Vocabolario del pensiero greco antico: differenze tra le versioni

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Più in generale, nella cultura greca i dèmoni sono esseri intermediari tra gli uomini e gli Dèi, più potenti degli uomini ma in misura minore rispetto agli Dèi. A differenza di questi ultimi che sono sempre buoni, tra i Dèmoni ve ne sono anche di cattivi.<ref>Cfr. Senocrate-Ermodoro, ''Frammenti'', a cura di M. Isnardi Parente, Napoli, Bibliopolis, 1982, ISBN 88-7088-052-4, frr. 222-230.</ref>
 
==''Noûs''Eros ({{polytonic|νοῦςἔρως}})==
L''''Eros''', che significa amore, è la forza vitale che muove il pensiero e la filosofia stessa, fungendo da tramite fra la dimensione terrena e quella sovrasensibile.
 
===L'Eros in Platone===
Il primo a parlare di ''eros'' fu Platone, che nel ''Simposio'' lo descrisse, per bocca di Diotima, come un dèmone sempre inquieto e scontento, e lo identificò con la filosofia intesa letteralmente come "amore del sapere". Nella mitologia greca infatti, Eros era il dio dell'amore, immaginato originariamente come simbolo della coesione interna dell'universo e della forza attrattiva che spinge gli elementi della natura ad unirsi tra loro. Per la sua caratteristica di essere principio unificante del molteplicità|molteplice, Platone ne fece un'allegoria della dialettica, ossia di quel percorso mentale che risale i diversi gradi della conoscenza, partendo dal sensibile fino ad arrivare all'Idea.
 
La peculiarità di ''eros'' è essenzialmente la sua ambiguità, ovvero l'impossibilità di approdare a un sapere certo e definitivo, e tuttavia l'incapacità di rassegnarsi all'ignoranza.<ref>«Vive tra la sapienza e l'ignoranza, ed ecco come avviene: nessun dio si occupa di filosofia e nessuno tra di loro ambisce a diventare sapiente perché tutti lo sono già. Chiunque possegga veramente il sapere, infatti, non fa filosofia; ma anche chi è completamente ignorante non si occupa di filosofia, e non desidera affatto la sapienza. Proprio questo è sconveniente nell'essere ignoranti: [...] non si desidera qualcosa se non si avverte la sua mancanza» (Platone, ''Simposio'', XXIII).</ref>
Secondo Platone infatti Eros era figlio di ''Pòros'' (Abbondanza) e ''Penìa'' (Povertà): la filosofia intesa come ''eros'' è dunque essenzialmente amore ascensivo, che aspira alla verità assoluta e disinteressata (ecco la sua abbondanza); ma al contempo è costretta a vagare nelle tenebre dell'ignoranza (la sua povertà).<ref>«Poiché Eros è figlio di Poros e di Penìa, si trova nella tale condizione: innanzitutto è sempre povero, e tutt'altro che bello e delicato come dicono i più; al contrario è rude, sempre a piedi nudi, vagabondo, [...] perché ha la natura della madre ed è legato al bisogno. D'altro canto, come suo padre, cerca sempre ciò che è bello e buono, è virile, audace, risoluto, gran cacciatore [...]; è amico della sapienza ed è ricco di trucchi, e così si dedica alla filosofia nell'arco di tutta la sua vita» (''ibidem'').</ref> Concetti già presenti nel socratico «sapere di non sapere», come pure in altri miti di Platone, ad esempio quello della caverna dove gli uomini sono condannati a vedere solamente le ombre del vero.<ref>Platone, ''La Repubblica'', libro VII.</ref>
 
Il dualismo e la contrapposizione tra verità e ignoranza era così vissuta da Platone, ma anche già dal suo maestro Socrate, come una profonda lacerazione, fonte di continua irrequietezza e insoddisfazione. Questo dualismo sarà, a ben vedere, il tema ricorrente di tutta la filosofia occidentale, di cui ''eros'' è in un certo senso il simbolo.
 
=== L'''eros'' presso i neoplatonici ===
Soprattutto presso i neoplatonici l’''eros'' godrà di una particolare fortuna, in considerazione del fatto che la verità dell'essere, per costoro, non è un semplice concetto impersonale, ma in essa vi partecipa il soggetto: questi è animato da una tensione bramosa che anela al Sapere, al punto che l'amore diventa una forma di conoscenza. Così per Plotino l'''eros'' è una forza inconscia e involontaria che guida il filosofo verso la contemplazione estatica.<ref>Precorrendo la consapevolezza, l’''eros'' è per Plotino «l'occhio del desiderio che permette all'amante di vedere l'oggetto desiderato, correndo egli stesso per primo dinanzi e riempiendosi di questa visione ancor prima di aver dato all'amante la facoltà di vedere col suo organo» (Plotino, ''Enneadi'', III 5, trad. di G. Faggin, Rusconi, Milano 1992).</ref>
 
Il neoplatonismo cristiano affiancò poi al termine filosofia|filosofico di ''eros'' quello religione|religioso di ''àgape'': il primo indica un amore ascensivo e possessivo, proprio dell'essere umano verso l'Assoluto e verso l'astrattezza dell'unità; il secondo indica l'amore discensivo di chi dona, proprio di Dio, che muove verso il mondo e l'umanità in esso dispersa per ricongiungerla a sé.
 
Nei filosofi rinascimentali ''eros'' e ''agape'' si fondono così in un unico concetto. Il tema dell'''eros'' acquista una centralità particolare soprattutto nella filosofia di Marsilio Ficino: l'amore viene da lui inteso come il dilatarsi stesso di Dio nell'universo, la causa per cui Dio "si riversa" nel mondo e produce negli uomini il desiderio di ritornare a Lui. Si tratta di un processo circolare che si riflette nell'uomo, il quale a sua volta è chiamato ad essere ''copula mundi'', immagine dell'Uno dal quale proviene tutta la realtà e (come già in Nicola Cusano) che tiene legati in sé gli estremi opposti dell'universo.<ref>Cfr. Ioan P. Couliano, ''Eros and the Magic in the Reinassance'', University of Chicago Press, 1987.</ref>
 
In Giordano Bruno, altro filosofo rinascimentale, l’''eros'' diventa quindi ''eroico furore'', esaltazione dei sensi e della memoria, elevazione della ragione percorribile solo col coraggio e l'eroismo che la ricerca della verità comporta.<ref>La radice del termine ''eroico'' in Bruno è propriamente "eros", cfr. ''[http://www.fratussrl.it/public/images/giacomoparis/bruno%20e%20nietzsche.pdf I nomi dell'amore: Bruno e Nietzsche. Eroico furore e volontà di potenza]'', pag. 2, Biblioteca Tiraboschi.</ref>
 
==Noûs ({{polytonic|νοῦς}})==
'''Intelletto cosmico''' è l'espressione che sul piano filosofico rende il concetto anassagoreo di '''Nous''' (Nùs),<ref>Cfr. Enrica Brambilla, Fausto Lanzoni, Ilaria Caretta, Monica Winters, ''Filosofia'', pag. 46, Alpha Test, 2001.</ref> traducibile con Pensiero,<ref>Fulvio Palmieri, ''Il pensiero sostenibile. Per un'epistemologia del divenire'', pag. 32, Meltemi, 2003.</ref> Intelletto,<ref>Cfr. traduzione in André Pichot, ''La nascita della scienza: Mesopotamia, Egitto, Grecia antica'', pag. 505, Dedalo, 1991.</ref> o Mente.<ref>Emilio Morselli, ''Dizionario filosofico'', pag. 68, Signorelli, 1961.</ref>