I promessi sposi/Monaca di Monza: differenze tra le versioni

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Nonostante alla sua vita siano dedicati la seconda metà del nono capitolo e l'intero capitolo dieci, Manzoni successivamente dedica poco spazio al personaggio, seppure esso svolga un ruolo decisivo nel rapimento di Lucia. Nel corso della vicenda infatti, nei capitoli successivi al decimo, essa compare soltanto nei suoi colloqui con Lucia, nella scena del rapimento e alla fine del romanzo. Questo ci fa capire come in realtà l'attenzione del Manzoni sia incentrata prevalentemente sulla storia della sua vita e in particolare della sua infanzia.
 
Tale opera ha portato a una serie di specifici effetti: tanto per cominciare, la sfortunata giovane, da sempre instradata su un sentiero a senso unico che le era stato definito=inito come prioritario rispetto a qualsiasi altra cosa, non è stata in grado di acquisire un bagaglio di esperienze di vita nelle relazioni interpersonali e nel superamento degli ostacoli che la vita spesso ci pone davanti. Gertrude è quindi cresciuta sentendo il peso della sua inabilità nel rapportarsi con gli altri, come ampiamente dimostrato dal lunatico atteggiamento nei confronti delle sue subordinate, portandola col tempo a patire un senso di disorientamento e confusione di fronte a qualunque tipo di nuova esperienza (come la prospettiva della vita coniugale delle coetanee nel monastero, o l’affetto sincero del paggio). Restando in tema di vero affetto, possiamo affermare con certezza che la poverina non ne abbia ricevuto affatto né dalla famiglia né tantomeno dalle corrotte monache, che solevano circondarla di agi e privilegi solamente perché anche loro rientravano nel terribile piano di plagio della giovane.
==L'opera di diseducazione del principe padre ==
Gli strani e ambigui atteggiamenti, l’indole enigmatica, l’animo contorto della nostra monaca sono il triste esito di una sottile e approfonditamente studiata '''opera diseducativa del principe''', suo padre, il quale aveva destinato alla monacazione Gertrude, sin dal suo concepimento, ovviamente senza che lei ne fosse al corrente, né, tanto meno, d’accordo.
 
Tale opera ha portato a una serie di specifici effetti: tanto per cominciare, la sfortunata giovane, da sempre instradata su un sentiero a senso unico che le era stato definito come prioritario rispetto a qualsiasi altra cosa, non è stata in grado di acquisire un bagaglio di esperienze di vita nelle relazioni interpersonali e nel superamento degli ostacoli che la vita spesso ci pone davanti. Gertrude è quindi cresciuta sentendo il peso della sua inabilità nel rapportarsi con gli altri, come ampiamente dimostrato dal lunatico atteggiamento nei confronti delle sue subordinate, portandola col tempo a patire un senso di disorientamento e confusione di fronte a qualunque tipo di nuova esperienza (come la prospettiva della vita coniugale delle coetanee nel monastero, o l’affetto sincero del paggio). Restando in tema di vero affetto, possiamo affermare con certezza che la poverina non ne abbia ricevuto affatto né dalla famiglia né tantomeno dalle corrotte monache, che solevano circondarla di agi e privilegi solamente perché anche loro rientravano nel terribile piano di plagio della giovane.
 
Inoltre, affrontando il discorso in merito alla “[[w:vocazione|vocazione]]” di Gertrude, vien da sé affermare che di tutto si tratta meno che di una scelta volontaria: il sottile lavorio psicologico del mostruoso principe prevedeva che si facesse leva sulla superbia e sulla sete di potere, innate nella sfortunata, descrivendo maestose immagini di principessa del monastero. A lungo andare, questo continuo sottostare ai desideri del genitore, l’ha resa estremamente debole e fragile, le ha fatto perdere la percezione della propria autonoma personalità, non permettendole di concepire di essere “altro” dal padre.
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La stessa esistenza di Gertrude infatti viene da alcuni descritta come un "Dramma di volontà": non si sa ancora se Manzoni stesso la considerasse completamente colpevole degli atti oscuri di cui è complice o protagonista, ma sicuramente l'autore la biasima per aver sempre troppo temuto le conseguenze delle proprie azioni per riuscire a prendere una vera decisione sulla sua vita, nonostante le numerose occasioni che il Manzoni le pone sulla strada. Al pensiero di mettersi contro suo padre, per esempio, Gertrude rabbrividisce e continua ad acconsentire passivamente alle richieste del principe; al colloquio con il vicario (incaricato di accertarsi della sincerita' della vocazione della ragazza) considera la possibilita' di confessare l'inesistenza della sua devozione e comunque lascia che la paura continui a guidare la sua strada. E, come scrive il Manzoni: "Un altro sì, e fu monaca per sempre".
 
 
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