{q|The word erōs is the ordinary noun denoting that emotion; it could be personified and treated as an external being because of its unfathomable and irresistible power over humans (and animals and gods).|[[M. L.West]] (1987) [[Eleonora Cavallini]] (2005). ''Eros'' in ''Encyclopedia of Religion'', vol.4. New York, Macmillan, 2004, pag. 2832}}</ref><ref>La corrispondente nozione latina è resa come ''desiderium'', ''amor'', ''cupiditas'', ''libido''</ref>. In ambito greco, quindi, non vi era una precisa distinzione tra «la passione d'amore e il dio che la simboleggiava»<ref>Cfr. [[George M. A. Hanfmann]]. ''Oxford Classica Dictionary''. Oxford University Press, 1970. In italiano ''Dizionario delle antichità classiche'', Cinisello Balsamo, Paoline, 1995, pag. 849.</ref>.
 
===La nozione di ''Eros'' in [[Omero]] e nei [[lirici greci|lirici]]===
La prima apparizione della nozione di ''Eros'' è nelle opere attribuite ad [[Omero]]. In tale contesto ''Eros'' non viene personificato, quanto piuttosto come principio divino corrisponde all'irrefrenabile desiderio fisico come quello vissuto da [[Paride]] nei confronti di [[Elena]]:
{{q|Ma ora andiamo a letto e facciamo l'amore:<br>non mi ha mai preso il cuore un desiderio (''ἔρως '') tanto possente|''[[Iliade]]'' III, 441-2. Traduzione di [[Guido Paduano]] in [[Omero]] ''Iliade''. Milano, Mondadori, 2007.|ἀλλ' ἄγε δὴ φιλότητι τραπείομεν εὐνηθέντε<br>οὐ γάρ πώ ποτέ μ' ὧδέ γ' ἔρως φρένας ἀμφεκάλυψεν|lingua=grc}}
 
o ancora lo stesso desiderio provato da [[Zeus]] nei confronti di [[Era (mitologia)|Era]]:
{{q|Era raggiunse rapidamente la cima del Gargano, <br>sull'alto Ida, e la vide Zeus che raduna le nubi,<br>e quando la vide la passione (''ἔρως'') invase il suo animo saggio, <br> come quando per la prima volta s'unirono nell'amore<br>e andarono a letto, all'insaputa dei genitori|''[[Iliade]]'' XIV, 293-5. Traduzione di [[Guido Paduano]] in [[Omero]] ''Iliade''. Milano, Mondadori, 2007.| Ἥρη δὲ κραιπνῶς προσεβήσετο Γάργαρον ἄκρον<br>Ἴδης ὑψηλῆς· ἴδε δὲ νεφεληγερέτα Ζεύς. <br> ὡς δ' ἴδεν, ὥς μιν ἔρως πυκινὰς φρένας ἀμφεκάλυψεν, <br> οἷον ὅτε πρῶτόν περ ἐμισγέσθην φιλότητι <br> εἰς εὐνὴν φοιτῶντε, φίλους λήθοντε τοκῆας.|lingua=grc}}
 
o, infine, ciò che rende tremanti le membra dei [[proci]] di fronte a [[Penelope]]:
 
{{q|Ed ecco i ginocchi dei proci si sciolsero, furono sedotti da amore(''ἔρω'') <br> bramarono tutti di giacere al suo fianco nel letto |''[[Odissea]]'' XVIII, 212-3. Traduzione di [[Aurelio Privitera]] in [[Omero]] ''Odissea''. Milano, Mondadori, 2007 |τῶν δ' αὐτοῦ λύτο γούνατ', ἔρῳ δ' ἄρα θυμὸν ἔθελχθεν,<br> πάντες δ' ἠρήσαντο παραὶ λεχέεσσι κλιθῆναι.|lingua=grc}}
 
Tale desiderio irrefrenabile si spiritualizza nei [[lirici greci]] del VII/VI a.C. ma presenta comunque delle caratteristiche crudeli e ingestibili. Manifestandosi improvvisamente, ''Eros'' agita in modo cupo le sue vittime:
 
{{q|Ma per me Eros non dorme<br> in nessuna stagione:<br>come il vento di Tracia infiammato di lampi<br>infuria accanto a Cipride<br>e mi riarde di folli passioni, <br>cupo, invincibile, <br> con forza custodisce l'anima mia.|''[[Ibico]]'' VI. Traduzione di [[Marina Cavalli]], in ''Lirici greci''. Milano, Mondadori, 2007, pag.369}}
 
{{q|Eros che scioglie le membra mi scuote nuovamente:<br> dolceamara invincibile belva|''[[Saffo]]'' 61. Traduzione di [[Marina Cavalli]], in ''Lirici greci''. Milano, Mondadori, 2007, pag.273|Ἔρος δηὖτέ μ' ὀ λυσιμέλης δόνει,<br>γλυκύπικρον ἀμάχανον ὄρπετον|lingua=grc}}
 
{{q|Eros tremendo, le Follie ti furono nutrici:<br> per te cadde la rocca di Troia,<br> per te il grande Teseo, l'Egide, cadde, e Aiace Oileo,<br> il valoroso per la loro follia.<ref>Troia cadde per la passione di Paride. Aiace perse la vita sulla via del ritorno punito da Poseidon per aver egli violato, vittima della passione, la sacerdotessa Cassandra all'interno dello steso santuario dedicato ad Artemide. Per quanto attiene Teseo, forse si riferisce al voto di morte nei confronti del figlio espresso nella vicenda di Fedra e Ippolito.</ref>|''[[Teognide]]'' II, 1231. Traduzione di [[Marina Cavalli]], in ''Lirici greci''. Milano, Mondadori, 2007, pag.181}}
 
{{q|non è Afrodite, ma il folle e insolente Eros che come fanciullo gioca,<br> sfiorando il sommo dei fiori - ma che non me li tocchi - del cipero.<br>Eros di nuovo, a causa di Cipride, dolce mi invade, riscalda il cuore.|''[[Alcmane]]'' 147-8. Traduzione di [[Marina Cavalli]], in ''Lirici greci''. Milano, Mondadori, 2007, pag.617-9}}
 
In [[Anacreonte]] questo vissuto viene presentato come colui che colpisce violentemente:
{{q|Ancora Eros m'ha colpito:<br> con un gran maglio, come un fabbro,<br>e mi ha temprato tuffandomi<br>in una fiumana invernale.|''[[Anacreonte]]'' 19.Traduzione di [[Marina Cavalli]], in ''Lirici greci''. Milano, Mondadori, 2007, pag.335}}
 
=== Il dio Eros e il suo culto ===
[[File:Eros addormentato (Museo archeologico nazionale di Atene).jpg|500px|thumb|center|Statua in marmo di Eros addormentato risalente al II d.C. di provenienza sconosciuta, è conservata al Museo archeologico nazionale di Atene. Il giovane Eros alato è addormentato su una roccia, il braccio sinistro funge da cuscino mentre un giovane leone fa la guardia al dio.]]
Nell'opera teogonica di [[Esiodo]] sono due i passaggi che riguardano Eros qui attestato per la prima volta come quel dio primordiale in grado di domare con la passione sia gli dèi che gli uomini:
{{q|Orbene, innanzitutto venne all'esistenza lo Spazio beante<ref>Nota [[Cesare Cassanmagnago]], allievo di [[Giovanni Reale]], (''Op.cit.'' pag.927 n.23) come sia del tutto inopportuno rendere Χάος (Chaos) con il termine italiano di "caos" indicando questo uno stato di confusione che nulla ha a che fare con la nozione greca. Lo scoliaste lo indica come ''kenòn'', lo spazio vuoto tra cielo e terra dopo che una possibile unità originaria fu spezzata. D'altronde lo stesso Esiodo lo indica come ''eghèneto'' non il principio quindi, ma ciò che da questo per prima appare.</ref>, poi a sua volta<br> la Terra dal largo petto, sede per sempre sicura di tutti<br> gli immortali che abitano le cime del nevoso Olimpo,<br> e il Tartaro nebbioso nel fondo della Terra dalle larghe strade,<br> poi Eros che è il più bello tra gli dei immortali<br> e scioglie le membra<ref>[[George M. A. Hanfmann]], nell'<nowiki></nowiki>''Oxford Classica Dictionary'' (Oxford Univeristy Press, 1970, in italiano ''Dizionario delle antichità classiche'' Cinisello Balsamo, Paoline, 1995, pag.849) nota il collegamento tra questo passo esiodeo e il precedente omerico.</ref>, e di tutti gli dei, come di tutti gli uomini,<br>doma nel petto il pensiero e la saggia volontà.|''[[Teogonia]]'' 120-2. Traduzione di [[Cesare Cassanmagnago]], in ''Esiodo. Tutte le opere e i frammenti con la prima traduzione degli scolii''. Milano, Bompiani, 2009, pag.121|Ἦ τοι μὲν πρώτιστα Χάος γένετ᾽, αὐτὰρ ἔπειτα<br> Γαῖ᾽ εὐρύστερνος, πάντων ἕδος ἀσφαλὲς αἰεὶ<br> ἀθανάτων, οἳ ἔχουσι κάρη νιφόεντος Ὀλύμπου,<br> Τάρταρά τ᾽ ἠερόεντα μυχῷ χθονὸς εὐρυοδείης,<br> ἠδ᾽ Ἔρος, ὃς κάλλιστος ἐν ἀθανάτοισι θεοῖσι, <br> λυσιμελής, πάντων δὲ θεῶν πάντων τ᾽ ἀνθρώπων<br> δάμναται ἐν στήθεσσι νόον καὶ ἐπίφρονα βουλήν.|lingua=grc}}
 
A tal proposito [[Ilaria Ramelli]] e [[Carlo del Grande]] evidenziano come:
{{q|La ''Teogonia'' Esiodea sembra riflettere la dottrina teogonica dei sacerdoti di Apollo delfico. In origine sarebbe stato il Χάος, il "vuoto primordiale" e poi αῖα, la Terra, ed Ἔρως o amore, come attrazione reciproca e principio di unione ed armonia|[[Ilaria Ramelli]] e [[Carlo del Grande]]. ''Teogonia'' in ''Enciclopedia filosofica'' vol.11. Milano, Bompiani, 2006, pag.11416}}
 
In un secondo passaggio Esiodo evidenzia Eros come quel dio che, insieme ad Himeros, accompagna Afrodite appena nata<ref>Nota [[George M. A. Hanfmann]], nell'<nowiki></nowiki>''Oxford Classica Dictionary'' (Oxford Univeristy Press, 1970, in italiano ''Dizionario delle antichità classiche'' Cinisello Balsamo, Paoline, 1995, pag.849) come molti studiosi ritengano che in realtà Eros non si limiti ad accompagnare Afrodite, ma può accompagnare qualsivoglia altra divinità quando ciò concerne episodi di amore. </ref>:
{{q|L'accompagnò Eros e il bel Desiderio<ref>"Desiderio ardente" (Ἵμερος, Himeros). Nota lo scoliaste che mentre Eros nasce dalla vista, Himeros nasce dal sentimento di brama (''epythimeìn'') dopo aver visto. </ref> la seguì<br> non appena venuta alla luce e avviata a raggiungere la razza degli dei|''[[Teogonia]]'' 201-2. Traduzione di [[Cesare Cassanmagnago]], in ''Esiodo. Tutte le opere e i frammenti con la prima traduzione degli scolii''. Milano, Bompiani, 2009, pag.127|Τῇ δ᾽ Ἔρος ὡμάρτησε καὶ Ἵμερος ἕσπετο καλὸς<br>
γεινομένῃ τὰ πρῶτα θεῶν τ᾽ ἐς φῦλον ἰούσῃ.|lingua=grc}}
 
Connesso all'opera di Esiodo vi è il richiamo nella ''Biblioteca'' di [[Apollodoro]] dove, riferendosi a [[Io]]:
{{q|Esiodo e Acusilao affermano che era figlia di Pirene. Io era sacerdotessa di Era, e Zeus la violentò. Scoperto da Era, toccò la fanciulla, la trasformò in una bianca giovenca e giurò che non si era unito a lei. Perciò Esiodo dice che i giuramenti fatti per amore (ἔρωτος) non attirano l'ira degli dei.|''[[Biblioteca]]'' II,6. Traduzione di [[Maria Grazia Ciani]], in Apollodoro ''I Miti greci'' (a cura di [[Paolo Scarpi]]. Milano, Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori, 2008, pag.87}}
 
Il culto di Eros è attestato da [[Pausania]] in [[Beozia]], segnatamente a [[Tespi]]:
{{q|Il dio che i Tespiesi onorano fin dai tempi antichi e più di ogni altro dio è Eros e di Eros hanno una statua antichissima, costituita da una pietra grezza. Chi abbia istituito presso i Tepiesi l'usanza di anteporre Eros a tutti gli dei, io non so.|[[Pausania]]. ''[[Periegesi]]'' IX, 22, 1. Traduzione di [[Salvatore Rizzo]], in Pausania ''Viaggio in Grecia - Beozia''. Milano, Rizzoli, 2011, pag.225}}
 
L'origine [[mito|mitica]] di tale culto, culto forse di origini preistoriche<ref>Cfr. ''Il mito di Narciso e l’interpretazione di Plotino'' in ''L’Immagine riflessa'', Anno X, 2001, n. 1, pag. 12</ref>, è così spiegata da [[Conone (grammatico)|Conone]]:
{{q|A Tespi, in Beozia (la città non è molto lontana dall'Elicona), c'era un ragazzo di nome Narciso, molto bello, ma che disdegnava Eros ei suoi amanti. Tutti quelli che l'amavano finirono per rassegnarsi, a eccezione di Amenia che si ostinava a corteggiarlo. Ma Narciso non cedeva alle sue preghiere e perfino gli inviò una spada. Amenia allora si uccise davanti alla porta di Narciso, implorando la vendetta del dio. E Narciso, vedendo il proprio viso e la propria bellezza riflessi nell'acqua di una fonte, divenne, stranamente, amante di se stesso: il primo e l'unico. Alla fine spinto dalla disperazione e avendo compreso che soffriva giustamente per aver respinto l'amore di Amenia, si uccise. A seguito di ciò gli abitanti di Tespi decisero di onorare e di servire Eros, e di rendergli sacrifici sia in pubblico che in privato. E la gente del paese pensa che il fiore del narciso è nato dal loro suolo, laddove fu versato il sangue di Narciso|[[Conone (grammatico)|Conone]] ''[[Racconti]]'' XXIV, tramandato da [[Fozio di Costantinopoli|Fozio]], III, 134b.}}
 
[[Pausania]] riporta anche di un [[altare]] ad Eros posto di fronte all'ingresso dell'[[Accademia]]:
{{q|Davanti all'ingresso dell'Accademia<ref>Qui intesa come quella vasta area a Nord-Ovest del [[Dyplon]] circondata a partire dal VI secolo a.C. dal [[Muro di Ipparco]].</ref> c'è un altare di Eros la cui epigrafe attesta che Carmo<ref>Aten.,13, 609d, da Clitodemo attidografo così riporta«Carmo fu amante di Ippia e fu il primo a innalzare la statua di Eros all'Accademia. L'iscrizione dice: "Eros dai varii inganni, a te quest'altare eresse/Carmo presso gli ombrosi confini del ginnasio». Cfr. [[Salvatore Rizzo]]. ''Op.cit.'' pag.432.</ref> fu il primo degli Ateniesi che abbia dedicato un altare ad Eros|[[Pausania]]. ''[[Periegesi]]'' I, 30, 1. Traduzione di [[Salvatore Rizzo]], in Pausania ''Viaggio in Grecia - Attica e Magaride''. Milano, Rizzoli, 2011, pag.269}}
 
Tuttavia, come nota [[Gerard Krüger]]<ref> [[Gerard Krüger]]. ''Ragione e passione: l'essenza del pensiero platonico''. Milano, Vita e Pensiero, 1996, pag.34</ref>:
{{q| a questa venerazione mancano realmente la piena dignità ed il valore di un servizio religioso: Eros non è un dio del culto statale. |[[Gerard Krüger]]. ''Ragione e passione: l'essenza del pensiero platonico''. Milano, Vita e Pensiero, 1996, pag.34}}
 
Tanto che così ci si lamenta nell'<nowiki></nowiki>''[[Ippolito]]'' di [[Euripide]]<ref>Cfr. 535 e segg.</ref>:
{{q|Invano, invano, sull'Alfèo, <br> nei templi di Febo a Delfi, addensa<br> la Grecia ecatombi se d'Amore<br> tiranno dell'uomo, ch'è custode<br> dei letti figliolo<br> d'Afrodite, non c'è riguardo, e non si venera<br> il dio che tutto rovina<br> e dà calamita<br>all'uomo, se giunge.|[[Euripide]]. ''[[Ippolito]]'' 535 e sgg. Traduzione di [[Filippo Maria Pontani]], in Euripide, ''Le tragedie'' vol.1, Milano, Mondadori, 2007, p.279 }}
 
===Eros nelle teogonie orfiche===
Eros possiede un ruolo fondante in alcune teogonie orfiche. Questo emerge già nella teogonia di tipo "parodistico", ma di derivazione orfica, presente in [[Aristofane]] (V-IV secolo a.C.) negli ''Uccelli'' (vv.693-702)<ref>{{q|Uomini nati nel buio della vostra vita, simili alla stirpe caduca delle foglie, essere fragili, impasto di fango, vane figure d’ombra, senza la gioia delle ali, fugaci come il giorno, infelici mortali, uomini della razza dei sogni, date ascolto a noi: immortali e sempre viventi, creature del cielo, ignari di vecchiezza, esperti di indistruttibili pensieri. Ascoltate da noi tutta la verità sulle cose del cielo e la natura degli uccelli, sull'origine degli dèi e dei fiumi, e dell'Erebo e del Caos. Conoscerete il vero, e da parte mia direte a Prodico di andare alla malora, per l'avvenire. In principio c'erano il Caos e la Notte e il buio Erebo e il Tartaro immenso; non esisteva la terra, né l'aria né il cielo. Nel seno sconfinato di Erebo, la Notte dalle ali di tenebra generò dapprima un uovo pieno di vento. Col trascorrere delle stagioni, da questo sbocciò Eros, fiore del desiderio: sul dorso gli splendevano ali d'oro ed era simile al rapido turbine dei venti. Congiunto di notte al Caos alato nella vastità del Tartaro, egli covò la nostra stirpe, e questa fu la prima che condusse alla luce. Neppure la razza degli immortali esisteva avanti che Eros congiungesse gli elementi dell'universo. Quando avvennero gli altri accoppiamenti, nacquero il cielo e l'oceano e la terra, e la razza immortale degli dèi beati|[[Aristofane]]. ''[[Gli uccelli]]'' 685-702. Traduzione it. di [[Dario Del Corno]], in Aristofane. ''Commedie''. Milano, Mondadori, 2007, pag. 301}}</ref>:
* in principio vi sono Chaos, Nyx (Notte), Erebo e Tartato;
* nel buio Erebo, Nyx genera un Uovo "pieno di vento";
* da questo Uovo emerge Eros dalle ali d'oro;
* unitosi durante la notte al Chaos, Eros genera la stirpe degli "uccelli";
* quindi genera Urano (Cielo) e Oceano, Gea (Terra) e gli dèi.
 
Tale brano è ritenuto il testo più antico attribuibile all'Orfismo, «esso riproduce sinteticamente la forma scritta più antica delle ''Teogonie'' orfiche, evocata anche da Platone, da Aristotele e trasmessa da Eudemo»<ref>[[Paolo Scarpi]]. ''Le religioni dei misteri'' vol. I, p.628; sull'attribuzione orfica del passo di Aristofane cfr. anche [[Giorgio Colli]]. ''La sapienza greca'' vol.1 p. 394 nota a 4[A 24]. </ref>.
 
Un frammento, che richiama Eudemo da Rodi (IV secolo a.C.) riprende la Notte come origine di tutte le cose e Eros al terzo posto:
{{q|La teologia esposta nell'opera del peripatetico Eudemo come se fosse di Orfeo ha taciuto tutto ciò che è intelligibile, in quanto totalmente indicibile e inconoscibile [...] ha posto come principio la Notte, dalla quale inizia pure Omero, anche se non ha reso continua la genalogia. Infatti non si deve accogliere l'affermazione di Eudemo che inizi da Oceano e Teti: infatti egli sembra essere consapevole che pure la Notte è una divinità grandissima, a tal punto che anche Zeus la venera: "Infatti egli temeva di compiere azioni sgradite alla Notte veloce". Ma Omero stesso deve cominciare dalla Notte; invece mi pare di capire che sia stato Esiodo per la prima volta, narrando del Caos ad aver chiamato il Caos la natura inconoscibile dell'intelligibile e compiutamente indifferenziata e a far derivare da lì la Terra come il principio primo, come il principio primo, se così si può dire, dell'intera generazione degli dei; a meno che il Caos non sia il secondo dei due principi, mentre la Terra, il Tartaro e Eros i tre oggetti dell'intuizione ed Eros è al terzo posto, in quanto contemplato secondo un ritorno. Questa espressione è impiegata pure da Orfeo nelle rapsodie: la Terra è al primo posto, in quanto per prima si è solidificata in una massa solida e stabile, il Tartaro a quello intermedio, perché già mosso verso una differenziazione.|[[Eudemo da Rodi]]. ''Frammento 150'', in ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern'', 28 [1]; traduzione di [[Elena Verzura]]. Milano, Bompiani, 2011, p.227}}
 
Nel complesso queste teogonie presentano un inizio caratterizzato da un sfera perfetta nella Notte cosmica, quindi una totalità rappresentata da Phanes (Φάνης, Luce, "vengo alla Luce", anche Fane, Protogono Πρωτογόνος, Erichépaio Ἠρικεπαῖος) androgino e con le ali dorate, completo in sé stesso ma dai lineamenti irregolari, e, infine, da questa unità ancora perfetta un insieme di accadimenti conducono a dei processi di differenziazione. Quindi emerge Zeus in cui tutto viene riassorbito e rigenerato nuovamente per una seconda processione, dalla quale emerge Dioniso che, tuttavia, per una macchinazione di Era, sposa di Zeus, verrà divorato dai Titani. Zeus irato scaglia contro costoro il fulmine: dalla fuligine provocata dalla combustione dei Titani sorgono gli uomini composti dalla materia di questa, mischiata con la parte dionisiaca frutto del loro banchetto.
 
E «Primo nel governare il mondo, Fane-Protogono-Erichépaio si chama anche Eros»<ref>Cfr. [[Reyanal Sorel]]. ''Orfeo e l'orfismo- morte e rinascita nel mondo greco antico''. Salento, Besa Editrice, 2003, p.52</ref>.
 
[[File:Cnidus Aphrodite Altemps Inv8619.jpg|thumb|250px|right|Afrodite di "Cnido" (anche Afrodite Cnidia), copia in marmo conservata presso il Museo nazionale di Roma; trattasi di copia romana di un originale di Prassitele (IV secolo a.C.). Questa raffigurazione della dea è probabilmente l'immagine più bella tramandataci dall'antichità e deve il suo nome al fatto che era presente sulle monete di Cnido. In origine la statua era conservata in un tempio piuttosto piccolo ma dotato di due porte di modo che i visitatori potessero ammirarne le fattezze girandovi intorno e uscendo dall'ingresso posteriore. Qui la dea è rappresentata mentre lascia cadere la sua veste su un vaso per l'acqua (ὑδρία). Diverse testimonianze <ref>Cfr. [[Johannes Overbeck]], ''Die antiken Schriftquellen zur Geschichte der bildenden Künste bei den Griechen''(1868), 1227-1245.</ref> riportano che a volte una sorta di voyeurismo prese il posto della devozione religiosa <ref>Anche Walter Burkert, ''La religione greca'', p.308.</ref>. Di questo tipo di raffigurazione della dea ne conserviamo oggi oltre cinquanta copie. {{q|Comunque non solo su tutte le sue statue, ma nel mondo intero, primeggia la sua Venere: molti sono andati per nave a Cnido semplicemente per vederla.|Plinio, ''Historia naturalis'' XXXVI, 4, 20. Traduzione di [[Antonio Corso]], [[Rossana Mugellesi]] e [[Giampiero Rosati]], in Gaio Plinio Secondo, ''Storia naturale'', vol.V, Torino, Einaudi, 1998, pp. 545-7|sed ante omnia est non solum Praxitelis, verum et in toto orbe terrarum Venus, quam ut viderent, multi navigaverunt Cnidum.|lingua=la}}]]
[[File:Afrodite 'in bikini' (Musero archeologico nazionale di Napoli).jpg|thumb|200px|right|La dea Afrodite mentre si slaccia un sandalo, opera conosciuta come "Venere in bikini". Piccola statua (62 cm) in marmo pario, proviene dal sito archeologico di Pompei ed è oggi conservata presso il Museo archeologico nazionale di Napoli. Il bambino accovacciato ai piedi della Dea è Eros, mentre la figura a cui la Dea si appoggia è un Priapo, originariamente itifallico. L'opera è una copia romana da originale ellenistico.]]
[[File:Afrodite, anfora del Pittore di Afrodite (Museo archeologico di Paestum).jpg|200px|thumb|Particolare dell'anfora del IV secolo a.C. (opera del c.d. "Pittore di Afrodite") conservata al Museo archeologico di Paestum. La figura rappresentata è Afrodite, dea della fertilità, e richiama il suo arrivo sull'isola di Cipro: al suo passaggio la vegetazione esplode rigogliosa. La dea è circondata da due eroti con ali di colomba.]]
[[File:Afrodite tipo "Landolina" (Museo archeologico nazionale di Atene).jpg|200px|thumb|[[File:Aphrodite8.jpg|80px|right]]Statua di Afrodite tipo "Landolina" (appartenente alla serie di Afrodite "Pudica") in marmo pario, conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene, risalente al II secolo d.C. e basata su un originale rinvenuto a Siracusa, questo risalente al IV secolo a.C. Il collo, la testa e il braccio destro sono frutto del restauro da parte di Antonio Canova (1757-1822). Qui Afrodite è ritratta in piedi e nuda, fatto salvo che con la mano sinistra, che regge un himation (ἱμάτιον) ben drappeggiato, copra le parti intime.]]
 
==Afrodite==
[[File:Cnidus Aphrodite Altemps Inv8619.jpg|thumb|250px|right|Afrodite di "Cnido" (anche Afrodite Cnidia), copia in marmo conservata presso il Museo nazionale di Roma; trattasi di copia romana di un originale di Prassitele (IV secolo a.C.). Questa raffigurazione della dea è probabilmente l'immagine più bella tramandataci dall'antichità e deve il suo nome al fatto che era presente sulle monete di Cnido. In origine la statua era conservata in un tempio piuttosto piccolo ma dotato di due porte di modo che i visitatori potessero ammirarne le fattezze girandovi intorno e uscendo dall'ingresso posteriore. Qui la dea è rappresentata mentre lascia cadere la sua veste su un vaso per l'acqua (ὑδρία). Diverse testimonianze <ref>Cfr. [[Johannes Overbeck]], ''Die antiken Schriftquellen zur Geschichte der bildenden Künste bei den Griechen''(1868), 1227-1245.</ref> riportano che a volte una sorta di voyeurismo prese il posto della devozione religiosa <ref>Anche Walter Burkert, ''La religione greca'', p.308.</ref>. Di questo tipo di raffigurazione della dea ne conserviamo oggi oltre cinquanta copie. {{q|Comunque non solo su tutte le sue statue, ma nel mondo intero, primeggia la sua Venere: molti sono andati per nave a Cnido semplicemente per vederla.|Plinio, ''Historia naturalis'' XXXVI, 4, 20. Traduzione di [[Antonio Corso]], [[Rossana Mugellesi]] e [[Giampiero Rosati]], in Gaio Plinio Secondo, ''Storia naturale'', vol.V, Torino, Einaudi, 1998, pp. 545-7|sed ante omnia est non solum Praxitelis, verum et in toto orbe terrarum Venus, quam ut viderent, multi navigaverunt Cnidum.|lingua=la}}]]
[[File:Afrodite 'in bikini' (Musero archeologico nazionale di Napoli).jpg|thumb|200px|right|La dea Afrodite mentre si slaccia un sandalo, opera conosciuta come "Venere in bikini". Piccola statua (62 cm) in marmo pario, proviene dal sito archeologico di Pompei ed è oggi conservata presso il Museo archeologico nazionale di Napoli. Il bambino accovacciato ai piedi della Dea è Eros, mentre la figura a cui la Dea si appoggia è un Priapo, originariamente itifallico. L'opera è una copia romana da originale ellenistico.]]
[[File:Afrodite, anfora del Pittore di Afrodite (Museo archeologico di Paestum).jpg|150px|thumb|Particolare dell'anfora del IV secolo a.C. (opera del c.d. "Pittore di Afrodite") conservata al Museo archeologico di Paestum. La figura rappresentata è Afrodite, dea della fertilità, e richiama il suo arrivo sull'isola di Cipro: al suo passaggio la vegetazione esplode rigogliosa. La dea è circondata da due eroti con ali di colomba.]]
[[File:Afrodite tipo "Landolina" (Museo archeologico nazionale di Atene).jpg|150px|thumb|[[File:Aphrodite8.jpg|80px|right]]Statua di Afrodite tipo "Landolina" (appartenente alla serie di Afrodite "Pudica") in marmo pario, conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene, risalente al II secolo d.C. e basata su un originale rinvenuto a Siracusa, questo risalente al IV secolo a.C. Il collo, la testa e il braccio destro sono frutto del restauro da parte di Antonio Canova (1757-1822). Qui Afrodite è ritratta in piedi e nuda, fatto salvo che con la mano sinistra, che regge un himation (ἱμάτιον) ben drappeggiato, copra le parti intime.]]
[[File:Nestor's Cup Ischia Front.jpg|right|250px|thumb|La [[Coppa di Nestore]] rinvenuta sull'isola di Ischia dall'archeologo tedesco [[Giorgio Buchner]] (1914-2005) risalente all'VIII secolo a.C. e conservata nel locale [[ Museo Archeologico di Pithecusae]]. La coppa (κοτύλη) riporta la seguente iscrizione: {{Citazione|Io sono la bella coppa di Nestore, <br>chi berrà da questa coppa<br>subito lo prenderà il desiderio di Afrodite dalla bella corona||Νέστορος [εἰμὶ] εὔποτον ποτήριον<br>ὃς δ' ἂν τοῦδε πίησι ποτηρίου αὐτίκα κῆνον <br>ἵμερος αἱρήσει καλλιστεφάνου Ἀφροδίτης|lingua=grc}}]]
'''Afrodite''' (in [[lingua greca|greco]] Ἀφροδίτη, ''Aphrodítē'') è, nella [[religione greca]], la [[Dio (religione greca)|dea]] dell'amore, della bellezza, della generazione e della fertilità<ref>[[Francis Redding Walton]], in ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, pp. 31 e sgg.; così anche [[Franco Ferrari]], [[Marco Fantuzzi]], [[Maria Chiara Martinelli]], [[Maria Serena Mirto]], ''Dizionario della civiltà classica'' vol.I, Milano, Rizzoli, 2001, p.326.</ref>.
 
{{q|Afrodite rappresenta la potenza irresistibile dell'amore e l'impulso alla sessualità che stanno alla radice della vita stessa. In ogni creatura vivente la dea, se vuole, sa accendere il desiderio, che procede come un incendio, travolgendo ogni regola [...]. Al di là delle regole, al di là della giustizia, una forza possente travolge ogni creatura e la spinge a osare ciò che non avrebbe mai osato se fosse stata in senno. Poiché quando ama, ognuno sembra perdere la ragione, e si lascia trascinare dalla passione, quella di Afrodite è considerata μανία, una follia appunto, ma di tipo particolare: "i più grandi doni (scrive Platone, ''Fedro'' 244 a) vengono agli uomini da parte degli dèi attraverso la follia, quella che viene data per grazia divina".|[[Giulio Guidorizzi]]. ''Il mito greco - Gli dèi''. Milano, Mondadori, 2009, p. 507}}
 
==Il nome e le origini==
Il nome Ἀφροδίτη (''Aphrodítē'') non è attestato in [[Lineare B]] (miceneo). D'altronde il suo accostamento etimologico, a partire da Esiodo, al termine ἀφρός (spuma del mare)<ref> ''Teogonia'' di Esiodo 188-206</ref> sembrerebbe di tipo "popolare" <ref>Chantraiine p. 148.</ref>. Il suo nome è stato collegato alla fenicia dea Astarte <ref>[[Francis Redding Walton]], p.30.</ref>(greco antico: Ἀστάρτη, "Astártē; fenicio: ''ʻštrt'', "Ashtart"), o al radicale di πρύτανις ("guida")<ref>Carnoy, ''Dict. ét.''</ref>.
 
Atteso che non vi sono certezze sul significato originario del nome di Afrodite, anche l'origine della sua figura divina è piuttosto controversa. La tradizione greca la vuole di derivazione orientale: Erodoto<ref>I, 105</ref> sostiene che il suo santuario di provenienza è quello di Afrodite Urania ad [[Ascalona]], da lì i Ciprioti ne importarono il culto; mentre, per Pausania, i Fenici trasferirono direttamente il culto a [[Citera]]<ref>Pausania, I, 14, 7.</ref>. Comunque sia la sua figura venne ellenizzata già al tempo di Omero<ref>[[Walter F. Otto]], 98; >[[Francis Redding Walton]], p.30; </ref>: nell'<nowiki></nowiki>''Odissea''<ref>VIII, 363</ref> la si fa originare dal santuario di Pafo nell'isola di Cipro. Quindi se è probabile una sua influenza orientale è da tener presente che il tempio di Afrodite rinvenuto a Pafo è datato al XII secolo a.C., quando vi giunsero i Micenei (Achei), mentre la colonizzazione fenicia è invece attestata al IX secolo a.C.<ref>Ferrari I, 326</ref>.
 
==Caratteristiche della potenza divina di Afrodite==
{{q|O Musa, dimmi le opere di Afrodite d'oro,<br>dea di Cipro, che infonde il dolce desiderio negli dei <br>e domina le stirpi degli uomini mortali,<br>e gli uccelli che volano nel cielo, e tutti gli animali,<br>quanti, innumerevoli, nutre la terra, e quanti il mare|''Inni omerici- Ad Afrodite'', V, 1-4. Traduzione di [[Filippo Càssola]], Milano, Mondadori/Lorenzo Valla, 2006, pp.254-5|μοῦσά μοι ἔννεπε ἔργα πολυχρύσου Ἀφροδίτης, <br>Κύπριδος, ἥτε θεοῖσιν ἐπὶ γλυκὺν ἵμερον ὦρσε <br>καί τ᾽ ἐδαμάσσατο φῦλα καταθνητῶν ἀνθρώπων <br>οἰωνούς τε διιπετέας καὶ θηρία πάντα, <br>5ἠμὲν ὅσ᾽ ἤπειρος πολλὰ τρέφει ἠδ᾽ ὅσα πόντος |lingua=grc}}
La potenza divina<ref>Come ha acutamente evidenziato [[Jean-Pierre Vernant]] (cfr. [[Gabriella Pironti]], ''Il "linguaggio" del politeismo in Grecia: mito e religione'' vol.6 della ''Grande Storia dell'antichità'' (a cura di Umberto Eco). Milano, Encyclomedia Publishers/RCS, 2011, pag.31.) gli dèi greci non sono persone con una propria identità, quanto piuttosto risultano essere "potenze" che agiscono assumendo poliedriche forme e segni non identificandosi mai completamente con tali manifestazioni. Queste potenze sono, come già ricordava [[Walter F. Otto]] in ''Gli dèi della Grecia'' (Adelphi, Milano 2004) "il motore del mondo". E [[André Motte]] aggiunge: {{q|Non cessano mai di muoversi e di agire al suo interno e condizionano l'esistenza umana attraverso l'ambiente naturale, i mezzi di sussistenza e tutti gli aspetti della vita sociale e politica. Ma agiscono anche all'interno degli uomini, nella loro intimità più profonda, quella che, per brevità, noi chiamiamo anima, sapendo bene, tuttavia, che può essere rischioso, usare questo concetto in relazione all'esperienza greca del divino|[[André Motte]]. ''Il mondo greco. Il sacro nella natura e nell'uomo: la percezione del divino nella Grecia antica'' in ''Le civiltà del Mediterraneo e il sacro'' (a cura di [[Julien Ries]]). ''Trattato di Antrolopologia del sacro'' vol.3. Milano, Jaca Book, 1992, pag. 250}}
</ref> di Afrodite è l'amplesso (γάμος), non solo quello "legittimo" perché «qualunque attività umana può assumere una dimensione sacrale; e l'amplesso è sacro in quanto vi si manifesta "la forza" (δύναμις) che congiunge l'elemento maschile con l'elemento femminile, impersonata da Afrodite»<ref>[[Filippo Càssola]]. ''Op.cit.'' p.228</ref>.
 
{{q|È verosimile d'altronde, che anche di Afrodite (''Aphrodíte'') si tramandi che sia nata nel mare per nessun altro motivo se non per questo: affinché tutto venga all'essere, c'è bisogno di movimento e di umidità, fatto entrambi presenti nel mare in abbondanza. [...] Afrodite, per altro, è la potenza che conduce insieme il maschile e il femminile: forse ha assunto tale denominazione in virtù del fatto che i semi generatori degli animali sono spumosi (''aphróde'') [...] È presentata come bellissima, poiché agli uomini risulta gradito in massima misura il piacere relativo al congiungimento come eccellente al di sopra di tutti gli altri, ed è chiamata per questo anche "amante del sorriso" (''philomeidés'') [...] La fascia ricamata, poi, è come adorna, trapunta e variegata, e ha il potere di legare e serrare insieme. È chiamata inoltre sia celeste (''ouranía'') sia terrena (''pándemos'') sia marina (''pontía''), poiché la sua potenza si osserva sia in cielo sia in terra sia in mare.|[[Anneo Cornuto]], ''Compendio di teologia greca'' XXIV; traduzione di [[Ilaria Ramelli]], Milano, Bompiani, 2003, pp. 247 e sgg.}}
 
==Afrodite nei poemi del ciclo "omerico"==
* Nell'<nowiki></nowiki>''Iliade'' Afrodite appare come figlia di Zeus (Ζεύς) e di Dione (Διώνη)<ref>Tale divinità è la paredra di Zeus a Dodona, potrebbe rappresentare la Dea-madre di antichi culti (cfr. [[Lewis Richard Farnell]] ''The Cults of the Greek States'', I, 39) ma il suo nome corrisponde al femminile di Ζεύς (cfr. [[Arthur Bernard Cook]], ''Zeus. A Study In Ancient Religion'' vol.II, 350 e n.6) che farebbe corrispondere come uranica tale divinità. Con Omero (''Iliade'' V, 370) viene, in qualità di coniuge di Zeus, sostituita da Hera (Ἥρα).</ref> <ref>Anche in Apollodoro (I,3,1) Afrodite è figlia Zeus e di Dione, qui nereide, figlia di Nereo e Doride, (cfr. I,2,7) in tal senso [[Paolo Scarpi]] in Apollodoro ''I miti greci'', Milano, Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla, 2008, p.733 (sempre in Apollodoro, I,1,3,lo stesso nome lo possiede una Titanide); così anche in Euripide (cfr. ''Elettra'', 1008). In Esiodo (''Teogonia'' v.353) Dione è indicata come una delle Oceanine. In Igino, cfr. ''Progolo'', Venere è figlia Giove e Dione. Da questi elementi identifichiamo due differenti genealogie della dea Afrodite: una che la vuole figlia di Zeus e di Dione, la seconda, altrettanto antica, la vuole emersa dalla spuma del mare provocata dal seme fuoriuscito dal membro evirato di Urano lì gettato da Kronos.</ref>, difende i Troiani ed è madre dell'eroe Enea, generato con l'eroe troiano Anchise, da lei personalmente difeso. La sua origine non guerriera è in questo poema evidenziato dal fatto che non solo viene ferita dall'eroe greco Diomede ma anche che, a seguito di ciò, il re degli dèi e suo padre, Zeus, la rimprovera di occuparsi di fatti guerreschi anziché attendere a quelli riguardanti "amabili cose d'amore" che sono di sua competenza<ref>''Iliade'', V, 428-9.</ref>.
* Anche nell'<nowiki></nowiki>''Odissea'', Afrodite è la dea dell'amore ma qui è moglie del dio Efesto (Ἥφαιστος)<ref>Nell'<nowiki></nowiki>''Iliade'' Efesto ha come moglie Cháris (Χάρις, Grazia, cfr. ''Iliade'', XVIII, 382) </ref> ma è amata anche da Ares (Ἄρης)<ref>''Iliade'' VIII, 266-366</ref>.
 
==Afrodite nella ''Teogonia'' di Esiodo==
[[File:Aphrodite's Rock 5313.jpg|center|350px|thumb|Roccia di Afrodite (Πετρα του Ρωμιου, Roccia dei Romani) nei pressi di Pafo, Cipro. Il luogo dove, secondo la tradizione che si rifà alla ''Teogonia'' di Esiodo, emerse l'Afrodite "Cipride" (κύπρις).]]
Esiodo nella ''Teogonia'' (vv. 188-206) fa derivare il nome Ἀφροδίτη da ἀφρός (spuma, ''aphrós'')<ref>Dalla schiuma ''aphroghenèia'' ἀφρογένεια; ; anche lo scoliaste (191a) parla di "seme dall'aspetto di schiuma"; sull'essere letta questa come misto di seme e acqua marina: cfr. Cassanmagnago nota 37 p.930 e William Hansen. Foam-Born Aphrodite and the Mythology of Transformation; in American Journal of Philology 121 (2000): 1–19.</ref> e ne narra in questo modo la nascita provocata dalla spuma marina, frutto del seme del membro di Urano evirato da [[Crono|Kronos]], mischiato con l'acqua del mare:
{{q|E come ebbe tagliati i genitali con l'adamante<br> lì getto dalla terra nel mare molto agitato,<br>e furono portati al largo, per molto tempo; attorno bianca<br> la spuma dall'immortale membro sortì, e in essa una fanciulla<br> nacque, e dapprima a Citera divina<br>giunse, e di lì poi giunse a Cipro molto lambita dai flutti;<br> lì approdò, la dea veneranda e bella, e attorno l'erba<br> sotto i piedi nasceva; lei Afrodite,<br> cioè dea Afrogenea e Citerea dalla bella corona,<br> chiamano dèi e uomini, perché nella spuma<br>nacque; e anche Citerea, perché prese terra a Citera;<br> Ciprogenea che nacque in Cipro, molto battuta dai flutti;<br>oppure Philommedea perché nacque dai genitali.<br> Lei Eros<ref>Ἔρως il dio primordiale, ma qui inteso non come "forza generatrice primordiale" bensì come "componente gradevole dell'attrazione amorosa" (Arrighetti, p. 326).</ref> accompagnò e Himeros<ref>Ἵμερος, Dio del "desiderio d'amore" ovvero, come spiega lo scoliaste (201), Eros sorge dalla vista, Himeros sorge dall'appetito dopo aver visto (Cassanmagnago p.930).</ref> bello la seguì<br>da quando, appena nata, andò verso la schiera degli dèi immmortali.<br>Fin dal principio tale onore lei ebbe e sortì<br>come destino fra gli uomini e gli dèi immortali,<br>ciance di fanciulle e sorrisi e inganni<br>e il dolce piacere e affetto e blandizie.|[[Esiodo]], ''[[Teogonia (Esiodo)|Teogonia]]'', 188-206. Traduzione di [[Graziano Arrighetti]], in Esiodo ''Opere'' : 1998 Einaudi-Gallimard; 2007 Mondadori, p. 11.13|Μήδεα δ᾽ ὡς τὸ πρῶτον ἀποτμήξας ἀδάμαντι<br>κάββαλ᾽ ἀπ᾽ ἠπείροιο πολυκλύστῳ ἐνὶ πόντῳ,<br>ὣς φέρετ᾽ ἂμ πέλαγος πουλὺν χρόνον, ἀμφὶ δὲ λευκὸς<br>ἀφρὸς ἀπ᾽ ἀθανάτου χροὸς ὤρνυτο• τῷ δ᾽ ἔνι κούρη<br>ἐθρέφθη• πρῶτον δὲ Κυθήροισιν ζαθέοισιν<br>ἔπλητ᾽, ἔνθεν ἔπειτα περίῤῥυτον ἵκετο Κύπρον.<br>Ἐκ δ᾽ ἔβη αἰδοίη καλὴ θεός, ἀμφὶ δὲ ποίη<br>ποσσὶν ὕπο ῥαδινοῖσιν ἀέξετο τὴν δ᾽ Ἀφροδίτην<br>[ἀφρογενέα τε θεὰν καὶ ἐυστέφανον Κυθέρειαν]<br>κικλῄσκουσι θεοί τε καὶ ἀνέρες, οὕνεκ᾽ ἐν ἀφρῷ<br>θρέφθη• ἀτὰρ Κυθέρειαν, ὅτι προσέκυρσε Κυθήροις•<br>[Κυπρογενέα δ᾽, ὅτι γέντο πολυκλύστῳ ἐνὶ Κύπρῳ•<br>ἠδὲ φιλομμηδέα, ὅτι μηδέων ἐξεφαάνθη.] <br>Τῇ δ᾽ Ἔρος ὡμάρτησε καὶ Ἵμερος ἕσπετο καλὸς<br>γεινομένῃ τὰ πρῶτα θεῶν τ᾽ ἐς φῦλον ἰούσῃ.<br>Ταύτην δ᾽ ἐξ ἀρχῆς τιμὴν ἔχει ἠδὲ λέλογχε<br>μοῖραν ἐν ἀνθρώποισι καὶ ἀθανάτοισι θεοῖσι,<br>Παρθενίους τ᾽ ὀάρους μειδήματά τ᾽ ἐξαπάτας τε<br>τέρψιν τε γλυκερὴν φιλότητά τε μειλιχίην τε.|lingua=grc}}
 
==Afrodite nei Lirici==
[[André Motte]] e [[Vinciane Pirenne-Delforge]] ricordano come Afrodite si presenti già nella ''Teogonia'' di Esiodo, come la prima figura femminile in forme antropomorfe, emergendo da un contesto di desiderio e di violenza che ne caratterizza i tratti di seduzione e di inganno, poi presenti nella prima donna, Pandora<ref>[[André Motte]] e [[Vinciane Pirenne-Delforge]], ''Aphrodite'' in ''The Oxford Classical Dictionary'', 4 ed. p.116.</ref>.
{{q|Afrodite, immortale che siedi<br> sopra il trono intarsiato,<br>figlia di Zeus, tessitrice di inganni<br> ti supplico: non domare il mio cuore<br>con ansie, tormenti, o divina.|[[Saffo]]; traduzione di [[Giulio Guidorizzi]], in ''Lirici greci'', Milano, Mondadori, 2007, pp. 240-1| ποικιλόθρον' ἀθανάτ' Αφρόδιτα, παῖ Δίος δολόπλοκε, λίσσομαί σε, μή μ' ἄσαισι μηδ' ὀνίαισι δάμνα, πότνια, θῦμον|lingua=grc}}
 
==Altri miti su Afrodite==
* Nell'Inno omerico (VI) ''ad Afrodite'', la dea emerge nuda dalle acque del mare, sono le divinità Horai (Ὥραι) che accogliendola, l'abbigliarono con divine vesti.
* Nella teogonia orfica riportata dal ''[[Papiro di Derveni]]'', un rotolo di papiro rinvenuto semicombusto all'interno di una tomba macedone collocata a Derveni (nei pressi di Salonicco) datata al IV secolo a.C., la dea Afrodite è concepita dal re degli dèi, Zeus
:{{q|Zeus è re, Zeus dalla vivida folgore il sovrano di tutte le cose;<br> li nascose tutti e poi alla luce dispensatrice di gioia<br> li fece salire dal suo cuore sacro, terribili atti compiendo.<br>In verità prima di ogni altra cosa l'aurea Afrodite, <br>l'Urania desiderabile, con una sola eiaculazione concepì |''Papiro di Derveni''. Traduzione di [[Paolo Scarpi]], in ''Le religioni dei misteri'' vol.1, pp.369 e sgg.}}
* Afrodite sconvolge le menti degli uomini, ma sa suscitare il desiderio anche nelle menti divine, per l'Inno omerico (V) ''ad Afrodite'' solo tre dee non vengono influenzate: Atena, Artemide ed Estia.
 
==Afrodite nelle [[teologie della civiltà classica|teologie]]==
* In [[Empedocle]], Amore (Φιλότης) è indicato anche con il nome di Afrodite (Ἀφροδίτη)<ref>D-K 31 B 17, B 22, B 66, B 71</ref>, o con il suo appellativo di ''Kýpris'' (Κύπρις)<ref>D-K 31 B73, B 75, B 95, B 98.</ref>, indicando qui la «natura divina che tutto unisce e genera la vita»<ref>[[Werner Jaeger]], ''La teologia...'' p. 215.</ref>. Tale accostamento tra Amore e Afrodite ispirò al poeta epicureo romano Lucrezio l'inno a Venere, collocato nel proemio del ''De rerum natura''. In questa opera Venere non è la dea dell'amplesso, quanto piuttosto «l'onnipotente forza creatrice che pervade la natura e vi anima tutto l'essere», venendo poi, come nel caso di Empedocle, opposta a Marte, dio del conflitto<ref>[[Werner Jaeger]], ''La teologia...'' p. 236.</ref>.
 
==Culto==
Nonostante la prerogativa della potenza divina della dea Afrodite fosse l'amore inteso come amplesso, il suo culto era generalmente serio se non austero<ref>[[Francis Redding Walton]]. ''Op.cit.'' p.31</ref>.
 
Le prostitute la invocavano come loro protettrice <ref>Ateneo, XIII 572e-573a.</ref> e, a Corinto, si esercitava la ierodulia in suo onore<ref>Strabone, 378; Ateneo 573.</ref>.
 
Non si sa molto delle feste in onore di Afrodite<ref>[[Walter F. Otto]], p.105</ref>, ma la dea era sovente onorata al termine di imprese importanti<ref>Senofonte, ''Elleniche'', V, 4,4; Plutarco, ''Comparatio Cimonis et Lucullis'' 1; Plutarco, ''Non posse suaviter vivi secundum Epicurum'', 12.</ref>. Plutarco <ref>''Questiones grecae'' 44.</ref> ricorda che in suo onore si chiudevano le celebrazioni a Posidone a Egina.
 
Le feste "[[Afrodisie]]" erano proprie dei marinai, che la veneravano come dea sorta dal mare, al termine del loro viaggio per mare, vissute con larga partecipazione dei piaceri <ref>''Non posse suaviter vivi secundum Epicurum'', 16; ''An seni sit gerenda res publica'', 4.</ref>.
 
 
[[File:Oceanus IstArchMu764c.jpg|250|thumb|[[Oceano (mitologia)|Oceano]] (Ὠκεανός), in una statua rinvenuta a Efeso e risalente al II secolo d.C., oggi conservata presso il [[Museo archeologico di Istanbul]]. Oceano è il primo figlio di Urano (Οὐρανός ἀστερόεις, "Cielo stellante") e Gaia (Γαῖα, "Terra"). Nell'<nowiki></nowiki>''Iliade'' (XIV 201) è detto «padre degli dèi». La sua potenza si manifesta nell'acqua primordiale che circonda la Terra origine di tutti i fiumi. Sposo di Tethys (Τηθύς, anche Teti) <ref>Da non confondersi con la nereide Thetis (Θέτις, anche Teti), madre di Achille.</ref> con lei genera i Fiumi (Ποταμοί) e le Oceanine (Ὠκεανίδες), tra cui Stige (Στύξ), la più illustre, le quali con il loro elemento acquatico nutrono di giovinezza gli uomini. Oceano per quanto Titano, non verrà incatenato da Zeus nel Tartaro in quanto non parteciperà alla lotta contro gli dèi olimpici<ref>Cfr. [[Giulio Guidorizzi]]. ''Il mito greco''. Vol.1 Gli eroi. Mondadori, Milano, 2011, p. 987.</ref>.]]
I '''Titani''' (dal [[Lingua greca|greco]]: Τιτάνες, ''Titânes''; singolare: Τιτάν) sono, nella [[mitologia greca|mitologia]] e nella [[religione greca]], gli dèi più antichi (''prótheroi theoí''<ref>Cfr. Esiodo ''Teogonia'' 424.</ref>), nati prima degli Olimpi e generati da [[Urano (mitologia)|Urano]] (Cielo) e [[Gaia (mitologia)|Gaia]] (anche Gea, Terra)<ref>Cfr. ad es. [[Herbert Jennings Rose]]. ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p.2106; [[Franco Ferrari]], [[Marco Fantuzzi]], [[Maria Chiara Martinelli]], [[Maria Screna Mirto]]. ''Dizionario della Civiltà classica'', vol. 2. Milano, Rizzoli, 2001, p.1757.</ref>.
 
==I Titani==
I '''Titani''' (dal [[Lingua greca|greco]]: Τιτάνες, ''Titânes''; singolare: Τιτάν) sono, nella [[mitologia greca|mitologia]] e nella [[religione greca]], gli dèi più antichi (''prótheroi theoí''<ref>Cfr. Esiodo ''Teogonia'' 424.</ref>), nati prima degli Olimpi e generati da [[Urano (mitologia)|Urano]] (Cielo) e [[Gaia (mitologia)|Gaia]] (anche Gea, Terra)<ref>Cfr. ad es. [[Herbert Jennings Rose]]. ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p.2106; [[Franco Ferrari]], [[Marco Fantuzzi]], [[Maria Chiara Martinelli]], [[Maria Screna Mirto]]. ''Dizionario della Civiltà classica'', vol. 2. Milano, Rizzoli, 2001, p.1757.</ref>.
 
===Etimologia===
L'origine del termine Τιτάνες non è assolutamente certa. [[Esiodo]] <ref>Cfr. ''Teogonia'' 209</ref> la fa discendere, ma in modo del tutto fantasioso, dal termine τιταίνειν ("produrre un sforzo", "tendere in alto") e da τίσις ("vendetta", "punizione") collegandoli alla relazione con Urano, loro padre<ref>Cfr. ad es. [[Herbert Jennings Rose]]. ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p.2106.</ref> che li avrebbe chiamati così per disprezzo, per odio <ref>Cfr. ''Teogonia'' 208</ref>.
 
===I Titani nella ''Teogonia'' di Esiodo===
Nella ''Teogonia'' di Esiodo, ai vv. 133-138, viene narrato che unendosi a Urano (Οὐρανός ἀστερόεις, "Cielo stellante"), Gaia (Γαῖα, "Terra") genera i Titani: [[Oceano (mitologia)|Oceano]] (Ὠκεανός)<ref>In ''Iliade'', XIV 201, Oceano è detto «padre degli dèi». [[Aristotele]], in ''Metafisica'' I (A) 3,983 intende questo, «Oceano e Teti genitori del divenire», come anticipazione delle teorie di Talete.</ref>, Coio (Κοῖος, anche Ceo), Creio (Κριός, anche Crio), Iperione (Ύπέριον), Iapeto (Ιαπετός, anche Giapeto), Theia (Θεία, anche Teia o Tia)<ref>Pindaro ''Istmica'' V la canta; da intendere come divinità della luce (cfr. Colonna p.83) </ref>, Rea (Ῥέα), Themis (Θέμις, anche Temi), Mnemosyne (Μνημοσύνη, anche Menmosine), Phoibe (Φοίϐη, anche Febe), Tethys (Τηθύς, anche [[Teti (Urano)|Teti]]) e Kronos (Κρόνος, anche [[Crono]]).
 
Dopo i Titani (vv. 139-153), l'unione tra Gaia e [[Urano (astronomia)|Urano]] genera i tre [[Ciclopi]] (Κύκλωπες: Brontes, Steropes e Arges<ref>Dèi con un "occhio solo", i loro nomi richiamano rispettivamente il "Tonante", il "Fulminante" e lo "Splendente".</ref>)<ref>Da notare la differenza con l'<nowiki></nowiki>''Odissea'', IX 187, dove i Ciclopi risultano dei giganteschi e selvaggi pastori e in cui, uno di questi, Polifemo,è figlio di Posidone. Qui, nella ''Teogonia'' esiodea, sono invece tre, dèì figli di Urano e Gaia, costruttori di fulmini che poi consegneranno a Zeus; in Callimaco, ''Inno ad Artemide'', sono gli aiutanti di Efesto, costruttori delle fortificazioni delle città dell'Argolide, ma lo scoliaste (Esiodo ''Theog.'', 139) indica questi ultimi come una "terza" categoria di Ciclopi: «perché di Ciclopi ci sono tre stirpi: i Ciclopi che costruirono le mura di Micene, quelli attorno a Polifemo e gli dèi stessi.»</ref>; e i [[Centimani]] (Ἑκατόγχειρες, Ecatonchiri): Cotto, Briareo e Gige dalla forza terribile<ref>Così lo scoliaste (148): «Costoro sono detti venti che prorompono dalle nubi, e sono di sicuro devastatori. Per questo miticamente sono provvisti anche di cento braccia perché hanno pulsionalità guerresche. Cotto, Briareo e Gige sono i tre momenti (dell'anno): Cotto è la canicola, cioè il momento dell'estate, Briareo è la primavera in rapporto con il fiorire ('bryein') e crescere le piante; Gige è il tempo invernale.» (Trad. Cassanmagnago, p. 503.</ref>.
 
Urano (vv.154-182), tuttavia, impedisce che i figli da lui generati con Gaia, i dodici Titani, i tre Ciclopi e i tre Centimani, vengano alla luce. La ragione di questo rifiuto risiederebbe secondo alcuni autori<ref>Cfr. [[Fritz Graf]]. ''Il mito in Grecia''. Bari, Laterza, 2007, p.61; Cassanmagnago ''Op.cit.'' p.929</ref>, nella loro "mostruosità". Ecco che la madre di costoro, Gaia, costruisce dapprima una falce dentata e poi invita i figli a disfarsi del padre che li costringe nel suo ventre. Solo l'ultimo dei Titani, Kronos, risponde all'appello della madre: appena Urano si stende nuovamente su Gaia, Kronos, nascosto<ref>Nella vagina della madre, ''locheòs'', ( così legge [[Shawn O'Bryhim]], ''Hesiod and the Cretan Cave'' in "Rheinisches Museum fuer Philologie" 140: 95-96, 1997.)</ref> lo evira.
 
Da questo momento inizia il dominio di Kronos in quale, unendosi a Rea, genera: Istie (Ἱστίη, ionico; anche Estia dall'attico Ἑστία), [[Demetra]] (Δήμητρα), [[Era (mitologia)|Era]] (Ἥρα, anche Hera), [[Ade]] (Ἅιδης) ed Ennosigeo (Ἐννοσίγαιον, Scuotitore della terra, da intendere come Posidone o [[Poseidone]] Ποσειδῶν<ref>Cfr. Colonna nota 31 p.86.</ref>); ma tutti questi figli vengono divorati da Kronos in quanto, avvertito dai genitori Gaia e Urano che uno di questi lo avrebbe spodestato, non vuole cedere il potere regale. Grande sconforto questo stato di cose procura a Rea, la quale, incinta dell'ultimo figlio avuto da Kronos, [[Zeus]] (Ζεύς), e consigliatasi con gli stessi genitori, decide di partorire nascostamente a Lycto ([[Creta]])<ref>O sul monte Egeo, per il confronto cfr. Arrighetti p. 345-6.</ref>, consegnando a Kronos una pietra che questi divora pensando fosse il proprio ultimo figlio.
 
Zeus (vv.492-500) cresce in forza e intelligenza e infine sconfigge il padre Kronos facendogli vomitare <ref>In Apollodoro I,2,1 è Metis (Μῆτις), una delle oceanine e prima moglie di Zeus, a far somministrare a Kronos l'emetico che lo costrinse a vomitare i figli.</ref>gli altri figli che aveva divorato, e il primo oggetto vomitato da Kronos è proprio quella pietra che egli aveva inghiottito scambiandola per Zeus<ref>Pasuania, X, 24,6 testimonia di una "pietra sacra" collocata sul monte Parnaso, nei pressi della tomba di Neottolemo.</ref>. Quindi Zeus (vv.501-506) scioglie dalle catene i tre Ciclopi<ref>Vanno letti infatti come Brontes, Steropes e Arges: in tal senso, e tra gli altri, Arrighetti, p.347 e Cassanmagnago (89) p.936.</ref> così costretti dallo stesso Kronos, i quali lo ricambieranno consegnandogli il tuono, il fulmine e il lampo.
 
I versi 617-720 della ''Teogonia'' si occupano della Titanomachia, la lotta tra i titani residenti sul monte Othrys<ref>Collocato a sud del monte Olimpo e a nord della piana della Tessaglia.</ref> e gli dèi dell'[[Olimpo (Grecia)|Olimpo]] (figli di Kronos e di Rea): da dieci anni la lotta tra i due schieramenti prosegue incerta quando Zeus, su consiglio di Gaia, libera i tre Centimani precedentemente costretti nella terra da Urano e, dopo averli rifocillati con nettare e ambrosia, li coinvolge nella battaglia che diverrà così decisiva e si concluderà con la sconfitta dei titani e la loro segregazione nel Tartaro, chiuso da mura e da porte di bronzo costruite appositamente da Poseidone e guardati a vista dagli stessi tre Centimani.
 
===I Titani nelle altre tradizioni mitologiche greche===
*[[Diodoro Siculo]] ('' Bibliotheca historica'' V, 64 e sgg.) riferisce che secondo i Cretesi, i Titani nacquero al tempo dei Cureti. Essi vivevano nei pressi di [[Cnosso]], erano sei maschi (Crono, Iperione, Ceo, Iapeto, Crio, Oceano) e cinque femmine (Rea, Temi, Mnemosine, Febe e Teti), figli di Urano e di Gea, oppure figli di uno dei Cureti andato in sposo a una certa Titaia da cui essi presero il nome. Ognuno di questi Titani ebbe modo di lasciare un dono prezioso in eredità agli uomini conquistando in questo modo un onore imperituro. Crono, dei Titani il più anziano, fu re, e grazie a lui gli uomini passarono dallo stato selvaggio alla civiltà. Insegnò agli uomini anche ad essere probi e semplici d'animo, questa è la ragione per cui si sostiene che gli uomini al tempo di Crono furono giusti e felici<ref>Cfr. il mito esiodeo: {{q|Prima una stirpe aurea di uomini mortali <br> fecero gli immortali che hanno le Olimpie dimore.<br>
Erano ai tempi di Kronos, quand'egli regnava nel cielo;<br> come dèi vivevano, senza affanni nel cuore,<br>
lungi e al riparo da pene e miseria, né triste<br> vecchiaia arrivava, ma sempre ugualmente forti di gambe e di braccia,<br>
nei conviti gioivano, lontano da tutti i malanni;<br> morivano come vinti dal sonno, e ogni sorta di beni<br>
c'era per loro; il suo frutto dava la fertile terra<br> senza lavoro, ricco ed abbondante, e loro, contenti,<br>
in pace, si spartivano i frutti del loro lavoro in mezzo a beni infiniti,<br> ricchi d'armenti, cari agli dèi beati.|[[Esiodo]], ''[[Erga]]'', 109-120. Traduzione di [[Graziano Arrighetti]], in Esiodo ''Opere'' : 1998 Einaudi-Gallimard; 2007 Mondadori, p.61|χρύσεον μὲν πρώτιστα γένος μερόπων ἀνθρώπων <br>ἀθάνατοι ποίησαν Ὀλύμπια δώματ᾽ ἔχοντες. <br>οἳ μὲν ἐπὶ Κρόνου ἦσαν, ὅτ᾽ οὐρανῷ ἐμβασίλευεν: <br>ὥστε θεοὶ δ᾽ ἔζωον ἀκηδέα θυμὸν ἔχοντες <br>νόσφιν ἄτερ τε πόνων καὶ ὀιζύος: οὐδέ τι δειλὸν <br>γῆρας ἐπῆν, αἰεὶ δὲ πόδας καὶ χεῖρας ὁμοῖοι <br>τέρποντ᾽ ἐν θαλίῃσι κακῶν ἔκτοσθεν ἁπάντων: <br>θνῇσκον δ᾽ ὥσθ᾽ ὕπνῳ δεδμημένοι: ἐσθλὰ δὲ πάντα <br>τοῖσιν ἔην: καρπὸν δ᾽ ἔφερε ζείδωρος ἄρουρα <br>αὐτομάτη πολλόν τε καὶ ἄφθονον: οἳ δ᾽ ἐθελημοὶ <br>ἥσυχοι ἔργ᾽ ἐνέμοντο σὺν ἐσθλοῖσιν πολέεσσιν. <br>ἀφνειοὶ μήλοισι, φίλοι μακάρεσσι θεοῖσιν.|lingua=grc}}</ref>. <br>
Il confronto tra il testo teogonico esiodeo e il racconto, ad esempio, di Diodoro Siculo evidenzia due differenti approcci tradizionali sulla natura dei Titani:
{{q|Talvolta i Titani erano considerati figure primitive e selvagge, al limite della crudeltà mostruosa: divinità imperfette che regnavano con la forza, non con la sapienza e la giustizia di Zeus. [...] Alcuni però pensavano che questi antichi dèi possedessero una loro giustizia, più mite e modesta rispetto a quella degli olimpi, e in fondo più benevola nei confronti dell'umanità|[[Giulio Guidorizzi]]. ''Il mito greco'' vol.1 Gli dèi. Milano, Mondadori, 2009, p.33}}
*[[Apollonio Rodio]] (''Argonautiche'' I, 503-506) racconta, per mezzo di [[Orfeo]], come, prima di Crono e Rea, i Titani fossero sudditi del serpente marino [[Ofione]] (Ὀφίων) e dell'oceanina [[Eurinome]] (Εὐρυνόμη) i quali avevano sede sull'Olimpo, ma questi sovrani dovettero cedere il potere regale rispettivamente a Crono e a Rea dopo essere stati gettati nei flutti dell'Oceano.
 
[[File: Ilion---metopa.jpg|thumb|right|300px|[[Metopa]] raffigurante Helios che esce dal mare. Rinvenuta all'angolo Nord-Est del tempio di Atena a Troia da [[Heinrich Schliemann]] nel 1872, e risalente al IV secolo a.C., è oggi conservata presso il [[Pergamonmuseum]] di Berlino. La raffigurazione di Helios che esce dal mare può riprendere quanto riportato in Ateneo (469c e sgg.) dove viene raccontato il modo in cui Helios, dopo aver attraverso il cielo da oriente verso occidente, torni col suo cocchio al suo punto di origine: entro un'enorme coppa attraversa l'oceano.]]
[[File:DSC00400 - Tempio C di Selinunte - Quadriga di Helios - Sec. VI a.C. - Foto G. Dall'Orto.jpg|thumb|200px|''Quadriga di Helios'', [[VI secolo a.C.|VI sec. a.C.]], Tempio C, [[Selinunte]].]]
'''Helios''' (in italiano anche '''Elio''' o '''Elios'''; in [[Lingua greca antica|greco antico]] {{polytonic|Ἥλιος}} (''Hḗlios''), in [[lingua latina|latino]] ''Hēlĭus,-i'' o ''Sol,-is'') è una divinità della [[religione greca]], più precisamente il dio dell'[[sole|astro solare]].
 
==Helios==
'''Helios''' (in italiano anche '''Elio''' o '''Elios'''; in [[Lingua greca antica|greco antico]] {{polytonic|Ἥλιος}} (''Hḗlios''), in [[lingua latina|latino]] ''Hēlĭus,-i'' o ''Sol,-is'') è una divinità della [[religione greca]], più precisamente il dio dell'[[sole|astro solare]].
 
===Helios nell'<nowiki></nowiki>''Iliade''===
La più antica attestazione greca del dio Helios è nel III canto dell'<nowiki></nowiki>''Iliade'' dove viene indicato come colui che "tutti vede e tutto ascolta"<ref>Ἠέλιός θ', ὃς πάντ' ἐφορᾷς καὶ πάντ' ἐπακούεις</ref>:
{{q|Zeus padre, signore dell'Ida, grande e glorioso,<br>Sole che tutti vedi e tutto ascolti, <br> fiumi e terra, e voi che sotto terra<br>punite da morti coloro che giurano il falso,<br> siate testimoni, e custodite i patti.|''Iliade'' III, 276-280. Traduzione di [[Guido Paduano]]. Milano, Mondadori, 2007, p.91|Ζεῦ πάτερ Ἴδηθεν μεδέων κύδιστε μέγιστε,<br>
Ἠέλιός θ', ὃς πάντ' ἐφορᾷς καὶ πάντ' ἐπακούεις,<br>
καὶ ποταμοὶ καὶ γαῖα, καὶ οἳ ὑπένερθε καμόντας<br>
ἀνθρώπους τίνυσθον ὅτις κ' ἐπίορκον ὀμόσσῃ,<br>
ὑμεῖς μάρτυροι ἔστε, φυλάσσετε δ' ὅρκια πιστά|lingua=grc}}
La facoltà di onnivegenza lo fa invocare nei giuramenti <ref>[[Herbert Jennings Rose]] ''Helios'' in ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p. 1084-5. </ref>.
 
===Helios nella ''Teogonia'' di Esiodo===
Nella ''Teogonia'' di Esiodo (vv.371-374) i titani Theia (Θεία, anche Teia o Tia)<ref>Pindaro ''Istmica'' V la canta; da intendere come divinità della luce (cfr. Colonna p.83)</ref> e Iperione (Ύπέριον) generano Helios insieme a Selene (Σελήνη, Luna) e Eós (Ἠώς, Aurora).<br>
Mentre ai versi 956-957 Helios e l'oceanina Perseis (Περσηίς, anche Perseide) generano Circe (Κίρκη) e Aiete (Αἰήτης, anche Eeta).
 
===Helios nelle altre tradizioni===
* Negli ''[[Inni omerici]]'', la possibilità di vedere e ascoltare ovunque (così come testimoniato nell'<nowiki></nowiki>''Iliade'') consentì a Helios di assistere al rapimento di [[Persefone (mitologia)|Persefone]] (Περσεφόνη) da parte di [[Ade (divinità)|Ade]] (Ἅιδης)<ref>Cfr. ''Inni omerici'' ''A Demetra''.</ref>.
* In [[Pindaro]], Helios è lo sposo della ninfa Rodo (Ῥόδη, anche Rodi)<ref>[[Pindaro]], VII, 14.</ref> e sull'isola di Rodi ebbe sette figli<ref>[[Pindaro]], VII, 73 e sgg.</ref>. Sempre in Pindaro, Zeus assegna a Helios l'isola di Rodi in quanto, assente al momento della spartizione del mondo tra gli dèi, ottiene Rodi appena emersa dal mare<ref>[[Pindaro]], VII, 54 e sgg.</ref>.
*[[Platone]], nel suo ''Simposio'' (220 D) cita la lirica di [[Socrate]] dedicata a Helios che sorge<ref>Lirica ripresa in epoca moderna da [[Friedrich Hölderlin]] nel suo ''Al dio del Sole''.</ref>.
*In Ateneo (469c e sgg.) viene raccontato il modo in cui Helios dopo aver attraverso il cielo da oriente verso occidente, tornasse al suo punto di origine: entro un'enorme coppa attraversava l'oceano.
* In [[Diodoro Siculo]]<ref>[[Diodoro Siculo]], V, 56,4.</ref> Helios risulta particolarmente venerato a [[Rodi]] che è l'isola a lui sacra, in quanto inizialmente non era che una palude divenendo fiorente grazie ai raggi del sole che la prosciugarono.
* In [[Pausania il Periegeta|Pausania]] Helios è genitore di [[Pasifae]] (Πασιφάη)<ref>[[Pausania il Periegeta|Pausania]], V,25,9: "Helios, padre di Pasifae"</ref> da intendersi questa come un appellativo di Selene<ref>[[Pausania il Periegeta|Pausania]], III,26,1: "Pasifae è un appellativo di Selene"</ref>.
* Il mitografo romano [[Igino]]<ref>''I miti'', 154</ref> narra la vicenda di Fetonte (Φαέθων) il quale figlio di Climeno (Κλύμενος)<ref>[[Giulio Guidorizzi]] (in nota n.749 a Igino ''Miti'', Milano, Adelphi, 2005, p.432) nota come sia probabile che qui Igino, o il suo epitomatore, inverta i nomi: Climene doveva essere la madre, mentre il padre putativo di Fetonte fu Merope. La versione meglio conosciuta della vicenda di Fetonte rimane quella di Ovidio (''Metamorfosi'' I, 750-779 e II, 1-400) ma Igino dipende probabilmente da altre fonti (cfr. ad es. Eschilo ''Eliadi'' frr. 68-73 a Radt). Nella tragedia perduta di Euripide ''Fetonte'', questi era figlio di Climene e del suo sposo Merope essendo il vero padre Helios.</ref>, a sua volta figlio di Helios e della ninfa Merope (Μερόπη), venne a sapere dal padre che suo nonno era Helios, ma adoperò in modo errato il cocchio solare in quanto si avvicinò troppo alla terra incendiando dove passava finché un fulmine lo colpì facendolo precipitare nel fiume Po che i Greci chiamano Eridano (Ferecide fu il primo a indicarlo in questo modo). Le sorelle di Fetonte piansero in tal modo il fratello che furono trasformate in pioppi. Queste loro lacrime (narra Esiodo<ref>Fr. 150, 23-24; ma anche Euripide ''Ippolito'' 737-741.</ref>) rapprendendosi si trasformarono in ambra, e per questa ragione sono chiamate Eliadi (Ἡλιάδες): Merope, Elie, Egle, Lampezia, Febe, Eteria e Diossipe.
*Il dio viene normalmente rappresentato alla guida del carro del sole che conduce da oriente verso occidente<ref>[[Herbert Jennings Rose]] ''Helios'' in ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p. 1084-5. </ref>. Il poeta romano Ovidio<ref>cfr. ''Le metamorfosi'' II, 150 e sgg.</ref>, riprendendo Pindaro<ref>"Guida cavalli che spirano fuoco" Pindaro, VII.</ref>, indica questo carro in una [[quadriga]] tirata da quattro [[cavallo|cavalli]] che soffiano [[fuoco]] dalle [[naso|narici]]: ([[Eòo]], [[Etone]], [[Flegone]] e [[Piroide]]).
 
=== Culto ===
Il [[culto]] di Helios non era regolare in Grecia<ref>[[Herbert Jennings Rose]] ''Helios'' in ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p. 1084-5; cfr. anche [[Franco Ferrari]], [[Marco Fantuzzi]], [[Maria Chiara Martinelli]], [[Maria Serena Mirto]], ''Dizionario della civiltà classica'' vol.II, Milano, Rizzoli, 2001, p.1115 e sgg.</ref> in quanto questo dio non risiedeva né nelle città, né nelle campagne, ed essendo un astro era considerato lontano dagli uomini che comunque gli prestavano debito onore. Il suo culto risulta invece particolare nell'isola di [[Rodi]] dove gli era consacrata una colossale statua rappresentante un giovane con una folta chioma cinta da una corona a raggiera conosciuta con il nome di [[Colosso di Rodi]]<ref>[[Franco Ferrari]], [[Marco Fantuzzi]], [[Maria Chiara Martinelli]], [[Maria Serena Mirto]], ''Dizionario della civiltà classica'' vol.I, Milano, Rizzoli, 2001, p.851.</ref>, a dimostrazione dei tratti propriamente non greci della sua civiltà<ref>[[Herbert Jennings Rose]] ''Helios'' in ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p. 1084-5. </ref>.
 
A Helios erano dedicate, sempre a Rodi, le ''Hēliaîa'' (Ἡλιαῖα), festività comprendenti gare atletiche<ref>[[Herbert Jennings Rose]] ''Helios'' in ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p. 1084-5. </ref> e un sacrificio di quadrighe gettate in mare<ref>[[Herbert Jennings Rose]] ''Helios'' in ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p. 1084-5. </ref>.
 
===Teologia===
In età successive il culto di Helios assunse viepiù un'importanza centrale, dapprima fu identificato con altri dèi, ad esempio l'identificazione con il dio Apollo risulta già attestata nel V secolo a.C.<ref>[[Herbert Jennings Rose]] ''Helios'' in ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p. 1084-5. </ref>, successivamente, in epoca tardo-imperiale, a partire da Aureliano, il suo culto divenne il principale culto dell'impero romano<ref>[[Herbert Jennings Rose]] ''Helios'' in ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p. 1084-5. </ref>; in [[Macrobio]] <ref>''Saturnali'' I, 17, 2 e sgg.</ref> sono riassunte le motivazioni teologiche:
 
{{q|Allora Vettio: 2 Non credere, caro Avieno, che la schiera dei poeti, quando parla degli dèi, non tragga per lo più ispirazione dai recessi della filosofia. Infatti non è vana superstizione quella che fa loro ricondurre al Sole tutti gli dèi, o per lo meno quelli celesti, ma divina saggezza. 3 Se il Sole, secondo l'opinione degli antichi, regge e governa tutti gli altri astri<ref>Cfr. Plotino, ''Enneadi'' II,3.</ref> e presiede esso solo al movimento dei pianeti, e se è vero che le stelle con le loro orbite regolano, come taluni ritengono, l'ordine degli eventi umani, o, secondo la teoria di Plotino, lo preannunciano, dobbiamo necessariamente considerare il Sole, in quanto governa i governatori del nostro destino, come origine di tutto ciò che accade intorno a noi. 4 E come Virgilio Marone dicendo a proposito della sola Giunone "per quale suo nome offeso", intese significare che le varie manifestazioni di un solo dio si devono considerare come altrettante divinità, così le diverse proprietà del Sole diedero origine a nomi degli dèi. Di qui i primi sapienti prclamarono il principio ''hèn tò pan'' (il tutto è unico). 5 Dunque chiamarono Apollo la proprietà divinatrice e curatrice del Sole, mentre quella che presiede al linguaggio ricevette il nome di Mercurio. In effetti, poiché il linguaggio interpreta i pensieri nascosti, con denominazione appropriata fu chiamato in greco ''Hermes da hermenèuein'' (interpretare). |Macrobio. ''Saturnali'' I, 17, 2-5. Traduzione di [[Nino Marinone]]; Torino, Utet, 1987| Tum Vettius: Cave aestimes, mi Aviene, poetarum gregem, cum de dis fabulantur, non ab adytis plerumque philosophiae semina mutuari. Nam quod omnes paene deos, dumtaxat qui sub caelo sunt, ad solem referunt, non vana superstitio sed ratio divina commendat. 3 Si enim sol, ut veteribus placuit, dux et moderator est luminum reliquorum, et solus stellis errantibus praestat, ipsarum vero stellarum cursus ordinem rerum humanarum, ut quibusdam videtur, pro potestate disponunt, ut Plotino constat placuisse, significant: necesse est ut solem, qui moderatur nostra moderantes, omnium quae circa nos geruntur fateamur auctorem. 4 Et sicut Maro, cum de una Iunone diceret: Quo numine laeso, ostendit unius dei effectus varios pro variis censendos esse numinibus, ita diversae virtutes solis nomina dis dederunt: unde ἓν τὸ πᾶν sapientum principes prodiderunt. 5 Virtutem igitur solis quae divinationi curationique praeest Apollinem vocaverunt: quae sermonis auctor est Mercurii nomen accepit. Nam quia sermo interpretatur cogitationes latentes, Ἑρμῆς ἀπὸ τοῦ ἑρμηνεύειν propria appellatione vocitatus est.|lingua=la}}
 
Così già [[Giuliano imperatore]] nel suo ''Inno a Helios re'':
{{q|Questo universo divino e assolutamente splendido, che si estende dalla sommità della volta celeste fino all’infimo della terra, tenuto insieme dalla continua provvidenza del dio, esiste increato dall’eternità e in eterno esisterà nel futuro, conservato da nient’altro se non direttamente dal quinto elemento<ref>Consiste nell'"etere" (αἰθήρ ''aithḗr'') il quale segue in questo modo [[Giamblico]] (''De Mysteriis Aegyptiorum'', I,7), che a sua volta segue Aristotele, considerandolo relazionato alla sostanza immateriale di cui si compongono gli dèi.</ref> il cui vertice è il raggio del Sole; a un secondo livello, per dir così, è sostenuto dal mondo intelligibile e quindi, in forma ancora più nobile, dal re del cosmo, centro di tutto quel che esiste. Quest’ultimo, comunque lo si voglia designare, come ciò che sta oltre l’intelletto o come l’idea dell’essere, oppure come l’intero mondo intelligibile, o ancora come l’Uno, poiché l’Uno sembra preesistente a tutte le cose, o come il Bene, per usare l’espressione favorita di Platone; questo principio unitario del tutto che è fonte primaria, per ogni essere esistente, di bellezza, di perfezione, di unità e di potenza irresistibile, in virtù della sua sostanza creatrice e permanente, ha originato da sé, quale mediatore, al centro delle cause mediatrici, intelligenti e demiurgiche, Helios, dio potentissimo, in tutto simile a sé. Così pensa anche il divino Platone, quando dice: "Questo è appunto quello che chiamo figlio del Bene, che il Bene generò simile a sé: ciò che nel mondo intelligibile è il Bene rispetto all’intelletto pensante e all’oggetto pensato, questo è Helios nel mondo visibile rispetto alla vista e alle cose vedute". Mi sembra, dunque, che tra la sua luce e il mondo visibile ci sia un rapporto identico a quello che esiste tra la verità e il mondo intelligibile. Ma lo stesso Helios nella sua totalità, dal momento che è figlio dell’idea, che è il primo e massimo Bene, esiste dall’eternità nell’ambito della sua sostanza permanente, avendo ricevuto il dominio fra gli dei intelligenti e avendo elargito agli dei intelligenti quanto il Bene produce per gli dei intelligibili. Il Bene, credo, è per gli dei intelligibili fonte di bellezza, sostanza, perfezione e unità, riunendo e irradiando questi benefici con la potenza che è espressione della sua natura. Questi, dunque, sono i doni dispensati agli dei intelligenti da Helios, preposto dal Bene a comandare e regnare su di loro, benché siano apparsi e abbiano avuto origine insieme a lui, allo scopo, io penso, che anche per gli dei intelligenti ci fosse una causa, dotata della natura del Bene e promotrice di benefici, che regolasse ogni cosa per tutti in conformità con l’intelletto. |[[Giuliano imperatore]] ''Inno a Helios re'', 5-6. In [[Giuliano imperatore]]. ''Inno alla Madre degli dei e altri discorsi'' (a cura di [[Jacques Fontaine]], [[Carlo Prato]] e [[Arnaldo Marcone]]). Milano, Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla, 1997, pp.105-7}}
 
==Etere==
'''Etere''' ([[Lingua greca|greco antico]]: ᾿Αιθήρ, ''Aithḗr'') è una divinità primigenia della [[religione greca|religione]] e della [[mitologia greca]]. È la potenza divina del cielo superiore e più puro, della luminosità del giorno. Si tratta della divinità dell'aria superiore che solo gli dei respirano, in contrapposizione all'aria respirata dai mortali (in greco ᾿Αήρ, ''aḗr'').
 
[[Esiodo]] nella sua ''[[Teogonia (Esiodo)|Teogonia]]'' (v. 124-125) lo indica come figlio Erebo (Ερεβος, le Tenebre)<ref>Da intendere come il buio dell'Al di là, cfr. Arrighetti p. 293.</ref> e Nyx (Nύξ, Notte)<ref>Da intendere come il buio di questo mondo, cfr. Arrighetti p. 293.</ref> e fratello di Hemere (Ἠμἐρα, il Giorno)<ref>L'essere luminoso del Cielo o del Giorno, come l'essere tenebroso della Notte o di Erebo, non dipende essenzialmente dalla presenza o meno del Sole ma sono "pensati" come loro natura (Arrighetti, p.326; Cassanmagnago p.927). Per approfondimenti sul tema "tenebre-luce" in Esiodo cfr. [[Max Treu]], ''Licht und Leuchtendes in der archaischen griechischen Poesie'', StGen 18, 1965, 83-97; [[Dieter Bremer]], ''Licht und Dunkel in der frûhgriechischen Dichtung. Interpretationen zur Vorgeschichte der Lichtmetaphysik''. Bonn, Bouvier, 1976</ref>.
 
[[Acusilao]]<ref>''FGrHist'' 2 F 6.</ref> Erebo e Notte sono figli di Chaos e generano Eros, Etere e Metis (Μῆτις).
 
[[Gaio Giulio Igino|Igino]], mitografo di lingua latina del II secolo d.C., nelle ''[[Fabulae]]'' <ref>Cfr. ''Praefatio''.</ref> scrive che era figlio di [[Caligine]] (Tenebre) e di [[Chaos (mitologia)|Chaos]]. Da Giorno (''Dies'') <ref>Cfr. ''Praefatio''.</ref> ebbe come figli la Terra e il Cielo (''Caelum'') e il Mare. Mentre dalla figlia Terra ebbe come discendenza: Dolore (''Dolor''), Inganno (''Dolus''), Ira, Lutto (''Luctus''), Menzogna (''Mendacium''), Giuramento (''Iusiurandum''), Vendetta (''Ultio''), Intemperanza (''Intemperantia''), Disputa (''Altercatio''), Dimenticanza (''Obliuio''), Ottusità (''Socordia''), Paura (''Timor''), Superbia, Incesto(''Incestum''), Battaglia (''Pugna''), Oceano (''Oceanus''), Themis, Tartaro (''Tartarus''), Ponto (''Pontus''), i Titani (''Titanes'') e le tre Furie (''Furiae'').
 
===Etere nell'orfismo===
Una teogonia di stampo orfico, quella attribuita a Ieronimo e a Ellanico di datazione incerta<ref>{{q|Tale teogonia [...] è di cronologia assai incerta: contro l'opinione precedente (cf. per es. Zeller I I, 128-129) che la riteneva più tarda della teogonia rapsodica, si è poi affermata la tesi che vada datata tra la teogonia secondo Eudemo (Kern, Ziegler). E se realmente anche questo frammento si può accettare come sua testimonianza, si potrebbe collocarne la data fra il terzo secolo a.C. e il primo secolo d.C.|[[Giorgio Colli]]. ''La sapienza greca'', vol.1, p. 413}}</ref> e che viene riportata nel modo più esauriente da [[Damascio]]<ref>''De principis'' 123 bis</ref> nel VI secolo d.C., così presenta la genesi del cosmo:
* all'inizio vi è l'acqua (''hýdōr'' ὕδωρ) e la materia (''hýlē'' ὕλη); da questi si condensa la terra (''gē'' γῆ);
* prima di questi non c'è nulla, osserva Damascio, forse perché il "prima" è di natura "indicibile" quindi tramandato segretamente;
* dall'acqua e dalla terra prese origine un serpente (''drákōn'' δράκων) avente la testa di un toro e quella di un leone e in mezzo tra queste il volto di un dio, aveva anche le ali poste dietro le spalle, il suo nome era Tempo (Χρόνος, Chronos<ref>Da non confondersi con il titano esiodeo Κρόνος, Kronos.</ref>) privo di vecchiaia (''agèratos'' ἀγήρατος), e ma ebbe anche il nome di Eracle (Hēraklēs, Ἡρακλῆς);
* a questo serpente era congiunta Ananke (Ἀνάγκη, Necessità) incorporea, per natura identica ad Adrastea (Ἀδράστεια), con le braccia aperte a contenere ("ne raggiunge i limiti", ''peráton'') tutto il mondo (''kosmoi'');
* Tempo, il serpente, è padre di Etere umido, di Chaos senza limiti e di Erebo nebbioso; in questa triade Tempo genera l'uovo;
* dall'Uovo nasce un essere dall'aspetto sia femminile che maschile, con le ali d'oro, le teste del toro sui fianchi, un enorme serpente sul capo somigliante a tutte le creature selvatiche, questo essere conteneva in sé tutti i semi delle creature future, il nome di questo essere nato dall'Uovo era Protogono ((Πρωτογόνος, ''Protogonos''), anche chiamato Zeus o Pan (Πάν).
 
Una ulteriore teogonia orfica emerge dai ''Discorsi sacri'' (''hieroi logoi'', in ventiquattro rapsodie detta anche ''Teogonia rapsodica'')<ref>Riportati in ''Discorsi sacri in ventiquattro rapsodie''; ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern''; traduzione di [[Elena Verzura]]. Milano, Bompiani, pp. 313-529.</ref>, di cui diversi autori neoplatonici riportano alcuni passi attribuiti a Orfeo ma probabilmente frutto di una rielaborazione di materiale arcaico avvenuta tra il I e il II secolo d.C.<ref>Cfr. ''Le religioni dei misteri'' (a cura di [[Paolo Scarpi]]). p. 629</ref>.
* Tempo (Χρόνος, ''Chronos'') genera Etere e quindi un ''chásma'' (baratro, χάσμα) grande che si estende qua e là<ref>Cfr. 66 ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern'', p.329 e sgg..</ref>;
* poi il Tempo per mezzo di Etere forma un "Uovo d'argento";
* dall'"Uovo d'argento" emerge Fanes (Φάνης, Phanes)<ref>Detto anche ''Protogonos'' (Πρωτογόνος) in quanto uscito per primo dall'Uovo d'argento, anche ''Eriképaios'' (Ἠρικεπαῖος) in quanto androgino e quindi "datore di vita"; "femmina e genitore" cfr. 81 ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern'', p.341; anche Metis.</ref>, ermafrodito, dotato di quattro occhi, con ali d'oro e munito di diverse teste di animali;
* Fanes regna con Nyx (Notte) sua paredra, madre e figlia, dal potere mantico;
* Notte genera Gaia e Urano, trasmettendo il potere regale a quest'ultimo;
* Gaia e Urano generano Kronos che castra il padre strappandgli il potere regale;
* il seguito è simile alla ''Teogonia'' esiodea fino a Zeus che inghiotte Fanes divenendo il Tutto;
* Zeus riavvia una nuova teogonia, in questo nuovo processo il re degli dèi sposa Demetra che ha una figlia, Persefone, da Persefone, Zeus ha un nuovo figlio Dioniso che sarà protagonista nella nascita del genere umano:
{{q|Presso Orfeo sono tramandati quattro regni: primo quello di Urano, che ricevette Crono<ref>Si tratta del titano Kronos (Κρόνος).</ref>, una volta che ebbe evirato i genitali del padre; dopo Crono regnò Zeus, che scaraventò nel Tartaro il genitore; in seguito, a Zeus successe Dioniso che, dicono, i Titani gravitanti intorno a lui dilaniarono, per una macchinazione di Era, e si cibarono delle sue carni. E Zeus, colto dallo sdegno, li folgorò e, generatasi la materia dalla cenere fumante da essi prodotta nacquero gli uomini; dunque, non bisogna che facciamo morire noi stessi, non solo come sembra dire il mito, perché siamo in un carcere, il corpo (questo infatti è chiaro), e non lo avrebbe detto affinché restasse segreto, ma non bisogna far morire noi stessi, anche perché il nostro corpo è dionisiaco: infatti noi siamo parte di lui, se è vero che siamo formati dalla cenere dei Titani, che ne mangiarono le carni.|[[Olimpiodoro]]. ''Commento al Fedone di Platone''; fr. 220 ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern'', p.509}}
 
=== Nella teologia===
[[Giamblico]] <ref>''De Mysteriis Aegyptiorum'', I,7</ref>, che a sua volta segue Aristotele, lo condisera relazionato alla sostanza immateriale di cui si compongono gli dèi.
 
 
==Dike==
'''Díkē''' (Δίκη, anche Diche) è, nella [[religione greca|religione]] e nella [[mitologia greca]], la divinità della [[giustizia]].
 
In [[Esiodo]] è figlia di [[Zeus]] e di Themis (Θέμις, anche Temi), la dea, sorella dei Titani, figlia di Urano e Gaia, è annoverata tra le Horai (Ὥραι, anche Ore), avendo come sorelle Eunomie (Εὐνομία) ed Eirene (Eἰρήνη), le quali, come lei, vegliano sulle opere degli uomini. <ref>Cfr. Esiodo, ''Teogonia'' 902 e sgg.</ref>. Dike riferisce a Zeus le colpe degli uomini perché, per via delle loro colpe, lei viene offesa<ref>Esiodo, ''Le opere e i giorni'' 256 e sgg.</ref>; quando gli uomini la scacciano la dea li segue piangendo e avvolta nella foschia gli procura del male <ref>Esiodo, ''Le opere e i giorni'' 222 e sgg.</ref>.
 
[[Pindaro]]<ref>''Pitica'' VIII, 1.</ref> le attribuisce una figlia Ἠσῠχία (Hēsychía) intendendola come "tranquillità", "quiete" dello stato.
 
In Pausania<ref>V, 18,2</ref> Dike punisce Ἀδικία (Adikía, l'Ingiustizia); mentre in Euripide <ref>''Eracle'' 941</ref> essa cattura i criminali.
 
Viene presentata come "vergine" e [[Platone]]<ref>''Leggi'' 943E</ref> considera questa condizione come incorrotta, perché tale deve essere la "giustizia".
 
[[Arato di Soli]] (III secolo a.C.) nei ''Fenomeni'' (96 e sgg.) rende Dike protagonista di una vicenda che Esiodo<ref>''Opere e giorni'', 200 e sgg.</ref> aveva assegnato a Nemesis (Nέμεσις, Distribuisce<ref>Intesa come lo "sdegno che castiga la tracotanza umana" Cassanmagnago 931 (44).</ref>) e ad [[Aidós]] (il delicato pudore), le due divinità che abbandoneranno gli uomini della stirpe di ferro<ref>Esiodo ''Opere e giorni'', 174 e sgg.</ref> ai loro mali; qui Dike, figlia di Astreo, abbandona l'umanità andando a formare la costellazione della Vergine, così, più tardi, verrà identificata con la vergine [[Astrea (divinità)|Astrea]]<ref>Cfr. ad es. [[Ovidio]], ''Metamorfosi'', I, 149-150</ref>.
 
Negli ''Atti degli apostoli'' Dike viene richiamata, come credenza "pagana", nel ruolo di punire gli assassini. Così quando Paolo di Tarso, giunto naufrago sull'isola di Malta e accolto benevolmente dalla popolazione, mentre ravvivava un fuoco viene morso da un serpente:
{{q|Al vedere la serpe pendergli dalla mano, gli abitanti (βάρβαροι) dicevano tra loro: «Certamente costui è un assassino, perché, sebbene scampato dal mare, la dea della giustizia (δίκη) non lo ha lasciato vivere».|''Atti degli apostoli'' XXVIII, 4|ὡς δὲ εἶδον οἱ βάρβαροι κρεμάμενον τὸ θηρίον ἐκ τῆς χειρὸς αὐτοῦ, πρὸς ἀλλήλους ἔλεγον· πάντως φονεύς ἐστιν ὁ ἄνθρωπος οὗτος ὃν διασωθέντα ἐκ τῆς θαλάσσης ἡ δίκη ζῆν οὐκ εἴασεν. |lingua=grc}}
 
==Kronos==
'''Kronos''' (Κρόνος) è una divinità pre-olimpica della [[mitologia greca|mitologia]] e della [[religione greca]],
figlio di [[Urano (mitologia)|Urano]] (Cielo) e di [[Gea|Gaia]] (Terra).
 
===Kronos nella ''Teogonia'' di Esiodo===
Nella ''[[Teogonia (Esiodo)|Teogonia]]'' di Esiodo, ai vv. 133-138, viene narrato che unendosi a Urano (Οὐρανός ἀστερόεις, "Cielo stellante"), Gaia (Γαῖα, "Terra") genera i Titani: [[Oceano (mitologia)|Oceano]] (Ὠκεανός)<ref>In ''Iliade'', XIV 201, Oceano è detto «padre degli dèi». [[Aristotele]], in ''Metafisica'' I (A) 3,983 intende questo, «Oceano e Teti genitori del divenire», come anticipazione delle teorie di Talete.</ref>, [[Ceo (mitologia)|Coio]] (Κοῖος, anche Ceo), [[Crio|Creio]] (Κριός, anche Crio), [[Iperione (mitologia)|Iperione]] (Ύπέριον), [[Iapeto]] (Ιαπετός, anche Giapeto), [[Teia (mitologia)|Theia]] (Θεία, anche Teia o Tia)<ref>Pindaro ''Istmica'' V la canta; da intendere come divinità della luce (cfr. Colonna p.83) </ref>, [[Rea (mitologia)|Rea]] (Ῥέα), [[Temi|Themis]] (Θέμις, anche Temi), [[Mnemosyne]] (Μνημοσύνη, anche Menmosine), [[Febe (Urano)|Phoibe]] (Φοίϐη, anche Febe), [[Teti (Urano)|Tethys]] (Τηθύς, anche Teti) e '''Kronos''' (Κρόνος, anche Crono).
 
Dopo i Titani (vv. 139-153), l'unione tra Gaia e Urano genera i tre [[Ciclopi]] (Κύκλωπες: Brontes, Steropes e Arges<ref>Dèi con un "occhio solo", i loro nomi richiamano rispettivamente il "Tonante", il "Fulminante" e lo "Splendente".</ref>)<ref>Da notare la differenza con l'<nowiki></nowiki>''Odissea'', IX 187, dove i Ciclopi risultano dei giganteschi e selvaggi pastori e in cui, uno di questi, Polifemo, è figlio di Posidone. Qui, nella ''Teogonia'' esiodea, sono invece tre, dèì figli di Urano e Gaia, costruttori di fulmini che poi consegneranno a Zeus; in Callimaco, ''Inno ad Artemide'', sono gli aiutanti di Efesto, costruttori delle fortificazioni delle città dell'Argolide, ma lo scoliaste (Esiodo ''Theog.'', 139) indica questi ultimi come una "terza" categoria di Ciclopi: «perché di Ciclopi ci sono tre stirpi: i Ciclopi che costruirono le mura di Micene, quelli attorno a Polifemo e gli dèi stessi.»</ref>; e i Centimani (Ἑκατόγχειρες, [[Ecatonchiri]]): Cotto, Briareo e Gige dalla forza terribile<ref>Così lo scoliaste (148): «Costoro sono detti venti che prorompono dalle nubi, e sono di sicuro devastatori. Per questo miticamente sono provvisti anche di cento braccia perché hanno pulsionalità guerresche. Cotto, Briareo e Gige sono i tre momenti (dell'anno): Cotto è la canicola, cioè il momento dell'estate, Briareo è la primavera in rapporto con il fiorire ('bryein') e crescere le piante; Gige è il tempo invernale.» (Trad. Cassanmagnago, p. 503.</ref>.
 
Urano (vv.154-182), tuttavia, impedisce che i figli da lui generati con Gaia, i dodici Titani, i tre Ciclopi e i tre Centimani, vengano alla luce. La ragione di questo rifiuto risiederebbe secondo alcuni autori<ref>Cfr. [[Fritz Graf]]. ''Il mito in Grecia''. Bari, Laterza, 2007, p.61; Cassanmagnago ''Op.cit.'' p.929</ref>, nella loro "mostruosità". Ecco che la madre di costoro, Gaia, costruisce dapprima una falce dentata e poi invita i figli a disfarsi del padre che li costringe nel suo ventre. Solo l'ultimo dei Titani, Kronos, risponde all'appello della madre: appena Urano si stende nuovamente su Gaia, Kronos, nascosto<ref>Nella vagina della madre, ''locheòs'', (così legge [[Shawn O'Bryhim]], ''Hesiod and the Cretan Cave'' in "Rheinisches Museum fuer Philologie" 140: 95-96, 1997.)</ref> lo evira.
 
Da questo momento inizia il dominio di Kronos il quale, unendosi a [[Rea (mitologia)|Rea]], genera: [[Estia|Istie]] (Ἱστίη, ionico; anche Estia dall'attico Ἑστία), [[Demetra]] (Δήμητρα), [[Era (mitologia)|Era]] (Ἥρα, anche Hera), [[Ade]] (Ἅιδης) ed [[Poseidone|Ennosigeo]] (Ἐννοσίγαιον, Scuotitore della terra, da intendere come Posidone o Poseidone Ποσειδῶν<ref>Cfr. Colonna nota 31 p.86.</ref>); ma tutti questi figli vengono divorati da Kronos in quanto, avvertito dai genitori Gaia e Urano che uno di questi lo avrebbe spodestato, non vuole cedere il potere regale. Grande sconforto questo stato di cose procura a Rea, la quale, incinta dell'ultimo figlio avuto da Kronos, Zeus (Ζεύς), e consigliatasi con gli stessi genitori, decide di partorire nascostamente a Lycto (Creta)<ref>O sul monte Egeo, per il confronto cfr. Arrighetti p. 345-6.</ref>, consegnando a Kronos una pietra che questi divora pensando fosse il proprio ultimo figlio.
 
Zeus (vv.492-500) cresce in forza e intelligenza e infine sconfigge il padre Kronos facendogli vomitare <ref>In Apollodoro I,2,1 è Metis (Μῆτις), una delle oceanine e prima moglie di Zeus, a far somministrare a Kronos l'emetico che lo costrinse a vomitare i figli.</ref>gli altri figli che aveva divorato, e il primo oggetto vomitato da Kronos è proprio quella pietra che egli aveva inghiottito scambiandola per Zeus<ref>Pasuania, X, 24,6 testimonia di una "pietra sacra" collocata sul monte Parnaso, nei pressi della tomba di Neottolemo.</ref>. Quindi Zeus (vv.501-506) scioglie dalle catene i tre Ciclopi<ref>Vanno letti infatti come Brontes, Steropes e Arges: in tal senso, e tra gli altri, Arrighetti, p.347 e Cassanmagnago (89) p.936.</ref> così costretti dallo stesso Kronos, i quali lo ricambieranno consegnandogli il tuono, il fulmine e il lampo.
 
I versi 617-720 della ''Teogonia'' si occupano della Titanomachia, la lotta tra i titani residenti sul monte Othrys<ref>Collocato a sud del monte Olimpo e a nord della piana della Tessaglia.</ref> e gli dèi dell'Olimpo (figli di Kronos e di Rea): da dieci anni la lotta tra i due schieramenti prosegue incerta quando Zeus, su consiglio di Gaia, libera i tre Centimani precedentemente costretti nella terra da Urano e, dopo averli rifocillati con nettare e ambrosia, li coinvolge nella battaglia che diverrà così decisiva e si concluderà con la sconfitta dei titani e la loro segregazione nel Tartaro, chiuso da mura e da porte di bronzo costruite appositamente da Posidone e guardati a vista dagli stessi tre Centimani.
 
====Gli uomini al tempo di Kronos====
Sempre Esiodo, in ''Opere e giorni'' (Ἔργα καὶ Ἡμέραι), narra di un'era d'oro per gli uomini quando signore del Cosmo era il titano Kronos:
{{q|Prima una stirpe aurea di uomini mortali <br> fecero gli immortali che hanno le Olimpie dimore.<br>
Erano ai tempi di Kronos, quand'egli regnava nel cielo;<br> come dèi vivevano, senza affanni nel cuore,<br>
lungi e al riparo da pene e miseria, né triste<br> vecchiaia arrivava, ma sempre ugualmente forti di gambe e di braccia,<br>
nei conviti gioivano, lontano da tutti i malanni;<br> morivano come vinti dal sonno, e ogni sorta di beni<br>
c'era per loro; il suo frutto dava la fertile terra<br> senza lavoro, ricco ed abbondante, e loro, contenti,<br>
in pace, si spartivano i frutti del loro lavoro in mezzo a beni infiniti,<br> ricchi d'armenti, cari agli dèi beati.|[[Esiodo]], ''[[Erga]]'', 109-120. Traduzione di [[Graziano Arrighetti]], in Esiodo ''Opere'' : 1998 Einaudi-Gallimard; 2007 Mondadori, p.61|χρύσεον μὲν πρώτιστα γένος μερόπων ἀνθρώπων <br>ἀθάνατοι ποίησαν Ὀλύμπια δώματ᾽ ἔχοντες. <br>οἳ μὲν ἐπὶ Κρόνου ἦσαν, ὅτ᾽ οὐρανῷ ἐμβασίλευεν: <br>ὥστε θεοὶ δ᾽ ἔζωον ἀκηδέα θυμὸν ἔχοντες <br>νόσφιν ἄτερ τε πόνων καὶ ὀιζύος: οὐδέ τι δειλὸν <br>γῆρας ἐπῆν, αἰεὶ δὲ πόδας καὶ χεῖρας ὁμοῖοι <br>τέρποντ᾽ ἐν θαλίῃσι κακῶν ἔκτοσθεν ἁπάντων: <br>θνῇσκον δ᾽ ὥσθ᾽ ὕπνῳ δεδμημένοι: ἐσθλὰ δὲ πάντα <br>τοῖσιν ἔην: καρπὸν δ᾽ ἔφερε ζείδωρος ἄρουρα <br>αὐτομάτη πολλόν τε καὶ ἄφθονον: οἳ δ᾽ ἐθελημοὶ <br>ἥσυχοι ἔργ᾽ ἐνέμοντο σὺν ἐσθλοῖσιν πολέεσσιν. <br>ἀφνειοὶ μήλοισι, φίλοι μακάρεσσι θεοῖσιν.|lingua=grc}}
 
====Kronos liberato dal Tartaro e signore dell'Isola dei beati====
Sempre Esiodo in ''Opere e giorni'' (Ἔργα καὶ Ἡμέραι; 170 e sgg.) ci dice che Kronos, liberato dal Tartaro, diventa re dell'Isola dei beati (μακάρων νῆσοι) dove sono destinati da Zeus gli [[Heros|Eroi]], lì felici e liberi dagli affanni. Qui Kronos viene indicato come divinità del Tempo.
 
===Kronos nelle altre tradizioni mitologiche greche===
* [[Pindaro]] (''Olimpiche'' II,55-83) ci dice che Kronos regna sull'Isola dei beati dove dimorano non solo gli Eroi ma anche le anime dei giusti<ref>Evidente l'influenza delle dottrine orfiche, a tal proposito cfr. [[Giulio Guidorizzi]]. ''Il mito greco'' vol.1 Gli dèi. Milano, Mondadori, 2009, p.1182</ref>.
*[[Diodoro Siculo]] ('' Bibliotheca historica'' V, 64 e sgg.) riferisce che secondo i Cretesi, i Titani nacquero al tempo dei Cureti. Essi vivevano nei pressi di Cnosso, erano sei maschi (Crono, Iperione, Ceo, Iapeto, Crio, Oceano) e cinque femmine (Rea, Temi, Mnemosine, Febe e Teti), figli di Urano e di Gea, oppure figli di uno dei Cureti andato in sposo a una certa Titaia da cui essi presero il nome. Ognuno di questi Titani ebbe modo di lasciare un dono prezioso in eredità agli uomini conquistando in questo modo un onore imperituro. Crono, dei Titani il più anziano, fu re, e grazie a lui gli uomini passarono dallo stato selvaggio alla civiltà. Insegnò agli uomini anche ad essere probi e semplici d'animo, questa è la ragione per cui si sostiene che gli uomini al tempo di Crono furono giusti e felici.
* [[Plutarco]] (''Il volto della luna'' XXVI, 940f-942a) narra del viaggio iniziatico del cartaginese Silla condotto verso l'estremo Occidente: a cinquemila stadi dall'isola di Ogigia, questa collocata a cinque giorni di navigazione dalle coste della Britannia, si situano le Isole dei beati dov'è Crono, imprigionato e addormentato da Zeus in una caverna color dell'oro assistito da dèmoni benefici che conoscono i suoi sogni, i quali corrispondono poi alle premeditazioni di Zeus, e li comunicano agli uomini desiderosi di sapere.
 
[[File:Odysseus Sirens BM E440 n2.jpg|thumb|Le sirene e [[Odisseo]]. Dettaglio di una figura risalente al V secolo a.C. riportata su uno ''[[Stamnos|stámnos]]'' (στάμνος) attico a figure rosse rinvenuto a [[Vulci]] e oggi conservato presso il [[British Museum]] di [[Londra]]. Le Sirene tentano Odisseo con l'invito "a sapere più cose". L'invito alla conoscenza "onnisciente" che fa perdere i propri legami famigliari e civili e interrompe il proprio viaggio nella vita è condannato da [[Omero]]. Da notare la sirena centrale che con gli occhi chiusi si precipita in mare: secondo un racconto antico<ref>[[Igino Astronomo]] 125,13</ref> le due sirene che tentarono Odisseo si uccisero gettandosi in mare perché non erano riuscite a trattenere l'eroe<ref>Una tradizione attestata, ad esempio nelle ''[[Argonautiche orfiche]]'', vuole che il loro ''[[katapontismós]]'', il "tuffo" trasfigurante, le abbia trasformate in "rupi".</ref>.]]
[[File:Sirena de Canosa s. IV adC (M.A.N. Madrid) 01.jpg|thumb|upright=0.7|[[Sirena di Canosa]], [[Magna Grecia]] ([[IV secolo a.C.]], conservata presso il [[Museo Arqueológico Nacional de España]] di [[Madrid]]).]]
[[File:Herakles Achelous Louvre G365.jpg|thumb|upright=0.7|La lotta tra [[Acheloo]] ed [[Eracle]] per la conquista di [[Deianira]]. Dettaglio di una figura risalente al V secolo a.C. riportata su uno ''[[Stamnos|stámnos]]'' attico a figure rosse rinvenuto a [[Agrigento]] e oggi conservato presso il [[Museo del Louvre]] di [[Parigi]]. Nello scontro [[Eracle]] strapperà il corno di [[Acheloo]], dalle gocce di sangue fuoriuscite dalla ferita nasceranno, secondo una tradizione, le sirene.]]
 
==Le sirene==
Le '''sirene''' (dal [[lingua latina|latino]] tardo ''sirēna''<ref>{{cita libro | cognome=Devoto | nome=Giacomo | titolo=Avviamento all'etimologia italiana | editore=Mondadori | città=Milano | anno=1979}}</ref>, classico ''sīrēn'' – pl.: ''sīrēnes''<ref>{{cita libro | cognome=Castiglioni | nome=Luigi | coautori=Scevola Mariotti | titolo=Vocabolario della lingua latina | editore=Loescher | città=Torino | annooriginale=1966 | anno=1990 | edizione=2}}</ref>, trascrizione del [[lingua greca antica|greco]] Σειρήν ''Seirḗn'' – pl.: Σειρῆνες ''Seirênes'') sono delle figure mitologico-religiose [[Grecia antica|greche]].
 
==La cultura letteraria dell'antichità classica==
L'origine letteraria, nell'antichità classica, della figura delle sirene è nell'<nowiki></nowiki>''[[Odissea]]'' di [[Omero]] dove vengono presentate come cantatrici marine abitanti un'isola presso [[Scilla (Forco)|Scilla]] e [[Cariddi]], le quali incantavano, facendo poi morire, i marinai che incautamente vi sbarcavano. La loro isola mortifera era disseminata di cadaveri in putrefazione. Ma [[Odisseo]], consigliato da [[Circe]], la supererà indenne.
{{q|Tu arriverai, prima, dalle Sirene, che tutti<br>
gli uomini incantano, chi arriva da loro.<br>
A colui che ignaro s'accosta e ascolta la voce<br>
delle Sirene, mai più la moglie e i figli bambini<br>
gli sono vicini, felici che a casa è tornato,<br>
ma le Sirene lo incantano con limpido canto,<br>
adagiate sul prato: intorno è un mucchio di ossa<br>
di uomini putridi, con la pelle che raggrinza|[[Omero]]. ''Odissea'' XII, 39-46. Traduzione di [[Giuseppe Aurelio Privitera]], Milano, Mondadori, 2007, pag. 355|Σειρῆνας μὲν πρῶτον ἀφίξεαι, αἵ ῥά τε πάντας <br> ἀνθρώπους θέλγουσιν, ὅτίς σφεας εἰσαφίκηται.<br>
ὅς τις ἀϊδρείῃ πελάσῃ καὶ φθόγγον ἀκούσῃ<br>
Σειρήνων, τῷ δ' οὔ τι γυνὴ καὶ νήπια τέκνα<br>
οἴκαδε νοστήσαντι παρίσταται οὐδὲ γάνυνται,<br>
ἀλλά τε Σειρῆνες λιγυρῇ θέλγουσιν ἀοιδῇ,<br>
ἥμεναι ἐν λειμῶνι· πολὺς δ' ἀμφ' ὀστεόφιν θὶς<br>
ἀνδρῶν πυθομένων, περὶ δὲ ῥινοὶ μινύθουσιν|lingua=gr}}
Omero non descrisse l'aspetto fisico delle sirene; a tal proposito si è presupposto<ref>[[Alessandra Tarabochia Canavero]]. ''Sirene, un canto per l'anima'' in ''I Greci. Il sacro e il quotidiano''. Milano, Silvana Editoriale, 2004, pag. 134.</ref> che ciò sia dovuto alla consapevolezza di Omero che il proprio uditore conoscesse le forme di queste creature grazie ad altri racconti mitici come le avventure di [[Giasone (mitologia)|Giasone]] e degli [[Argonauti]]<ref>Cfr. a tal proposito la stessa ''Odissea'' XII, 69-72</ref>.
[[File:Funerary siren Louvre Myr148.jpg|thumb|upright=0.7|Sirena in una statua funeraria del I secolo a.C. proveniente da [[Myrina]]. Le "sirene" stazionavano alle porte degli [[Ade (regno)|Inferi]] avendo il compito di consolare le anime dei defunti con il loro dolce canto e di accompagnarle nell'Ade.]]
[[File:Greekstatueofpersephone.jpg|thumb|upright=0.7|Statua della dea [[Persefone]] (V secolo a.C., conservata presso il [[Pergamon Museum]] di [[Berlino]]). [[Persefone]] fu l'amica perduta delle sirene. Rapita da [[Ade (divinità)|Ade]], le vergini sirene chiesero agli Dei, secondo [[Ovidio]], di essere trasformate in uccelli per poterla meglio cercare.]]
[[File:DSC00355 - Orfeo (epoca romana) - Foto G. Dall'Orto.jpg|thumb|upright=0.7|[[Orfeo]] in un mosaico di epoca romana conservato presso il [[Museo archeologico regionale di Palermo]]. [[Orfeo]] impugna l'inseparabile cetra [[Bistonia]] con la quale coprì l'irresistibile canto delle sirene salvando il suo equipaggio formato dagli [[Argonauti]].]]
Come Odisseo anche [[Orfeo]], nelle ''[[Le Argonautiche (Apollonio Rodio)|Argonautiche]]'' riportate da [[Apollonio Rodio]], salva il suo equipaggio composto dagli [[Argonauti]]:
{{q|La brezza favorevole spingeva la nave, e ben presto avvistarono<br> la splendida [[Antemoessa]], isola in cui le canore sirene,<br> figlie dell'[[Acheloo]], annientavano chiunque<br>vi approdasse, ammaliandolo coi loro dolci canti.<br> La bella [[Tersicore]], una delle [[Muse (mitologia)|Muse]], le aveva generate<br> dopo essersi unita all'Acheloo; un tempo erano ancelle<br> della potente figlia di Deò, quando ancora era vergine,<br> e cantavano insieme con lei: ma ora apparivano in parte<br> simili a fanciulle nel corpo e in parte ad uccelli.<br> Sempre appostate su una rupa munita di buoni approdi,<br> avevano privato moltissimi uomini della gioia del ritorno,<br> consumandoli nello struggimento. Anche per gli eroi<br>effusero senza ritegno le loro voci, soavi come gigli,<br> ed essi già stavano per gettare gli ormeggi sulla spiaggia:<br> ma il Tracio [[Orfeo]], figlio di [[Eagro]], tendendo la cetra<br> [[Bistonia]] con le sue mani, fece risuonare le note allegre<br> di una canzone dal ritmo veloce, affinché il suono<br> sovrapposto della sua musica rimbombasse nelle loro<br> orecchie. La cetra vinse la voce delle fanciulle: [[Zefiro]]<br> e insieme le onde sospinsero<br> la nave, e il loro canto si fece un suono indistinto.|[[Apollonio Rodio]]. ''Argonautiche'' IV, 890-912. Traduzione di [[Alberto Borgogno]]. Milano, Mondadori, 2007, pag.277}}
 
[[Apollonio Rodio]] riprende quindi la narrazione delle sirene figlie di [[Acheloo]] (in altre fonti di [[Forco]]<ref>[[Sofocle]] ''frammento'' 777, riportato da [[Plutarco]] in ''Quaestiones convivales'' IX,14,6</ref>) che, come ricorda [[Károly Kerényi]]<ref>[[Károly Kerényi]]. ''Gli Dei della Grecia''. Milano, Il Saggiatore, 1994, pagg.53-6.</ref>, era la divinità fluviale e marina, figlia di [[Teti (Nereo)|Teti]] e di [[Oceano]]<ref>[[Esiodo]]. ''Theogonia'', 340</ref> ma che Omero<ref>[[Iliade]] XXI, 194</ref> pose una volta davanti allo stesso [[Oceano]] "origine di tutte le cose".
 
[[Libanio]], nella ''[[Progymnasmata]]'' IV, ricorda che [[Eracle]] aveva staccato un corno al dio acquatico quando lottò con lui per conquistare l'affascinante [[Deianira]], e dalle gocce di sangue cadute dalle ferite provocate al Dio erano nate le sue figlie, le sirene<ref>Cfr. il mito delle [[Erinni]].</ref>.
 
Un'altra tradizione, riportata da [[Pseudo-Apollodoro]], le vuole figlie di [[Acheloo]] e di [[Melpomene]], una delle Muse:
{{q|Le sirene erano figlie di Acheloo e di una delle Muse, Melpomene; si chiamavano [[Pisinoe]], [[Aglaope]] e [[Telsiepia]]. Una di esse suonava la [[cetra]], la seconda cantava, la terza suonava l'[[aulos|aulo]]: con questa musica persuadevano i navigatori a fermarsi. Dalle cosce in giù esse avevano la forma di uccelli. [...] Una profezia diceva che le sirene sarebbero morte se una nave riusciva a passare: ed esse, infatti, morirono |[[Pseudo-Apollodoro]]. ''Epitome'' VII, 19-20. Traduzione di [[Maria Grazia Ciani]] in ''I miti greci'' Milano, Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori, 2008, pag. 405}}
 
''Seirênes'' (Σειρῆνες), nome plurale femminile nella antica lingua greca, nella sua forma maschile significa "vespe" o "api", è collegato quindi alla figura di [[Penfredo]] una delle [[Graie]], le "vergini simili a cigni"<ref>[[Károly Kerényi]]. ''Op.cit.''.</ref>. I pittori vascolari rappresentavano le sirene anche come esseri maschili con la barba, e sia se fossero di forme maschili o femminili, si può individuare la loro natura per il corpo che richiama sempre quello di un uccello (con le parti inferiori a volte a forma di uovo) con una testa umana, a volte con braccia e mammelle, quasi sempre con artigli ai piedi, artigli non aventi però la funzione del rapimento, funzione propria delle [[Arpie]], in quanto, altra caratteristica loro fondante, le sirene sono strettamente collegate al mondo della musica, suonando la [[lira (strumento musicale)|lira]] o il [[doppio flauto]] e accompagnandosi col canto.
 
Le sirene sono anche onniscienti e in grado di placare i venti, forse con il loro canto<ref>[[Esiodo]]. ''Frammento'' 69</ref>, cantando le melodie dell'[[Ade (regno)|Ade]]<ref>[[Sofocle]]. ''Frammento''861</ref>.
 
Il rapporto tra le sirene e il mondo dell'Ade è presente anche in [[Euripide]] quando, nell<nowiki>'</nowiki>''[[Elena (Euripide)|Elena]]'', così la protagonista invoca:
{{q|Voi, piumate vergini<br> figlie della Terra, voi<br> Sirene invoco, ai pianti miei<br> venite qua, col libico<br> flauto o con le cetre: siano per i miei<br> tristi lutti, consone lacrime,<br>pianti per pianti, per musiche musiche:<br> ai gemiti consoni complessi<br>[[Persefone]] mi mandi,<br> voci di morte, e da me con le lacrime<br> s'abbia un peana nel regno di tenebra omaggio<br> per i defunti sepolti là|[[Euripide]]. ''Elena'', 167-179. Traduzione di [[Filippo Maria Pontani]], Milano, Mondadori, 2007, pag. 485}}
 
[[George M.A. Hanfmann]]<ref>in ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, pag.1952-3</ref> ricorda che questo stretto collegamento con il mondo dei morti, testimoniato soprattutto dal fatto che fin dai tempi più antichi le loro immagini fossero a corredo delle tombe, fa supporre ad alcuni autori che le sirene fossero in origine degli uccelli in cui trovavano dimora le anime dei defunti.
 
Con la identificazione delle località omeriche, in età antica si ritenne che le sirene abitassero l'Italia meridionale. [[Strabone]], in ''Gheographikà'' I,22, ci dice che i popoli marinari di Napoli, Sorrento e della Sicilia, le veneravano.
 
Il loro corpo, per metà donna e metà uccello sarebbe frutto di un incantesimo vendicativo da parte di [[Afrodite]] disprezzata dalle vergini sirene per i suoi amori<ref>''Scholia ad Od.'' XII,168</ref>. Un'altra tradizione le vuole punite da [[Demetra]] per non aver impedito il ratto della figlia [[Persefone]] da parte di [[Ade (divinità)|Ade]] mentre insieme coglievano dei fiori.
 
[[Ovidio]], nelle ''[[Le metamorfosi (Ovidio)|Metamorfosi]]'', offre una spiegazione poetica alla loro natura e al loro destino: esse non furono punite da Demetra, ma le stesse sirene chiesero di essere trasformate in uccelli per cercare in volo l'amica perduta.
{{q|Lui certo può essersi meritato il castigo parlando <br>troppo e facendo la spia; ma voi, figlie dell'Acheloo, da dove vengono <br>piume e zampe d'uccelli, quando avete volto di donna? <br>Forse perché [[Proserpina]] coglieva i fiori <br>primaverili, eravate nel numero delle sue compagne, <br>dotte Sirene? Dopo che inutilmente l'avete cercata per tutto il mondo, <br> avete desiderato, perché il mare sentisse la vostra pena <br>di potervi fermare sulle onde col remeggio delle ali, <br>e avendo il consenso degli dèi, avete visto <br>improvvisamente i vostri arti fiorire di penne; <br>ma perché il vostro canto, nato a blandire le orecchie, <br> e il tesoro della vostra bocca non perdesse l'uso <br>della lingua, vi restò volto di vergini e voce umana|[[Ovidio]]. ''Metamorfosi'' V, 555-563. Traduzione di [[Guido Paduano]], Milano, Mondadori, 2007, pag. 225|Hic tamen indicio poenam linguaque videri<br>commeruisse potest; vobis, Acheloides, unde<br> pluma pedesque avium, cum virginis ora geratis?<br> an quia, cum legeret vernos Proserpina flores,<br> in comitum numero, doctae Sirenes, eratis?<br> quam postquam toto frustra quaesistis in orbe,<br> protinus, et vestram sentirent aequora curam,<br> posse super fluctus alarum insistere remis<br> optastis facilesque deos habuistis et artus<br> vidistis vestros subitis flavescere pennis.<br> ne tamen ille canor mulcendas natus ad aures<br> tantaque dos oris linguae deperderet usum,<br> virginei vultus et vox humana remansit|lingua=la}}
 
Vi sono due tradizioni apparentemente contraddittorie, quindi, su queste figure mitiche: una le vuole mortifere e dannose per gli uomini, mentre l'altra le indica come consolatrici per gli stessi rispetto al proprio destino e, soprattutto, alla morte. Da notare, tuttavia, che nel primo caso nulla indica una loro natura volutamente crudele, bensì è il loro destino e la loro funzione di cantatrici/incantatrici ad essere disastroso per gli uomini.
 
Ma 'cosa' cantano le sirene di così struggente e mortifero per gli esseri umani?
{{q|Vieni, celebre Odisseo, grande gloria degli Achei, <br>e ferma la nave, perché di noi due possa udire la voce. <br>Nessuno è mai passato di qui con la nera nave<br>senza ascoltare con la nostra bocca il suono di miele, <br>ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose|[[Omero]]. ''Odissea'' XII, 184-8. Traduzione di [[Giuseppe Aurelio Privitera]], Milano, Mondadori, 2007, pag.363|Δεῦρ᾽ ἄγ᾽ ἰών, πολύαιν᾽ Ὀδυσεῦ, μέγα κῦδος Ἀχαιῶν,<br>
νῆα κατάστησον, ἵνα νωιτέρην ὄπ ἀκούσῃς. <br>
Οὐ γάρ πώ τις τῇδε παρήλασε νηὶ μελαίνῃ,<br>
πρίν γ᾽ ἡμέων μελίγηρυν ἀπὸ στομάτων ὄπ᾽ ἀκοῦσαι,<br>
ἀλλ᾽ ὅ γε τερψάμενος νεῖται καὶ πλείονα εἰδώς.|lingua=gr}}
 
[[Károly Kerényi]] osserva:
{{q|Si dice che a queste parole Odisseo abbia voluto sciogliere i vincoli che lo legavano, ma i suoi compagni lo abbiano legato ancora più saldamente. E non si potrebbe stupire di un simile effetto del canto, poiché le sirene si presentavano con tali parole come dee oracolari onniscienti, quali forse effettivamente erano nei luoghi dove si tributava loro un culto. Non di meno però esse erano le dee della morte e dell'amore a servizio della dea degli Inferi. In un certo qual modo la dea del regno dei morti era essa stessa morta. Le sirene servivano la morte e dovevano morire esse stessa-così diceva un racconto- se la nave passava vicino e un equipaggio non cadeva loro preda. Esse si uccisero quando Odisseo e i suoi compagni poterono salvarsi|[[Károly Kerényi]]. ''Op.cit.'' pag.58}}
 
Così [[Alessandra Tarabocchia Canavero]] commenta:
{{q|È un canto che è una promessa: se si fermerà presso di loro, se ne andrà "sapendo più cose". Le sirene, pur consapevoli della loro voce di miele, sanno che è irresistibile, per gli uomini che arrivano a sentirla, non tanto è la dolcezza del canto, quanto il conoscere il proprio passato e sapere "ciò che accade nella terra ferace". Così è stato per tutti coloro che si sono accostati alla loro isola: si sono fermati... Sembra al di fuori delle loro intenzioni trattenere per sempre gli uomini che hanno accettato il loro invito: mentono o, incoerenza del mito che le vuole onniscienti, non sanno che il desiderio di "sapere più cose" ha portato tutti coloro che si sono fermati presso di loro per soddisfarlo a dimenticare gli affetti familiari, a trascurare tutto ciò che ha a che fare con la vita, fino a lasciarsi morire: sembrano non rendersi conto che, dal mare, si possono vedere tra i fiori, le loro ossa e loro membra imputridite... La bella voce è solo l'involucro della vera tentazione delle sirene omeriche: "sapere più cose". È la tentazione "originaria" dell'onniscienza. Cedere a questa tentazione, assecondare, in modo assoluto, questo desiderio porta a rompere i legami famigliari, a perdere la dimensione sociale e civile, a morire. Per questo Omero le condanna. Per questo l'eroe deve fuggirle, non deve interrompere il suo ''nóstos''|[[Alessandra Tarabocchia Canavero]]. ''Op.cit.'' pag.133}}
 
Nel V secolo d.C. le ''[[Argonautiche orfiche]]'' riassumeranno il mito arricchendolo di particolari:
{{q|La rupe scoscesa che dall'alto<br>incombe sporgendo coi suoi nudi crepacci, si spinge dentro il mare<br> e di sotto, nel cavo, freme l'onda azzurra.<br> Là sedendo alcune fanciulle ammaliano i mortali che all'udirle<br> non vogliono più tornare. Piacque allora a [[Minii]] di conoscere il canto<br> delle sirene e non vollero sottrarsi a quella funesta melodia<br> e dalle mani avevano già lasciato andare i remi<br> e [[Aneo]] aveva messo la prora verso l'alto promontorio,<br> ma io tra le mie mani tesi la corda della [[Lira (strumento musicale)|lira]], <br>infusi su ispirazione di mia madre la piacevole armonia di un canto.<br> Intonavo con dolce melodia un inno divino,<br> di come un tempo contesero, per i cavalli dai piedi veloci come il turbine,<br>[[Zeus]] dall'alto tuono e il marino scuotitore della terra<br>Adirato col padre Zeus il signore dalla nera chioma<br>percosse la terra [[Licaonia]] col suo tridente d'oro<br> e la disperse celermente sul mare infinito<br> per formare le isole marine che hanno nome<br>[[Sardegna]], [[Eubea]] e poi ancora [[Cipro]] ventosa.<br>Allora al suono della mia [[cetra]] stupirono le sirene<br>dall'alto della rupe cessarono il loro canto.<br>Si lasciarono cadere di mano l'una il [[flauto]] l'altra la [[Lira (strumento musicale)|lira]],<br>ed emisero angosciosi gemiti perché era giunto il triste destino<br> della morte fatale. Dalla rupe scoscesa si gettarono<br>nell'abisso del mare ondoso.<br> E in pietra mutarono il corpo e la loro fiera bellezza.|''[[Argonautiche orfiche]]'' 1265-90. Traduzione di [[Luciano Migotto]] in ''Argonautiche orfiche''. Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1994, pagg. 96-8 }}
 
===I nomi delle sirene===
L'origine del termine ''sirena'' è dubbio. Tra le molte ipotesi Alessandra Tarabochia Canavero<ref>''Op.cit.'' pagg.132-3</ref>, collegandosi alle osservazioni di [[Kurt Latte]]<ref>Kurt Latte. ''Die Sirenen'' Monaco, Kleine Schriften, 1968 pagg.106-11.</ref> secondo le quali cessando il vento all'approssimarsi della loro [[ierofania]], e quindi con l'approssimarsi dell'[[Mezzogiorno (parte del giorno)|ora meridiana]], sostiene che esse potrebbero indicare dei [[demone|dèmoni]] del calore meridiano (''daemones meridiani'') indicazione che potrebbe suggerire un collegamento con l'aggettivo ''séirios'' (incandescente, splendente) da cui [[Sirio]], a sua volta collegato al [[sanscrito]] ''[[Surya|Sūrya]]'' (il ''[[deva]]'' del Sole). Altra ipotesi lega tale termine al verbo ''syrízo'' ("fischiare", "sibilare") quindi [[demone|dèmoni]] della tempesta, collegati ai [[Veda|vedici]] [[Marut]]. Oppure da ''seirà'' ("corda", "fune", da cui anche ''éiro'', "legare"), riprendendo il fatto che le sirene "legano" a sé i naviganti, li irretiscono<ref>Meri Lao ''Il Libro delle Sirene,'' Di Renzo Editore, 2002</ref>. O più semplicemente da un [[lingue semitiche|semitico]] ''sir'' ("cantare").
 
Le sirene in [[Omero]] sono due, infatti il [[poeta]] greco utilizza il duale ''Seirḗnoiïn'', ma senza nominarle. Alcuni tardi commentatori ne suggeriscono i nomi in Aglaophḗmē e Thelxiépeia<ref>''Scoli ad Omero, Odissea XII,39''</ref>, nomi che ne indicano la "voce" (''phoné''/''*óps'') come "splendida" (''agláe'') e "incantatrice" (''thélgo'').
 
Tradizioni successive di matrice "pseudo-esiodea" portano il numero delle sirene da due a tre indicando la terza con il nome di Peisinóē (da ''peítho'', "persuadere" e ''noús'' "mente").
 
== Le sirene nella [[Teologia#La teologia greco-romana|teologia classica]] ==
[[File:Head Platon Glyptothek Munich 548.jpg|upright=0.7|thumb|[[Platone]] in una copia romana dell'opera originale esposta nell'[[Accademia]] dopo la morte del filosofo nel 348 a.C. ([[Gliptoteca di Monaco]], sala 10). Platone fu tra i primi [[Teologia#La teologia greco-romana|teologi classici]] ad indagare la natura e la funzione delle sirene descritte nei [[mito|miti]].]]
[[File:003MAD Plutarco.jpg|upright=0.7|thumb|[[Plutarco di Cheronea]], statua classica conservata presso il [[Museo di Delfi]]. Plutarco, nelle sue ''[[Quaestiones convivales]]'', intese armonizzare l'immagine omerica delle sirene con le interpretazioni di Platone. Le sirene, secondo Plutarco, non devono spaventare perché suonano una musica celeste che libera l'anima dalle cose terrene.]]
La [[teologia]] classica si è occupata delle sirene fin da [[Platone]] che nel ''[[Cratilo (dialogo)|Cratilo]]'' faceva osservare da Socrate che non bisognava temere il dio [[Ade (divinità)|Ade]] (Ἅιδης) il quale raccoglieva presso di sé le anime dei morti spoglie dei loro corpi, corpi che da vivi le avevano costrette all'agitazione e alla follia; infatti, evidenzia Socrate, è il desiderio di permanere nel regno di Ade che fa sì che le anime dei morti non si allontanino da lui. E le sirene partecipano di questo desiderio che corrisponde al desiderio della virtù e alla figura del "filosofo".
{{q|Allora, per questo, diciamo, Ermogene, che nessuno di coloro che sono laggiù desidera tornare qui, nemmeno le sirene stesse, bensì vengono affascinati, sia quelle, sia tutti gli altri: tanto belli, a quanto pare, sono i discorsi che Ἅιδης [Ade] sa fare. E codesto dio, secondo questo ragionamento, è un Sofista perfetto ed un grande benefattore di quelli che gli stanno vicino, egli che manda anche a chi sta quassù beni così grandi: οὕτω πολλά [:così tanti] sono i beni che lo circondano laggiù, che da ciò ebbe il nome Πλούτων [Plutone]<ref>Il ricco.</ref>|[[Platone]]. ''[[Cratilo (dialogo)|Cratilo]]'', 403D-403E. Traduzione di [[Maria Luisa Gatti]] in Platone. ''Tutti gli scritti''. Milano, Bompiani, 2008, pag. 151}}
 
Nella ''[[La Repubblica (dialogo)|Repubblica]]'', [[Platone]] narra il [[mito di Er]] figlio di [[Armenio]] soldato della [[Panfilia]] che morto in combattimento torna improvvisamente tra i vivi e racconta ciò che ha visto nell'aldilà. Ed Er racconta di essere stato condotto, insieme alle altre anime dei caduti, in un luogo meraviglioso dove sedevano dei giudici che indicavano ai giusti di dirigersi verso il Cielo e agli ingiusti nelle profondità della Terra. Questi giudici disposero per Er di limitarsi ad osservare ciò che accadeva di modo che potesse raccontarlo una volta resuscitato. Il racconto di Er si sofferma nel momento in cui le anime di ritorno dal Cielo e quelle di ritorno dalle profondità della Terra si scambiano le esperienze vissute, beate le prime, terribili le seconde. Dopo aver vissuto il proprio premio o la propria punizione (tranne i tiranni come Ardieo condannati per l'eternità a permanere nelle profondità), le anime venivano condotte in un diverso luogo dove si sarebbe deciso il loro nuovo destino. Lì [[Ananke (mitologia)|Ananke]] tesseva il suo fuso da cui dipendevano i moti dei corpi celesti. Questo fuso, o meglio si direbbe un [[planetario]], conteneva al suo interno altri sette fusaioli:
{{q|Il filo ruotava sulle ginocchia di Ananke. Sui suoi cerchi, in alto, si muoveva insieme a ciascuno una sirena, che emetteva un'unica nota, con un unico suono; ma tutte insieme formavano un'armonia<ref>. Le otto sirene indicano i sette pianeti e il cielo delle stelle fisse. Insieme compongono la [[musica delle sfere]]</ref>. Altre donne, disposte in cerchio, ognuna sul suo trono a uguale distanza, erano le figlie di Ananke, le [[Moire (mitologia)|Moire]] biancovestite, cinte il capo di bende: [[Lachesi]], [[Cloto]] e [[Atropo]]; e al suono delle Sirene Lachesi cantava il passato, Cloto il presente, Atropo l'avvenire|[[Platone]]. ''[[La Repubblica (dialogo)|Repubblica]]'' 617B-617C. Traduzione di [[Giuseppe Lozza]] in Platone ''Opere'' vol.2. Milano, Mondadori, 2008 pag. 460}}
 
Alla luce delle indicazioni teologiche di [[Platone]], il [[medioplatonismo|medioplatonico]] [[Plutarco]] ci racconta come [[Ammonio l'Egiziano]] rese coerenti le Sirene platoniche con quelle omeriche:
{{q|Quanto alle Sirene di Omero, lo spavento che ci incute il loro mito non ha fondamento; al contrario anche questo poeta ci ha fatto intendere simbolicamente una verità, precisamente che il potere della loro musica non è disumano e funesto; nelle anime che hanno lasciato questo mondo per il cielo e vagano, come sembra, dopo la morte, questa musica suscita l'amore per le cose celesti e divine e l'oblio delle cose mortali, essa le possiede e le incanta con il suo sortilegio, ed esse piene di gioia, seguono le Sirene e si uniscono a esse nei loro movimenti circolari. Qui sulla terra una sorta di debole eco di quella musica ci raggiunge e, attraendo le nostre anime con il potere delle parole, suscita in esse il ricordo di quello che hanno sperimentato nella vita precedente. Le orecchie della maggior parte delle anime, tuttavia sono tappate e bloccate non dalla cera, ma da ostacoli e affetti carnali. Ma l'anima che per la sua buona natura si accorge e ricorda prova qualcosa in tutto simile ai più folli trasporti d'amore, sospirando e desiderano liberarsi dal corpo, ma incapace di farlo|[[Plutarco]]. ''[[Quaestiones convivales]]'' IX,14,6<ref>Alessandra Canabochia Tanavero. ''Op.cit.'' pag.137.</ref>}}
 
Il canto delle Sirene nei cieli è senza parole, è l'armonia, la [[musica delle sfere]]. Quella che, ci ricorda il [[neoplatonismo|neoplatonico]] [[Giamblico]], [[Pitagora]] faceva ascoltare ai suoi allievi per purificarli:
{{q|E la sera quando i seguaci andavano a dormire, li liberava dai turbamenti e dalle ripercussioni della giornata, purificandone la mente frastornata: così procurava loro un sonno tranquillo e animato di bei sogni, talora addirittura profetici|[[Giamblico]]. ''De mysteriis Aegyptiorum, Chaldeorum et Assyriorum'' XV,65. Traduzione di [[Claudio Moreschi]] in Giamblico ''I misteri degli egiziani''. Milano, Rizzoli, 2003, pag. 193}}
 
E le Sirene acquisiscono un ruolo fondamentale anche per la scuola [[pitagorismo|pitagorica]] degli [[acusmatici]] rammentata da [[Giamblico]]:
{{q|La filosofia degli acusmatici consiste di detti (''akousmata'') cui non si accompagna una dimostrazione o una giustificazione razionale [...]. Inoltre essi si sforzano di custodire alla stregua di insegnamenti divini quant'altro Pitagora avesse avuto modo di affermare e per parte loro non pretendono di dire alcunché in prima persona anzi reputano illecito farlo. [...] Tutti i cosiddetti ''akousmata'' si dividono in tre gruppi. Quelli del primo gruppo indicano cos'è una determinata cosa; quelli del secondo che cosa gode nella massima misura di una determinata qualità; infine quelli del terzo gruppi indicano cosa si debba o non si debba fare. Quelli che definiscono cos'è una determinata cosa sono di questo genere: "Cosa sono le isole dei Beati? Sono il Sole e la Luna. Cos'è l'oracolo di Delfi? La tetrade, cioè l'armonia, nella quale sono le Sirene"|[[Giamblico]]. ''Vita pitagorica'' 82. Traduzione di [[Maurizio Giangiulo]]. Milano, Rizzoli, 2008, pag.219}}
 
 
==Bibliografia==
* Alessandra Tarabochia Canavero. ''Sirene, un canto per l'anima'' in ''I Greci. Il sacro e il quotidiano''. Milano, Silvana Editoriale, 2004.
* Esiodo, ''Theogonia''.
* ''Iliade''.
* Károly Kerényi. ''Gli Dei della Grecia''. Milano, Il Saggiatore, 1994.
* Kurt Latte, ''Die Sirenen'' Monaco, Kleine Schriften, 1968 pagg.106-11.
* Meri Lao, ''Il Libro delle Sirene'', Di Renzo Editore, 2002
* ''Odissea''.
 
 
==Note==
<references/>