Gallerie di piazza Scala/IX: differenze tra le versioni

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Datata 1868, l’opera segue di un anno il successo ottenuto da Filippo Palizzi all’Esposizione universale di Parigi con Dopo il diluvio (Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte). Sono gli anni in cui l’artista porta a maturità le ricerche attorno alla pittura di paesaggio e di genere, coniugando l’indagine diretta della natura con lo studio della pittura francese. Egli ha modo di conoscerla durante i ripetuti soggiorni a Parigi ma anche attraverso il fratello, Giuseppe Palizzi, che si trasferisce per alcuni anni in Francia dove entra in contatto con la scuola di Barbizon. Tra i suoi principali esponenti è Jean-François Millet che dedica al tema delle stagioni un ciclo di opere di cui si conserva una Primavera (Parigi, Musée d’Orsay). Palizzi affronta lo stesso tema allegorico: in uno scorcio di campagna, ispirata probabilmente ai dintorni di Cava de’ Tirreni dove era solito recarsi per dipingere dal vero, gruppi di bambini giocano fra loro e assieme agli animali, alludendo al risveglio della natura ai primi accenni di primavera.
Il tema delle stagioni come il gioco dei fanciulli sono soggetti presenti anche in altre opere come Primavera (già collezione Mancusi) che raffigura una pastorella e il suo gregge e Monelli che inseguono un asinello (1872, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti) ma nel dipinto in Collezione sono tradotti in una composizione più articolata: nell’ampia cornice scenografica del paesaggio campestre, scandito al centro dal roseto in fiore, Palizzi accosta una serie di piccoli episodi creando una scena corale di grande vivacità. Con una stesura pittorica sempre libera ma sensibile ai valori luminosi, Palizzi riporta sulla tela i più piccoli dettagli di questo paesaggio, dai rinnovati colori degli alberi che germogliano ai delicati effetti di luce nel cielo, attraversato da nubi ora sottili ora più dense. Negli anni successivi il pittore abbandonerà questi ampi scorci di paesaggio, di grande impegno per la loro meticolosa esecuzione, privilegiando scene più intime.
 
*'''129. Francesco Mancini, ''Rotten Row, Hyde Park'', 1876'''
 
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Mancini Francesco, Hyde Park.jpg|thumb|499px|129. Francesco Mancini, ''Rotten Row, Hyde Park'', 1876]]
 
 
Eseguita nel 1876 ed esposta nel 1884 all’annuale manifestazione della Società di Belle Arti di Napoli, l’opera proviene dalla collezione di Odoardo Casella ed è stata acquistata nel 1967 presso la Galleria Geri di Milano. Raffigura un gruppo di eleganti amazzoni nel parco londinese di Hyde Park, soggetto non nuovo nell’arte di Mancini che a partire dagli anni Settanta si reca più volte nella capitale britannica così come a Parigi. Il pittore si sofferma lungo la Rotten Row, nome derivato dal francese Route du Roi e che indica la strada costruita sul finire del XVII secolo per permettere il passaggio del re attraverso il parco, successivamente divenuta meta delle passeggiate a cavallo della nobiltà londinese.
Rispondendo alle richieste del mercato artistico del tempo e guardando alle opere di Giuseppe De Nittis, formatosi come lui a Napoli e in seguito trasferitosi in Francia dove diviene il pittore dell’elegante borghesia parigina, Mancini esegue durante questi soggiorni numerose scene di vita contemporanea, ispirate in particolare ai riti dell’alta società. Il soggetto mondano è affrontato senza mai dimenticare la lezione naturalista di Giuseppe Palizzi, il cui studio Mancini frequenta durante il periodo della propria formazione, diventando negli anni Settanta e Ottanta pittore paesaggista fra i più apprezzati nell’Italia meridionale.
Dal novembre 2011 l’opera è visibile nell’allestimento delle Gallerie d’Italia a Milano.
*130. Antonio Mancini, ''L'ispirazione'', 1874
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Favretto_Giacomo,_La_pollivendola.jpg|thumb|499px|131. Giacomo Favretto, ''La pollivendola'', 1880 ca]]