Gallerie di piazza Scala/XII: differenze tra le versioni

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[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Lojacono_Francesco,_Le_paludi.jpg|thumb|499px|184. Francesco Lojacono, ''Le paludi'', 1900-1910]]
 
Databile al primo decennio del Novecento, è comunque precedente a Tramonto sull’Anapo (1910-1915 circa, Palermo, Fondazione Banco di Sicilia), opera di minori dimensioni raffigurante un identico soggetto ma condotto con una stesura pittorica più abbreviata, riferibile agli ultimi anni di attività dell’artista. In entrambe le tele egli si ispira ai luoghi nei dintorni dei fiumi Anapo e Ciane in Sicilia, ai quali aveva già dedicato una delle opere presentate all’Esposizione nazionale di Palermo del 1891-1892, soggetti che ricorreranno negli anni seguenti in diversi altri dipinti tra i quali Sulle rive dell’Anapo, presso Siracusa, esposto a Venezia nel 1910 (Piacenza, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi).
La pittura di paesaggio, alla quale Lojacono si accosta verso la metà dell’Ottocento seguendo la lezione di Filippo Palizzi, matura sul finire del secolo verso toni più intimisti, portandolo a descrivere i luoghi della sua Sicilia non più come vedute piene di luce ma come scorci ombrosi resi in rapide impressioni pittoriche.
Nell’opera in Collezione è raffigurato il paesaggio paludoso che caratterizza l’entroterra siracusano lungo le sponde dei fiumi Anapo e Ciane, secondo un’iconografia divulgata già in anni precedenti attraverso la fotografia da autori come Giorgio Sommer e successivamente resa popolare da numerose serie di cartoline. Rispetto al dipinto oggi conservato a Palermo il tocco pittorico pur abbreviato risulta ancora attento al dettaglio naturalistico e ai valori cromatici: se nel Tramonto sull’Anapo la luce del sole calante è resa nei soli toni del giallo e del rosa, qui trascolora dal grigio azzurro al giallo arancio con un ricco gioco di riflessi sull’acqua, e la pennellata, che si fa ora allungata ora a piccoli tocchi, ricrea nel cielo l’addensarsi delle nuvole e, lungo le rive del fiume, le ombrose fronde della vegetazione.
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[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Morbelli_Angelo,_Sogno_e_realt%C3%A0_(trittico).jpg|thumb|499px|186. Angelo Morbelli, ''Sogno e realtà'', 1905]]
 
Il trittico, proveniente dalla raccolta milanese di Federico Aurnheimer e successivamente passato in quella di Pietro Ruffini che ne possedeva anche il disegno preparatorio, è apparso nel 1905 alla VI Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia.
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Carcano_Filippo,_Il_gregge_o_L%27Umanit%C3%A0.jpg|thumb|499px|187. Filippo Carcano, ''Il gregge (L'Umanità)'', 1906]]
Il pittore riprende un tema ricorrente nella sua pittura, affrontato fin dal 1888 quando, all’annuale manifestazione dell’Accademia di Brera, ottiene il premio Fumagalli con il dipinto Giorni... ultimi! (Milano, Galleria d’Arte Moderna), già esposto a Venezia nel 1887 e primo di una serie di opere eseguite nell’arco del decennio successivo sulla condizione degli anziani ospiti del Pio Albergo Trivulzio in via della Signora.
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Giuliano_Bartolomeo,_Le_Villi.jpg|thumb|499px|188. Bartolomeo Giuliano, ''Le Villi'', 1906]]
All’inizio del nuovo secolo una rinnovata attenzione per il tema porta il pittore ad allestire un proprio studio nel palazzo Trivulzio, prima del trasferimento dell’istituto, nel 1910, in un più ampio complesso alla periferia cittadina. Queste ricerche conducono Morbelli dal verismo della sua prima pittura sociale a una riflessione che accoglie una nuova sensibilità vicina al simbolismo, nell’ambito di uno studio sempre più maturo sui principi scientifici della pittura divisionista. Esito di questi anni di lavoro è il ciclo di dipinti intitolato Poema della Vecchiaia, di cui il trittico in Collezione rappresenta l’epilogo. Nel 1904 il pittore, descrivendo l’opera non ancora ultimata all’amico Giuseppe Pellizza, parla di due anziani coniugi che, assopiti, ricordano in un sogno comune l’idillio dell’amore passato. L’ultima età della vita si ricongiunge così a quella giovanile attraverso il sogno e il ricordo e questa labile continuità, simbolo del ciclo della vita, è fisicamente scandita dall’arabesco della balaustra che ricorre nella visione onirica della giovane coppia così come nell’immagine dei due anziani addormentati. Il tema del ricordo come rievocazione di un’età della vita ormai trascorsa, già presente nella letteratura decadente, può considerarsi il filo conduttore delle opere eseguite in questi anni: citiamo almeno Mi ricordo quand’ero fanciulla (Tortona, Collezione Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona), presentata nel 1903 assieme ad altri cinque episodi del Poema alla V Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia.
 
*'''187. Filippo Carcano, ''Il gregge (L'Umanità)'', 1906'''
 
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Carcano_Filippo,_Il_gregge_o_L%27Umanit%C3%A0.jpg|thumb|499px|187. Filippo Carcano, ''Il gregge (L'Umanità)'', 1906]]
 
L’opera proviene dalla collezione di Pietro Baragiola (1854-1914), deputato, industriale e pioniere dei nuovi metodi di agricoltura nelle sue tenute di Rogoredo e Orsenigo, nonché mecenate illuminato e collezionista d’arte contemporanea, ricordato alla sua morte con l’edizione di un premio per la pittura di paesaggio dal vero a lui intitolato, e fra i principali estimatori della pittura di Filippo Carcano. La grande tela può essere identificata con Il gregge, dipinto presentato alla mostra personale allestita in occasione dell’Esposizione nazionale di belle arti di Milano del 1906. Alcuni anni più tardi Carcano esegue una replica all’acquerello dal titolo L’Umanità con la quale partecipa nel 1911 all’Esposizione della Società degli acquerellisti lombardi. Da questo momento in poi la critica indicherà con lo stesso titolo anche il dipinto in Collezione.
Il pittore raffigura entro una composizione suddivisa dalla linea dell’orizzonte un gregge in cammino verso il sole al momento del suo sorgere, metafora del percorso dei fedeli alla ricerca della guida salvifica di Cristo, non a caso accostata nel 1906 al dipinto Divin Pastore (collezione privata).
Il soggetto religioso e l’attenzione per iconografie dal carattere mistico-simbolico non sono nuovi nell’opera di Filippo Carcano che, a partire dall’ultimo decennio del XIX secolo, affianca ai soggetti più tradizionali della pittura naturalista i temi del moderno simbolismo. Nel 1897 egli ottiene il premio Principe Umberto presentando alla II Triennale di Milano Gesù che bacia l’Umanità (collezione privata) e negli anni seguenti torna ad affrontare questi soggetti, fino a Il gregge dove la pittura si alleggerisce di ogni accento naturalista e si semplifica nelle sole tonalità grigio-turchine. La stesura pittorica è condotta con brevissime pennellate che sfiorano la trama della tela, su una preparazione grigia dove le forme appaiono per accostamento di tocchi; la raffinatezza tecnica dimostra le notevoli qualità artistiche del pittore che, formatosi alla scuola del naturalismo lombardo e tra i suoi principali esponenti, è negli anni della maturità ancora un grande innovatore.
 
*'''188. Bartolomeo Giuliano, ''Le Villi'', 1906'''
 
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Giuliano_Bartolomeo,_Le_Villi.jpg|thumb|499px|188. Bartolomeo Giuliano, ''Le Villi'', 1906]]
 
 
Presentata all’Esposizione nazionale di belle arti di Milano del 1906 assieme ad altri due dipinti, Sotto l’onda e Al bagno, l’opera si ispira alle figure mitologiche della cultura slava, diffuse attraverso la letteratura europea nel corso dell’Ottocento e divenute celebri con il balletto Giselle del compositore francese Adolphe-Charles Adam: qui le Villi sono gli spiriti di giovani donne morte prima del matrimonio che nelle tenebre della notte si risvegliano per vendicare l’amore tradito. A questo soggetto si ispirò anche Giacomo Puccini nella sua prima opera, Le Villi, su libretto di Ferdinando Fontana, rappresentata per la prima volta al Teatro Dal Verme di Milano nel 1884, quindi acquistata dall’editore Giulio Ricordi e messa in scena con alcune modifiche al Teatro alla Scala l’anno seguente.
Dall’opera pucciniana prende spunto il pittore, raffigurando sulla tela una scena del secondo atto quando il padre della protagonista Anna invoca le magiche creature per vendicare il tradimento di Roberto, fidanzato della figlia. Gli spiriti femminili sono raffigurati nella vorticosa danza che porterà alla morte l’uomo, secondo un’iconografia ripresa anche in altre opere di simile derivazione letteraria come La danza delle ore di Gaetano Previati, ma che qui rimarca piuttosto la suggestione musicale. Il pittore insiste infatti sull’ambientazione magica data dalla penombra del bosco e dai riflessi lunari che si riverberano sulla superficie del lago sul quale danzano gli spiriti eterei. L’interesse per un soggetto fantastico-allegorico, anche se non frequente nell’arte di Bartolomeo Giuliano che fu abile esecutore di scene di genere, di paesaggi e di soggetti storici, si ritrova nella sua attività di decoratore per la quale citiamo l’affresco Nascita di Venere, realizzato nel castello dei conti San Martino a Castellamonte, in provincia di Cuneo.
 
*'''189. Gaetano Previati, ''La danza delle Ore'', 1899'''
 
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Previati_Gaetano,_La_Danza_delle_Ore.jpg|thumb|499px|189. Gaetano Previati, ''La danza delle Ore'', 1899]]
 
*190. Giorgio Belloni, ''Calma'', 1913
Apparsa nel 1899 alla III Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia l’opera è accolta da una critica poco entusiasta sia per il soggetto, di cui non si coglie il significato simbolico, sia per la resa pittorica a colori divisi. Sarà il mercante d’arte Alberto Grubicy, artefice insieme al fratello Vittore della diffusione in Italia della pittura divisionista, a sostenere il valore del dipinto proponendolo in successive esposizioni, tra cui quella di Monaco nel 1901 e la personale allestita a Venezia quello stesso anno. Nel 1919 entra nella collezione di Carlo Sacchi accanto ad altri capolavori del pittore e ad opere anch’esse divisioniste di Vittore Grubicy, Emilio Longoni e Giuseppe Pellizza per essere infine acquistato nel 1927 in occasione della vendita all’asta che disperse la raccolta milanese. La Cassa di Risparmio deliberò per il dipinto la spesa di 170.000 lire stabilendo con il collezionista che una parte consistente della cifra venisse devoluta in beneficenza agli istituti per la cura della tubercolosi “Villa dei Pini” di Urago d’Oglio e “Opera Leone XIII” di Chiavari.
Previati svolge un tema iconografico presente fin dalla pittura decorativa del Rinascimento reinterpretandolo e traendo ispirazione, anche nel titolo, dall’omonimo e allora celebre balletto del terzo atto della Gioconda, opera composta da Amilcare Ponchielli su libretto di Arrigo Boito, messa in scena per la prima volta a Milano nel 1876 e ispirata a sua volta a un dramma di Victor Hugo.
Nel dipinto dodici figure femminili raffiguranti le Ore e personificanti nella mitologia le stagioni, danzano fra il sole e la terra in uno spazio cosmico inondato di luce, descrivendo un cerchio che allude al continuo e infinito susseguirsi del giorno e della notte. La danza diventa quindi l’allegoria del tempo come legge che governa la vita e nella traduzione pittorica divisionista essa allude anche all’idea di un universo percepito come pura luce e pura musica, concetto ricorrente nel simbolismo e, in particolare, nella poesia di Baudelaire e Mallarmé. Il tema non era nuovo tra i pittori divisionisti: lo aveva già affrontato nel 1888 Giovanni Segantini in Le ore del mattino (Milano, collezione privata) e lo stesso Previati tornerà a elaborarlo negli anni seguenti in opere come il trittico Il Giorno (Milano, Camera di Commercio, dell’Industria e dell’Artigianato).
 
*'''190. Giorgio Belloni, ''Calma'', 1913'''
 
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Gola_Emilio,_Ritratto_di_Signora.jpg|thumb|499px|191. Emilio Gola, ''Ritratto di signora'', 1903]]
*[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Sartorio_Giulio_Aristide,_Dittico_-_Risveglio.jpg|thumb|499px|192. Giulio Aristide Sartorio, ''Risveglio'', 1908-1923]]