Gallerie di piazza Scala/III: differenze tra le versioni

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*Tecnica/materiale Olio su tela
*Dimensioni Altezza: 72.5 cm. Larghezza: 94.3 cm.
Il dipinto è pervenuto in Collezione dal mercato antiquario nel 1985 come opera di Giovanni Migliara, e in seguito riferito ad un anonimo pittore bergamasco. Una recente ipotesi critica propone l’attribuzione dell’opera a Pietro Ronzoni, paesaggista e vedutista di successo attivo tra Bergamo e Verona. L’inter­no della filanda Mylius a Boffalora (Villa Vigoni, Loveno di Menaggio) di Giovanni Migliara condivide con l’opera in Collezione il tema e l’impostazione prospettica, ma la rigidità e le fisionomie dei personaggi rimandano alle figurette che popolano le giovanili vedute urbane di Bergamo, eseguite da Ronzoni.
Nella filanda affacciata sul cortile si svolge l’attività di trattura, che prevede l’estrazione del filo di seta e il suo avvolgimento su aspi. L’artista restituisce un’immagine realistica e dettagliata dello stabilimento: le aiutanti portano cesti pieni di bachi e riempiono d’acqua le bacinelle delle operaie, a loro volta impegnate ad estrarre ed avvolgere il filo, mentre una sorvegliante verifica il buon andamento del lavoro. Per facilitare la separazione dei filamenti, i bozzoli erano collocati in recipienti pieni d’acqua, riscaldata da un’unica caldaia a vapore, come quella raffigurata in primo piano, introdotta negli stabilimenti tecnologicamente più avanzati dal primo quarto del secolo.
Il soggetto ricorre nei cataloghi delle esposizioni di Belle Arti di Brera a partire dagli anni Trenta: fu ripetutamente affrontato da diversi artisti, tra cui Pompeo Calvi, Giovanni Migliara, Gaetano Gariboldi, Ambrogio Fermini, ma conobbe un’ampia diffusione attraverso le riproduzioni a stampa della seconda metà del secolo e, in seguito, mediante la riproduzione fotografica. La fortuna iconografica del tema si spiega con il desiderio di esibire i successi imprenditoriali dell’alta borghesia e dell’aristocrazia, in un settore produttivo che andava evolvendosi rapidamente e che alla metà del secolo costituiva la più diffusa e capillare forma di lavoro manifatturiero in Lombardia. Prendeva avvio al contempo un interesse del pubblico per gli aspetti tecnici della produzione che troverà piena affermazione con le esposizioni universali, nei padiglioni dedicati alle industrie e agli stabilimenti produttivi.
 
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