La religione greca/La religione greca nel periodo arcaico e classico/Il mondo di Omero: differenze tra le versioni

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Nuova pagina: File:Homeros Glyptothek Munich 273.jpg|right|200px|thumb|Ritratto di Omero del tipo "Epimenide" (il genere ritenuto più antico; questa è una copia romana di un originale greco d...
 
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Il mondo di Omero è il mondo descritto essenzialmente dai poemi epico-religiosi dell'<nowiki></nowiki>''Iliade'' e dell'<nowiki></nowiki>''Odissea'', come anche dalla ''Teogonia'' di Esiodo e dai cosiddetti ''Inni omerici''. La datazione di queste opere è controversa e si situa tra l'VIII e il VI secolo a.C.<ref>Secondo Erodoto queste opere appartengono al IX secolo a.C.; Teopompo le colloca al VII secolo. La critica moderna non è andata certamente più avanti: per Erich Bethe la loro redazione definitiva è nella seconda metà del VI secolo (epoca di Pisistrato); Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff colloca l'<nowiki></nowiki>''Iliade'', da lui considerata opera di un singolo grande poeta con il probabile nome di Omero erede di una tradizione più antica, nell'VIII secolo, mentre l'<nowiki></nowiki>''Odissea'', fusione di quattro poemi anteriori, nel VI secolo; Victor Bérard, come Adolf Kirchhoff, colloca i tre poemi all'origine dell'<nowiki></nowiki>''Odissea'' tra il IX e l'VIII secolo; Paul Mazon li colloca tra il IX e l'VIII; Friedrich Focke colloca l'<nowiki></nowiki>''Odissea'' nell'VIII secolo; Fernard Robert ritiene le due opere un adattamento geniale realizzato alla fine dell'VIII secolo; Émile Mireaux ritiene sia opera di un singolo poeta del VII secolo, erede di una tradizione più antica e risalente alle ultime decadi del secolo precedente. Per quanto attiene gli ''Inni omerici'' sono anch'essi databili nello stesso periodo, così come la ''Teogonia'' di Esiodo.</ref>.
 
====Le Muse e l'origine sacra del canto====
I poemi "omerici", così come la ''Teogonia'' di Esiodo, si contraddistinguono per un preciso ''incipit'' che richiama l'intervento di alcune dee indicate con il nome di "Muse" (Μοῦσαι, -ῶν).
 
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{{quote|madre delle muse, è "oblio dei mali e tregua alle cure"<ref>Esiodo, ''Teogonia'' 55.</ref>. In questa sorta di incantesimo si può già intravedere un primo accenno di quello che saranno in seguito gli esercizi spirituali filosofici, sia che appartengano all'ordine del discorso che a quello della contemplazione. Poiché non è soltanto a causa della bellezza dei loro canti e delle loro storie che le Muse fanno dimenticare le disgrazie, ma anche perché introducono il poeta e colui che lo ascolta a una visione cosmica. |Pierre Hadot. ''Che cos'è la filosofia antica''. Torino, Einaudi, 1998, p.22}}
 
====Il mondo di Omero====
Il mondo descritto da questi canti non corrisponde ad uno spazio governato da leggi come quello nostro, ma è un mondo pienamente dotato di vita: tutti gli elementi che lo compongono sono infatti viventi o hanno un volto vivente percepibile o misterioso che sia.
{{quote|Così ogni angolo della terra appare come un essere dotato di personalità di sentimento e di volontà al pari degli uomini degli animali delle piante e, naturalmente, degli stessi dèi.|Émile Mireaux. ''I Greci al tempo di Omero''. Milano, Mondadori, 1992, p. 21}}
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Il disco terrestre circondato dal dio-fiume Oceano è suddiviso in tre parti: nord-ovest abitato dagli Iperborei (Ὑπερβόρεοι)<ref>Da tener presente, tuttavia, che la menzione più antica del popolo degli Iperborei è negli ''Inni omerici'' ''A Dioniso'' VII,29. E comunque è un popolo adoratore di Apollo cfr. Erodoto IV,33.</ref>; il meridione, dopo l'Egitto, è abitato dai devoti Etiopi (Αἰθιοπῆες), uomini dal volto bruciato dal Sole, oltre le terre dei quali vivono i nani Pigmei (Πυγμαῖοι); tra queste due estremità vi è la zona temperata del Mediterraneo nel cui centro si colloca la Grecia. Dal punto di vista verticale, il mondo omerico ha come tetto il Cielo (divino anch'esso con il nome di Urano, Οὐρανός ''Ouranós''), costituito di bronzo, il quale delimita il percorso del Sole. Ai limiti del Cielo volteggiano gli dèi che amano sedersi sulle cime dei monti e da lì contemplare le vicende del mondo. Dimora degli dèi è uno di questi, il monte Olimpo. Sotto la Terra si situa il Tartaro (Τάϱταϱος, ''Tártaros''; divinità anch'essa), luogo buio, dove sono incatenati i Titani (Τιτάνες ''Titánes''), divinità sconfitte dagli Dei, luogo circondato da mura di bronzo e chiuso da porte fabbricato da Posidone. La distanza posta tra la sommità di Urano e la Terra, ci dice Esiodo nella '' Teogonia''<ref>Cfr. ''Teogonia'' vv. 720 e sgg.</ref>, è percorribile da una incudine lasciata da lì cadere che raggiungerà la superficie della Terra all'alba del decimo giorno; medesima distanza oppone la Terra dalla base del Tartaro. Tra l'Urano e il Tartaro si situa dunque quel "mondo di mezzo" abitato da Dei celesti e sotterranei, semidei, uomini e animali, dai vivi e dai morti.
 
====La ''Teogonia'' esiodea====
Intorno all' VIII-VII secolo a.C. è databile il testo ''Teogonia'' (Θεογονία) opera attribuibile al cantore Esiodo. Tale opera ci è stata consegnata dalla tradizione medievale bizantina<ref>Per mezzo di circa trenta papiri e cira sessanta manoscritti.</ref> unitamente ad altre due opere "esiodee", ''Opere e giorni'' (Ἔργα καὶ Ἡμέραι) e ''Scudo di Eracle'' (Ἀσπὶς Ἡρακλέους)<ref>Si ritiene che, pur di ispirazione "esiodea", lo ''Scudo di Eracle'' vada datato un secolo dopo il periodo in cui Esiodo compose, questo se si colloca tale periodo alla fine dell'VIII secolo (Cfr. ad es. Cesare Cassanmagnago p.14).</ref><ref>Le altre opere "esiodee" sono andate perdute, tranne il ''Catalogo delle donne'' ( γυναικῶν κατάλογος; anche ''Eoie'' Ἠοῖαι) che, grazie al recupero di numerosi papiri egiziani, è stato in parte ricostruito.</ref>.
 
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{{quote|Lo sviluppo della vita dell'universo viene presentata da Esiodo secondo l'idea (largamente diffusa nella mitologia comparata) dello scontro fra generazioni divine che si succedono nel dominio. Il mito da lui narrato rivela l'influenza di racconti sacri diffusi tra le culture del Vicino Oriente: l'opera in cui va identificato il più antico modello della ''Teogonia'' è un testo hittita redatto intorno al 1400 a.C. e derivato a sua volta da una più antica versione hurrita (forse del terzo millennio a.C.). Secondo questi racconti, il dio più antico fu Alalu, a cui seguì il dio del cielo Anu (corrispondente a Urano); suo figlio Kumarabi (corrispondente a Crono) lo evirò e prese il potere. In seguito nacque il dio delle tempeste, che Kumarabi voleva inghiottire per sventare ogni futuro pericolo; al suo posto però gli fu data una pietra. Infine il dio delle tempeste (una divinità legata ai fenomeni atmosferici, esatto corrispondente di Zeus) prese il potere e dovette poi lottare contro mostri e giganti che cercavano di spodestarlo. Il racconto di Esiodo s'ispira dunque a un antichissimo mito cosmogonico, che attraverso varie mediazioni giunse sino a lui e fu inglobato molto precocemente nel sistema mitologico greco.|Giulio Guidorizzi. ''Il mito greco'' vol.1 ''Gli dèi''. Milano, Mondadori, 2009, p.1167}}
 
=====La manifestazione del Cosmo=====
Dopo un proemio (vv.1-115) inerente alle Muse, le dee "olimpiche" a cui si deve l'intera opera religiosa, la ''Teogonia'' racconta l'origine del mondo:
*(v. 116) all'inizio, e per primo, "venne ad essere" Chaos (Χάος, "Spazio beante", "Spazio aperto"<ref>La resa in "Spazio beante", "Spazio aperto" è di Herbert Jennings Rose «il nome significa chiaramente "spazio vuoto, beante"» (Cfr. p.375 dell' ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995). Così rende anche Cesare Cassanmagnago.</ref>, "Voragine"<ref>Questo termine preferito ad esempio da Vernant (cfr. Jean-Pierre Vernant, ''L'universo, gli dei e gli uomini''. Torino, Einaudi, 2001), verte sull'analisi etimologica che lo fa derivare dalla radice *''cha'', radice che richiama il verbo ''cháino/chásko'', "aprire la bocca", quindi qualcosa che si "spalanca" (cfr. Maria Michela Sassi, ''Gli inizi della filosofia: in Grecia'', Torino, Boringhieri, 2009, p.71).</ref>)<ref>Nota Cesare Cassanmagnago (''Op.cit''. p.927 n.23) come sia del tutto inopportuno rendere Χάος (Chaos) con il termine italiano di "caos" indicando questo uno stato di confusione che nulla ha a che fare con la nozione greca. Lo scoliaste lo indica come ''kenòn'', lo spazio vuoto tra cielo e terra dopo che una possibile unità originaria fu spezzata. D'altronde lo stesso Esiodo lo indica come ''eghèneto'' non il principio quindi, ma ciò che da questo per primo appare: {{quote|Ἦ τοι μὲν πρώτιστα Χάος γένετ᾽}} Graziano Arrighetti (in Esiodo ''Opere'': 1998 Einaudi-Gallimard; 2007 Mondadori, p.325) ricorda che su questa nozione/divinità non si ha concordanza tra gli studiosi ma «si è in generale d'accordo che Χάος non è semplicemente il "vuoto", il "luogo" dove le entità vengono in essere e trovano collocazione». Sempre il Cassanmagnago ci indica la recente opera di Aude Wacziarg ''Le Chaos d' Hésiode'' Pallas, Revue d' Études Antiques 49 (2002): 131–152, dove un'attenta disamina del termine individua la nozione non solo come spaziale ma anche materiale, «una sorta di nebulosità senza forma associata all'oscurità.».</ref>;
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{{quote|Possiamo quindi scorgere un itinerario complessivo dall'informe al pienamente formato (da Caos a Zeus), che comprende vari sottoitinerari, dal negativo al positivo (dall'oscurità alla luce), da cio che ha forma (Gaia) alle sue successive specificazioni (tutto ciò che via via nasce da Gaia).|Maria Michela Sassi. ''Op. cit.'' pp. 72-3}}</ref>.
 
=====Verso l'ordine di Zeus=====
* (vv. 139-153) Dopo i Titani, l'unione tra Gaia e Urano genera i tre Ciclopi (Κύκλωπες: Brontes, Steropes e Arges<ref>Dèi con un "occhio solo", i loro nomi richiamano rispettivamente il "Tonante", il "Fulminante" e lo "Splendente".</ref>)<ref>Da notare la differenza con l'<nowiki></nowiki>''Odissea'', IX 187, dove i Ciclopi risultano dei giganteschi e selvaggi pastori e in cui, uno di questi, Polifemo,è figlio di Posidone. Qui, nella ''Teogonia'' esiodea, sono invece tre, dèì figli di Urano e Gaia, costruttori di fulmini che poi consegneranno a Zeus; in Callimaco, ''Inno ad Artemide'', sono gli aiutanti di Efesto, costruttori delle fortificazioni delle città dell'Argolide, ma lo scoliaste (Esiodo ''Theog.'', 139) indica questi ultimi come una "terza" categoria di Ciclopi: «perché di Ciclopi ci sono tre stirpi: i Ciclopi che costruirono le mura di Micene, quelli attorno a Polifemo e gli dèi stessi.»</ref>; e i Centimani (Ἑκατόγχειρες, Ecatonchiri): Cotto, Briareo e Gige dalla forza terribile<ref>Così lo scoliaste (148): «Costoro sono detti venti che prorompono dalle nubi, e sono di sicuro devastatori. Per questo miticamente sono provvisti anche di cento braccia perché hanno pulsionalità guerresche. Cotto, Briareo e Gige sono i tre momenti (dell'anno): Cotto è la canicola, cioè il momento dell'estate, Briareo è la primavera in rapporto con il fiorire ('bryein') e crescere le piante; Gige è il tempo invernale.» (Trad. Cassanmagnago, p. 503.</ref>;
* (vv.154-182) Urano, tuttavia, impedisce che i figli da lui generati con Gaia, i dodici Titani, i tre Ciclopi e i tre Centimani, vengano alla luce. La ragione di questo rifiuto risiederebbe secondo alcuni autori<ref>Cfr. Fritz Graf. ''Il mito in Grecia''. Bari, Laterza, 2007, p.61; Cassanmagnago ''Op.cit.'' p.929</ref>, nella loro "mostruosità". Ecco che la madre di costoro, Gaia, costruisce dapprima una falce dentata e poi invita i figli a disfarsi del padre che li costringe nel suo ventre. Solo l'ultimo dei Titani, Kronos, risponde all'appello della madre: appena Urano si stende nuovamente su Gaia, Kronos, nascosto<ref>Nella vagina della madre, ''locheòs'', (così legge Shawn O'Bryhim, ''Hesiod and the Cretan Cave'' in "Rheinisches Museum fuer Philologie" 140: 95-96, 1997.)</ref> lo evira;
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* (vv.411-452) Asterie e Perse generano Ecate (Ἑκάτη)<ref>Cassanmagnago la vuole figlia di Asteria e Perse p.934; così anche Guidorizzi p. 637 e p. 1419 e Kerényi (''Gli dei della Grecia'', p.40); mentre Herbert Jennings Rose e Charles Martin Robertson (in ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. Dizionario di antichità classiche. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p. 729) la leggono come figlia di Febe (Phoibe) e Ceo (Coio).</ref>; i versi 404-52 della ''Teogonia'' corrispondono all'<nowiki></nowiki>''Inno a Ecate'' la dea di stirpe titanica che qui possiede un rango particolarmente elevato, assegnatole da Zeus in persona; la sua zona di influenza è la terra, il mare e il cielo<ref>Non quindi il Tartaro.</ref> dove ella appare a protezione dell'uomo oltre che nel ruolo di intermediaria tra questi e il mondo degli dèi.
 
=====La nascita e il dominio di Zeus=====
* (vv.453-491) I titani Kronos (Crono) e Rea generano: Istie (Ἱστίη, ionico; anche Estia dall'attico Ἑστία), Demetra (Δήμητρα), Era (Ἥρα, anche Hera), Ade (Ἅιδης) ed Ennosigeo (Ἐννοσίγαιον, Scuotitore della terra, da intendere come Posidone o Poseidone Ποσειδῶν<ref>Cfr. Colonna nota 31 p.86.</ref>); ma tutti questi figli vengono divorati da Kronos in quanto, avvertito dai genitori Gaia e Urano che uno di questi lo avrebbe spodestato, non vuole cedere il potere regale. Grande sconforto questo stato di cose procura a Rea, la quale, incinta dell'ultimo figlio avuto da Kronos, Zeus (Ζεύς), e consigliatasi con gli stessi genitori, decide di partorire nascostamente a Lycto (Creta)<ref>O sul monte Egeo, per il confronto cfr. Arrighetti p. 345-6.</ref>, consegnando a Kronos una pietra che questi divora pensando fosse il proprio ultimo figlio;
* (vv.492-500) Zeus cresce in forza e intelligenza e infine sconfigge il padre Kronos facendogli vomitare<ref>In Apollodoro ''Biblioteca'', I,2,1 è Metis (Μῆτις), una delle oceanine e prima moglie di Zeus, a far somministrare a Kronos l'emetico che lo costrinse a vomitare i figli.</ref> gli altri figli che aveva divorato, e il primo oggetto vomitato da Kronos è proprio quella pietra che egli aveva inghiottito scambiandola per Zeus<ref>Pasuania, X, 24,6 testimonia di una "pietra sacra" collocata sul monte Parnaso, nei pressi della tomba di Neottolemo.</ref>;