Fisica e filosofia: differenze tra le versioni

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2 – Condizioni per l' effettivo superamento della realtà strutturale
storica.
 
Capitolo 10:
Natura umana e personalità dei singoli
§ 1: Base bio-ormonale della soggettività e personalità
1 - L' origine etimologica del termine persona indica una maschera del soggetto. La neuro-endocrinologia afferma vi sia una base bio-ormonale della personalità. Gli psicologi parlano di “risonanza psichica” per i contraccolpi psicologici provocati dalla coscienza di disarmonie e deficienze del nostro corpo (1). Il prof. Kagan ha dimostrato come gli elementi caratteriali di base, quale ad esempio la timidezza, si formino nel periodo peri-natale, incluso il periodo fetale (2). Le variazioni di personalità ottenute attraverso una modulazione di enzimi dimostra il rapporto intercorrente tra la biologia e la psiche (3). Le donne occidentali dimostrano di avere una coscienza di sé, magari distorta, ma più viva e profonda degli uomini. Questo è conseguenza di un' educazione specifica all'auto-esaltazione ed a crearsi un'autonomia in rapporto agli uomini. Appare tuttavia co-determinata da una socialità più soddisfacente rispetto a quella degli uomini, sebbene la loro sessualità appaia non meno repressa di quella maschile. Gli psicologi parlano, al riguardo, di una maggiore sublimazione del loro bisogno di sessualità. La frigidità femminile, che alcune statistiche fanno ritenere molto elevata (quantificata, nella 2^ metà del XX secolo in circa il 60 % delle donne), secondo alcune teorie psicologiche pare derivi da esperienze negative nel periodo peri-natale, come la scarsa presenza paterna nell'infanzia o da malformazioni fisiologiche (vaginali). Tale fatto ne determina la scarsa reattività sessuale, data la scarsa o nulla capacità orgastica, privandole più o meno completamente del bisogno esplicito di sessualità. Questo rende le donne interessate al fenomeno della frigidità costituzionalmente infelici, per la non rispondenza del bisogno esplicito al bisogno inconscio o tendenza naturale. Questo le induce a creare una socialità distorta, essendo basata su dati irreali. Rende i partners di queste donne particolarmente infelici e stressati non solo per l'insoddisfazione sessuale, la quale può anche essere evitata (per l' uomo) nel caso di una discreta ricettività sessuale, magari indotta dalla residua ideologia matrimoniale sul dovere coniugale, quanto dalla frustrazione derivante all' uomo dalla constatazione dell' impossibilità della soddisfazione sessuale della partner. Questo distorce il rapporto tra gli stessi partner della coppia in relazione alla loro stessa socialità. Rende la socialità maschile ugualmente distorta ed irrazionale. Se il genere femminile umano ha superato la ricettività sessuale puramente connessa alla riproduzione sul piano fisiologico, non così è ancora sul piano psicologico, dove solo una minoranza di donne ha una capacità orgastica che le rende superiori, sul piano della sessualità, alla limitata resistenza media del sesso maschile, mentre la maggioranza può agevolmente fare a meno della sessualità, non avvertendone il bisogno esplicito. Tale fatto ha determinato rimedi diversi a seconda delle regioni del pianeta: la poligamia presso i popoli di religione “islamica” e l' infedeltà coniugale nei paesi a prevalente religione “cristiana” (4). Vi è, dunque, un' origine strutturale di molti elementi della personalità, che si sovrappongono all' individualità del singolo. I neuro-chimici e gli studiosi di psico-somatica parlano, peraltro, di possibilità di “conversione” psico-somatica, ossia di possibilità di mutazione caratteriale, operabile attraverso le modificazioni di peptidi o neuropeptidi, i quali sono strumenti di comunicazione dei segnali nervosi, prodotti o secreti dalla colecisti (5).
2 - Le emozioni nascono da reazioni chimiche e dalle emozioni nascono i sentimenti e l' attività logico-razionale (6). Alcuni ricercatori attribuiscono a predisposizioni genetiche i caratteri aggressivi e violenti (7). L' eccesso di emotività inibisce l'affettività ed il raziocinio. L' emotività diverge dall' istintualità, sebbene in origine, ossia all' inizio dell' evoluzione biologica, si identificassero. Col progredire dell'affettività e del raziocinio, l' emotività si sviluppa in modo proporzionale, mentre si riduce quella che è definita istintualità, ossia l' emotività avulsa dalla riflessione o da ogni forma di pensiero. Nei soggetti ove l' emotività deborda od è più marcata, si ha inibizione dell' affettività e del raziocinio. Questo avviene in quanto l' emotività è, in sé, lo strumento dello sviluppo dell' affettività e del raziocinio, ma può svilupparsi in modo abnorme, inibendo lo sviluppo dell' affettività e del raziocinio. La teoria orientale della “kundalini”, come fonte della conoscenza e del pensiero creativo, si basa sulla convinzione del legame esistente tra energia sessuale e capacità creativa. Tale legame viene evidenziato ove l' energia sessuale, nascente dal desiderio od istintualità naturale, venga sublimata nella creatività psichica e non convogliata unicamente in attività sessuale. La logica pura, avulsa da ogni affettività, non è assimilabile al pensiero umano, essendo pura meccanicità logica. Si ha affettività se la logica viene utilizzata per riflettere sul soggetto. Per questo processo di feed – back occorrono indicatori capaci di dare riferimenti all' autoanalisi. Nei corpi viventi, ad esempio, tali indicatori sono le reazioni sensitive del corpo, le quali forniscono la base delle emozioni. Realizzando tale riflessione sul soggetto si determina l'affettività, come vitalizzazione del processo logico. Il raziocinio è definibile come il pensiero umano, il quale comprende la logica e l' affettività. Tale raziocinio, se corretto e corrispondente all' affettività naturale dell' individuo, è definibile come razionalità. Il bisogno primitivo che ha il bambino neonato verso la madre è espressione e sintomo dell' esistenza di una naturale pulsione sociale o bisogno di socialità, componente essenziale della razionalità.
3 - Il dolore è un fatto di natura organico-biologica con componente psicologica. Il dolore può essere, infatti, inibito attraverso un sistema insieme organico e psicologico, dove la psiche assume un ruolo predominante (8). Gli squilibri tra emozioni, da un lato, e sentimenti e raziocinio, dall' altro, sono dovuti ad occlusioni che impediscono la corrispondenza tra i suddetti elementi, con eccessi di emotività o sue deficienze. Tali occlusioni si producono a causa di traumi psicologici. Le tecniche psicologiche e “psicanalitiche” consentono di scoprire tali traumi e di trasformare l' emozione eccedente che si produce in tali situazioni, in azione fisica o psichica, al fine di riequilibrare gli elementi psichici fondamentali. Ne consegue una riduzione del comportamento irrazionale dei soggetti. L' incoerenza tra immagine di sé ed io reale può condurre l' individuo o alla frustrazione nevrotica od all'adeguamento traumatico dell' immagine di sé.
§ 2: Distinzione tra individualità e personalità
1 – La distinzione tra individuo e persona è la distinzione tra la natura e l’ identità profonda del singolo e le sue caratteristiche culturali, mutuate dallo specifico sistema sociale in cui l’ individuo è integrato. Le disposizioni interiori del soggetto: caratteristiche fisiologiche e basi istintuali, costituiscono l’ individualità del soggetto, mentre l’ interrelazione di questa individualità con l’ esperienza, ossia con la realtà strutturale storica costituisce la personalità. Platone affermava che la natura dell’“anima” sia estranea al carattere che l’ individuo acquisisce, riconoscendo la diversa natura di queste due entità (1), riconoscendo come la parte naturale sia nascosta ed ignota, essendo coperta dalla “realtà”. La filosofia araba definisce “intelletto in atto” il pensiero, “intelletto acquisito” il carattere ed “intelletto potenziale” la mente potenziale umana o natura mentale (2). La psicologia occitendentale identifica l’ individualità con la personalità, parlando sempre e solo di personalità. Radcliffe-Brown distingueva tra persona ed individuo, definendo altresì il concetto di “personalità sociale” (3), come totalità dei rapporti sociali dell’”individuo”. La suddetta concezione implica una natura umana estranea alla realtà strutturale storica ed in conflitto con quest’ ultima in modo più o meno marcato. I ricercatori di Palo Alto affermavano che se si isola un individuo per studiarne il comportamento si finisce per studiare la “natura della mente umana” (4), mentre se si include l’ individuo studiato in un gruppo dove il comportamento si esplichi nella comunicazione, se ne studia il comportamento vero e proprio. L’ analisi compiuta dagli “interazionisti” (come Goffman) rivela “dimensioni inattese della possibilità del soggetto di sfuggire al controllo totale dell’ ambiente sociale” (5). La realtà strutturale storica è dunque riconosciuta come una realtà estranea alla natura umana e gli individui possono astrarsi dalla logica di tale realtà e quindi superarne la logica. Benedetto Croce riconosceva che la storia non coinvolga l’ individualità più intrinseca del singolo o la sua essenza “per sé” (6). Riteneva, infatti, che la storia rimanga esteriore rispetto all’ individualità più intrinseca e quest’ ultima sia insieme “universale ed individuale”. Croce affermava che l’ individualità, fuori della storia, non sia altro che “ombre di uomini” (7). Gli aspetti più individuali dei personaggi storici, allorché si manifestino nella storia, non sono altro che “incidenti” all’ interno della”storia, che è la vita e il pensiero” (8) o “spirito del mondo” (9), esterna all’anima individuale.
2 – Gli psico-sociologi parlano di “personalità modale” (10) per indicare i comportamenti tipici di una data cultura, in analogia col concetto (meno scientifico) di stereotipo nazionale. Gli antropologi rilevano l’esistenza di un nesso tra tipo di educazione infantile (neonatale e della prima infanzia) e relativo carattere modale o “struttura di base della personalità” (11). Questo dimostra come l’ educazione della prima infanzia sia d’ importanza fondamentale nel costituire la personalità. Si afferma che l’ educazione di tipo affettivo (love – oriented od autorevole) porti ad una maggiore interiorizzazione delle norme sociali e quindi ad un maggiore adattamento alla realtà strutturale, mentre l’ educazione correttiva (object – oriented od autoritaria) conduca all’ obbedienza in presenza di controlli con maggiore indipendenza interiore dalla realtà strutturale in atto. Il primo metodo permetterebbe un maggiore sviluppo dell’ intelligenza, facilitando l’ accesso alle idee, simboli e rapporti astratti. L’influenza sui bambini di strutture educative collettive e la progressiva scomparsa della figura del padre (anche in rapporto con la crisi della famiglia), genera una personalità tesa alla ricerca dell’ autorità totalizzante e del collettivismo (12). Questo anche come reazione all’ attenuarsi dell’ affettività familiare e l’ attenuarsi contemporaneo della correttività. L’ abbandono totale della correttività ed altresì di ogni forma di educazione determina atteggiamenti di furberia spicciola estranei ad ogni razionalità, ossia la crescita di atteggiamenti irrazionali. La psicologia afferma che le carenze affettive subite dai bambini nell’ età dell’“imprinting” determinino un’ immagine di sé negativa, come soggetto perdente e ne condizionino la personalità in modo da impedirgli di avere successo nella vita e di auto-realizzarsi.
3.1 - Immanuel Kant affermava che l’ errore o l’ irrazionale nasca “dall’ influsso inavvertito della sensibilità sull’ intelletto” (13). Si può dire che l’ irrazionalità nasca dall’ influsso della realtà strutturale sull’ intelletto umano, ma egli affermava che l’irrazionale nasca anche dalla sensibilità umana, ossia da una facoltà della psiche. Da una irrazionalità insita nella psiche umana, nascerebbe dunque l’ esigenza di dar luogo alla realtà strutturale. Le religioni attribuiscono alla fallibilità ed all’irrazionalità umana ogni evento irrazionale, connesso con la realtà strutturale statuale. La natura umana presenta, invero, elementi di irrazionalità, che stanno alla base dell’ esistenza stessa delle strutture storiche, ma la natura umana è in continua evoluzione e tale evoluzione consente di supporre che l’ irrazionalità sin qui dimostrata possa essere superata e con lei le strutture storiche (statuali e pre-statuali) che cristallizzano l’ irrazionalità umana e la rendono perenne, facendola apparire connaturata all’ essere umano, come tendono a far credere le religioni. L’ io ideale si costituisce sulla base delle pulsioni originali del soggetto, pulsioni che sono tra loro, di per sé, non contraddittorie.
3.2 - Hobbes affermava che i “caratteri del cuore umano” siano “macchiati e confusi” da “artificiose, bugiarde, contraffatte ed erronee dottrine”. Questo dimostra come egli si rendesse conto della natura artificiosa della realtà strutturale e la sua nefasta influenza sul carattere stesso degli esseri umani. Smith affermava che le passioni interdicano la razionalità. La natura di origine strutturale delle passioni è la causa dell' irrazionalità delle passioni stesse (14). L'irrazionalità è anche conseguenza di contraddizione o contrasto tra i desideri del soggetto. Questo si verifica quando i bisogni esogeni od inautentici si contrappongono ai desideri naturali del soggetto. I bisogni inautentici, essendo recepiti dal soggetto, ne modificano il modo di espressione al punto da costituirne il carattere e da sostituire gli stessi desideri naturali. Norberto Bobbio distingueva tra desideri e passioni, da un lato, ed interessi e bisogni, dall' altro. Con i primi due intendeva quelli che noi definiremmo i bisogni irrazionali od impropri od estranei alla natura umana. Con i secondi intendeva i bisogni autentici o razionali. La personalità, base dell' io reale, inizia a costituirsi nell' età dell' imprinting e presenta le contraddizioni tra le pulsioni, i bisogni in fase di cristallizzazione ed i desideri. Tale divario o contrasto è evidenziato dal dissidio tra inconscio e coscienza. La fine dell' irrazionalità esteriore, costituita dalla realtà strutturale storica, potrà conciliare l' io ideale con l' io reale, tendendo a far coincidere coscienza ed inconscio e la personalità con le tendenze autentiche. La “psicanalisi” identifica l' io ideale col “super-io” o complesso tendente all'identificazione col genitore dello stesso sesso e col suo comportamento adattivo. In tal modo si porrebbe in contrasto con le pulsioni di base, definite “es”. L' io ideale può invece essere inteso come costruzione soggettiva mirante a conciliare personalità e pulsioni (l' “io” ed “es” della “psicanalisi”), nella realizzazione piena dei fini assunti dall' individuo, in armonia con le pulsioni autentiche o di base. Il divario tra io ideale ed io reale è sintomo di irrazionalità caratteriale ed è, essenzialmente, di origine esterna all' individuo. L'irrazionalità insita nel comportamento di un individuo può essere connessa a passioni, più o meno momentanee, Tali passioni si sostanziano in deviazioni dei bisogni causate da ingorgo emozionale. L' irrazionalità connessa con le passioni è definita “incapacità o mancanza di ragione e di volontà”. Tale irrazionalità si manifesta, all' interno della realtà strutturale storica, in ogni individuo sufficientemente integrato in tale realtà e nei vari sistemi sociali in atto nei vari momenti della vita dei singoli. Le passioni non sono necessariamente irrazionali per loro natura, pur avendo elementi di irrazionalità. Le passioni sono sinonimo di sentimenti molto intensi. Nella realtà strutturale storica i sentimenti molto intensi sono ostacolati nel loro esprimersi. L'espressione intensa dei sentimenti finisce per doversi concentrare su un solo oggetto ed esprimersi in modo squilibrato e, prescindendo da una corretta analisi razionale, si carica di elementi irrazionali, trasformandosi in un fatto irrazionale. L'io ideale è identificabile col “sè” di molte teorie psicologiche: è definibile infatti come l' io più profondo, cui l' individuo tende ad identificarsi. La società strutturale storica, finchè non si creino i presupposti per la realizzazione della socialità diretta o non mediata dalle strutture storiche, rimane l'unico ed indispensabile mezzo di realizzazione della socialità e di realizzazione tout court degli individui stessi. L'individuo interiorizza, fin dalla nascita e forse ancor prima, la logica strutturale della realtà storica in atto, nei suoi meccanismi, linguaggi e logiche. I tentativi iniziatici, ascetici e mistici di creare una realizzazione dell' individualità avulsa dalla società in atto, non creando alternative alla società reale ed alla sua interiorizzazione, non crea nuove forme di socialità, ma distrugge solo la mente e spesso anche il corpo di chi vi aderisce, creando fanatismi ed illusioni esiziali.
4 - I desideri o tendenze naturali sono considerati, da Pareto e da altri pensatori, irrazionali e fonte del comportamento illogico od irrazionale dell' umanità. Egli, infatti, li definiva “residui” della realtà strutturale che, peraltro, egli considerava connaturata con la natura umana. In realtà le tendenze di base devono essere poste a fondamento della scienza dell' uomo, della sua individualità e socialità e della costruzione di una realtà sociale post-strutturale, in quanto fondamento di quello che Kant definisce “pensiero intellettivo”. I bisogni sono generati dall' abitudine a compiere un determinato atto. La tendenza di base si soddisfa però sempre meno quanto più il bisogno è radicato, poiché essa spinge l'individuo a ricercare una soddisfazione sempre più profonda e piena, che la soddisfazione del semplice bisogno non può conferire, anche se la soddisfazione di quel dato bisogno diviene necessaria per il soggetto (15). Le tendenze di base consistono in elementi naturali soddisfattibili solo attraverso la manifestazione piena dell' essere del soggetto e che dunque spingono a tale pienezza, la quale è il massimo della desiderabilità per il soggetto stesso. Sebbene i desideri di base di un individuo possano essere, in sé, contraddittori, non da questo deriva l'irrazionalità del soggetto. Infatti i bisogni e la loro strategia di soddisfazione possono consentire la soddisfazione di desideri di base apparentemente antitetici o conflittuali. Tipico è il caso della compresenza in un individuo di tendenze maschili e femminili, che alcuni ricercatori attribuiscono alla compresenza, nel feto, di ormoni opposti. L' irrazionalità non va attribuita a tale apparente conflitto ma, eventualmente, alla strategia di soddisfazione dei desideri di base, incapace di soddisfarli compiutamente. La precisa conoscenza delle tendenze naturali può consentire al singolo di attuare la strategia che gli può consentire la piena auto-realizzazione o piena soddisfazione dei desideri di base o tendenze naturali. Le tendenze naturali possono essere definite bisogni inconsci. I bisogni consapevoli diventano tali allorché vi sia la possibilità concreta della loro soddisfazione, o meglio diventano realmente coscienti solo con l' esperienza concreta di soddisfazione. Le felicità deriva dalla convergenza o coincidenza tra bisogni inconsci e bisogni consapevoli. I bisogni naturali od autentici, degli individui, sono definibili come bisogni ontologici o fondamentali di ogni essere umano. Essi sono modulati sulla peculiarità espressiva del soggetto che ne caratterizza l' individualità, al di là del carattere, il quale ultimo tende anzi ad attenuare le caratteristiche di individualità del soggetto, incrostandolo della logica strutturale, i cui elementi distorcono i bisogni naturali dei singoli (16). Non si può escludere che alla base della psiche non vi sia che un unico desiderio, analogo a quello che Freud definisce “libido”, ma tale desiderio di base ha sicuramente in sé due aspetti: uno strettamente individuale o teso alla manifestazione piena di sé, l' altro come tensione verso una socialità piena: fisica, razional-conoscititva ed affettiva. In tal caso i desideri di base o tendenze naturali non sono che le ulteriori articolazioni degli aspetti di quest' unica spinta vitale. Si può affermare come la “civiltà”, ed il “processo di civilizzazione”, non siano frutto della “sublimazione della libido” ma il percorso di soddisfazione della spinta vitale. I desideri di base sono definiti correntemente “bisogni fondamentali” o pulsioni di base. Questo può evitare equivoci dovuti al fatto che per desideri si intende generalmente le pulsioni momentanee, le quali possono divergere dalle pulsioni di base, essendo connesse ad emozioni momentanee derivanti al soggetto dall' influenza della realtà strutturale (17). Al fine di superare i desideri inautentici, che inibiscono la soddisfazione dei bisogni autentici occorre che l'individuo si costruisca una valida autorità interiore: ossia un fine molto solido e sentito (una gerarchia solida e ben ordinata di valori). La non contraddittorietà delle tendenze di base degli individui è assicurata dall' essenza stessa della vita “che è, in ogni forma vitale, tendenza alla sintesi, all' unità” (18). La teoria orientale della “kundalini”, come fonte della conoscenza e del pensiero creativo, si basa sulla convinzione del legame esistente tra energia sessuale e capacità creativa. Tale legame viene evidenziato ove l' energia sessuale, nascente dal desiderio od istintualità naturale, venga sublimata nella creatività psichica e non convogliata unicamente in attività sessuale. Freud e Lacan hanno evidenziato i meccanismi con cui i significanti ed i significati si sostituiscono alle tendenze, determinando la rimozione di queste ultime. Questo comporta la “rimozione” del soggetto stesso, ossia il suo annullamento. L'effettivo superamento della realtà strutturale consentirà di vivere secondo le tendenze naturali degli individui.
§ 3: Definizione ed essenza della razionalità
1.1 - Platone distingueva i seguenti elementi:
-       la ragione (o raziocinio),
-       l’ appetitivo (od istinto),
-       l’ animoso (od affettività).
Affermava che l' animosità sia affine al raziocinio ed entri in equilibrio con quest'ultimo (1). Affermava, poi, che entrambe queste facoltà dominino l'appetitività od istintualità (2).
1.2 - Secondo Aristotele l' istintualità o somma dei desideri e bisogni si opporrebbe alla ragione o raziocinio (3), sebbene affermasse, poi, che i due momenti non siano totalmente scissi ma collegati, essendo il primo sottomesso al secondo (4). Vi sarebbe quindi una parte puramente raziocinante ed una parte emotivo-razionale. Alla prima apparterrebbero le virtù dianoetiche (sapienza, assennatezza e saggezza), alla seconda le virtù etiche (generosità e moderazione) (5). Egli definiva “passioni” i sentimenti, “potenze” i sensi od istinti, “disposizioni” le virtù ed i vizi (ossia i modi di comportarsi nei confronti delle “passioni”) (6). Distingueva l' anima umana in tre parti (7): vegetativa, sensitiva e razionale.
1.3 - L' eclettico Posidonio attribuiva le emozioni all' “anima appetitiva” (8). L'eclettico aristotelico Alessandro di Afrodisia distingueva tre intelletti:
1°) intelletto fisico o naturale o potenziale,
2°) intelletto acquisito (capacità di pensare, acquisita con l' esperienza),
3°) intelletto attivo (causa del passaggio dal primo al secondo) che agisce sull' uomo dal di fuori come causa: è identificato con dio, ed equivale alla logica della realtà strutturale storica (9).
1.4 - Seneca distingueva tra: “razionalità” (o meglio raziocinio), affettività e natura appetitiva od istintualità (10).
2.1 - La psicologia considera come forme di pensiero primitivo le emozioni ed i sentimenti. Sarebbe invece pensiero derivato quello a più alta elaborazione logica, definito “pensiero razionale”. Se i sentimenti si basano sulle emozioni, il pensiero logico può esistere a sé, salvo diventare razionale quando si unisce al sentimento. Il raziocinio (spesso definito “razionalità”) e l' affettività sono interdipendenti ed evolvono in modo convergente, essendo tanto più profonda l'una quanto più è profonda od evoluta l' altra (11). La capacità raziocinante va di pari passo, nella sua intensità, alla capacità affettiva. Il tentativo, compiuto dal “buddismo” e dalle religioni orientali in genere, di annullare negli individui, l' affettività e l' emotività, affinché si sviluppi al massimo il raziocinio del soggetto, conduce a risultati ben diversi od opposti. Da un lato l' emotività e l' affettività non sono comprimibili oltre un certo limite e quindi, se inibite anche a livello di percezione sensoriale, tendono a manifestarsi attraverso la percezione extra-sensoriale (i fenomeni para-normali, ove abbiano un fondamento, che paiono manifestarsi in correlazione con l' ascesi mistica); d' altro lato la completa inibizione della percezione sensoriale, ove venisse realizzata, trasformerebbe la mente umana da raziocinante a puramente logica, ossia da organo di intelligenza, in elaboratore puramente meccanico. Di diverso da un elaboratore artificiale il cervello umano avrebbe unicamente la memoria dei sentimenti ed emozioni passati, memoria peraltro puramente descrittiva o logica, essendo privata (almeno nell' ipotesi di un annullamento delle capacità sensitive ed affettive) di ogni valenza affettiva e quindi anche raziocinante, secondo la natura della razionalità umana. Sarebbe quindi la trasformazione dell' essere umano non in un vegetale ma in una macchina completamente priva di spirito. Il che sarebbe l'esatto contrario del fine dichiarato dalle suddette filosofie e religioni.
2.2 - Il prevalere delle passioni sul raziocinio a guida dell' azione umana non è conseguenza diretta del prevalere dell' affettività sul raziocinio, ma è conseguenza di una distorsione dell'affettività o della sua espressione e della distorsione dello sviluppo del raziocinio, conseguenza, a sua volta, dalla logica irrazionale della realtà strutturale. A raziocinio distorto corrisponde un' altrettanto distorta affettività.
2.3 - La capacità affettiva di ciascun individuo dipende dall' auto-valutazione del soggetto, dipendente, a sua volta, dalla convinzione di essere amato. Tale convinzione è sostanziata in un atto di fede, seppure corroborato da indizi più o meno evidenti.
2.4 - Il grado di affettività espresso dal soggetto è coerente con l' intensità dei bisogni e l'elevatezza delle capacità espressive del soggetto stesso, essendo l' affettività connessa con la capacità raziocinante. Si può affermare che i sentimenti od affettività dei singoli siano la guida ed il fondamento della loro ragione o raziocinio, mentre quest' ultimo è strumentale e dipendente dai primi. Le emozioni vengono spesso confuse con i sentimenti, mentre si tratta di stati d' animo momentanei o connessi ad eventi contingenti. I sentimenti sono, tuttavia, strettamente connessi con l' azione od il comportamento attivo del soggetto. Il segno dei sentimenti può variare di polarità (amore / odio, attrazione / repulsione, piacere / dispiacere) in rapporto ad un dato comportamento, mentre non varia (se non in modo impercettibile) in costanza di comportamento, essendo il comportamento l'applicazione di data una logica al sentimento.
2.5 - L' azione può essere definita, quindi, come un binomio di logica e sentimento, dove il sentimento funge da motore dell' azione stessa. All' interno di tale binomio le emozioni possono variare liberamente, influenzando l' evolversi nel tempo del binomio logica-sentimento. La logica di un dato tipo di società è definita erroneamente “razionalità”. I sentimenti, insieme con la logica della realtà strutturale in atto, costituiscono quello che definamo meta-teoria prevalente di una data società. La razionalità umana va oltre la logica delle strutture sociali storiche e può essere definita come il fondamento della natura umana, se corrisponde ai bisogni fondamentali della natura umana.
3 - L' istinto aggressivo, presente in ogni individuo, sviluppandosi in rapporto al carattere dei singoli, secondo l'influsso delle strutture storiche in atto o secondo predisposizioni innate, determina una diversa aggressività verbale o fisica, che è una componente della formazione del potere. L' aggressività è un istinto naturale di ogni specie vivente. La realtà strutturale determina la trasformazione dell' aggressività naturale in violenza innaturale ed inumana (estranea alla natura umana). Infatti la realtà strutturale determina repressione dei fondamentali bisogni umani: realizzazione di sé, socialità, affettività, sessualità, o quantomeno ne consente una soddisfazione insufficiente, il che genera violenza. La violenza, essendo manifestazione di irrazionalità, genera irrazionalità in chi la subisce, ossia il sopravvento dell' emotività sul raziocinio e quindi genera un' analoga violenza.
4 - Hobbes affermava che le “affezioni non sono che concezioni” (12). Ogni forma di pensiero è dunque connessa con l' affettività, sebbene non si possano considerare coincidenti. Egli affermava che “tutti gli uomini per natura ragionano allo stesso modo, e bene, quando si fondano su buoni principi”. Riconosceva cioè l' universalità del raziocinio e la naturale eguaglianza psichica. Affermava che “la luce della spiritualità umana è la parola chiara, ma prima aspirata per mezzo delle definizioni esatte, e purgata dall' ambiguità, la ragione è la misura, l'incremento della scienza la via, il bene del genere umano il fine” (13). Hobbes affermava che la causa dei sensi o sentimenti consista nel riprodurre il moto esterno con un moto interno producente “diletto o pena dello spirito” (14). Affermava che le “differenze di spirito” (15) siano generate dalle differenze nelle passioni. In altre parole egli faceva derivare le differenze intellettive dalla diversa intensità delle passioni.
5 - Anassimandro considerava gli uomini “non più naturali” (16) ed Eraclito affermava che gli uomini, pur avendo ascoltato il “logos” o voce della ragione o razionalità, se ne siano dimenticati ed abbiano perso coscienza ed autonomia nelle loro azioni (17). Definendo l' essenza della filosofia, Eraclito gli attribuiva il compito di ricercare la ragione o razionalità nell' io umano. Egli definiva la “ragione” (che identificava con quella che noi definiamo la razionalità) come “legge universale”. Affermava che il pensiero, se razionale, sia comune a tutti (18) e che per giungere alla conoscenza occorra sviluppare la comunicazione. Affermava inoltre che per giungere alla razionalità, basata sulla conoscenza, occorra sviluppare l' analisi della società e degli individui (o della natura umana). Egli affermava che dalla conoscenza derivi il comportamento ed il destino finale dell' uomo (19).
6 - Platone, esponendo il divario tra “edonismo” ed “eudemonismo”, si chiedeva se il “bene” non sia costituito da una terza cosa rispetto al “piacere” ed all' “intelligenza” (20). La razionalità è da considerare la sintesi felice tra raziocinio ed affettività. Platone stesso riconosceva come “intelletto” e “piacere” siano inscindibili, essendo impossibile il piacere senza la coscienza (21). L' “eudemonismo” può, quindi, essere identificato con la razionalità. Platone affermava che il sentimento (eros) costituisca una forza che interviene nella razionalità, determinando “le proporzioni e l' armonia di tutti i fenomeni così nell' uomo come nella natura” (22). L' eros, dunque, costituendo il fondamento degli esseri viventi, costituisce il metro della razionalità. Platone distingueva nell' anima: la razionalità, l' affettività (che riteneva strettamente connessa con la prima) e l' istintualità (23).
7 - Democrito affermava che la ragione debba guidare i piaceri al fine di raggiungere la felicità (24).
8 - Aristotele affermava che il piacere si conforma con la ragione, nell' individuo moderato (25). Aristotele affermava che piacere e moralità siano inscindibilmente connessi, riconoscendo la validità del “principio eudemonistico” (26). Il contrasto tra piacere e ragione è dato quindi dal vizio o cattivo uso dei sensi, connesso all'”edonismo”. L' “eudemonismo” consiste invece nell' armonia tra sentimento e ragione. Egli distingueva tra: sapienza, saggezza e politica. Affermava che la prima è “scienza e intelletto delle cose più eccelse per natura”, ossia identifica la sapienza con la conoscenza o l' acquisizione della scienza, anche della natura umana. Definiva la saggezza come la logica di ogni società , intesa in senso complessivo. Definiva infine la politica come la “scienza” dei particolari, ossia del contingente (27). Egli affermava che, mentre la sapienza é acquisita e dunque sia in divenire, anche per ogni individuo, le facoltà che ne stanno alla base sono: “discernimento, assennatezza ed intelletto” e sono qualità naturali (28). Aristotele affermava, in contrasto con Platone, che i piaceri “sono attività e fini” (29) ed affermava, poi, che i piaceri siano attività “d' una disposizione conforme a natura” (30). I piaceri, dunque, sono coerenti coi fini propri degli esseri umani e derivano dalla stessa natura umana. Aristotele pose in ridicolo le affermazioni platoniche secondo cui i piaceri sono cattivi perché “alcune cose piacevoli sono nocive” (31), riconoscendo la marginalità del lato nocivo rispetto alla bontà del piacere in sé. Distingueva poi tra piaceri fisici e piaceri psicogeni, riconoscendo la superiorità etica di questi ultimi (32). Affermava che, se il dolore è male, il piacere deve essere necessariamente bene (33) ed affermava che il sommo bene possa essere il piacere che dà la scienza (34), la quale ultima è puro piacere psicogeno. Affermava quindi che la felicità non possa coesistere con il dolore, mentre coesiste con il piacere (35). Affermava esservi distinzione tra ciò che ognuno ritiene piacere ed il piacere in sé. Affermava che ognuno persegua il vero piacere poiché “tutti gli esseri hanno ... in sé per natura qualcosa di divino” (36). Egli affermava che la virtù sia misura dell' amicizia (37). La moralità presiede, dunque, la socialità vera. Egli affermava che il “bene” sia operato dal singolo “per la parte razionale di sé stesso” (38). Riteneva che ogni uomo, per quanto malvagio, possieda razionalità. La razionalità spinge il malvagio ad odiare sé stesso ed a pentirsi delle azioni compiute (39). Aristotele affermava che i sentimenti dipendono dall' educazione (40), mentre i sensi (od istinti) siano comuni a tutti gli esseri animati, i quali tutti possiedono “un impulso naturale al bene” (41). Egli riconosceva come il piacere sia intrinseco alla razionalità. Infatti affermava che vi sia piacere in un oggetto che sia “come deve essere” (42) ed affermava che piacere e razionalità siano paralleli ed inscindibili (43).
9 - Epicuro collegava in modo inscindibile: razionalità, felicità e piacere (44). Epicuro riconosceva esservi desideri naturali ed altri “vani” (45). Quelli naturali li suddivideva in necessari per la felicità e necessari per la salute del corpo. Pur affermando che il piacere sia “principio e fine della felicità” (46) e norma del bene, riconosceva come piacere e bene non si identifichino, non essendo tutti i piaceri “eleggibili”, pur contenendo in sé sempre un certo bene (47). Egli distingueva, cioè, tra “edonismo” ed “eudemonismo”. In base all' utilità (rispetto alla felicità) egli giudicava il piacere. Riteneva utile la ricerca del benessere ed apprezzabile la parsimonia o capacità di apprezzare la frugalità, connessa indissolubilmente alla ricerca “alacre” del benessere. Epicuro affermava che il male non stia nel piacere ma, spesso, nei mezzi per procurarlo (48).
10 - Spinoza affermava che la conoscenza determini un dato tipo di “affetto” ed impedisca altri tipi di “affetti” (49). La conoscenza crea affetti in rapporto alla propria essenza (50). La conoscenza, dunque, determinando una crescita di razionalità, determina una crescita dell' affettività. Egli affermava che “gli affetti, che sorgono dalla ragione o sono da essa eccitati, se si tiene conto del tempo, sono più potenti di quelli che si riferiscono alle cose singole” (51). Affermava che, finché l'uomo è soggetto ad “affetti che sono contrari” alla sua natura, non ha il potere di regolare le affezioni come richiesto dall' intelletto, ossia dalla natura umana (52). La condizione degli esseri umani, nella realtà strutturale storica è, dunque, inumana.
11.1 - Immanuel Kant affermava che “da se stessa” (53) la ragione nulla può sapere, ma “guida se stessa” alla ricerca dell' essenza della natura, ossia la ragione possiede unicamente, a priori, una propria logica di evoluzione e con questa indaga la natura: attraverso principi o concetti ed esperimenti. Kant distingueva tra intelletto, ossia facoltà di stabilire le possibilità, facoltà di giudizio (o di fare asserzioni) e ragione, o capacità di stabilire ciò che è necessario (54). Ascriveva all' intelletto la causa dell'esperienza della realtà empirica (55). Definiva l' intuizione rappresentazione precedente ogni pensiero, non appartenente alla sensibilità e definita anche come “appercezione pura” (56). Definiva “unità trascendentale” l' intuizione che genera la conoscenza a priori e la coscienza dell' “io penso”. Affermava che “l' unità sintetica della coscienza” preceda quella analitica e si identifichi con l' intelletto (57). Per “unità sintetica” intendeva la sintesi di più rappresentazioni. Definiva l'intelletto facoltà della conoscenza, ossia del “rapporto determinato di date rappresentazioni con un oggetto” (58). L' unità della coscienza, ossia la consapevolezza della sintesi delle rappresentazioni, in modo da definire l' oggetto costituisce la conoscenza. Affermava che si abbia conoscenza solo allorché si abbia sia il concetto per cui l'oggetto è pensato (come ad esempio la categoria) sia l'intuizione data dal senso (59). Definiva le categorie come “sintesi trascendentale dell' immaginazione” (60), dove l'immaginazione è intesa come frutto della sensibilità. Definiva “appercezione” la facoltà dell' intelletto di “unificare il molteplice dell' intuizione” (61). Tale appercezione determinerebbe il “senso interno” o percezione di sé stessi, ossia come si appare a sé stessi. La percezione, sia interna che esterna, avviene in base ai fenomeni, ossia in rapporto alla modifica che viene operata dall' oggetto rappresentato, sulla coscienza (62). Il “senso interno” rappresenta, per Kant, l' io come viene percepito. In realtà si può definire senso interno l' io percettivo (o coscienza) in sé, unito con l'io pensante od intellettuale. La rappresentazione del “senso interno” è infatti definita da Kant un pensiero e non un' intuizione (63). Kant distingueva tra essenza intellettiva naturale e pensante, da un lato, ed esistenza determinabile sensibilmente (od io strutturale o super-ego della psicoanalisi) (64). Riconosceva come l' intuizione, per rappresentare un oggetto, come esso è in sé, deve essere “intellettuale” anziché sensibile. Kant affermava che la psiche possiede tre facoltà: intelletto vero e proprio, giudizio e ragione. Alla prima facoltà competono i concetti, alla seconda ovviamente i giudizi ed alla terza i sillogismi (65). Riteneva che la ragione, in quanto tende ad estendere la conoscenza oltre i limiti dell'empirico (o realtà strutturale), non sia ancora scientifica e pertanto definiva la sua logica attuale “dialettica trascendentale” (66). Tale possono definirsi le scienze sociali, intrise di ideologia e di logica strutturale. Riconosceva, quindi, come la razionalità, intesa come logica coerente con la natura umana e come scienza di tale natura, debba ancora essere sviluppata. Kant affermava che vi sia dissidio tra intelletto e sensi e che vi sia la possibilità che la ragione stabilisca un governo sull'intelletto e sui sensi (67). Egli auspicava, dunque, e riteneva possibile, il trionfo della razionalità sull' irrazionalità, della quale ultima la realtà strutturale è frutto e sostanza.
11.2 - Turgot si rendeva conto del fatto che le passioni e l' irrazionalità siano le cause della realtà di quelle che definiamo le strutture storiche ed affermava che, allorché la razionalità sarà posta a guida delle azioni umane, si avrà il superamento della realtà strutturale storica in atto e si approderà in una società stabile (68).
12 - William James definiva la razionalità vera come sinonimo di: utilità, bontà, bellezza, soddisfazione od appagamento dei desideri (69). Ossia identificava la razionalità con la natura umana e la sua piena realizzazione o soddisfazione. William James riferiva la comune concezione dell' istinto, secondo cui esso sarebbe la “facoltà di agire in modo da produrre certi fini, senza prevederli e senza una precedente educazione nella linea di condotta” (70). Essi sarebbero “correlati funzionali della struttura” fisica umana od animale. Ove vi sia “la presenza di un certo organo coesiste sempre, si può dire, una naturale attitudine per il suo uso”. Gli istinti non sono però ne immutabili, né estranei al sistema nervoso, il quale può anche supplirli con la “ragione” (71). Egli affermava che la “ragione”, anziché inibire gli impulsi ne crea di nuovi, anche tra loro antitetici, tra cui l' “individuo” compie la scelta comportamentale (72). James distingueva tra volizione ed energia fisica connessa con l' idea motrice; in realtà le due cose sono inscindibilmente connesse (come è stato provato sperimentalmente) (73).
13 - Habermas definiva la “ragione sociale” immagine della “razionalità”, basandola sull' “agire comunicativo”, agire in cui giocano i due aspetti: dell' intendersi e dell'azione strategica o finalizzata ad uno scopo. L' intendersi è identificato, nella sua qualità di argomentazione e capacità di persuadere altri, attraverso l' agire comunicativo, mentre l' agire finalizzato è definito “agire strategico”. Se si può ritenere accettabile l'identificazione della razionalità umana con la comunicazione o sulle “relazioni sociali”, tuttavia la realtà strutturale storica non è affatto identificabile con la razionalità, poichè inibisce il progresso ulteriore della comunicazione. La concezione pre-habermasiana della “razionalità” la identificava con la coscienza individuale intrinseca. Querst' ultima concezione non è in antitesi con una concezione corretta della razionalità, se si tiene presente come individuazione e socialità siano due aspetti inscindibili dell'essere umano.
14 - Norberto Bobbio definiva la razionalità come “ciò che è buono in sè”, ossia ciò che è conferme all' essenza umana (74). Egli dava, quindi, una buona definizione della razionalità, in quanto avulsa dagli influssi della realtà strutturale storica.
15 - Il “regno della libertà”, da molti evocato, non è il campo del libero sfogo della fantasia irrazionale, ma la possibilità concessa alla razionalità di prevalere sull'irrazionalità. Se è ipotizzabile una razionalità assoluta, vi sono tuttavia molteplici razionalità relative, reciprocamente confrontabili e fungibili in base ai bisogni o scelte dei singoli. La razionalità umana può essere intesa come ciò che è accettato come valido e desiderabile da parte del singolo individuo. E' questo un razionale relativo, mentre il razionale assoluto è da intendersi come la concordanza di tutti gli individui componenti una data specie su ciò che è razionale. Tale razionale assoluto non sarà immutabile, nel tempo, ma in costante evoluzione. In presenza della realtà strutturale storica, trovandosi l' umanità nel campo dell'inevitabile, nulla della vita del singolo, delle società e della specie merita il concetto di razionale, assoluto o relativo. Col passaggio al campo del desiderabile, anche l' ineluttabile, come la morte stessa, diventerà razionale, in quanto finalmente accettabile, in quanto conclusione di un processo razionale, desiderabile e soddisfacente. La coerenza delle varie logiche e la loro corrispondenza alla natura umana ne determinano il grado di razionalità. Tale grado di razionalità è un patrimonio di ogni singolo individuo e ne evidenzia il grado di manifestazione dell'essere in quel dato momento storico. La capacità di manifestazione dell' essere va al di là della logica adottata per realizzare quella manifestazione. Tale logica costituisce un metodo, definito “logos” dai filosofi, che sostanzia la natura della condizione umana e le sue specifiche articolazioni: società pre-strutturali (o società di natura biologica inconsapevole), strutturali e post-strutturali (o società di natura auto-cosciente). Ciò che è razionale è insieme individuale ed universale. L'individuale è universale se concerne i desideri profondi ed autentici dei soggetti. Questo, per l' universalità della natura umana insita negli individui. La razionalità può essere definita come il comportamento razionale associato con la capacità di controllo equilibrato delle emozioni. Tale controllo sarà basato sulla conoscenza dei desideri naturali e capacità e possibilità di attuare un comportamento in grado di soddisfarli, adeguando le emozioni e sensazioni contingenti od emergenti al perseguimento logico ed efficace della soddisfazione dei desideri naturali. Questa concezione non è in contrasto col principio aristotelico di considerare virtù “la disposizione acquisita a fare ciò che è richiesto in vista di un fine”, a patto che il fine sia stabilito dal singolo per dare un senso, intelliggibilità e responsabilità alla propria vita, nell' ambito della comprensione del livello di manifestazione storica dell'umanità, in atto in un dato momento storico, e del ruolo svolto, nell' ambito del processo di accrescimento di tale livello di manifestazione. L'azione razionale del singolo è quella attuata in base ad un principio universale, individuato dal singolo stesso in base alla sua propria universalità, che lo rende capace di confrontarsi ed accordarsi su scelte di validità universale. Le società coerenti con la razionalità e con l' universalità non sacrificano in nulla l'individualità del singolo ma anzi la esaltano, pur creando una solidarietà sociale piena. La volontà autentica o razionale degli individui nasce dalle tendenze naturali, giunte alla coscienza dei soggetti. La volontà razionale dei singoli è una volontà cosciente, dove la coscienza di sé deriva dalla espressione piena della propria socialità. Il raziocinio è la parte critica della mente, in distinzione dall'affettività. Il termine “razionalismo” è la concezione ideologica tendente a far prevalere il raziocinio sul sentimento, mentre il termine “razionalizzazione” è la giustificazione, più o meno ideologica, dei sentimenti. La razionalità è la ricerca dell' armonia del raziocinio con l' affettività e la ricerca della natura autentica degli individui e delle loro tendenze naturali. Jean Luc Marion affermava che l' amore sia parte centrale della razionalità. Egli affermava che la razionalità sia conseguenza dell' amore. L' amore è veramente tale se è coscienza di sé e dell' altro ed è l'espressione più alta della socialità dei singoli. La razionalità si può intendere come comprendente la coscienza. Si può definire razionalità la logica che comprenda la coscienza, mentre la logica pura può identificarsi col raziocinio ma non con la razionalità (75).
§ 4: Naturale eguaglianza psichica tra gli individui della stessa specie e superamento della realtà strutturale
1 - Hobbes affermava che l' eguaglianza tra gli uomini costituisca “legge di natura” (1). E' però da analizzare quale sia l' intendimento di eguaglianza in Hobbes. Egli intendeva al massimo un' eguaglianza dei singoli di fronte ai poteri dello stato, ritenuto esso stesso un' entità naturale o naturalmente necessaria. Hobbes affermava che le passioni (desiderio, timore, speranza e via dicendo) “sono le stesse in tutti gli uomini” (2). Egli considerava cioè gli esseri umani psichicamente uguali, per natura. La naturale eguaglianza di base tra gli esseri umani, oltre a basarsi su dati antropologico-fisiologici (uguali strutture storiche generate, seppure in tempi diversi, da popoli diversi), si può desumere dalla possibilità concettuale stessa del superamento della società statuale e delle sue stratificazioni, apparentemente ineludibili ed ineluttabili. Le ricerche sulle differenze etniche e nazionali dimostrano come le culture delle diverse fasi statuali, sistemi sociali ed universi strutturali storici coesistenti nell' umanità di una data epoca storica siano le uniche determinanti delle differenziazioni intellettive riscontrabili, non ostante differenziazioni fisiologiche anche molto notevoli (3). Helvètius teorizzava la naturale eguaglianza intellettuale degli esseri umani. Il barone D' Holbach riteneva che, avendo gli uomini la stessa natura possono avere un' identica morale e quindi un' uguale cultura ma a patto che sia “la vera morale” (4), ossia una morale razionale. Gli scienziati hanno appurato, con prove attendibili, come la trasmissione genetica non determini il carattere, ma questo si formi unicamente in rapporto agli stimoli dell' ambiente, a partire da quello intrauterino, prima e dopo la nascita. E' evidente come la psiche umana funzioni in rapporto a meccanismi estranei alla trasmissione genetica, essendo di tipo chimico e fisico. Oltre ad avere influenza sulla formazione del carattere, la vita intra-uterina pare coagulare alcune informazioni che permangono anche dopo la nascita, ossia la memoria pare inizi a funzionare nell' utero materno ed elementi di questi ricordi permangano nella vita successiva alla nascita. Gli scienziati hanno appurato altresì che, senza opportune esperienze, non solo i vari elementi della conoscenza ma altresì i vari elementi del carattere non si possano formare. Pare inoltre che addirittura la stessa psiche, così com' è, sia subordinata a determinate esperienze: ad esempio lo sviluppo del sistema neurologico è subordinato a movimenti spontanei del feto nei primi mesi di gestazione. Tali esperienze sono però di un genere speciale, essendo determinate in modo autonomo rispetto ai sensi ed altresì rispetto ai geni ed alla loro funzione di trasmissione inter-generazionale. Si ha infatti conoscenza dei movimenti spontanei dei feti di volatili ovipari privati degli organi di senso. Questi fatti provano come la psiche in quanto tale sia autonoma sia dall' esperienza che dalla trasmissione genetica, essendo derivata da meccanismi omogenei per tutti i viventi e quindi a monte dei geni. E' tuttavia appurata una trasmissione inter-generazionale di elementi caratteriali, per vie chinico-biologiche. Piaget affermava che a monte dell' intelligenza vi sia una “programmazione”, il cui meccanismo è identico in tutti gli esseri viventi: dalle amebe, a tutti gli umani, ai calcolatori elettronici. Tale meccanismo programmatorio fisico fa sì che tutti gli esseri umani siano uguali a livello potenziale. Piaget definiva l' intelligenza come una costante ricerca di equilibrio adattativo. Ovviamente i risultati di tale ricerca di equilibrio sono diversi in quanto diverso è lo stimolo e l' ambiente in cui si svolge: di quì la differenziazione delle intelligenze. Egli riconosceva come la molla dell'intelligenza sia l' affettività, ossia la ricerca del massimo soddisfacimento individuale, la cui variazione deriva ancora dalle diverse condizioni in cui i singoli hanno la possibilità di ricercare tale soddisfacimento. Con la nascita, nel 1977, della medicina del comportamento, si è superata, in parte, la psicosomatica, ossia la branchia “psicoanalitica” che studia il rapporto tra espressioni somatiche e disturbi psicologici. La psicosomatica ha scoperto legami tra alcuni tipi di personalità e disturbi specifici, postulando un legame tra psiche e fisiologia. La medicina comportamentale si è resa conto dell' esistenza di una maggiore interdipendenza tra sistema vegetativo e somatico e quello neurologico-mentale. Ne consegue che i disturbi psichici determinano molte malattie organiche. Si postula, in tal modo, un'interazione, non solo di tipo o derivazione psicologica, ma altresì di origine bio-fisiologica tra psiche e soma, che renderebbe inscindibile la psiche, e la sua attività, dalla regolazione biologica. Questo, anziché far prevalere l' ipotesi di una naturale differenziazione bio-fisica dei singoli, tende a postulare come la natura animale in sé ponga i soggetti di ciascuna specie in una condizione di potenziale eguaglianza, la quale non si manifesta spontaneamente neanche a livello di potenzialità iniziale, essendo le disposizioni ormonali interagenti con le capacità psichiche, disposte in modo più o meno casualmente diseguale. Un' egualizzazione effettiva degli individui di una determinata specie non potrebbe comunque prescindere da un trattamento ormonale, che peraltro non può essere tale da alterare in profondità le caratteristiche e la coscienza di sé del singolo (5). Le teorie di Aldus Huxley hanno fatto temere che le conquiste dell' ingegneria genetica e della neuro-chimica possano avere come sbocco l' accentuazione delle ineguaglianze tra gli individui. Può essere, invece, che ne facciano emergere la naturale eguaglianza, a meno di un uso parziale e distorto, che avrebbe l' effetto di accentuare momentaneamente alcune ineguaglianze reali, attualmente esistenti. La neuro-biologia contemporanea consente di prevedere la possibilità, realizzabile in futuro, di completare il patrimonio di neuroni di persone handicappate, attraverso l' inserimento di elementi chimici adatti. Pare persino possibile plasmare, in modo controllato, dati circuiti nervosi, attraverso pratiche speciali ed insegnamenti (6). Questo fa ritenere che l' egualizzazione intellettiva sia realizzabile, essendo consentita potenzialmente dalla natura e divenendo realizzabile tramite lo sviluppo scientifico.
2 - La retorica dell' ideologia “socialista” sull' eguaglianza ha finito per far apparire falsa ogni concezione egualitaria. Così anche il concetto di eguaglianza naturale potenziale appare, al giorno d' oggi, compromesso. Tuttavia la scienza ha dimostrato con sufficiente chiarezza come vi sia un' egualianza potenziale od essenziale. Una società sarà effettivamente la realizzazione del superamento della realtà strutturale storica se realizzerà realmente un' eguaglianza di fatto tra le persone, capace di annullare il potere e l' autorità nelle organizzazioni tra gli individui. Tale eguaglianza, basata o meno sull' eguaglianza naturale, non sarà un' uguaglianza a tutto campo ma solo in rapporto alla ratio necessaria al funzionamento di un'organizzazione sociale pienamente razionale. Dovrà quindi consentire il superamento della divisione verticale del lavoro.
3 - La realtà strutturale statuale non presenta alcuna forma di razionalità. Non si ha infatti razionalità economica, nemmeno nelle fasi mercantili, poiché non si ha ottimizzazione del benessere e dello sviluppo, come dimostrano le crisi cicliche. Non si ha razionalità sociale, poiché si hanno squilibri sociali, spesso esplosivi. Non si ha neppure razionalità morale, poiché abbondano comportamenti individuali e sociali conflittuali e distruttivi.
§ 5: Naturale eguaglianza tra gli esseri umani ed ineguaglianze, anche di ordine psichico e psicologico, generate dalla realtà strutturale storica.
1 - La realizzabilità della razionalità della realtà sociale, tale da consentire la piena espressione della socialità umana, è premessa per la realizzazione della pienezza della razionalità umana, realizzabile solo gradatamente, a misura del progredire della conoscenza scientifica della natura umana. In natura non vi è eguaglianza assoluta tra soggetti appartenenti alla stessa specie, così come non sono eguali, nella natura inanimata: gli atomi di un' unica sostanza. L' umano desiderio di eguaglianza tra gli individui non è innaturale ne irrazionale. Esso fa parte della specifica natura degli esseri umani e dell' esigenza di esprimere compiutamente la propria socialità, creando una società che consenta la pienezza di espressione. Tale eguaglianza è realizzabile in quanto fa parte dei bisogni umani naturali. In ogni individuo si può ritenere sia presente l' intera umanità a lui contemporanea. Questo in quanto vi è una sostanziale eguaglianza psichica e psicologica dei contemporanei. Se l' eguaglianza è da considerarsi un valore universale, universale è pure la diversità effettiva tra gli individui, così come universale è l' atteggiamento di non presupporre eguaglianze dove vi siano diversità naturali o viceversa. Universale è pure la concezione secondo cui la natura umana, essendo di diverso livello rispetto alla natura pre-umana e cosmica, tenda a creare eguaglianza là ove la natura pre-umana ha creato ineguaglianze, purché tali eguaglianze non siano forzature della natura umana, ma in armonia con quest' ultima. Rousseau riconosceva esservi un' ineguaglianza fisica e psichica tra gli esseri umani, seppure limitata e probabilmente non proprio naturale ed inevitabile, specie per quanto riguarda l' ineguaglianza psichica. Egli evidenziò come l' ineguaglianza, generata dalla realtà sociale, non possa giustificarsi con l'ineguaglianza fisica e psichica, anche perché l' ineguaglianza di origine sociale non è proporzionale all' ineguaglianza psico-fisica (1). Riconosceva altresì come l'eguaglianza socio-economica (in presenza di ineguaglianza intellettiva) sia impossibile ed ingiusta (2).
2 - La dipendenza psicologica dell' individuo dalla realtà strutturale statuale, nella sua manifestazione contingente, è molto profonda ed è maggiormente marcata per chi è direttamente corresponsabile della dinamica strutturale statuale nelle sue manifestazioni contingenti. Hilgard affermava che tra le ereditabilità genetiche reversibili, nell' uomo, vi sia la variabilità degli organi di senso e del sistema nervoso. Tali variabilità derivano dalle strutture storiche con cui interagisce l'ereditabilità stessa (3). Benchè J. J. Rousseau considerasse l' ineguaglianza psichica naturale ed ineluttabile, riteneva peraltro che l' ineguaglianza economica e sociale sia “la prima fonte del male” (4). Egli parlava di rendere proporzionale l' ineguaglianza sociale a quella naturale (5). Non si rendeva conto che questa giusta proporzionalità implicasse il superamento delle strutture storiche e richieda una socialità superiore a quella espressa in ogni società umana fino ad ora esistita. J. J. Rousseau riconosceva come non si conoscesse ancora sufficientemente la natura umana e che occorresse rifondare la scienza umana (6).Riconosceva come molte delle differenze esistenti tra gli uomini siano effetto della vita in società (ossia della realtà strutturale storica), ma considerava ineluttabile la divisione verticale del lavoro e le strutture storiche e finì per considerare sostanzialmente ineluttabili tutte le differenze interpersonali (7). Rousseau era più propenso a riconoscere che le differenze fisiche derivino dalle strutture sociali piuttosto che riconoscere che le differenze psichiche abbiano questa origine (8). Questo appare singolare e palesemente di origine strumentale. Spinoza affermava che gli uomini differiscono per gli affetti o passioni e che tale differenza sia tale per natura (9). Egli ne trasse però la conseguenza di considerare gli esseri umani ineguali per natura e dunque naturalmente soggetti al potere di chi ha non solo maggiore conoscenza ma maggiori capacità affettive e raziocinanti. In realtà gli affetti, là ove differiscano per natura (ed è un settore limitato), non determinano inevitabilmente la costituzione del potere. Egli affermava che chi tenda ad uniformare gli “affetti” degli altri al suo, attraverso “l' affetto” diviene odioso, mentre chi agisca sotto la guida della ragione può uniformare a sé gli altri, per la sola emulazione (10). E' dunque evidente come egli si rendesse conto di come molte delle differenza affettive siano di natura strutturale. Secondo una certa teoria psicologica (ontogenesi) le doti individuali dei singoli, non derivano principalmente dal patrimonio genetico dei medesimi ma dalle influenze sociali del soggetto, specie nel periodo peri-natale. I bisogni degli individui sono quindi il portato delle “tendenze” naturali descritte da Lacan e la conseguenza delle influenze strutturali in cui l'individuo vive ed interagisce. Il confronto imitativo od emulativo si verifica anche nella trasmissione cognitiva, dove la base della produzione od auto-espressione è costituita dalla conoscenza trasmessa ed appresa per diffusione più o meno meccanica od imitativa. Tale trasmissione cognitiva avviene attraverso uno scambio, in cui il bene della conoscenza è scambiato con beni materiali ed organizzativi (con il loro contenuto di autorità irrazionale e prestigio). Anche in questo ambito si generano ineguaglianze economico-sociali, in presenza della realtà strutturale storica. Le ineguaglianze di origine innaturale generano conflitti. Il bene della conoscenza è un bene della sfera organizzativa, delle relazioni interpersonali e della produzione di beni. La sua trasmissione, nella realtà strutturale storica, genera autorità e potere di tipo irrazionale. La democrazia autentica non deve presupporre eguaglianzae naturali inesisteni, ma basarsi sulle eguaglianze effettive, ponendole in risalto e valorizzandole, ma riconoscendo altresì le ineguaglianze naturali esistenti, in modo corretto, in modo da non creare ulteriori ineguaglianze o squilibri irrazionali, ma in modo da realizzare progressive egualizzazioni di fatto, dove vi siano ineguaglianze di partenza. Le istituzioni statuali presuppongono eguaglianze naturali tra gli individui, in un' innaturale apriorismo. Esse realizzano, poi, ineguaglianze di fatto altrettanto innaturali, in quanto del tutto avulse da eventuali ineguaglianze naturali. I teorici dello “stato di diritto” puro o di una pura istituzionalizzazione del diritto, presuppongono anch' essi un' eguaglianza di bisogni, che crea già di per sé sfruttamento, essendo un' apriorismo avulso dalla realtà della natura umana. Spencer evidenziava come il miglioramento individuale e sociale implichi necessariamente la competitività e dunque la premiazione dei migliori (11). Se l' ineguaglianza economica si accompagna inevitabilmente ad ineguaglianze sociali, giuridiche e politiche, come affermava Engels (12), è però certo che l'uguaglianza economica non può precedere l' egualizzazione sociale e politica, frutto a loro volta di una certa egualizzazione delle capacità intellettive espresse.
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