Gallerie di piazza Scala/IX: differenze tra le versioni

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*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Induno_Domenico,_L%27artista_nomade_o_La_questua.jpg|thumb|499px|120. Domenico Induno, ''L'artista nomade (La questua)'', 1870-1872]]
 
Noto in anni recenti col titolo La questua, il dipinto riprende il soggetto de L’artista nomade, presentato alla Seconda esposizione nazionale di belle arti di Brera nel 1872 con cui è stato, in passato, erroneamente identificato. Alla manifestazione del 1872 Induno partecipava anche con una nuova versione della celebre Cerimonia della collocazione della prima pietra per l’erezione della Galleria Vittorio Emanuele (bozzetto conservato a Milano, Galleria d’Arte Moderna) e con altre due opere ora in Collezione Cariplo, La pittrice del fratello Gerolamo Induno e Mi ama o non mi ama? di Francesco Valaperta. Il dipinto appartiene agli anni più maturi del pittore e raffigura un musicista viandante, soggetto ricorrente nella pittura di genere italiana ed europea, già svolto in opere giovanili come Suonatrice di ghironda (1849, collezione privata; una replica del 1857 è conservata a Milano, Galleria d’Arte Moderna) o L’artista nomade (1854 circa, Ascoli Piceno, Pinacoteca Civica). Come già in quest’ultimo dipinto Induno insiste sull’umile condizione dell’artista girovago, ritratto accanto a bambini che mendicano al suo fianco. L’attenzione nei confronti della vita del popolo acquista infatti nelle ultime opere del pittore accenti moralistici, anche sotto l’influenza di Alessandro Manzoni e Victor Hugo, le cui opere erano allora divulgate ad un pubblico più vasto attraverso i romanzi d’appendice. Non è un caso che del pittore sia noto un dipinto giovanile ispirato ai Promessi Sposi (Fra’ Cristoforo di Milano scioglie Lucia dal voto, 1850 circa, Milano, Fondazione Internazionale Balzan) e che tra le sue ultime opere si annoveri Al pozzo (1876, Triste, Museo Civico Revoltella), dove la piccola protagonista raffigura probabilmente Cosette de I miserabili.
La stesura pittorica con cui è condotta la tela è caratterizzata da studiati accostamenti cromatici e da tocchi che seppur rapidi descrivono con dovizia di particolari i due protagonisti fino a sfaldarsi nel paesaggio all’orizzonte dove si intravede l’inconfondibile mole del Duomo di Milano.
 
*'''121. Domenico Induno, ''Un omaggio alla Madonna'', 1851'''
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*'''123. Domenico Induno, ''Ragazza che cuce'', 1860-1870'''
 
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Induno_Domenico,_La_visita_alla_nutrice_o_La_visita_alla_balia.jpg|thumb|499px|124. Domenico Induno, ''La visita alla nutrice'', 1863]]
 
Il dipinto fu presentato all’Esposizione di belle arti dell’Accademia di Brera del 1863 e, come si evince dalla didascalia del catalogo, proviene dalla Collezione Turati. Fu infatti eseguito su commissione del conte Francesco Turati (1802-1876), esponente di spicco della borghesia imprenditoriale milanese e mecenate delle arti, la cui raccolta comprendeva opere di Sebastiano De Albertis e Angelo Trezzini, oltre a quelle di Domenico e del fratello Gerolamo Induno; alla sua morte passò al figlio Ercole (1829-1881) che per il nuovo edificio costruito nel 1880 in via Meravigli accanto a quello del padre continuò a commissionare opere agli stessi Induno, a Filippo Carcano e Francesco Valaperta.
Riproponendo un soggetto svolto in precedenza in diverse opere quali La visita alla balia (1861 circa, collezione privata), il pittore raffigura una donna che, accompagnata dagli anziani genitori, visita il figlio di pochi mesi presso la balia. La scena è tratta dalla vita quotidiana e il suo realismo è accentuato dall’abbigliamento dei personaggi e dai tanti dettagli che descrivono questo interno domestico, appena rischiarato dalla luce di una finestra e dal tenue fuoco del caminetto. La pittura abbreviata, quasi incompiuta nella parte centrale, che determinò probabilmente l’indifferenza di parte della critica all’esposizione braidense, è piuttosto da ritenersi una consapevole scelta del pittore. Egli riesce in tal modo a rendere con grande immediatezza i sentimenti che animano questo episodio di vita umana, qualità che contraddistingue tutta la sua pittura di genere e, in particolare, opere come Il cacciatore (1854, Milano, Pinacoteca di Brera) o La visita del nonno (1856, già Collezione Luisa Gallarati Scotti Melzi d’Eril) dove Induno ricorre per la figura dell’uomo anziano allo stesso modello presente nel dipinto in Collezione.
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*'''|125. Domenico Induno, ''La visita alla puerpera'', 1875 ca'''
[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Induno_Domenico,_Visita_alla_puerpuera.jpg|thumb|499px|125. Domenico Induno, ''La visita alla puerpera'', 1875 ca]]
 
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*'''126. Gerolamo Induno, ''Carozzone delle ferrovie Nord'', 1880-1885'''
*'''127. Gaetano Chierici, ''L'istinto alle armi'', 1868'''
 
*'''128. Filippo Palizzi, ''La primavera'', 1868'''
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Datata 1868, l’opera segue di un anno il successo ottenuto da Filippo Palizzi all’Esposizione universale di Parigi con Dopo il diluvio (Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte). Sono gli anni in cui l’artista porta a maturità le ricerche attorno alla pittura di paesaggio e di genere, coniugando l’indagine diretta della natura con lo studio della pittura francese. Egli ha modo di conoscerla durante i ripetuti soggiorni a Parigi ma anche attraverso il fratello, Giuseppe Palizzi, che si trasferisce per alcuni anni in Francia dove entra in contatto con la scuola di Barbizon. Tra i suoi principali esponenti è Jean-François Millet che dedica al tema delle stagioni un ciclo di opere di cui si conserva una Primavera (Parigi, Musée d’Orsay). Palizzi affronta lo stesso tema allegorico: in uno scorcio di campagna, ispirata probabilmente ai dintorni di Cava de’ Tirreni dove era solito recarsi per dipingere dal vero, gruppi di bambini giocano fra loro e assieme agli animali, alludendo al risveglio della natura ai primi accenni di primavera.
 
Il tema delle stagioni come il gioco dei fanciulli sono soggetti presenti anche in altre opere come Primavera (già collezione Mancusi) che raffigura una pastorella e il suo gregge e Monelli che inseguono un asinello (1872, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti) ma nel dipinto in Collezione sono tradotti in una composizione più articolata: nell’ampia cornice scenografica del paesaggio campestre, scandito al centro dal roseto in fiore, Palizzi accosta una serie di piccoli episodi creando una scena corale di grande vivacità. Con una stesura pittorica sempre libera ma sensibile ai valori luminosi, Palizzi riporta sulla tela i più piccoli dettagli di questo paesaggio, dai rinnovati colori degli alberi che germogliano ai delicati effetti di luce nel cielo, attraversato da nubi ora sottili ora più dense. Negli anni successivi il pittore abbandonerà questi ampi scorci di paesaggio, di grande impegno per la loro meticolosa esecuzione, privilegiando scene più intime.
 
*'''129. Francesco Mancini, ''Rotten Row, Hyde Park'', 1876'''
 
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Mancini Francesco, Hyde Park.jpg|thumb|499px|129. Francesco Mancini, ''Rotten Row, Hyde Park'', 1876]]
 
 
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Dal novembre 2011 l’opera è visibile nell’allestimento delle Gallerie d’Italia a Milano.
*'''130. Antonio Mancini, ''L'ispirazione'', 1874'''
 
*'''131. Giacomo Favretto, ''La pollivendola'', 1880 ca'''
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Favretto_Giacomo,_La_pollivendola.jpg|thumb|499px|131. Giacomo Favretto, ''La pollivendola'', 1880 ca]]
 
In questa piccola tela databile al 1880 Favretto raffigura un brano di vita popolare colto lungo una calle veneziana. Il soggetto gode di particolare fortuna nella produzione del pittore e le affinità maggiori possono riscontrarsi in due opere databili al 1878, Lavoro a maglia e La venditrice di polli (entrambe in collezioni private) dove troviamo la stessa modella con scialle rosso e cappello intenta a lavorare a maglia all’ingresso di un pollaio. La medesima ambientazione è anche in Amore fra i polli (Milano, Collezione della Provincia di Milano), dipinto presentato a Milano nel 1879 e all’Esposizione internazionale d’arte della Città di Venezia nel 1899 in occasione della retrospettiva dedicata al pittore scomparso dodici anni prima. Anche la terza figura in primo piano, posta di spalle e abbigliata con un ampio scialle decorato, ritorna in numerose opere tra le quali ricordiamo l’Erbaiolo veneziano (collezione privata), presentata nel 1880 all’Esposizione nazionale di belle arti di Torino.
In tutte queste opere Favretto dimostra quell’interesse per la vita e per i costumi popolari che determinarono la fortuna della sua pittura di genere, sempre caratterizzata dallo studio dal vero dei soggetti e da una resa pittorica riconoscibile per gli abili accostamenti cromatici e i brillanti effetti di luce. In Villanella pollaiola egli tratteggia con rapidi tocchi una scena particolarmente vivace, insistendo sul contrasto tra l’abito scuro ed elegante della donna al centro e i costumi più popolari ma sgargianti della pollivendola e della giovane ritratta di spalle.
*'''132. Attilio Pusterla, ''La questua dei poveri'', 1885'''
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Bianchi_Mos%C3%A8,_Il_ritorno_dalla_sagra.jpg|thumb|499px|133. Mosè Bianchi, ''Il ritorno dalla sagra'', 1880]]
 
 
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La vivace scena di genere vede protagonisti due chierichetti raffigurati lungo un sentiero della campagna brianzola di ritorno da una sagra; nel viottolo, percorso in lontananza dal gruppo più compatto degli altri chierichetti, si fa loro incontro sotto una pioggia che pare incessante un chiassoso gruppo di oche. Il soggetto non è nuovo nella pittura di genere dell’artista monzese ma si arricchisce qui dell’ambientazione all’aperto, resa con sapienti effetti di luce e suggestivi accostamenti cromatici, elementi pittorici che caratterizzano il naturalismo lombardo.
 
*'''134. Giovanni Segantini, ''Il coro della chiesa di Sant'Antonio in Milano'', 1879'''
[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Segantini_Giovanni,_Il_coro_della_chiesa_di_Sant%27Antonio_in_Milano.jpg|thumb|499px|134. Giovanni Segantini, ''Il coro della chiesa di Sant'Antonio in Milano'', 1879
 
Raffigurante il coro della chiesa di Sant’Antonio abate di Milano, dove un chierichetto è intento a preparare gli spartiti per la prossima liturgia, il dipinto rappresenta il saggio di pittura col quale Segantini, ormai al termine dei suoi studi, partecipa all’annuale manifestazione dell’Accademia di Brera. Il successo di critica è tale che il dipinto viene acquistato dalla Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente ed assegnato per sorteggio al socio Paolo Guicciardini mentre una seconda versione di minori dimensioni sarà eseguita nel 1882 (ubicazione sconosciuta). L’abilità dimostrata nell’eseguire l’opera in Collezione attira nel 1879 anche l’attenzione del mercante Vittore Grubicy che inizia da allora a finanziare l’artista, spingendolo negli anni seguenti verso le più moderne ricerche divisioniste.
Segantini sceglie per il proprio debutto una veduta prospettica d’interni, proseguendo sulla linea tracciata nell’ambito del naturalismo lombardo da Mosè Bianchi e Filippo Carcano, ai quali egli guarda con particolare attenzione soprattutto per la resa pittorica degli effetti luministici. Ed è infatti la luce ad essere protagonista del dipinto: essa irrompe all’interno della chiesa dalla finestra in alto dove un tendaggio rosso la attutisce solo in parte, lasciando in penombra la grande tela raffigurante S. Antonio eremita, e si irradia verso il basso accendendo di bagliori gli stalli lignei del coro. I sapienti accostamenti delle diverse tonalità brune descrivono il degradare dell’ombra dall’alto verso il basso secondo una direzione che è accentuata dal taglio verticale della composizione. Ne risulta un’opera dove la non comune abilità pittorica del giovane è precoce indizio di un’eccezionale carriera artistica.
 
*'''135. Giovanni Segantini, ''La raccolta dei bozzoli'', 1882-1883]]'''
 
*'''136. Giovanni Segantini, ''Il lavoratore della terra'', 1886'''
[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Segantini_Giovanni,_Il_lavoratore_della_terra_o_Lavoratore_dei_campi.jpg|thumb|499px|136. Giovanni Segantini, ''Il lavoratore della terra'', 1886]]
 
 
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Eseguito a carboncino e biacca, condivide il soggetto di un altro disegno, di minori dimensioni ma pittoricamente definito in ogni dettaglio, esposto nel 1888 ed oggi conservato in una raccolta privata svizzera. Il formato ingrandito dell’opera in Collezione, il segno secco e rapido quasi a suggerire un ricalco, e la stessa tecnica disegnativa, ne suggeriscono l’ipotesi di realizzazione o utilizzo da parte di Segantini quale cartone o disegno preparatorio per un’opera di grandi dimensioni, forse mai realizzata. Entrambi i disegni appartengono alla serie di studi compiuti sul lavoro agricolo a Savognino, paese del Cantone dei Grigioni dove Segantini, grazie al sostegno finanziario di Vittore Grubicy, si era trasferito con la famiglia nel 1886, e dove conduceva le prime sperimentazioni divisioniste che lo porteranno ad elaborare Le due madri (1889, Milano, Galleria d’Arte Moderna).
 
*'''137. Filippo Carcano, ''Tipi di una famiglia di contadini nel Veneto'', 1885'''
[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Carcano_Filippo,_Tipi_di_una_famiglia_di_contadini_nel_Veneto_o_Scena_di_vita_montana.jpg|thumb|499px|137. Filippo Carcano, ''Tipi di una famiglia di contadini nel Veneto'', 1885]]
 
 
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Il pittore raffigura una scena di genere animata sullo sfondo da un gruppo di contadini intenti a svolgere i quotidiani lavori, come la filatura, mentre la figura in primo piano rivolge lo sguardo all’osservatore come se stesse posando davanti a un apparecchio fotografico. L’immediatezza della scena fa di questi Tipi un vivace esempio di pittura dal vero, particolarmente caratterizzato da un uso della luce che accentua il senso di profondità della composizione e da una pennellata a rapidi tocchi. Gli stessi esiti pittorici caratterizzano le ricerche condotte da Carcano in quegli anni nell’ambito della pittura di paesaggio in opere come Strada al bosco dei Gardanelli presentata alle Nazionali di Venezia (1887) e Bologna (1888) o Pianura lombarda accolta con successo all’Esposizione universale di Parigi nel 1889 (entrambe in collezione privata).
 
*'''138. Giovanni Sottocornola, ''Muratore'', 1891'''
[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Sottocornola_Giovanni,_Muratore_(figura_al_vero).jpg|thumb|499px|138. Giovanni Sottocornola, ''Muratore'', 1891]]
 
Proveniente da una collezione di Buenos Aires, il dipinto vi giunge con ogni probabilità tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo: in questo periodo, infatti, le opere di Sottocornola e di altri artisti iniziano ad essere commercializzate in Sud America dove la numerosa colonia di immigrati italiani vanta già importanti imprenditori e collezionisti. Rientrato in Italia nel 1982, passa in una collezione privata per essere infine acquistato nel 1993.
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Dal novembre 2011 l’opera è visibile nell’allestimento delle Gallerie d’Italia a Milano.
*'''139. Giovanni Sottocornola, ''Anch'io pittore (Dilettante)'', 1885'''
[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Sottocornola_Giovanni,_Anch%27io_pittore_o_Dilettante_o_Lo_studio_del_pittore.jpg|thumb|499px|139. Giovanni Sottocornola, ''Anch'io pittore (Dilettante)'', 1885]]
 
 
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Le scene ambientate all’interno degli ateliers ricorrono con frequenza nella seconda metà dell’Ottocento e, se nelle opere degli artisti macchiaioli, come Non potendo aspettare di Telemaco Signorini, l’ambientazione è intima ed elegante, nel dipinto di Sottocornola domina l’atmosfera disordinata e vitale della casa-bottega, per la quale egli si ispira ai locali di via San Gerolamo a Milano, dove risulta domiciliato in questi anni. L’influenza di Mancini nella resa non convenzionale del soggetto si riflette anche nella stesura pittorica a rapidi tocchi che si fa più aderente alla lezione del verismo negli inserti di natura morta, come i barattoli di colore ai piedi del ragazzo oppure le boccette e gli altri attrezzi lasciati sul tavolino alle sue spalle.
 
*'''140. Giovanni Sottocornola, ''Frutera (Venditrice di frutta)'', 1886'''
[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Sottocornola_Giovanni,_Venditrice_di_frutta.jpg|thumb|499px|140. Giovanni Sottocornola, ''Frutera (Venditrice di frutta)'', 1886]]
 
Il dipinto proviene con Anch’io pittore da una raccolta privata argentina e, rientrato in Italia in anni recenti, è giunto nella Collezione Istituto Bancario Italiano (IBI).
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Verso la metà degli anni Ottanta l’immagine della giovane venditrice circondata da ceste cariche di frutta e ortaggi è un soggetto fortunato per il pittore, che presenta a Milano nel 1886 in occasione della prima mostra della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente una Venditrice di zucche (ubicazione ignota); si ritrova inoltre nella Piccola fruttivendola (collezione privata), dipinto proveniente dalla raccolta di Norberto Sacchi, tra i principali collezionisti di Sottocornola, opera molto simile alla Venditrice sia per l’ambientazione, sia per la figura della giovane fruttivendola per la quale il pittore ricorre alla stessa modella. Apprezzato per le sue tele raffiguranti grappoli d’uva e ceste di frutta, Sottocornola esprime dunque le proprie qualità pittoriche anche nella natura morta con figura, genere che negli ultimi decenni dell’Ottocento conosce una rinnovata fortuna di pubblico. Secondo le più moderne istanze del naturalismo lombardo il pittore traduce il soggetto in un’immagine di grande verismo; a ciò si aggiunge l’acuta resa psicologica della giovane protagonista il cui sguardo, fisso e stanco, colpisce chi la osserva non meno dell’effetto quasi tattile delle pesche in primo piano. Con la mano sinistra, appoggiata sulla cesta, stringe la spazzola per pulire la frutta: il tema del lavoro infantile è appena sfiorato e di certo senza alcun intento di denuncia, ma è interessante notare come partendo da questi soggetti Sottocornola giungerà nel decennio seguente ad affrontare in modo esplicito la condizione operaia in dipinti come Muratore (figura al vero), anch’esso in Collezione.
 
*'''141. Emilio Gola, ''Lavandaie sul Naviglio'', 1894-1899'''
[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Gola_Emilio,_Lavandaie_sul_Naviglio.jpg|thumb|499px|141. Emilio Gola, ''Lavandaie sul Naviglio'', 1894-1899]]
 
L’opera è stata acquistata nel 1983 dal mercato antiquario. Prima del suo ingresso in Collezione ha subito un importante intervento integrativo che ne ha consolidato il supporto mediante foderatura e colmato le lacune diffuse.
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Questo tratto del Naviglio Grande di Ripa Ticinese è riproposto con lo stesso taglio prospettico in diverse altre versioni, come il Naviglio già di proprietà Gerli, datato al 1900; altre sensibili analogie legano l’opera alla tela intitolata A porta Ticinese ricordata in collezione Montedison e riferita al 1895, confermando anche per il dipinto in Collezione una datazione attorno alla metà degli anni Novanta. L’impiego del pastello garantisce un risultato di soffusa morbidezza ottenendo, in questo caso, una tonalità argentea attraverso la modulazione di sottili trasparenze, impossibili da realizzare con l’olio. I pastelli dell’artista costituiscono opere compiute, spesso di grande formato, realizzate su carta colorata, grigia o gialla, contraddistinte da inserti di tempera, come Il Giardino; altre volte sono solo rapide annotazioni, studi preparatori o esercizi tecnici, quali Veduta con la neve o Figura in piedi.
La specificità di queste opere all’interno della produzione del pittore è attestata dalla assidua presentazione di pastelli alle esposizioni della Famiglia Artistica, fino al 1923. Nello stesso anno la galleria dell’Esame di Milano presentò al pubblico una selezione di pastelli e acquerelli, mentre nel 1956 fu allestita un’intera sezione dedicata ai disegni all’interno della mostra antologica tenuta presso il Palazzo della Permanente a Milano.
*'''142. Vincenzo Irolli, ''L'angelo musicante'', 1900-1905'''[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Irolli_Vincenzo,_L%27angelo_musicante.jpg|thumb|499px|142. Vincenzo Irolli, ''L'angelo musicante'', 1900-1905]]
Giunto dal mercato antiquario nella collezione genovese di Aldo Zerbone e da questi in Collezione Cariplo nel 1985, il dipinto è databile ai primi anni del Novecento e raffigura il bacio di un angelo ad un bambino dormiente.
Rielaborazione in chiave religiosa del tema della maternità, l’opera risente dell’influenza del coevo simbolismo. In questi anni Irolli affronta accanto ai temi cristiani i più tradizionali soggetti della pittura di genere, mostrando una particolare sensibilità nella raffigurazione dell’infanzia e dell’amore materno. Anche nel dipinto in Collezione la figura dell’angelo musicante, che pure allude al tema decadente della musica e del sogno, acquista un carattere di affettuosa intimità, lo stesso che troviamo in un altro dipinto di soggetto simile, Angelo custode (ubicazione sconosciuta), esposto alla personale livornese del 1933 e raffigurante un angelo che veglia sul sonno di un bambino.
La stesura pittorica libera e caratterizzata da tratti di colore puro, così come le figure dai contorni indefiniti ma dalla gestualità vivacemente espressiva, sono debitori dell’insegnamento di Antonio Mancini, indiscussa figura di riferimento nell’ambiente artistico napoletano tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
*'''143. Vincenzo Irolli, ''Ritratto femminile'', 1890-1900'''
*'''144. Vincenzo Irolli, ''Voluttà'', 1900- 1910'''
[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Irolli_Vincenzo,_Volutt%C3%A0.jpg|thumb|499px|144. Vincenzo Irolli, ''Voluttà'', 1900- 1910]]
 
Proveniente da una collezione privata, l’opera raffigura una giovane donna che fuma una sigaretta con gesto sensuale, esaltando nella voluttà della posa – come recita il titolo – un’idea della femminilità spregiudicata e libera. Il soggetto non è nuovo, fin dalla pittura tardo ottocentesca, e trae spunto dall’iconografia anticonvenzionale inaugurata nell’ambito della Scapigliatura: basti ricordare La lettrice di Federico Faruffini (1864, Milano, Galleria d’Arte Moderna) oppure il tema di derivazione letteraria delle Fumatrici d’oppio di Gaetano Previati (1887, Piacenza, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi). La figura femminile è del resto centrale nella pittura di genere del napoletano Irolli che la coniuga in chiave ora intimo-religiosa, come ne L’angelo musicante in Collezione, ora sensuale, interpretando quest’ultimo soggetto fino agli anni Trenta, probabilmente guardando anche ai modelli che si andavano affermando attraverso la fotografia e il cinema. Nell’opera in Collezione, la sensualità femminile trova espressione in una scelta compositiva tutta incentrata sulla figura della modella e in una cromia giocata sull’accostamento dei violenti blu e rossi, rispettivamente dell’abito e dello sfondo. Il gioco pittorico si arricchisce di gesti immediati come il bianco puro applicato direttamente dal tubetto di colore sulla tela lungo la scollatura dell’abito. Ne deriva l’immagine di una donna provocante ed ironica, dipinta con la sensibilità che accomuna l’arte di Irolli a quella di Vincenzo Caprile e Vincenzo Migliaro, come lui formatisi nell’ambiente partenopeo e interpreti schietti della vita popolare secondo un rinnovato sguardo che caratterizza tanto la pittura quanto la letteratura di matrice realista.
 
*'''145. Vincenzo Migliaro, ''Piedigrotta (La festa di Piedigrotta)'', 1895'''
[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Migliaro_Vincenzo,_Episodio_di_genere_o_La_vendemmia.jpg|thumb|499px|145. Vincenzo Migliaro, ''Piedigrotta (La festa di Piedigrotta)'', 1895]]
Identificabile con il dipinto Piedigrotta, presentato nel 1896 all’esposizione della Società Promotrice di Belle Arti di Napoli e citato nel 1949 dallo storico dell’arte Alfredo Schettini nella monografia dedicata al pittore, l’opera è stata da allora considerata dispersa; nel 1983 è passata nel mercato antiquario col titolo La vendemmia e solo studi recenti hanno nuovamente riconosciuto nella tela l’originario soggetto.
Il dipinto, datato 1895, raffigura infatti la festa popolare di Piedigrotta che proprio in quell’anno viene celebrata in occasione della seconda edizione delle Feste Estive di Napoli con particolare ricchezza di eventi. Un gruppo di popolani è appena rientrato dalla sfilata in costume, come suggeriscono il tamburello e l’elmo della donna al centro, e tutto intorno gli altri membri di questa festosa carovana rischiarano con i fuochi la penombra della notte; in basso, un ragazzo giace assopito a causa del troppo vino mentre più in alto si affaccia il profilo di un altro giovane, quasi un moderno satiro di questo baccanale partenopeo. Sullo sfondo, il cielo si accende dei bagliori dei fuochi di artificio che assieme ai canti popolari rappresentavano sin dal 1835 una delle principali attrattive della festa di Piedigrotta.
Formatosi al Reale Istituto di Belle Arti di Napoli negli anni del profondo rinnovamento artistico avviato da Domenico Morelli, Migliaro diventa con la sua pittura di genere interprete originale dello spirito partenopeo eseguendo opere legate ai luoghi e ai costumi napoletani e, sul finire dell’Ottocento, esuberanti scene carnevalesche o piacevoli episodi di vita popolare come Il tatuaggio (1890, Pinacoteca della Provincia di Napoli), secondo un gusto che ritroviamo con identica vivacità anche nell’opera in Collezione.
*'''146. Antonio Mancini, ''Riflessi'', 1918-1920'''
[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Mancini_Antonio,_Riflessi.jpg|thumb|499px|146. Antonio Mancini, ''Riflessi'', 1918-1920]]
Con quest’opera ed altri diciannove dipinti nel 1920 è allestita una mostra individuale di Antonio Mancini all’interno della XII Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia. L’evento riscuote tanto successo di pubblico da veder vendute tutte le tele, tra cui questa in Collezione, acquistata assieme ad altre quindici da un gruppo di anonimi negozianti d’arte. L’artista vi presenta il lavoro svolto durante gli anni immediatamente precedenti: a partire dal 1911 egli attraversa infatti un’intensa stagione artistica ospite a Frascati dell’imprenditore nonché mecenate e collezionista, Fernand Du Chéne de Vère a Villa Iacobini. Nel 1918 rientra a Roma dove vive con la famiglia del fratello Giovanni, il cui figlio Alfredo, primo proprietario del dipinto, conserverà a lungo altre opere dello zio.
La tela reca sul retro un fitto testo autografo manoscritto, con riferimenti religiosi e strali polemici contro il mondo accademico. Quest’uso spregiudicato dell’opera come veicolo di immagini ma anche di memorie ricorre in Mancini, tanto da dar vita, negli ultimi anni, all’Autoritratto: biografia (1929, ubicazione sconosciuta) dove l’effigie del pittore è affiancata da un testo nel quale egli elenca gli amici e i colleghi più cari.