Gallerie di piazza Scala/IX: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Nessun oggetto della modifica
Riga 115:
La specificità di queste opere all’interno della produzione del pittore è attestata dalla assidua presentazione di pastelli alle esposizioni della Famiglia Artistica, fino al 1923. Nello stesso anno la galleria dell’Esame di Milano presentò al pubblico una selezione di pastelli e acquerelli, mentre nel 1956 fu allestita un’intera sezione dedicata ai disegni all’interno della mostra antologica tenuta presso il Palazzo della Permanente a Milano.
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Irolli_Vincenzo,_L%27angelo_musicante.jpg|thumb|499px|142. Vincenzo Irolli, ''L'angelo musicante'', 1900-1905]]
Giunto dal mercato antiquario nella collezione genovese di Aldo Zerbone e da questi in Collezione Cariplo nel 1985, il dipinto è databile ai primi anni del Novecento e raffigura il bacio di un angelo ad un bambino dormiente.
Rielaborazione in chiave religiosa del tema della maternità, l’opera risente dell’influenza del coevo simbolismo. In questi anni Irolli affronta accanto ai temi cristiani i più tradizionali soggetti della pittura di genere, mostrando una particolare sensibilità nella raffigurazione dell’infanzia e dell’amore materno. Anche nel dipinto in Collezione la figura dell’angelo musicante, che pure allude al tema decadente della musica e del sogno, acquista un carattere di affettuosa intimità, lo stesso che troviamo in un altro dipinto di soggetto simile, Angelo custode (ubicazione sconosciuta), esposto alla personale livornese del 1933 e raffigurante un angelo che veglia sul sonno di un bambino.
La stesura pittorica libera e caratterizzata da tratti di colore puro, così come le figure dai contorni indefiniti ma dalla gestualità vivacemente espressiva, sono debitori dell’insegnamento di Antonio Mancini, indiscussa figura di riferimento nell’ambiente artistico napoletano tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
*143. Vincenzo Irolli, ''Ritratto femminile'', 1890-1900
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Irolli_Vincenzo,_Volutt%C3%A0.jpg|thumb|499px|144. Vincenzo Irolli, ''Voluttà'', 1900- 1910]]
 
Proveniente da una collezione privata, l’opera raffigura una giovane donna che fuma una sigaretta con gesto sensuale, esaltando nella voluttà della posa – come recita il titolo – un’idea della femminilità spregiudicata e libera. Il soggetto non è nuovo, fin dalla pittura tardo ottocentesca, e trae spunto dall’iconografia anticonvenzionale inaugurata nell’ambito della Scapigliatura: basti ricordare La lettrice di Federico Faruffini (1864, Milano, Galleria d’Arte Moderna) oppure il tema di derivazione letteraria delle Fumatrici d’oppio di Gaetano Previati (1887, Piacenza, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi). La figura femminile è del resto centrale nella pittura di genere del napoletano Irolli che la coniuga in chiave ora intimo-religiosa, come ne L’angelo musicante in Collezione, ora sensuale, interpretando quest’ultimo soggetto fino agli anni Trenta, probabilmente guardando anche ai modelli che si andavano affermando attraverso la fotografia e il cinema. Nell’opera in Collezione, la sensualità femminile trova espressione in una scelta compositiva tutta incentrata sulla figura della modella e in una cromia giocata sull’accostamento dei violenti blu e rossi, rispettivamente dell’abito e dello sfondo. Il gioco pittorico si arricchisce di gesti immediati come il bianco puro applicato direttamente dal tubetto di colore sulla tela lungo la scollatura dell’abito. Ne deriva l’immagine di una donna provocante ed ironica, dipinta con la sensibilità che accomuna l’arte di Irolli a quella di Vincenzo Caprile e Vincenzo Migliaro, come lui formatisi nell’ambiente partenopeo e interpreti schietti della vita popolare secondo un rinnovato sguardo che caratterizza tanto la pittura quanto la letteratura di matrice realista.
 
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Migliaro_Vincenzo,_Episodio_di_genere_o_La_vendemmia.jpg|thumb|499px|145. Vincenzo Migliaro, ''Piedigrotta (La festa di Piedigrotta)'', 1895]]
Identificabile con il dipinto Piedigrotta, presentato nel 1896 all’esposizione della Società Promotrice di Belle Arti di Napoli e citato nel 1949 dallo storico dell’arte Alfredo Schettini nella monografia dedicata al pittore, l’opera è stata da allora considerata dispersa; nel 1983 è passata nel mercato antiquario col titolo La vendemmia e solo studi recenti hanno nuovamente riconosciuto nella tela l’originario soggetto.
Il dipinto, datato 1895, raffigura infatti la festa popolare di Piedigrotta che proprio in quell’anno viene celebrata in occasione della seconda edizione delle Feste Estive di Napoli con particolare ricchezza di eventi. Un gruppo di popolani è appena rientrato dalla sfilata in costume, come suggeriscono il tamburello e l’elmo della donna al centro, e tutto intorno gli altri membri di questa festosa carovana rischiarano con i fuochi la penombra della notte; in basso, un ragazzo giace assopito a causa del troppo vino mentre più in alto si affaccia il profilo di un altro giovane, quasi un moderno satiro di questo baccanale partenopeo. Sullo sfondo, il cielo si accende dei bagliori dei fuochi di artificio che assieme ai canti popolari rappresentavano sin dal 1835 una delle principali attrattive della festa di Piedigrotta.
Formatosi al Reale Istituto di Belle Arti di Napoli negli anni del profondo rinnovamento artistico avviato da Domenico Morelli, Migliaro diventa con la sua pittura di genere interprete originale dello spirito partenopeo eseguendo opere legate ai luoghi e ai costumi napoletani e, sul finire dell’Ottocento, esuberanti scene carnevalesche o piacevoli episodi di vita popolare come Il tatuaggio (1890, Pinacoteca della Provincia di Napoli), secondo un gusto che ritroviamo con identica vivacità anche nell’opera in Collezione.
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Mancini_Antonio,_Riflessi.jpg|thumb|499px|146. Antonio Mancini, ''Riflessi'', 1918-1920]]
Con quest’opera ed altri diciannove dipinti nel 1920 è allestita una mostra individuale di Antonio Mancini all’interno della XII Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia. L’evento riscuote tanto successo di pubblico da veder vendute tutte le tele, tra cui questa in Collezione, acquistata assieme ad altre quindici da un gruppo di anonimi negozianti d’arte. L’artista vi presenta il lavoro svolto durante gli anni immediatamente precedenti: a partire dal 1911 egli attraversa infatti un’intensa stagione artistica ospite a Frascati dell’imprenditore nonché mecenate e collezionista, Fernand Du Chéne de Vère a Villa Iacobini. Nel 1918 rientra a Roma dove vive con la famiglia del fratello Giovanni, il cui figlio Alfredo, primo proprietario del dipinto, conserverà a lungo altre opere dello zio.
 
La tela reca sul retro un fitto testo autografo manoscritto, con riferimenti religiosi e strali polemici contro il mondo accademico. Quest’uso spregiudicato dell’opera come veicolo di immagini ma anche di memorie ricorre in Mancini, tanto da dar vita, negli ultimi anni, all’Autoritratto: biografia (1929, ubicazione sconosciuta) dove l’effigie del pittore è affiancata da un testo nel quale egli elenca gli amici e i colleghi più cari.
Il dipinto, ambientato in un suggestivo paesaggio boschivo, probabilmente ispirato alla campagna umbra, tra Narni ed Amelia, dove l’artista si reca sovente, nel tema e nel formato trova un confronto in Musica (ubicazione sconosciuta), eseguito nel corso del soggiorno frascatano, mentre la presenza delle giovani modelle nelle quali con ogni probabilità si devono riconoscere le nipoti Enrica e Domenica, colloca l’esecuzione del dipinto dopo il rientro dell’artista a Roma, nel 1918. Un soggetto molto simile per personaggi e ambientazione è anche nell’opera Villeggiatura, esposta assieme ad altre tele di Mancini nel 1921 alla mostra “Arte Italiana contemporanea” organizzata presso la Galleria Pesaro di Milano.
Entro la cornice del bosco, una giovane suona il violino e a lei si rivolge, quasi guidandone l’esecuzione musicale, la seconda figura visibile sulla destra; in primo piano due bambine sembrano guardarsi in uno specchio il cui riflesso è fissato sulla tela. A tale artificio pittorico rimanda il titolo dell’opera: esso allude non senza ambiguità al gioco dei riflessi di luce che animano il dipinto ma anche all’idea di derivazione simbolista che la tela possa essere lo specchio dove rendere visibili le immagini serbate nella memoria.
Attraverso una stesura pittorica caratterizzata da spessi strati di materia e liberissime macchie di colore, Mancini orchestra una composizione che dalla coppia in primo piano, plasticamente definita, procede verso il paesaggio acceso dai bagliori del sole che penetra fra gli alberi ma privo di riferimenti prospettici, tanto che in esso l’immagine della giovane suonatrice sembra un’apparizione onirica più che figura reale.
[[Categoria:Gallerie di piazza Scala]]