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Versione delle 16:16, 14 ott 2012

sistemi informativi e industria consumer: un approccio “customer oriented”.



Franco Miotto






[ Un caso di ripensamento dei sistemi informativi – mondo industria. 8]

[ Un caso di ripensamento dei sistemi informativi – mondo retail. 17]

[ Introduzione al metodo 25]

[ Metodologia di analisi 27]

[ L’obiettivo: il problema reale 30]

[ L’esigenza: il principio 31]

[ L’esigenza: la pratica 33]

[ L’importanza dei fattori 34]

[ Le metodologie di soluzione 35]

[ Processi generali 36]

[ Capacità di percepire l’esigenza del cliente 36]

[ Capacità di razionalizzare e interpretare l’esigenza. 44]

[ Processi industriali 50]

[ Capacità di soddisfare l’esigenza. 50]

[ Capacità di veicolare l’ idoneità a soddisfare l’esigenza. 56]

[ Capacità di veicolare l’ idoneità a soddisfare l’esigenza. 56]

[ Industria: l’architettura della soluzione 60]

[ Processi Retail 64]

[ Analisi processi: punto di vista del cliente moda 65]

[ Analisi processi: punto di vista del retailer moda 67]

[ Rapporto esigenze clienti – esistenza processi 78]

[ Il ruolo del supporto del retail: i processi informativi. 78]

[ Processi clienti 81]

[ Processi di gruppo 87]

[ Processi di contesto 96]

[ Retail: l’architettura della soluzione 97]

[ Retail: l’architettura della soluzione 97]

[ Conclusioni 100]

[ Appendice A 104]

[ Appendice B 106]

[ Bibliografia 115]





Questo lavoro è indirizzato a chi si pone la domanda di quali saranno i fabbisogni di informazioni nel prossimo futuro per l’industria consumer. Il libro è dunque indirizzato a informatici, a studiosi di marketing o di organizzazione e direzione aziendale che sicuramente sono interessati a questi argomenti ed in particolare ai capitoli riguardanti l’obiettivo generale e le architetture di soluzione nei casi industriali e del retail.

Il tutto nasce dall’esperienza diretta fatta nei due casi aziendali presentati nei primi capitoli; il problema, in entrambi i casi, era quello di riposizionare il patrimonio informativo dell’azienda, in particolare spostandolo da supporto a processi interni a conoscenza e valutazione del mercato/contesto in cui le aziende operano

Uno dei problemi che ho affrontato nei casi citati è stato quello di una metodologia di analisi che mi permettesse di essere sicuro di non tralasciare alcun aspetto del problema, il risultato è la linea guida di questo libro.

Da un punto di vista espositivo ho fatto tesoro della mia esperienza di docente e di studente di scienze sperimentali che ha sempre preferito partire dal caso pratico per poi astrarre il metodo, e non il contrario; mi sembra più immediato. Per questo i case history vengono citati inizialmente, perché spero possano invogliare il lettore ad affrontare la parte più formale con uno spirito più applicativo.


In generale ritengo che, dopo la fase di pura automazione dei processi informativi di base (paghe e stipendi, contabilità), dopo la fase di strutturazione organica dei processi relativi alla disponibilità del prodotto (ERP etc.), il passo successivo sarà l’analisi e il supporto di tutto il ciclo delle esigenze clienti. Questo significherà affrontare processi a bassissimo contenuto sintattico ma molto diffusi, cioè porsi in contesti di molte informazioni non strutturate; questo ci permetterà di migliorare l’aspetto predittivo dei modelli informativi gestionali, dopo averne evidenziato gli aspetti di supporto operativo e di controllo.


Sicuramente in questo scritto ci sono errori e ingenuità metodologiche, tecniche e di contenuto per cui ogni critica, aiuto o commento è più che benvenuto nell’ottica di creare una base per migliorare, da una parte, il servizio al cliente e, da un’altra, creare un vantaggio competitivo per le aziende che lavorano nel settore.

Un caso di ripensamento dei sistemi informativi – mondo industria.


L’ azienda: questa case history riguarda una piccola-media manifatturiera nel mondo del tessile-abbigliamento.

Il fatturato è abbastanza equamente diviso tra produzione tessuti e il modo dell’intimo, con particolare riferimento al beach wear. Storicamente l’estrazione era manifatturiera e la parte abbigliamento era una diversificazione dovuta sia alla volontà di saturare gli impianti nei momenti morti che a quella di prevenire crisi del settore dovute a produzioni estere.

Caso abbastanza tipico, l’azienda era nata dall’idea imprenditoriale di una singola persona e sotto la sua guida era prosperata. Cambiati i tempi e i mercati, il tentativo di rifarsi al modello usato fino a quel momento aveva avuto poco successo.

Nonostante la percezione di pericolo imminente, l’azienda faceva fatica a ridefinire per se’ una identità ma arrancava dietro a modelli di settore più o meno di successo dimenticando, in parte, il valore del proprio capitale umano sia negli aspetti imprenditoriali e direzionali che in quelli operativi.

Il mercato: come accennato, i clienti appartengono a due grosse categorie:

  1. Aziende che comprano i tessuti e li utilizzano per i propri prodotti
  2. Retailer che acquistano gli articoli mare e li vendono.

Si tratta quindi di tipologie di clienti assai diversi che implicano canali di vendita diversi (commerciali diretti piuttosto che agenti) e tecniche e consuetudini differenti.

Da un punto geografico l’azienda opera essenzialmente in Italia con scarsa penetrazione estera.

Dal punto di vista marketing esisteva una radicale differenza:

  • da una parte un settore (il tessile) in cui il concetto di “brand” era sconosciuto e poco utile, in quanto la produzione è destinata ad un mercato tecnico e non consumer;
  • dall’altra parte l’azienda si confronta su un mercato in cui il componente immaginifico del cliente finale è una componente estremamente importante dell’acquisto.

il sistema informativo esistente: come spesso succede nelle aziende, il SI era il risultato di anni di adattamenti senza che ci fosse mai stata la possibilità o la volontà di un ripensamento generale anche per le premesse organizzative che ciò avrebbe significato (ridiscussione degli obiettivi e dei ruoli). Tipicamente, e in parte dovuto al responsabile IT, i SI erano visti come una vera e propria area a se stante con un costo poco comprensibile e quindi giustificabile. Quando poi parliamo di rinnovamento riesce ad essere ancora più difficile capire il perché si debbano spendere un sacco di soldi per avere “quasi” le stesse cose di prima.

Nel caso specifico, storicamente l’introduzione di una nuova linea di business aveva richiesto operatività e metodi diversi; il fatto che i tempi disponibili fossero ridotti aveva fatto optare per l’affiancamento di un nuovo sistema invece dell’ampliamento del preesistente.

Alla lunga questo aveva portato a due sistemi completamente indipendenti che facevano fatica a parlarsi e costringevano ad un doppio costo di manutenzione e di supporto ma, ancora peggio, a due culture aziendali che avevano spaccato l’azienda in gruppi divisi e, al limite, antagonisti. Tecnicamente ogni modifica doveva essere validata due volte e aveva quindi tempi percepiti incompatibili con il buon andamento aziendale. In questa situazione i contenuti dei SI non potevano che essere quelli gestionali obbligatori (contabilità etc.) o disegnati sulle esigenze dei singoli capi progetto che si erano susseguiti nel tempo e che riflettevano le esigenze di quel momento. Alla fine c’erano centinaia di programmi di dubbio utilizzo che però bloccavano lo sviluppo di una visione generale in quanto non era chiaro il loro valore in termini di obiettivo strategico.

Le prospettive economiche: in questo contesto e sotto la pressione della concorrenza internazionale l’azienda si stava avviando verso un declino economico più o meno accentuato da fattori temporanei quali la crisi globale o la mini ripresa seguente. Sicuramente il modello di business aveva bisogno di un riposizionamento e i SI diventavano una palla al piede in quel momento di transizione.

L’azienda aveva bisogno di capire cosa era veramente importante e cosa lo era meno; in questo frangente i SI non erano utili in quanto erano lo specchio dell’operatività aziendale esistente e non collegavano l’impresa con i segnali provenienti dal mondo esterno, anche perché il personale addetto era troppo impegnato a mandare avanti il funzionamento quotidiano.

Il fattore di rottura della situazione è stata la nomina di un nuovo amministratore delegato che, pur conscio dei caratteri storici e qualificanti dell’azienda, ha cercato di analizzare razionalmente la situazione dell’azienda. Tutti i settori, ed in particolare i sistemi informativi, sono stati sottoposti ad analisi critica con l’obiettivo di amalgamare l’esistente e rendere più elastica la struttura.

Momenti di rottura come questo mettono l’ amministratore delegato in una posizione molto delicata: innovatore, alibi per l’immobilismo o capro espiatorio per un eventuale falimento? In realtà sappiamo che la bravura dell’alta dirigenza sta proprio nella gestione del percorso che modifica la natura dell’azienda adattandola alle situazioni di mercato, sia questo un percorso di tipo traumatico o piuttosto di tipo “soft”.

In particolare, in aziende storicamente “padronali” (livello 2 del modello di Greiner) si è nella situazione in cui prodotto e processo organizzativo sono così intrecciati da far si che modifiche di struttura siano viste come “offese” alla storia aziendale e non sia possibile vederle come necessità razionali; i processi di servizio sono visti come costi necessari e non come soluzione alla necessità di comunicazione interna, che viene delegata al “padrone tuttofare”.

Naturalmente sappiamo che ciò impedisce la crescita dimensionale e culturale dell’azienda, con i relativi riflessi di diseconomicità di scala e di incapacità di affrontare nuovi contesti. Con l’aiuto di un consulente esterno, il nuovo direttore ha affrontato il ripensamento del business e il ruolo dei SI ponendosi il problema di quale approccio utilizzare; in particolare sono stati presi in considerazione:

L’approccio di contenuto: quello che si usa di solito, in questo approccio i parametri che si usano di solito riguardano

  • Il contesto tecnologico esistente e quello di mercato: il sistema che esiste in azienda, gli ERP di riferimento e gli altri. Si tratta di valutare prestazioni funzionali e tecniche esistenti e dei pacchetti sul mercato per fare una analisi costi/benefici del cambiamento. Come fattore fondamentale bisogna tenere conto del rapporto tra il responsabile IT e il resto dell’azienda oltre che del livello medio degli utenti.
  • Il contesto di consulenza
    • I contenuti: essenzialmente tecnici, nel caso di contenuti poco “alla mano” vengono presi in considerazione anche percorsi di valutazione delle “best practices”
    • I player: le grandi società di consulenza, le medie, i “vicini di casa”.
  • Il contenuto del progetto: tipicamente si tende a ricalcare il sistema attuale perché lo sforzo di riportare nel nuovo sistema le funzionalità vecchie blocca i nuovi sviluppi
  • I tempi: tipicamente va via uno-due anni
  • L’obiettivo: avere una piattaforma tecnologicamente più affidabile e più aperta a sviluppi futuri.

L’approccio funzionale

In questa interpretazione si sono poste le domande dall’inizio e quindi, assumendo come obiettivo il servizio al cliente, bisogna definire

  • Il cliente: chi è
    • Conosciuto
    • potenziale
  • Il servizio in termini di
    • Prodotto
    • Soggettività
    • Socialità.
  • Il cliente conosciuto/ potenziale rispettivamente cosa si aspettano (definizione degli standard)in termini di
    • Prodotto
      • Affidabilità
      • Disponibilità
      • Allineamento alla moda
    • Soggettività
      • Capacità di risposta
      • Capacità di rassicurazione
      • Empatia, comunicazione
    • Socialità
      • Appartenenza al gruppo
      • Distinzione nel gruppo
  • Come definiamo e chi misura queste aspettative ?
  • Come rileviamo le informazioni ?
  • Questa assunzione prevede un ruolo “maturo” del cliente che sa quello che vuole; ipotesi questa da confermare.

L’obiettivo di questo approccio è di definire parametri quantitativi di un modello aziendale, facendo riferimento particolare al concetto di “cliente”.

Questo secondo approccio è stato molto apprezzato anche per la sua valenza di spinta delle persone verso la nuova realtà di mercato che l’azienda aveva un po’ perso di vista.

Il primo passo concreto è stato quindi di definire, al meglio, quali fossero le reali esigenze-clienti differenziandole da quelle che storicamente si reputava esistessero o da quelle che potevano essere state percepite e veicolate dai vari intermediari commerciali (agenti, venditori). L’idea era di confrontare le esigenze così rilevate con il patrimonio esistente (prodotto, clienti) o meglio con le conoscenze che si hanno di queste realtà. Per fare questo paragone si rendeva necessario analizzare quali informazioni ci fossero e quali sarebbero state invece necessarie.

Il processo di scoperta dell’esigenza reale si è svolto mediante la richiesta dell’AD di

  1. Individuare i clienti definiti “rappresentativi” dall’area commerciale
  2. Analizzare da un punto di vista storico gli andamenti delle vendite in modo da individuare i clienti effettivamente “rappresentativi”, definendo i metodi di selezione dei clienti “campione”
  3. intervistare formalmente i clienti, ed in particolare quelli percepiti “campione”, in entrambe le modalità
  4. raccogliere le loro esigenze a tutti i livelli (prodotto, soggettività, socialità)
  5. organizzare i risultati

L’inizio è stato un mezzo “bagno di sangue”: l’area commerciale si è sentita messa sotto processo in quanto percepiva i “clienti” come una sua “proprietà” aziendale e il marketing di prodotto ha avuto perfino un atteggiamento del tipo “il prodotto è giusto, è il cliente che non capisce”. In entrambi i casi veniva dimostrata una scarsa attitudine al concetto di “servizio”.

La bravura dell’ AD è stata di riuscire a mantenere la calma facendo capire che l’immobilismo commerciale o di prodotto possono essere deleteri per l’azienda quanto l’estremismo innovativo. Il sistema azienda riesce a vivere solo nell’equilibrio dinamico dei rapporti con il mercato, quindi un check formale ha anche il significato informativo di conoscenza del contesto.

Come risultato del lavoro ne è uscito che in generale il parametro da migliorare era il “time to market”: evidentemente sia la parte tessuti che la parte abbigliamento hanno il problema di non poter competere, in termini di prezzi, con il far east e quindi, pur rispettando il livello qualitativo attuale che viene giudicato sufficiente (e quindi buono da un punto di vista interno), l’aspettativa è per la possibilità di piccoli lotti disponibili velocemente di modo da evitare giacenze di magazzino. Questo implica

  1. il miglioramento del sistema di connessione informativa
  2. un sistema di relazioni umane venditore-cliente più affidabile
  3. la progettazione del prodotto in modo da differenziare al più tardi il risultato e quindi essere più veloci nella risposta industriale
  4. un rapporto industriale diverso con i clienti che hanno bisogno di un prodotto a lungo lead time cumulato
  5. L’analisi di sistemi per una previsione e una proiezione dei fabbisogni più efficiente.

A questo punto mancava, in realtà, un pezzo di analisi relativo al fatto che le domande erano applicate al contesto attuale mentre bisogna tenere conto del fatto che il “mondo” può essere diverso e quindi deve tenere conto di realtà che non esistevano in quell’azienda; in particolare facciamo riferimento a canali quali l’e-commerce e il retail diretto mediante strutture non complete (negozi) ma tipo corner o shop-in-shop.

L’approccio alla soluzione: azzerare o migliorare. Si tratta della classica domanda dai tempi di Hammer e Davenport ma che deve essere correttamente declinata nel contesto specifico, senza paure ma senza prendere rischi inutili. Questo tipo di scelta parte da un presupposto fondamentale di razionalità del sistema impresa, cosa che, specie nel mondo della PMI, non è assolutamente garantito. In particolare notiamo che tra i “clienti” dell’azienda c’è il proprietario dell’azienda stessa per il quale è necessario intraprendere una serie di azioni atte a soddisfare le sue esigenze, a tutti i livelli della piramide di Maslow.

Nel caso in questione, la scelta del compromesso è partita definendo il ruolo del patrimonio umano nei confronti dei “clienti” (in senso lato come abbiamo visto).

Per ciascun “cliente”, sia esso interno o esterno, si è arrivato a definire il parco delle aspettative e a stimare il costo delle stesse; in particolare si è cercato di individuare quali di queste esigenze non fossero coperte in maniera “sufficiente”, dando quindi luogo a situazioni anche esplicitamente non conflittuali ma che facevano perdere competitività all’azienda all’esterno e creavano malumori all’interno. E’ ovvio che gli interventi hanno avuto tempi e modalità completamente diverse all’interno e all’esterno, visto il diverso livello di controllo del problema.

Le difficoltà più grosse che si sono trovate in questo processo sono essenzialmente di due tipi:

  1. La capacità sia dei “clienti” che dell’azienda nel valutare l’importanza e il livello di copertura dei problemi; utenti aggressivi tendevano a voler imporre problemi, magari relativamente piccoli e parzialmente supportati, sia per motivi di “potere” personale che di approccio inconscio
  2. L’accettazione del concetto di servizio ai “clienti” (interni o esterni) di modo da raggiungere il più velocemente possibile e al minor costo il livello di equilibrio che avrebbe permesso all’azienda di concentrarsi sui problemi che non aveva mai affrontato in quanto operava in un contesto concettualmente diverso da quello del mondo che, nel frattempo, era cambiato.

In questa operazione i supporti informativi hanno dimostrato tutti i loro limiti, perché rappresentavano un mondo slegato dalla realtà; o meglio rappresentavano l’angolo di mondo in cui l’azienda continuava ad operare. Quest’angolo però si stringeva sempre più e presto l’azienda ne sarebbe rimasta schiacciata.

Il percorso reale e i risultati: come abbiamo accennato il nuovo AD si è trovato tra due fuochi:

  • le esigenze del mondo esterno e la dinamica relative
  • le esigenze degli utenti interni ed in particolare della proprietà.

Il percorso che è stato seguito si è concretizzato in quest’ordine:

  • condivisione con la proprietà sulla reale situazione
  • valorizzazione delle valenze e delle aspettative del proprietario di modo che egli fosse produttivo ed appagato
  • analisi delle reali esigenze del mercato
  • costruzione del modello organizzativo tenendo conto del vincolo dovuto alla presenza della proprietà
  • percorso di formazione e adattamento delle risorse umane interne allo schema organizzativo e alle modalità operative della “nuova” azienda
  • costruzione della struttura e degli strumenti per il controllo dell’allineamento continuo al mercato esterno.

Per quanto riguarda i sistemi informativi la scelta è stata di

  1. Forzare la semplificazione dei sistemi attuali di tipo contabile e attuativo, non investendo quindi immediatamente in nuovi prodotti o tecnologie, questo pur consci dei pericoli e dei limiti in questi campi ma avendo valutato sufficiente la loro funzionalità
  2. spingere molto su strumentazioni per

area prodotto sia come

  • progettazione estetica
  • progettazione tecnica (schede tecniche) sia per documentazione storica che per eventuale produzione esterna
  • progettazione operativa (bordo macchina)

area commerciale sia come

  • analisi mercati e opportunità
  • CRM: supporto e controllo rapporto con i clienti
  • Altre opportunità di vendita (e-commerce etc)
  • Eventuale retail in franchising
  1. Definire una strategia minimale nel rapporto costi benefici per l’informatica gestionale di modo da evitare il problema più pericoloso e cioè la dipendenza dalle attuali persone: consolidamento di uno standard di documentazione minimale, eventuale rapporto di outsourcing manutenzione e/o previsione di supporto interno (controllare quante persone interne danno supporto, quanto costano e quanto manca alla pensione). Allo stesso tempo è stata impostata una strategia per la definizione dei dati che sta portando, nel medio termine (2-3 anni), alla possibilità di cambio software con pochi traumi organizzativi.



Un caso di ripensamento dei sistemi informativi – mondo retail.


L’ azienda: la seguente case history riguarda la struttura retail di una piccola-media manifatturiera nel mondo dell’ abbigliamento. Come spesso succede le aziende di abbigliamento, tipicamente nate attorno ad una idea di prodotto, si avvicinano al mondo del retail in maniera distorta. Dapprima hanno bisogno di smaltire le eccedenze di produzione rimaste a magazzino per cui cominciano con l’aprire uno spaccio aziendale, tipicamente vicino allo stabilimento principale. Quando la dimensione dell’azienda aumenta, uno spaccio non basta più e si entra nel circuito degli outlet organizzati. Spesso però l’offerta di prodotto non è compatibile con le esigenze del punto vendita in termini di disponibilità di articoli, taglie e colori e ci si rivolge al mondo degli stock spesso via Internet.

Nel frattempo l’azienda pensa di aver maturato cultura retail e decide di affrontare il mondo della vendita sul mercato generalizzato con negozi monomarca e/o eventualmente shop-in-shop presso aziende della grande distribuzione organizzata.

Naturalmente un salto di questo tipo pretende la possibilità di riempire il punto vendita con un assortimento corretto per cui la collezione originaria si allarga verso un total-look ampio, con i relativi problemi di progettazione e produzione che una simile scelta comporta.

Nel nostro caso l’azienda era passata da una offerta di circa 150 capi con le varie declinazioni colore e taglia ad una offerta di circa 500 pezzi, il che, tra l’altro, corrisponde almeno al triplo di lavoro cartaceo.

Per quanto riguarda il settore retail, l’azienda si era affidata ad un valido professionista esterno cui era stato dato l’incarico di trovare delle location commerciali in linea con i desiderata dell’azienda e quindi in posizione centrale e che potessero alzare il livello percepito del valore del marchio.

L’operazione era partita con l’obiettivo dichiarato di arrivare a 50 punti vendita.

Il mercato: l’azienda opera nel mondo del casual spinto con una storia di eccellenza nel campo della giubbotteria . I mercati di destinazione si estendono in tutto il mondo ma, visto l’elevato prezzo medio del prodotto, riguardano essenzialmente paesi ricchi anche se comincia ad esserci un discreto interesse anche nei pesi emergenti. Il cliente “ideale” appartiene ad un ceto sociale benestante e tende a dare una impronta sportiva e forse un po’ aggressiva al proprio vestire, ma aggressiva quel tanto che permette al prodotto di essere appetibile sia per generazioni più giovani che per classi di età leggermente più avanzate.

Il sistema informativo esistente: il sistema retail iniziale era stato scelto per informatizzare lo spaccio aziendale e, pertanto, aveva come caratteristiche principali:

  • un basso costo di licenza
  • funzionalità operative limitate e chiare
  • architettura funzionale monolivello (una centrale e vari negozi)
  • struttura tecnica stand alone
  • supporto geograficamente vicino e basato su rapporti “personali”.

Tutta una serie di problematiche erano state risolte su base estemporanea per bassi volumi e non avevano avuto un inquadramento generale. A questo bisogna aggiungere l’ignoranza dei processi retail da parte delle persone coinvolte inizialmente che avevano sottovalutato tutta una serie di problematiche.

Naturalmente quando il fenomeno ha cominciato ad allargarsi ci si è trovati di fronte a due comportamenti, comprensibili ma estremamente pericolosi:

  1. Il responsabile aziendale che adottava un atteggiamento del tipo: se va bene per tre andrà vene anche per quattro e così via
  2. Il fornitore di software che proponeva: certo che sono interessato a migliorare il mio strumento, ditemi cosa deve fare e lo sistemiamo man mano.

In pratica si stava cercando di far viaggiare alla velocità di una automobile una bicicletta sempre più truccata.

''''''''''Le prospettive economiche: complice la crisi, l’azienda aveva nel frattempo avuto dei problemi finanziari e la struttura retail stava pesando notevolmente senza portare utili; di una dozzina di negozi attivi solo due o tre avevano i conti in ordine, altri due o tre si giustificavano come canale di vendita ma senza produrre utili e i restanti gravavano sul conto economico della casa madre sia in termini di costi che di reso merce a fine stagione. Tra l’altro l’esistenza di questo canale di vendita, proprio per la peculiarità societaria, imponeva alla struttura industriale dell’azienda uno sforzo aggiuntivo in quanto questi negozi dovevano essere aiutati per evitare perdite ulteriori e questo implicava costi per l’azienda quasi impossibili da rilevare ma tutt’altro che di piccola entità; stiamo parlando, in particolare, di tempo perso dai vari addetti per seguire le problematiche specifiche.

Il fattore di rottura è stata l’analisi fatta da una società di consulenza esterna che ha costretto la proprietà a guardare razionalmente al processo retail. I conti non tornavano e, in previsione di una possibile ricapitalizzazione con un nuovo socio esterno, bisognava giustificare non tanto la strategia verso il mondo retail quanto la sua applicazione. L’azienda restava, nel suo intimo, una azienda di cultura industriale con una abitudine commerciale indirizzata a clienti che erano a loro volta retailer cioè professionisti del settore.

Per quanto fosse stata introdotta una figura di responsabile retail e merchandiser, le vere leve di decisione restavano in mano a persone di cultura “prodotto” per cui tutta una serie di scelte operative assumevano i dettagli tipici dell’industria manifatturiera.

L’approccio funzionale: per valutare correttamente il lavoro da fare si è passati, con l’aiuto di un consulente, attraverso una analisi dimensionale del settore retail per l’azienda completa in tutti i livelli di prodotto, soggettività e socialità.

Per ogni punto si è cercato di recuperare quanti più dati “oggettivi” possibili evitando pregiudizi o preconcetti. Un lavoro che, a mio parere giustamente, è stato delegato all’esterno in quanto il personale interno difficilmente poteva avere il distacco necessario ad una corretta valutazione.

Un altro grosso passo concettuale che l’azienda ha fatto è stato quello di analizzare separatamente le esigenze dei clienti diretti (i negozianti) dai clienti finali (il pubblico). E’ vero che ciò ha implicato un lavoro quasi doppio ma ha permesso di controllare l’allineamento del mercato diretto, siano essi negozi di proprietà o di terzi, alle esigenze del mercato “reale” dei clienti finali.

Operativamente il lavoro è stato svolto mediante la somministrazione di questionari compilati da personale dedicato sia nel caso dei negozianti che dei clienti generici. In realtà questi ultimi sono stati, a loro volta, divisi in due classi: clienti contattati nei negozi, che quindi conoscevano già il marchio e facevano confronti molto più specifici, e clienti generici scelti tra persone che osservavano vetrine di negozi di abbigliamento e quindi genericamente interessati all’abbigliamento ma non al marchio specifico.

Per ognuno di queste interviste è stato dato un valore a ciascun componente dell’aspettativa di soddisfazione sia in termini di richiesta che di risposta percepita.

I risultati esatti sono proprietà privata dell’azienda così come la forma esatta del questionario, quello che possiamo riportare sono i cambi di politica commerciale e industriale che l’azienda ha effettuato in seguito al lavoro di analisi.

I risultati: per quanto riguarda il mercato “reale” dei consumatori finali nel contesto dei negozi di proprietà si è trovato che:

  • Prodotto - Estetica e allineamento alla moda: il prodotto era percepito “moda” ma “middle low class” e certamente non “high fashion” come l’azienda si illudeva fosse. I competitor erano ben diversi da quelli sognati. All’interno dell’offerta c’erano merceologie “riconosciute” e merceologie “quasi inutili”.
  • Prodotto – Affidabilità: la qualità era apprezzata ma il prezzo di vendita era percepito troppo alto.
  • Prodotto – Disponibilità: percezione molto bassa, a fronte di sforzi pubblicitari notevoli l’effettiva raggiungibilità dei capi era difficile. Questo problema era riconducibile anche alla scelta aziendale di non offrire su Internet tutta una serie di capi giudicati “di rappresentanza”
  • Soggettività – capacità di risposta: l’autonomia del personale di vendita e il supporto tecnico per una effettiva capacità di risposta sono stati considerati appena sufficienti
  • Soggettività – rassicurazione: il livello di competenza tecnica era di livello medio basso, ciò contribuiva alla percezione del posizionamento del marchio
  • Soggettività –empatia: ovviamente dipende dal personale del singolo punto vendita; in generale il marchio non ispira “simpatia”
  • Socialità – appartenenza al gruppo: indicazione di un livello molto alto di aggregazione
  • Socialità – distinzione: livello piuttosto basso, probabilmente legato a scarsi sistemi di CRM

Per il mercato dei negozianti si è trovato che

  • Prodotto - Estetica e allineamento alla moda: valutazione media, migliore che non per i clienti finali
  • Prodotto – Affidabilità: buona, pochi capi resi e pochi problemi nel post vendita
  • Prodotto – Disponibilità: medio bassa in quanto l’azienda non è molto puntuale nella gestione delle date di consegna
  • Soggettività – capacità di risposta: buon livello di servizio clienti per i negozianti
  • Soggettività – rassicurazione: piuttosto basso soprattutto per motivi di credibilità; il cliente percepisce una sorta di alterigia industriale
  • Soggettività –empatia: dipende molto dall’agente, in generale poco accentuata
  • Socialità – appartenenza al gruppo: percezione del gruppo per i loro clienti finali, poco per se: quasi nessuna attività di gruppo
  • Socialità – distinzione: poco, basso livello di CRM sui negozianti.

''''''''''I risultati: sulla base delle indicazioni avute dall’analisi l’azienda si è mossa in maniera molto decisa su tutta una serie di punti:

  • Prodotto: l’offerta è stata divisa in maniera molto più precisa in un campionario dedicato al mercato generale e composto di circa 150-200 capi ritornando al progetto aziendale iniziale. A questo è stato affiancato una serie di articoli (circa altri 100 capi) per i negozi di proprietà. Questa seconda serie di capi sono però stati pensati sulla base di variazione di capi esistenti sul mercato, semplificando quindi di molto il lavoro dell’ufficio progettazione e produzione dell’azienda. Con questa aggiunta esiste un completamento di gamma che da una parte serve a riempire gli spazi espositivi e dall’altra offre un total look che caratterizza da una parte il brand e dall’altra i negozi aziendali come punto di riferimento per i patiti.
  • Pubblicità: la comunicazione è stata indirizzata in due filoni distinti. Un filone serve a riposizionare il marchio più verso il mondo “high fashion” mediante testimonials e presenza mediatica di contesto. Un filone punta ai mercati specifici evitando di cercare di essere presenti sempre e dovunque nei mercati dove non era possibile garantire la distribuzione corretta.
  • Punti vendita diretti: a parte i pochi punti vendita economicamente giustificati, e per i quali si è riposizionato il piano prodotti, la strategia si è indirizzata verso punti vendita in società con i proprietari, tipicamente di piccola superficie e indirizzati pesantemente verso il prodotto riconosciuto (giubbotti)e con un forte legame sul territorio di modo da funzionare sia come vetrina che come effettivi centri di ricavo.
  • Punti vendita indiretti: si è creata una struttura di contatto con i clienti terzi molto più vicina anche con disponibilità a incontri o meeting per fidelizzarli.
  • Rapporto con gli agenti: parecchi sono stati cambiati in quanto l’azienda ha preteso che l’agente non fosse solo il veicolo di forzatura del prodotto sul mercato ma diventasse parte attiva nella raccolta e sviluppo prodotto mediante raccolta e razionalizzazione di informazioni. Questo tipo di rapporto, molto più vicino alla show room aziendale che alla figura classica del rappresentante, ha creato notevoli tensioni sia organizzative che economiche nella struttura di vendita che ha dovuto essere ridefinita.
  • Rapporto con i commessi: da una parte sono stati oggetto di un processo di formazione da una latra parte sono stati selezionati in quanto è stato pretesa da loro la capacità di essere sia tecnicamente che umanamente preparati al rapporto con un cliente.
  • Rapporto con i clienti: è stato deciso diventasse il fulcro dell’interesse della divisione retail. Sono stati analizzati tutti gli aspetti del rapporto con il mondo retail aziendale, dai lay out, al packaging, all’atteggiamento aziendale e dei collaboratori. Una serie di riunioni ha definito gli standard di soddisfazione di soggettività e di socialità che l’azienda voleva raggiungere; gli strumenti per ottenerli e gli strumenti di controllo perché ciò avvenisse.
  • Sistemi informativi centrali: l’intervento è stato piuttosto limitato e relativo soprattutto al controllo della qualità delle informazioni che interessano il rapporto con il cliente, quali le date di consegna o l’indice di difettosità.
  • Sistemi informativi di retail: sono stati pesantemente toccati. La parte operativa del punto vendita è stata giudicata insufficiente e sostituita con strumenti pensati per una vera azienda retail. Su questa base sono stati introdotti sistemi di CRM classico (tessere fedeltà etc.) o innovativo (riconoscimento multi luogo ). E’ stato introdotto un sistema di monitoraggio costante delle aspettative clienti e del relativo livello di soddisfazione. L’analisi del traffico dentro e fuori il punto vendita, effettuata con tecnologie adatte, ha indicato quali locations fossero corrette e quali meno anche in rapporto al numero pezzi venduti e al valore medio.

In generale l’operazione è ancora in corso ma le indicazioni sono estremamente positive in termini di rapporto con i clienti e di redditività dei punti vendita dove tutti sono arrivati al pareggio o all’utile.



Introduzione al metodo


Avendo visto due casi pratici, l’obiettivo è di analizzare, al livello più alto, i fabbisogni informativi delle attività tipiche di una azienda per definire un contesto conoscitivo in cui sia noto l’insieme dei dati e dei processi informativi. Parallelamente si vuole controllare quali flussi siano attualmente coperti da strumentazione tecnica e quali no.

Nel presente lavoro parlerò specificatamente di aziende abbigliamento anche se l’impostazione generale è valida anche per altri settori; in particolare farò riferimento ad aziende il cui scopo sia quello di migliorare la vita dei clienti secondo una propria “idea” o “proposta” piuttosto che di quelle che sono un mero strumento di creazione di ricchezza ad uso degli azionisti.

La differenza tra le due visioni ritengo si esplichi nell’atteggiamento verso il “cliente”: nel primo caso esiste una relazione biunivoca di servizio mentre nell’altro il cliente è visto come strumento per l’utile aziendale.

In generale può essere che il cliente non sia conscio della propria esigenza ma in questo caso si tratta di un processo maieutico di estrazione più che di un processo di forzatura della induzione di una nuova esigenza.

In questa visione anche gli agenti ed i negozianti fanno parte dell’azienda “estesa” in quanto veicolano il concetto di servizio.

Il motivo per cui è stato scelto il mondo dell’abbigliamento è perché tra quelli che si occupano di beni fisici, e non di servizi, è forse tra quelli che in termini di

  • Volumi di beni e informazioni
  • Indice di cambiamento del prodotto
  • basso valore unitario del prodotto
  • metodologie di vendita disparate
  • divisione tra “cliente” e “consumatore” (2 livelli decisionali)

meglio si presta a questo tipo di ricerca; ciò non toglie il tentativo di mantenere una certa generalità: si provi ad immaginare l’applicazione dei concetti seguenti all’analisi delle esigenze sociali e alla politica come creatrice di servizio ai cittadini.

Prima di entrare nella fase di analisi vorrei riprendere un punto accennato sopra e cioè il fatto che le vendite di abbigliamento vengono tipicamente fatte in negozi alla presenze di un addetto. Da un punto di vista delle aziende produttrici il “cliente” è l’addetto, o perlomeno una persona della sua organizzazione (vedi ad es. i department stores), mentre il mercato “vero” è quello del consumatore finale. In realtà l’addetto svolge un ruolo di indirizzo sul prodotto tutt’altro che banale ma, soprattutto, è un veicolo fondamentale per la parte di gratificazione personale (l’aspetto soggettivo della vendita). Da un punto di vista informativo l’addetto è, purtroppo, un problema perché interpreta il dato rilevato prima di registrarlo generando così un ulteriore margine di errore nella qualità dell’informazione. Molto spesso il problema si aggrava ancor più perché l’informazione viene veicolata dall’atto di vendita al product manager anche tramite l’agente di vendita, con un ulteriore margine di incertezza.


Voler costruire un modello informativo, che possa essere di base alla costruzione di strumenti tecnici, significa definire stati e processi nel dettaglio. In realtà in questo lavoro ci fermiamo tendenzialmente al primo livello perché l’analisi dettagliata di ogni singolo sottosistema diventerebbe un’opera immane, basti pensare che un sistema ERP è qui citato in una riga. Altre volte cercheremo di approfondire aspetti che riteniamo poco sviluppati nel panorama strumentale attuale.



Metodologia di analisi

Poiché la letteratura non è chiarissima e definita, cercheremo di utilizzare un approccio metodologico il più generale possibile utilizzando tecniche di analisi dei sistemi e dei processi.

Definiamo come sistema un insieme ordinato di elementi organizzati per raggiungere un certo obiettivo. Questi elementi possono comprendere oggetti fisici (hardware, software), persone, informazioni, strumentazioni e altri elementi di servizio. Mutuando alcune caratteristiche dei sistemi biologici possiamo pensare che un sistema abbia caratteristiche tra le quali:

  • l’autoreferenza: il sistema al suo interno è definito da leggi
  • l’omeostasi: un sistema è in equilibrio quando certe variabili critiche restano entro certi limiti.

Di un sistema siamo interessati a definire il modello astratto, informativo nel nostro caso, del fenomeno naturale o artificiale che viene chiamato sistema fisico. Un sistema fisico può essere raffigurato mediante una rappresentazione dinamica, o dei processi, ed una statica, o degli stati. Un processo può essere definito come il passaggio tra due stati (iniziale e finale) di un sistema così come lo stato è una fotografia del sistema a “processi fermi”.

Entrambe le raffigurazioni hanno senso all’interno di un contesto di variabili di definizione e di metriche di misura delle grandezze e delle variazioni.

A questo punto sottolineiamo che esistono processi fisici che hanno come oggetto la gestione di informazioni (ad es. l’anagrafe di un comune) ed altri che operano su oggetti fisici e su cui esiste un sistema informativo di servizio.

Nel primo caso processo informativo e processo fisico coincidono.

Nel secondo caso e scendendo nel pratico prendiamo come esempio ciò che riguarda un sistema industriale: si può definire lo stato (posizione spazio temporale dei componenti fisici: visione logistica) e i processi che operano su di esso (es. trasformazione di un bene in un altro: processo industriale). Il sistema informativo associato, a sua volta, deve definire il contesto, lo stato informativo e le sue regole di trasformazione (processi). Nel primo caso abbiamo le tipiche informazioni anagrafiche ( variabili di stato o di processo con il relativo problema della scelta delle variabili), nel secondo le informazioni di stato del sistema (es. giacenze, saldi etc.), nel terzo quelle tipiche associate ai cambiamenti (movimenti di magazzino o contabili, ordini di lavoro etc.).

Per quanto riguarda le “funzioni” informative esse sono normalmente catalogate in funzioni di raccolta, archiviazione, trasmissione, trasformazione e presentazione (Miotto)

Solo per completezza ricordiamo l’esistenza concettuale del problema della misura dei parametri nella sua duplice veste di necessità dell’esistenza di uno strumento di misura e del fatto che la misura in se potrebbe perturbare il sistema misurato.

In realtà dobbiamo sottolineare che fin qui abbiamo parlato di ontologie sintattiche (definibili cioè mediante variabili e metriche definite) mentre esiste un mondo associato a semantiche destrutturate ricchissimo di informazioni ma difficilmente utilizzabile.

In questo lavoro siamo interessati in particolare ai cosidetti “business processes” cioè i processi artificiali che rappresentano funzioni legate all’attività complessiva di una organizzazione o di una impresa economica. Rispetto ai sistemi naturali questi sistemi non hanno regole deterministiche tali che, definito lo stato del sistema e gli ingressi, le uscite siano completamente determinate; si tratta di sistemi sociali sottoposti a contesti culturali variegati, a regole statistiche e ad eventi stocastici, non di sistemi deterministici in senso galileiano.

Nel proseguio del capitolo più che cercare di rappresentare i processi in un linguaggio formalmente corretto e facilmente utilizzabile (compito per esempio di metodologie quali l’ UML) vorrei cercare di affrontare il problema della metodologia per la definizione degli obiettivi di un sistema informativo con riferimento ad un problema pratico aziendale; il come si “entra” nel problema specifico, nel nostro caso del mondo della moda .

Abbiamo appena visto che per definire un sistema informativo dobbiamo individuare, a parte la definizione del contesto, sia i valori delle informazioni di stato che quelle di processo; nella mia esperienza un metodo di lavoro per questa individuazione passa attraverso l’analisi delle “dimensioni informative” dove per dimensioni di intendono linee di analisi informative indipendenti.

In pratica dobbiamo porci una serie di domande su com’è lo stato iniziale e cosa accade nel sistema; le domande sono : “cosa”, ”come”,“chi”, “dove”, “quando”, “quanto”, “perché” dove ogni domanda è una dimensione.

  • Cosa: oggetto del processo; quali indicatori vengono individuati e misurati nel corso del processo
  • Come: come rilevo e tratto le informazioni (descrizione dello stato), come avviene il processo (applicazione delle regole). In quest’ambito esiste il problema del metodo di misura, della metrica o della quantificazione della misura del valore e della modifica degli indicatori (es. six-sigma methods); inoltre in questo ambito comprendiamo anche il problema della scelta del linguaggio di rappresentazione per avere un formalismo coerente.
  • Chi: definizione degli attori del contesto; chi subisce il processo (stato iniziale), chi agisce nel processo, chi ha risultati del processo (stato finale)
  • Dove: spazio del processo; dove nasce, dove si compie e dove si riflette il processo; in particolare in una situazione di globalizzazione i luoghi di nascita, operativo e di destinazione del processo possono coincidere o essere molto diversi
  • Quando: quando nasce il processo (stato iniziale), quando opera e finisce il processo e si vedono i risultati (stato finale)
  • Quanto: qual è il valore iniziale e la variazione del valore delle variabili individuate
  • Perché: problema dell’esistenza di leggi interne (stabilità iniziale del sistema), esistenza di interazioni con il contesto (leggi esterne)

Di tutte queste domande quella sicuramente diversa è il “perché” in quanto in alcuni casi essa è riconducibile a regole esterne codificate (leggi o regolamenti) mentre in altre è semplicemente la ricerca di uno schema razionale in una realtà fisica.

Il “quanto” è, in un certo senso, la misura dell’aggancio con la realtà fisica; distingue quali siano le dimensioni veramente interessate da uno specifico processo, quelle per cui la variazione è significativa. In generale alcuni nostri processi possono essere considerati “misurabili” solo in termini statistici e la loro popolazione spesso mostra i limiti associati al teorema di De Moivre (vedi esempio più avanti).

E’ importante notare che alcune volte, dipende dal particolare processo che prendiamo in considerazione, alcune di queste dimensioni possono coincidere. Prendiamo, per esempio, il processo fisico di caduta di una mela dall’albero. In questo caso l’aspetto di “contenuto” e “geografico” del processo coincidono: il processo è la variazione di posizione geografica della mela; ciò non toglie che non si possano confondere

  • Il “dove” nel senso di ambito geografico del processo
  • Il “dove” come contenuto del processo.

Metodologicamente tutte le variabili esistono ma, in casi particolari, possono coincidere.


Come abbiamo detto precedentemente parliamo di sistemi i cui comportamenti non sono completamente determinati a partire dalle condizioni iniziali, le proprietà di omogeneità spazio-temporali sono da considerarsi casi particolari e non una regola generale; in particolare proprietà quali la reversibilità dei processi non è garantita anzi spesso è proibita, per cui alcuni meccanismi dei processi tecnici (compensation handlers) non possono affatto essere dati per scontati.


L’obiettivo: il problema reale

Come detto assumiamo che lo scopo dell’azienda, spesso nel contesto locale identificabile con l’imprenditore, sia quello di migliorare il livello generale dell’abbigliamento nella società, entità che rappresenta il mercato di riferimento; questo si concretizza in quattro processi fondamentali:

  1. capacità di percepire e codificare l’esigenza del cliente
  2. capacità di razionalizzare e interpretare l’esigenza
  3. capacità di soddisfare l’esigenza
  4. capacità di veicolare l’ idoneità a soddisfare l’esigenza.

In mezzo a tutto c’è il progetto industriale dell’azienda in tutti i suoi aspetti: marketing, commerciale, produzione, logistico e di servizio.

Nei libri di marketing si pone giustamente l’accento sull’importanza delle 4 P (prodotto, posto, prezzo e promozione) cioè la capacita di fornire il giusto prodotto, al giusto prezzo, nel giusto momento comunicando al cliente correttamente questa capacità. Da un punto di vista degli informatici questa affermazione porta con se due grandi problematiche:

  1. perché solo 4 dimensioni di analisi e non tutte e sette
  2. cosa significa “giusto” ?

Cercheremo di inquadrare queste domande in ambito più generale ma resta importante il mantenere il confronto con altre visioni del problema.

Ritornando ai nostri processi principali notiamo che il primo, il secondo e il quarto hanno un contenuto (il “cosa”) informativo nel senso che le funzioni sono proprio quelle operanti su dati mentre per il terzo il contenuto è “fisico” nel senso che l’obiettivo è fare si che un bene reale (un vestito) sia a disposizione del cliente, per cui in quel caso lavoreremo sul processo informativo di servizio.

L’esigenza: il principio

Prima di proseguire nell’analisi ritengo indispensabile definire i contorni di ciò che è stato citato come “l’esigenza del cliente”.

Lo psicologo Abraham Maslow ha indicato una classificazione di gerarchia di bisogno e motivazione divisa in 5 classi:

  1. Motivazione su base fisiologica: bisogni essenziali (bere, mangiare, dormire etc.)
  2. Motivazione di sicurezza, ansia/aggressione: necessità di difesa dalle insidie e quindi casa, vestiti fonte stabile di sostentamento
  3. Amore e senso di appartenenza, bisogni ambientali: necessità di un ambiente confortevole sia in termini fisici che psicologici (gratificazione personale)
  4. Autostima e prestigio: necessità di vedersi riconosciuti, accettati socialmente
  5. Autorealizzazione e successo: avvicinarsi la proprio ideale

e si suppone che l’individuo, una volta soddisfatti i bisogni di livello inferiore, sia portato a spostare la propria attenzione su livelli sempre superiori.

Per quanto riguarda l’abbigliamento di solito:

  • il primo livello della piramide dei bisogni non viene considerato
  • il secondo è il fattore storico dell’utilitarismo, quello per cui un abito serve a coprire e a difendere il corpo. Al giorno d’oggi, e nella società ricca, questo fattore tende a perdere importanza per la presenza di molti fattori (l’automobile, il riscaldamento) che modificano il rapporto tra il corpo e l’ambiente. Questo fattore, ovviamente, resta molto importante negli abbigliamenti tecnici, sportivi, di lavoro etc) dove il fattore funzionale predomina.
  • nel terzo fattore farei entrare il grande mondo della gratificazione personale intesa come piacere strettamente personale (la sensazione tattile del cashmere, il “rosso” di Valentino, l’odore del cuoio) e, naturalmente, la sensazione di confort che proviamo indossando un capo “ben fatto”.
  • nel quarto punto ingloberei il fattore sociale in termini di gratificazione al momento dell’acquisto o di appartenenza ad un “gruppo” con i suoi simboli distintivi. Alcuni autori sembrano associare questo aspetto sociale essenzialmente al momento della vendita, da cui tutto il focus sul retail. Se ciò fosse vero allora le vendite su Internet avrebbero un significato molto limitato; personalmente ritengo che ci sia una componente sociale più ampia e che si esplica più tardi. Di nuovo se prendiamo in considerazione le vendite di abbigliamento via internet, a differenza delle vecchie vendite per corrispondenza, esse spesso vengono fatte da persone che hanno visto, e magari provato, l’articolo in un negozio o presso chi già lo possiede e cercano l’utilità economica del prezzo scontato. In questo caso la fase di gratificazione personale esiste nell’indossare il capo e si perde in parte quella del momento dell’acquisto.
  • il quinto punto comprende l’avvicinarsi all’immagine di “sé ideale” quindi con una valenza di sé stessi compiuta non solo verso il modo attuale (individuale o sociale) ma anche verso una visione prospettica. Qui inserirei il concetto di distinzione del “se” all’interno dell’accettazione sociale e quindi il “riconoscimento” sociale.

Ovviamente la vera molla dell’acquisto sarà una combinazione di tutti i fattori pesati in maniera diversa a seconda della persona, dell’oggetto, del momento, del posto e del come si svilupperà l’interazione con il contesto.

L’esigenza: la pratica

In realtà ciò che dobbiamo fare è annullare il differenziale tra le aspettative del cliente e la percezione sulla qualità del prodotto/servizio acquistato; in questo caso avremo soddisfatto il cliente che riterrà corretta la differenza tra il prezzo di acquisto e la sua percezione di valore.

Riferendosi ai modelli di qualità di servizio mediante analisi gerarchica multidimensionale (Dabholkar etc.) o di Gap Analisys (Parasumaran et alt.), ma integrando anche altri fattori, dobbiamo soddisfare i parametri di qualità legati a

  1. Prodotto: Aspetti tangibili (livello di estetica/design, adeguamento alla moda)
  2. Prodotto: Affidabilità (qualità dei materiali e delle lavorazioni, serietà dell’azienda)
  3. Prodotto: Disponibilità del prodotto nei tempi e luoghi ove richiesto
  4. Soggettività: Capacità di risposta (puntualità, gestione di non conformità, flessibilità)
  5. Soggettività: Capacità di rassicurazione (competenza, cortesia, credibilità)
  6. Soggettività: Empatia (comunicazione)
  7. Socialità: Appartenenza al gruppo
  8. Socialità: Distinzione nel gruppo di appartenenza

Come abbiamo già sottolineato, la soddisfazione del cliente è una operazione complessa che non deve dimenticare il fatto che il cliente è “la persona importante” e come tale non può essere considerata solo come il destinatario di un “prodotto” per quanto buono sia il prodotto. D’altra parte non vogliamo pensare solo di “vendere sogni” senza alcun prodotto concreto perché, svanita l’euforia temporanea, avremmo un cliente insoddisfatto. Quindi, anche da un punto di vista di “customer retention” nel tempo, la soddisfazione deve essere composta di tutti i componenti.

Per quanto riguarda la parte “sociale” vale la pena di tenere conto di quella che è considerata la differenza tra “stile” e “moda” (Espinosa – MIT Media Lab). Lo “stile” è una delle componenti principali dell’identità di gruppo, è la manifestazione esterna di certi valori e atteggiamenti comuni che, con costi alti, possono essere imitati da un esterno. Proprio per mantenere questa difficoltà di appartenenza questo codice deve essere continuamente aggiornato dando luogo al fenomeno della “moda” inteso come il continuo aggiornarsi dei segnali all’interno dello schema “stile”. Da qui se ne ricava che le “mode” vengono veicolate dall’interno del gruppo mentre gli “stili” provengono da persone esterne al gruppo e che portano alcuni valori alternativi. Nel momento in cui il nuovo stile raggiunge una massa critica viene accettato e inglobato nella cultura sociale generando la ricerca di nuovi elementi di rottura.

L’importanza dei fattori

Da un sondaggio presso un gruppo di consumatori abbiamo rilevato che l’importanza relativa dei parametri nell’acquisto è


Prodotto: Aspetti tangibili (livello di estetica/design, adeguamento alla moda)

6,3

Prodotto: Affidabilità (qualità dei materiali e delle lavorazioni, serietà dell’azienda)

9,0

Prodotto: Disponibilità del prodotto nei tempi e luoghi ove richiesto

7,0

Soggettività: Capacità di risposta (puntualità, gestione di non conformità, flessibilità)

7,3

Soggettività: Capacità di rassicurazione (competenza, cortesia, credibilità)

7,3

Soggettività: Empatia (comunicazione)

6,6

Socialità: Appartenenza al gruppo

5,9

Socialità: Distinzione nel gruppo di appartenenza

6,3


E’ importante sottolineare che questi valori si riferiscono ad un campione di utenti relativamente agli acquisti di abbigliamento e quindi ha validità solo in questo ambito.

Le metodologie di soluzione

L’organizzazione sociale attuale prevede che la soluzione dell’esigenza cliente venga risolta essenzialmente in due modalità:

  1. industrialmente: partendo dall’analisi del fabbisogno e progettando il prodotto-soluzione e la filiera logistica di disponibilità
  2. commercialmente: scegliendo sul mercato e offrendo la soluzione che, a parere del retailer, meglio soddisfa le richieste.

Queste soluzioni hanno dei punti in comune (raccolta e analisi dei fabbisogni) e dei punti specifici che affronteremo in seguito.


Processi generali

Passiamo ora ad analizzare i macro processi comuni a entrambe le metodologie di servizio.

Capacità di percepire l’esigenza del cliente

In questo processo il sistema è l’insieme “azienda-cliente potenziale” dove quest’ultimo è il tenutario, in maniera più o meno conscia, dell’esigenza. Il processo porta alla condivisione dell’esigenza, travasando le informazioni relative, con l’azienda.

Perché recepire l’esigenza del “cliente”. La risposta che mi do è perché ritengo corretto un atteggiamento agnostico sulle esigenze altrui, non voglio pensare di essere io il depositario della conoscenza; vedo l’azienda come l’attore capace di percepire e proporre soluzioni a richieste esistenti.

Chi: chi opera nel processo di percezione dell’esigenza

Il consumatore: è la persona in cui nasce esplicitamente l’esigenza (demand driven) o in cui esiste in maniera nascosta, da far maturare (supply driven).

Da un punto di vista della catalogazione dei clienti possiamo individuare:

  • Clienti conosciuti, clienti di cui abbiamo già uno storico dei comportamenti tramite fidelity cards o altro; in particolare tra questi riteniamo importanti, per i nostri ragionamenti predittivi, i clienti campione cioè quei clienti che storicamente rappresentano in maniera statisticamente significativa il mercato di riferimento
  • Clienti sconosciuti o saltuari
  • Clienti potenziali intesi come persone con cui non siamo ancora venuti in contatto(totalmente anonimi) ma che appartengono a fasce di mercato catalogate come di riferimento, oppure chi guarda la vetrina o entra in contatto (nel negozio o nel sito) ma non procede nell’acquisto (contatti)

E’ ovvio che per ciascuna categoria ci troviamo di fronte a situazioni e strategie commerciali diverse: nel primo caso l’obiettivo è mantenere il cliente ed eventualmente aumentare il cross-selling o l’up-selling, nel secondo caso vogliamo fidelizzare il cliente aumentando le barriere all’ingresso da parte di competitors, nel terzo vogliamo diminuire le barriere all’ingresso.

Chi recepisce l’esigenza : suddividerei questi operatori in tre gruppi, nel primo si tratta di persone il cui lavoro è raccogliere e catalogare le impressioni del mercato, a volte vengono chiamati “cool hunters” o scouts. In pratica queste figure operano a livello ampio: di società, di ambiente. A livello intermedio operano gli agenti il cui contesto professionale è dato dall’insieme dei negozi e quindi più ristretto dell’intera società ma più ampio del singolo negozio. A livello più diretto operano figure addette alla vendita personale (commessi) che quindi hanno accesso ad un livello informativo più ristretto ma definito.

Chi trasmette l’esigenza: verrebbe da dire che si tratta delle stesse persone che raccolgono l’esigenza e quindi lo scout, l’agente o il commesso. Nella mia esperienza ho visto che tale funzione non era percepita come parte integrante del lavoro per cui o veniva delegata ad una funzione segretariale (con relativa perdita di affidabilità del dato) o veniva eseguita in modo svogliato e superficiale inficiando il patrimonio informativo acquisito, sempre che non fosse volontariamente tenuta nascosta per generare “l’indispensabilità”.

Che cosa si percepisce, qual’è l’oggetto del desiderio.

Riprendendo il discorso fatto farei una prima divisione di questo aspetto in tre livelli:

  • esigenze certe: richieste esplicite puntuali, tipiche del bisogno di un capo con caratteristiche particolari (impermeabili, scarpe da lavoro etc.) magari legati a contesti nuovi (guanti lunghi per snowboarders)
  • esigenze semistrutturate: più generali delle precedenti ma non vaghe: ad esempio “quel tipo di giacca ma con la pelliccia ai bordi del cappuccio”; si tratta ancora tipicamente di esigenze di prodotto; in questo gruppo metterei anche quelle esigenze, ad esempio di modellistica (giacca troppo lunga o corta) che vengono espresse gestualmente ma non verbalmente
  • esigenze di contesto sociale o geografico: riguardo al prodotto sono tipicamente più vaghe, spesso indotte da fenomeni emulazione (gli occhiali arrotondati come la forma delle automobili, un trend “glamour” piuttosto che di understatement.).

Riguardo l’oggetto della percezione ritengo sia bene fare una analisi delle situazioni reali; in questo ci può aiutare la matrice di Ansoff che suddivide il mercato in articoli nuovi/esistenti su mercati nuovi/esistenti etc. Nel caso del mondo “moda” più che di articoli specifici parliamo di “temi” di articoli (pellicce, tessuti; giacche o giubbotti; range di colori); ritengo improbabile che nel “fashion system” esista una richiesta per un articolo definito nel massimo dettaglio, forse solo nel “fatto su misura”.

In questo punto abbiamo categorizzato solo le esigenze riguardo al prodotto ma ritengo si possa mantenere la stessa struttura di analisi anche per quanto riguarda gli altri livelli di bisogno (gratificazione personale, sociale e autorealizzazione). In realtà su questo argomento non mi risulta ci siano studi o ricerche di tipo quantitativo, si tratta di un argomento di ricerca affascinante e poco esplorato.

Dove: l’aspetto geografico della rilevazione dell’esigenza e dell’archiviazione dei dati associati.

A seconda dei livelli di esigenza considerata (certa, semistrutturata e sociale) ritengo che i luoghi più indicati siano:

  • i negozi visti come momento di colloquio con il cliente: in questa fase vengono rese esplicite le esigenze di tipo certo o semistrutturato, l’evidenziazione viene fatta in maniera informativamente piuttosto precisa generando un patrimonio informativo assai rilevante
  • il comportamento di fronte alla vetrina o all’interno del negozio: qui gli attori sono tipicamente clienti potenziali e la forma dell’esplicitazione è assai varia; siamo quindi in presenza di un patrimonio informativo molto importante ma piuttosto destrutturato e difficile da rilevare
  • l’osservazione dei concorrenti: stiamo rilevando l’esigenza attraverso le soluzioni proposte da altri, e quindi già mediate. Ciò che è importante e che i concorrenti potrebbero aver avuto accesso a contesti che, per tanti motivi, a noi possono essere preclusi. In una epoca di globalizzazione di mercati l’analisi della concorrenza straniera ci permette un punto di vista difficilmente accessibile.
  • osservazione della società negli aspetti geograficamente distribuiti: è dove compaiono le esigenze più innovative ma nella loro veste più embrionale, proprio per questo più difficili da rilevare sopra il “rumore” informativo.


Per quanto riguarda la definizione del processo di rilevazione e archiviazione possiamo pensare alle banche dati come contenitore delle informazioni, il problema si sta spostando da un punto di vista tecnologico (quantità e tipologia dei dati) a quello di forma e funzioni sui dati vista la natura semantica di buona parte dei collegamenti.

Come: per capire come raccogliere l’esigenza chiediamoci prima come questa si esplicita. Possiamo classificare le modalità di esternazione in:

  • esigenze personali consce quali ad esempio la richiesta esplicita ad un commesso o un commento nella visita al sito
  • esigenze personali inconsce quali l’azione di prendere in mano un capo, osservarlo bene per poi lasciarlo perché non convinti da un dettaglio o dal prezzo
  • esigenze sociali quali la nascita di una nuova moda nei suoi aspetti di differenziazione iniziale e di appartenenza successiva.

Come si raccoglie l’esigenza: per ciascuna modalità dovremo immaginare un metodo di raccolta delle informazioni elementari(definizione dello stato) e quindi:

   Supporti alla vendita diretta sia effettuata che mancata
   Supporti all’analisi di ambiente
   Supporti all’analisi della concorrenza
   Supporti alla catalogazione dei trend sociali 

Per quanto riguarda la definizione del processo dobbiamo porci il problema, enorme, dei metodi operativi di raccolta, archiviazione, comunicazione e presentazione delle informazioni. In particolare la raccolta nel punto vendita deve tenere conto del fatto che gli operativi si trovano a lavorare sia in condizioni “normali” sia in condizioni di confusione (saldi, momenti di punta) in cui l’operatività di raccolta rischia di diventare una palla al piede.

Oltre a questi problemi, tutt’altro che banali, si aggiunge quello della qualità del dato:

  • un cliente che si sente osservato si comporta come uno ignaro?
  • I dati che rilevo sono effettivamente significativi o sono condizionati dalla rilevazione ?

Non mi sembra il caso di entrare qui nelle problematiche relative alle metodologie e alla bontà dei campionamenti; francamente ritengo che, allo stadio attuale, già riuscire a raccogliere alcune informazioni sarebbe molto.

Un altro problema da tenere in evidenza riguarda il bias statistico sulla rilevazione, come esempio guardiamo al punto vendita come definizione del contesto: in un negozio lussuoso potrò percepire solo le esigenze di un cliente ricco, sulle bancarelle di un altro tipo di cliente. Dovrei quindi fare un confronto del comportamento con lo storico del cliente “medio” per valutare correttamente l’informazione.

Quando si raccolgono le informazioni e quando si utilizzano. Riprendendo la suddivisione in informazioni certe, semistrutturate e di contesto vediamo che

  • le informazioni di contesto hanno un orizzonte temporale ben più ampio della vita del singolo capo, parliamo di uno o due anni;
  • le informazioni semi strutturate hanno mesi in anticipo sulla richiesta fisica, es la fine della precedente stagione invernale(saldi) e la stagione estiva come momento di maturazione dei capi invernali da cui un “time to market” leggermente più corto di quello accettato oggi (momento di maturazione dell’esigenza)
  • le esigenze di dettaglio dovrebbero avere valenza immediata nel senso che l’ideale sarebbe che una richiesta di questo tipo venisse risolta a fronte dello stesso contesto commerciale (cliente/momento).

Per quanto riguarda il momento della rilevazione le informazione di contesto non hanno una vera e propria definizione anche se è realistico pensare che in inverno osservo e rilevo trend invernali e viceversa per l’estivo. Per le esigenze di tipo puntuale o semigenerale queste emergono essenzialmente durante il periodo delle vendite sia in termini di focalizzazione generica che di dettaglio del singolo evento (la vendita diretta).

Ancor più che per le altre dimensioni informative il valore del dato ha una forte dipendenza temporale nel senso che esiste una forte variazione dei segnali nel tempo: es. le vendite in campagna e nei saldi ed i segnali devono essere quindi adeguatamente normalizzati.


Quanto: quanti segnali devo recepire e quanto significativi devono essere i segnali per essere considerati dati informativi.

Su questo argomento dobbiamo tenere conto di tre aspetti: un discorso di metodo, uno di contenuto della misura e uno di valore di riferimento.

Per spiegare il discorso del metodo facciamo un esempio: se un cliente dice “bello” di un capo la varianza statistica del valore della variabile “bellezza” è pari al valore della variabile stessa per cui l’informazione non è molto significativa; il teorema di de Moivre ci ricorda che la varianza del campione rilevato di avvicina a quella della popolazione reale in funzione inversa della radice quadrata della dimensione del campione; per cui 4 persone che dicono “bello” vale il doppio di un cliente solo e comincia ad essere statisticamente significativo.

Per quanto riguarda il contenuto della misura, cioè la scelta delle variabili da misurare, esse devono permettere la creazione di un modello predittivo e quindi vanno scelte in funzione dell’obiettivo del nostro studio. Prendiamo un caso tipico: l’analisi del venduto nei periodi di campagna e di saldo. Nel caso questo confronto venga fatto in negozi monomarca esso è un indicatore tendenziale di analisi della correttezza del prezzo in quanto, a parità di offerta (circa), ciò che è variata è la variabile prezzo. Nel caso di negozi plurimarca esso tende a diventare una indicazione di “share di mercato relativo” poiché, avendo variato il prezzo e magari in maniera non omogenea tra i marchi, ci si è spostati su una problematica di confronto di mercati.

L’esempio precedente introduce il terzo parametro che è quello del valore di riferimento: nel momento in cui io ho misurato una certa grandezza devo capire il significato di questa misura nel mondo in cui è situata. Un esempio potrebbe essere quello del mondo delle pellicce, la conoscenza delle proprie vendite va paragonata al “potenziale di mercato” cioè alla percentuale di saturazione e alla dimensione del mercato; è inutile prevedere tassi di crescita strani in un mercato essenzialmente stabile o in declino, buone vendite in questo settore vanno interpretate come presa di nuove quote di mercato o fenomeni sporadici, in ogni caso difficilmente ripetibili.

I problemi di questo punto riguardano quindi: la capacità di raccogliere una quantità di dati sufficiente su variabili significative e la possibilità di confrontarli con l’esterno.

Strumentazione e metodi: la raccolta degli indicatori è un processo estremamente difficile da un punto di vista operativo. Cercheremo di interpretare lo schema descritto partendo dalla natura dell’esigenza.

Esigenze certe: esistono solo per clienti conosciuti in luoghi definiti (negozi, show room).

Praticamente tutti i punti vendita sono ormai forniti di strumenti di supporto per gli aspetti “amministrativi” della vendita (emissione scontrino, gestione magazzino etc.). Alcuni di questi strumenti hanno anche una gestione, più o meno estesa, del CRM, in particolare per la parte post vendita (fidelity card, recall etc.), e del budget economico o commerciale (merceologie e spazi). Nella mia esperienza nessuno affronta i problemi della mancata vendita o della raccolta richieste.

Poiché si tratta di informazioni ben strutturate qualsiasi quantità di informazione è significativa.

Esigenze semistrutturate: esistono per clienti certi o saltuari tipicamente in luoghi definiti.

Recentemente ho letto di colleghi che proponevano di fornire di braccialetti RFID i potenziali clienti che visitano il punto vendita per seguire i loro percorsi. Personalmente sarei estremamente restio a indossare un simile monile, mi sentirei molto “mucca con il microchip”.

Ritengo che il sistema debba essere molto meno invasivo e più passivo; già più interessante può essere l’analisi dei filmati dei movimenti all’interno del negozio; sicuramente ci possono essere problemi di privacy e sicuramente ci sono problemi di capacità di analisi tecnica dei filmati per ricavarne i contenuti informativi voluti. E’ ovvio che questo tipo di analisi è tecnicamente molto più difficile e dai risultati più vaghi ma ritengo che sia molto più vicino alla natura “corporea” del problema che stiamo affrontando. Un paragone interessante potrebbe essere una mappa olfattiva in un ambiente dedicato ai profumi.

La quantità di informazioni da rilevare è piuttosto alta vista la natura indefinita del problema. E’ interessante però notare che il campione da cui estrarre l’informazione è più ampio di quello precedente (più persone comprano saltuariamente o guardano i capi) da cui si ricava che la possibilità c’è ma c’è un grosso problema tecnico di estrazione.

Esigenze di contesto: Questo problema si amplifica nel momento in cui ampliamo l’orizzonte informativo comprendendo i luoghi socialmente aperti (piazze, discoteche, riunioni) dove si materializzano i primi segnali del “trend” del nostro mercato obiettivo.

Il contesto conoscitivo si allarga a tutti i sensi fisici e quindi il problema della creazione di una sintassi comune si allarga a sua volta. Personalmente ritengo che, in questo settore, siamo ancora alla raccolta e classificazione dei dati e lo strumento tecnico sia l’uomo.

Una strada interessante da perseguire potrebbe essere l’analisi dei film o di trasmissioni televisive, non tanto per la presenza di capi di tendenza, in fin dei conti si sta operando su scelte già fatte da costumisti per scopi funzionali alla pellicola, ma soprattutto per la capacità infinita di ripetizione del tema; ciò potrebbe permettere la messa a punto di tecniche e algoritmi di analisi.

Leggermente diverso potrebbe essere il discorso relativo all’analisi della concorrenza in quanto si possono cominciare a stabilire nessi tra variabili di prodotto (offerta) e andamento economico inteso come misura dell’accettazione sul mercato.



Capacità di razionalizzare e interpretare l’esigenza.

In questo caso il sistema è essenzialmente l’azienda e il processo porta alla condivisione tra il settore marketing, che ha raccolto le rilevazioni dell’esigenza, e i settori progettazione, industrializzazione, produzione e logistica che formulano uno schema di soluzione realistica e in linea con le linee strategiche dell’azienda.

Indipendentemente dal metodo e dal tipo di dati che vengono analizzati il risultato richiesto sono informazioni utili a indirizzare l’andamento aziendale nel futuro per cui devono poter essere espresse in una forma funzionale alla strategia aziendale.

Perché razionalizzare l’esigenza: necessità di tradurre in un “linguaggio” conosciuto e accettato il problema; perché interpretare: per dare una possibile soluzione congruente con il contesto

Chi

Abbiamo visto che l’esigenza si manifesta in tempi/modi e luoghi diversi, da un punto di vista dell’analisi vogliamo suddividere gli attori di questo processo in persone associate alla definizione dello stato e all’azione del processo. E’ importante notare che la valutazione del cambiamento può essere fatta in due modi assai diversi:

razionalmente mediante la definizione di processi con sintassi e semantica conosciuta

intuitivamente mediante l’applicazione di processi mentali con una semantica complessa.

Nella pratica si tende a utilizzare entrambi gli approcci evitando ragionamenti troppo precisi figli di modelli teorici non ancora completi o voli pindarici di pura fantasia senza legami con il mercato.

Sarebbe interessante, ma al momento non mi risulta esistano tentativi di utilizzo di tecniche euristiche per la soluzione di modelli interpretativi, probabilmente perché i modelli esistenti sono ancora poco formalizzati.

Ritornando al nostro argomento possiamo pensare che:

Chi fornisce i dati siano gli stessi che li raccolgono o società specializzate nelle indagini di mercato.

Chi razionalizza l’esigenza: il marketing, il product o market manager, o personale sotto la loro direzione in quanto per questa operazione sono richieste competenze tecnologiche non piccole sposate a una conoscenza della realtà che impedisca scelte errate. Forse sarebbe più corretto chiamarli analisti di prodotto/servizio.

Chi interpreta: lo stilista ovvero la persona che deve poter coniugare competenze generali con informazioni disperse in una ottica di orizzonte temporale esteso.

Naturalmente il ruolo reciproco delle varie persone coinvolte viene inquadrato nell’ambito delle strategie aziendali di prodotto/mercato per cui l’importanza relativa può cambiare di molto; ad esempio per una azienda di alta moda-lusso il ruolo dello stilista sarà prevalente rispetto la ruolo dello stesso in una azienda dedicata al mass-marketing.

Chi riceve è chi poi utilizzerà questi dati: sono i responsabili dei processi industriali e logistici delle aziende.

Che cosa devo razionalizzare o interpretare: l’esigenza

Come abbiamo detto l’esigenza è fatta di aspetti oggettivi (prodotto), di aspetti soggettivi (gratificazione, il servizio in senso lato) e di aspetti sociali.

Per quanto riguarda il prodotto dovremo forse distinguere tra esigenze di tipo “migliorativo” cioè variazioni su proposte presenti (tipicamente rilevate in presenza dell’oggetto precedente – la moda) e esigenze di tipo “innovativo” relative a richieste, di prodotto ma soprattutto soggettive, o che non esistevano o che non avevano soluzioni nei contesti tecnologici precedenti (cosa peraltro piuttosto rara nell’abbigliamento attuale) cioè di nuovi stili. Per quanto riguarda le prime stiamo pur sempre parlando di operare sulla traccia dell’esistente e quindi in un contesto più limitato, per le seconde la vera sfida è riuscire a interpretare segnali sociali o tecnologici generici che possano avere ripercussioni sulle esigenze del consumatore.

Per quanto riguarda gli aspetti soggettivi ricordiamo la separazione tra aspetti di gratificazione personale e sociale. Nel primo caso possiamo suddividere la soddisfazione dei sensi in due gruppi:

  • messaggi “primitivi” quali ad esempio la comodità o la funzionalità che sono legati al complesso uomo-prodotto dove il fattore uomo è, in un certo senso, “universale”
  • messaggi di prodotto “mediati culturalmente” dal contesto in cui vive l’individuo; ad esempio il colore o gli abbinamenti cromatici che risentono sicuramente della società di appartenenza
  • messaggi personali di servizio alla persona più che al prodotto.

Per quanto riguarda gli aspetti sociali il nostro obiettivo è riuscire a definire quantitativamente:

  • la gratificazione sociale come appartenenza e accettazione in un gruppo
  • la distinzione e il riconoscimento pur nell’accettazione del gruppo.

Come abbiamo già citato quest’ultima parte è ancora poco conosciuta.

Dove ha luogo il processo di razionalizzazione del processo

Per quanto riguarda l’aspetto geografico della localizzazione del processo dobbiamo distinguere due aspetti:

  • Il luogo di nascita e operativo: tipicamente l’azienda o il sistema consulenziale, questo a seconda delle dimensioni del problema da analizzare e di come l’azienda vede il proprio modello organizzativo strategico
  • Il luogo di destinazione: fatta la prima parte dell’analisi generale nasce il problema dell’adattamento ai vari mercati, un aspetto che rende irrealistico affrontare in maniera globale l’analisi a meno di non operare su prodotti assolutamente specifici o di ritenere di avere una forza commerciale tale da imporre il proprio prodotto ovunque.
In realtà il processo può avere due modalità estreme: analisi diffusa, ad esempio presso le varie filiali, con consolidamento strategico centrale oppure analisi centralizzata e adattamento locale.

Attualmente entrambe le soluzioni soffrono di un problema di “time to market” troppo lungo che riduce il fattore competitivo delle aziende, ma su questo punto ritorneremo.

Come: Appena si parla di come analizzare informazioni la prima cosa che viene in mente è quella branca dell’informatica che parte dal data warehousing per arrivare al data mining ed eventualmente al knowledge managment. In realtà qui stiamo cercando di razionalizzare e interpretare esigenze e non correlazioni preesistenti siano esse esplicite o nascoste; il problema quindi parte un poco più lontano e dobbiamo comprendere anche informazioni diverse da quelle codificate nei sistemi tradizionali.

Possiamo suddividere le metodologie di analisi in gruppi:

Razionali

segmentazioni

metodi e strumenti di astrazione e interpretazione

       quantificazione del modello
       metodi proiettivi (modello definito e dati da serie storiche)
       metodi previsionali (nuovi modelli su dati storici)

Semi quantitative

analisi delle soluzioni offerte dalla concorrenza

analisi semantiche del mercato

Intuizioni: analisi irrazionali o di contesto

Quando

Da un punto di vista temporale e per quanto riguarda dobbiamo tenere conto di due orizzonti diversi:

quello dell’effettuazione dell’analisi e

quello della valenza del risultato dell’analisi.

Tendenzialmente la razionalizzazione dell’esigenza è bene sia fatta in contemporanea dell’esistenza della stessa anche perché permette un eventuale ricontrollo dei dati. La valenza del risultato è invece, ovviamente, legato al dato che stiamo elaborando.

Per quanto riguarda la valenza del risultato stiamo parlando del fattore tempo nel processo di analisi aziendale: il time to market del prodotto

  1. della definizione dello schema di offerta (il carrello)
  2. dell’idea sul singolo prodotto
  3. dell’industrializzazione dell’idea
  4. della dimensione dell’esigenza (previsioni di vendita).

Dobbiamo anche analizzare l’importanza del fattore tempo nelle componenti relative alla persona e cioè quando si esplichi o si soddisfi l’esigenza del cliente. Di nuovo siamo in un campo inesplorato.

Quanto

Relativamente alla dimensione del problema mi sembra che il primo aspetto da chiarire sia relativo all’importanza relativa dei vari livelli di Marslow, per fare un esempio quanto io debba soddisfare il livello 2 (il prodotto) prima che intervenga la necessità sul livello 3 (il confort personale). E’ ovvio che la richiesta non sarà del 100% perché una volta raggiunto un livello omeostatico del sistema l’attenzione si rivolgerà al livello superiore e cosi via. Ma risolvere il livello sottostante all’80% e quello superiore al 50% (fermo restando che si riesca a misurare) è una buona combinazione o è meglio il 90-40 ?

Per quanto riguarda il prodotto dobbiamo tenere conto di quanto è grande l’esigenza e quindi poter stimare correttamente:

   qual è il mercato del nostro prodotto

la dimensione del mercato

la valutazione del proprio posizionamento: il problema della quota di mercato

quanto il nostro prodotto soddisfa le aspettative del mercato in termini di prestazioni e prezzo

Per quanto riguarda gli aspetti soggettivi delle esigenze il problema deriva dalle variabili definite e dalla loro misura:

   quanto siano importanti e quanto soddisfiamo gli aspetti soggettivi
   quanto siano importanti e quanto soddisfiamo gli aspetti sociali.

Strumentazione

Avendo toccato tutte le dimensioni informative del processo di razionalizzazione e interpretazione dell’esigenza cliente dobbiamo, a questo punto, vedere lo stato dell’arte per quanto riguarda gli strumenti a disposizione. Possiamo suddividere i mezzi in

  1. Metodi analitici: basati su dati misurati e ripetibili
    1. Precisi: attenzione potrebbe trattarsi di metodi statistici e quindi in ogni caso il risultato conterrebbe una quota parte di indeterminazione
    2. Euristici: in quanto legati a modelli non totalmente definiti
  2. Metodi contestuali: essenzialmente legati a sensazioni comuni anche se non misurabili e ripetibili
    1. Brainstorming
    2. metodi top-down
    3. metodi bottom-up
  3. Metodi individuali: metodi legati ad una particolare combinazione persona/tempo/luogo per cui possono fornire risultati non riproducibili
    1. Lo zen

Ciò che ritengo importante su questo punto è che i metodi per la definizione dei valori possono essere antitetici e visti come provocatori dai sostenitori di uno o l’altro (pensate ad uno scienziato che debba accettare un metodo zen) ma, purchè il risultato sia dato in formato utilizzabile, ritengo che debbano essere accettati parimenti. Per secoli prima di Newton le mele sono cadute e gli uomini hanno usato la forza di gravità come componente di opere civili e militari, anche senza averne un modello matematico. Si trattava di modelli euristici o intuitivi ma funzionavano bene, ora si conoscono meglio. Nel caso di una scienza sociale e non galileiana forse modelli precisi non ci saranno mai, anche perché le condizione al contorno non si riprodurranno mai uguali, ma ciò non toglie che possiamo affinare le tecniche di raccolta e di utilizzo delle informazioni.

Processi industriali

Una modalità di soluzione delle esigenze clienti passa attraverso l’utilizzo di processi specifici. Questo significa progettare, industrializzare, pianificare e portare a termine la produzione di capi che soddisfano le esigenze rilevate; in pratica generalizzare e risolvere industrialmente il problema.

In questa modalità l’insieme dei clienti cui ci si rivolge (il mercato di riferimento) è un gruppo statisticamente omogeneizzato nel senso che si decide la dimensione e il posizionamento dei clienti che si vogliono soddisfare e su questi si fanno dei ragionamenti di tipo “medio”. Se mi rivolgo a teen-agers con alto potere di acquisto dovrò interpretare le mie rilevazioni congruentemente e non come se avessi analizzato persone di mezze età e di ceto medio. Si tratta comunque di “gruppi di clienti”.

Capacità di soddisfare l’esigenza.

In questo caso il sistema è l’insieme azienda-cliente, dove l’azienda è vista nella sua globalità. Il processo porta alla possibilità di soddisfare l’esigenza raccontata nelle prime 3 P. Ricordiamo che questo processo ha un contenuto di tipo fisico, trattiamo abiti reali nello spazio reale; in questo caso il sistema informativo è di supporto. Cerchiamo comunque di utilizzare la stessa metodologia nell’analisi del processo, al termine vedremo gli aspetti di supporto.

Perché soddisfare l’esigenza: perché trovando una soluzione vogliamo servire al meglio il cliente e quindi garantire il futuro dell’azienda

Cosa: ovvero ciò che ci aspettiamo come risultato del processo:

  • prodotto: il miglioramento degli aspetti tangibili, dell’affidabilità e della disponibilità del prodotto. In pratica ci aspettiamo un prodotto più “bello”, qualitativamente migliore e più disponibile.
  • soggettività: il miglioramento dell’atteggiamento da e verso il cliente e quindi una sua maggior soddisfazione
  • socialità: il riconoscimento del ruolo del cliente come membro del gruppo e come “individuo” nel contesto sociale, la consapevolezza dell’azienda come “partner fiduciario”.

Tutti questi aspetti vanno misurati sulle aspettative del cliente.


Chi soddisfa l’esigenza: stiamo parlando delle figure che operano

Per il prodotto: tutte le persone nella filiera

Progettuale

Industrializzazione

Produzione

Logistica

Per i parametri di soggettività le persone nella filiera

Commerciale vendite

Logistica post vendita

Relazioni con il cliente (CRM) – customer service

Retail

Per i parametri di socialità le persone nei settori

Promotion

Brand management

Pubbliche relazioni

Come: ovvero le tecniche organizzative, industriali e logistiche di supporto alla soddisfazione dell’esigenza

Nell’area prodotto stiamo parlando di migliorare i sottoprocessi diretti della catena di Porter, quelli sopra citati. Questa ricerca del miglioramento dei processi diretti volti a migliorare la risoluzione dell’esigenza è sicuramente l’area più studiata dell’organizzazione aziendale, basti pensare alle varie scuole di pensiero dal BPR al continuos improvement al Kaizen. Non è certamente scopo di questo lavoro entrare in queste problematiche per cui si rimanda a testi specializzati. Si tratta, in definitiva, di rispondere meglio alle richieste del mercato.

I parametri di soggettività: in quest’area lo studio delle soluzioni, a mio parere, non ha ancora la organicità del punto precedente; al momento esistono studi su singoli aspetti ma non inquadrati complessivamente come soluzioni al problema della soddisfazione soggettiva. Tipicamente stiamo parlando di:

Conoscenza e adattamento al mercato

Competenza e disponibilità di prodotto e controllo dei canali

Gestione fisica del post-vendita

Il rapporto indiretto con il cliente (CRM)

Il rapporto diretto con il cliente: il retail

Relativamente ai parametri di socialità non mi risultano studi quantitativi sugli aspetti di socialità dell’esigenza; forse perché la rilevazione delle informazioni elementari è estremamente difficile ma, nella mia conoscenza, siamo a livello a livello di ipotesi e congetture anche interessanti ma non validate scientificamente. Ricordo che stiamo parlando di argomenti quali

La creazione del “gruppo”: il brand e il ruolo della Promotion

Il mantenimento: il Brand management

Pubbliche relazioni

Il “servizio personale”

Dove si svolge il processo: per quanto riguarda il dove nasce e dove si riflette il processo direi che possiamo individuare nella posizione geografica del cliente il luogo. Naturalmente attualmente il cliente può essere ovunque nel mondo per cui dovremo tenere conto dei vari problemi fisici associati a questo. Per quanto riguarda il dove si compie il processo direi per l’area:

prodotto: a seconda dei sottoprocessi

   nello studio progettuale o stilistico
   nella area tecnica
   nella area industriale compreso le locazioni produttive
   nelle piattaforme logistiche
   nei punti di distribuzione finale 

soggettività

   nell’area commerciale vendite
   nelle piattaforme logistiche
   nell’area di customer service
   nel retail diretto o indiretto

socialità:

   nella società raggiungibile
   in classi di “clienti potenziali”
   in “gruppi proposti”
   in “gruppi” esistenti
   sul singolo individuo

Quando : come per gli aspetti geografici anche per gli aspetti temporali il sincronismo tra i vari aspetti del processo diventa importantissimo; sfondamenti di calendario in un sottoprocesso quasi sicuramente non saranno recuperabili negli altri. Forse sta proprio in questo punto l’interpretazione della ricerca che indica il “time to market” come elemento competitivo critico nel prossimo futuro; velocizzare una fase permette di avere dei margini nella gestione degli altri sottoprocessi. Personalmente penso che, fermo restando che modellizzando correttamente una area ci sia da guadagnare in generale, il problema più grosso sia nel bilanciamento temporale dei vari sottoprocessi.

Prodotto: il time to market dall’esigenza alla disponibilità, dall’idea al prodotto sullo scaffale. Questo ciclo dura, attualmente per le aziende di moda su collezione, circa 8-9 mesi con grossi rischi di sfondamenti interni.

Soggettività: Il tempo nel processo di vendita

   Il prevendita: il CRM iniziale (contatti, fidelizzazione)
   L’atto di vendita
   Il post vendita: il recall e la fidelizzazione

Si tratta di processi che si esplicano nell’ordine di alcuni mesi, qualche anno; una scala leggermente più lunga di quella del prodotto.

Socialità: il processo di creazione del “gruppo” è tendenzialmente un processo veloce e la vera sfida consiste nel mantenere “vivo” il gruppo attraverso i tipici periodi di alti e bassi. In ogni caso la scala tempi di questa parte è dell’ordine dei mesi/anni e quindi più lungo dei processi precedenti.

All’interno di questa problematica la “distinzione” dell’individuo ha ovviamente un periodo più limitato in quanto bisogna prima creare il “gruppo” e poi lavorare sull’individuo; se ne ricava l’importanza del mantenimento del “gruppo” senza il quale è impossibile quest’ultima parte.

Quanto: ovvero la metrica di

Prodotto: quanto risolviamo l’esigenza in termini di

   Estetica
   Qualità
   Disponibilità del prodotto

Il costo consuntivo e il prezzo di sell-out (il corrispettivo accettato)

Soggettività:

   servizio
   rassicurazione
   empatia

Socialità

   Quanto serve un “gruppo”
   Quanto è percepito il “gruppo proposto”
   Quanto sono percepito “io” nel gruppo

Per quanto riguarda gli indici di prodotto esistono misure quantitative conosciute relative a qualità (es. tasso di contestazione o reso), disponibilità (questionari o mancate vendite) e posizionamento prezzo (rapporto stagione/saldi). Non mi risultano indici espliciti di quantificazione dell’estetica se non, forse, le percentuali di capi offerti in campionario e mai messi in produzione per il mancato raggiungimento dei minimi industriali.

Relativamente alla misura degli indici di servizio dobbiamo distinguere tra “qualità di servizio” e ’indice di soddisfazione” (Oliver 1997) dove il primo è legato a parametri più esterni e dove esistono metodologie di quantificazione comunemente accettate (SERVQUAL, SERVPERF) mentre il secondo è legato alla percezione del consumatore. Proprio il fatto che sia coinvolto il consumatore introduce due variabili estremamente importanti che sono relative al tempo ( la qualità ha un orizzonte temporale medio-lungo , la soddisfazione corto) e allo spazio in quanto per consumatori con culture diverse e in settori diversi il parametro “soddisfazione” può avere valori diversi.

Non mi risultano, al momento, analisi quantitative relative all’appartenenza al gruppo o alla percezione dell’io all’interno del gruppo.

Strumenti

Attualmente, nella mia conoscenza, gli strumenti informativi esistenti più consolidati riguardano sicuramente le aree di definizione del prodotto e del controllo della produzione e distribuzione (ERP); esistono poi strumenti in forte sviluppo nelle aree di forecasting, CRM, supporto alle vendite. Scendendo in dettaglio e esprimendo un giudizio assolutamente personale direi:

Per l’area prodotto

  • Definizione della natura del prodotto: esistono prodotti di supporto alla progettazione che tendono a coprire aspetti specifici (stile, PLM, modellistica, qualità) e cominciano ad integrarsi oltre che a gestire aspetti distribuiti geograficamente e temporalmente (workflow distribuiti)
  • Processo di produzione: è l’area più coperta anche perché meglio studiata; esistono strumenti (ERP etc) sia teoricamente che tecnicamente validi; i limiti attuali sono forse operativi e di formazione culturale degli addetti
  • Sistemi di distribuzione: si comincia a vedere qualche strumento a volte nei pacchetti industriali a volte associati a prodotti del retail. Non siamo ancora a livello degli ERP ma parliamo di problematiche condivise e strutturate.

Per quanto riguarda le aree relative agli aspetti soggettivi abbiamo

  • Area relazioni con il cliente e vendite: esistono disponibili buoni strumenti (CRM) non ancora molto diffusi sia per la complicazione tecnica che per il livello culturale e operativo previsto per l’utilizzo
  • Area logistica post vendita: è vista un po’ come la sorella minore dell’area vendite e la strumentazione risente di una analisi ancora acerba
  • Area retail: sicuramente coperta da un punto di vista operativo in realtà non si è spinta molto oltre.

Per quanto riguarda le aree sociali gli strumenti sono essenzialmente questionari analizzati poi con tecniche matematiche assai sofisticate. Non mi risulta un utilizzo metodico e definito di analisi o l’utilizzo di strumenti automatici.

Per quanto riguarda gli aspetti informativi vorrei riprendere un concetto già espresso: poiché i vari attori coinvolti si possono trovare, da un punto geografico, distribuiti in tutto il mondo dobbiamo porre attenzione ai vari livelli di integrazione (Miotto etc.) che vogliamo ottenere per evitare incomprensioni o errori nel flussi informativi. Il problema dell’integrazione delle informazioni è un problema che ritengo sia, al momento, sottovalutato anche se è stato ben sottolineato (Davenport) il ruolo importante che hanno avuto i sistemi informatici nella disintermediazione dei processi.



Capacità di veicolare l’ idoneità a soddisfare l’esigenza.

In questo caso il sistema è l’insieme azienda-cliente. Il processo porta alla conoscenza, da parte del cliente (ricordiamo che stiamo parlando di “gruppi di clienti” destinatari della mia ”soluzione”) della possibilità di soddisfare l’esigenza.

Perché comunicare la capacità di soddisfare l’esigenza: per evitare che ci possano essere soddisfazioni parziali, o non soddisfazioni in presenza della soluzione.

Che cosa veicolo, cosa si modifica nel processo: personalmente indicherei

  • La conoscenza delle caratteristiche del prodotto nelle sue componenti tangibili, di affidabilità e di disponibilità oltre che nel suo posizionamento di prezzo nel mercato.
  • Il fatto che è proprio quel “prodotto” che soddisfa l’esigenza del cliente, indifferentemente che la soddisfazione sia primitiva o indotta
  • La conoscenza del contesto ovvero l’aspettativa del cliente che l’esigenza verrà soddisfatta dall’azienda; la percezione dell’azienda da parte del consumatore che porta all’aumento di fiducia del consumatore; grosso modo l’idea “vieni da noi che ti sentirai bene”
  • L’appartenenza ad un “gruppo”: il concetto di “brand”
  • L’unicità del cliente nel “gruppo”.

Per quanto riguarda questo ultimo aspetto sicuramente ci sono problemi di confine con la “privacy” personale. Il fatto che stiamo parlando di un servizio “su misura” implica conoscere la specifica persona coinvolta; personalmente ritengo che il problema non possa essere schematizzato troppo rigidamente nelle leggi in quanto a tutti fa piacere avere un servizio ad hoc ma contemporaneamente non vogliamo essere oggetto di pressing fastidiosi e siamo preoccupati delle capacità di schedatura delle grandi banche dati.

Chi: sotto questo aspetto chi è parte ricettiva del processo è l’utente visto come stato della “conoscenza”, chi è parte attiva è l’azienda come attrice di cambiamento

Naturalmente dobbiamo tenere conto delle varie tipologie di cliente di cui abbiamo parlato precedentemente, il cliente conosciuto, semiconosciuto, ignoto e utilizzare metodi e politiche corretti per ciascuna categoria.

Dove : il luogo: le possibili alternative dove nasce, si esplica e si rivela il processo. Come abbiamo detto i soggetti iniziali e finali sono i clienti in tutte le locazioni fisiche in cui si trovano mentre il processo si può esplicare in particolare

Per il prodotto

  • Nei media pubblicitari
  • Inserito nella comunicazione generica (testimonial)

Per gli aspetti soggettivi

  • Canali diretti di proprietà (retail)
  • Canali diretti non di proprietà (retail)
  • Canali informativi vari compreso il passa parola

Per gli aspetti sociali

  • I media nella accezione più varia
  • I punti retail
  • Le PR

Come : per quanto riguarda gli aspetti di comunicazione del prodotto possiamo pensare a

  • Pubblicità diretta di prodotto: mostro o descrivo il prodotto utilizzando tutte le capacità sensoriali dell’uomo
  • Pubblicità indiretta ad esempio attraverso testimonial tecnici che illustrano le caratteristiche del prodotto e che, attraverso il loro utilizzo, attirano la mi attenzione
  • Pubblicità di confronto che paragonano le caratteristiche dei miei con i prodotti concorrenti, pubblicità di contesto

Per gli aspetti soggettivi abbiamo a che fare con

  • Pubblicità di servizio: il servizio descritto direttamente nei suoi contenuti anche poco comuni
  • Disponibilità e professionalità del personale di contatto
  • Ambientazione del servizio di prodotto/prezzo: packaging, campagne vendita
  • Ambientazione del servizio di contesto: materiale POP, arredamento dei negozi

Per gli aspetti di promotion sociale

  • Le campagne “sociali” tipo Oliviero Toscani per Benetton
  • Le sfilate
  • I testimonial generici
  • Relazioni pubbliche
  • Licensing
  • Merchandising
  • Sponsorizzazioni
  • Le presenze su stampa e media
  • Le community su Internet
  • Il “format” dei punti vendita: cioè l’utilizzo dei negozi come strumento di creazione del “gruppo”, come strumento di comunicazione

Per quanto riguarda l’aspetto distintivo bisogna pensare in termini di “servizio” personale.

Quando: il fattore tempo nella comunicazione.

Sicuramente esistono scale tempo diverse per i vari livelli di esigenza:

  • per il prodotto il tempo corrisponde alla effettiva disponibilità nei punti vendita del prodotto: è inutile comunicare una capacità che poi non si concretizza nella realtà; per questo occorre sincronizzare molto bene capacità di soddisfazione e comunicazione
  • per gli aspetti soggettivi il valore principale è la “fiducia” che è un parametro molto lento a conquistarsi e molto veloce a perdersi; la sua scala tempi è addirittura più lunga delle mode e degli stili perché potrebbe passare attraverso momenti creativi diversi dell’azienda; dobbiamo pensare in termini di anni
  • per gli aspetti sociali ritengo che l’ordine di grandezza sia da collegare alla durata degli “stili”, periodo che, proprio per la sua connessione con una rottura “culturale”, sta diminuendo in quanto la facilità di trasmissione dei messaggi accelera l’accettazione di nuove etiche. Indicherei in due-tre anni la scala tempi corrispondente.

Quanto: il quanto comunicare significa definire l’ammontare degli interventi con rispetto a ciascuna dimensione precedente. In realtà, come vedremo nel prossimo capitolo, il problema si riconduce alla valutazione del rapporto costo beneficio nell’utilizzo di ciascuna combinazione

  • Cosa (tipo di conoscenza)
  • Dove
  • Chi
  • Quando.

Sappiamo che misurare il costo è fattibile, certamente non facile, misurare il risultato è estremamente difficile e spesso fatto attraverso indicatori allegati (aumento delle vendite etc.).

Personalmente ritengo che questo sia un campo in cui ci sia parecchio lavoro da fare specie nella definizione e misura dei parametri diretti.

Strumenti: per quanto riguarda questo processo gli strumenti a disposizione sono quelli citati nel paragrafo “come” e cioè la pubblicità o i vari strumenti di PR. Non mi risultano invece strumenti che misurino gli effetti di queste azioni sulla natura del processo; in pratica non mi risulta si riesca, al momento, a quantificare, per esempio, il ritorno di investimento di una sfilata in termini di impatto sulla conoscenza sociale di un brand.

Industria: l’architettura della soluzione

Per cercare di organizzare tutto ciò è stato detto fino ad ora dovremmo immaginare di impostare , per ogni processo, uno schema comprendente ogni possibile combinazione delle dimensioni considerate per un totale di caselle di cui una buona parte vuota in quanto priva di senso fisico (es. nel primo processo le esigenze certe di clienti potenziali).


Come esempio del metodo operativo si possono definire delle tabelle come la seguente



Raccolta

Analisi

Soddisfazione

Comunicazione

Processi







Prodotto






Soggettività






Socialità






e, specificando una casella del primo processo (raccolta delle esigenze), potremmo chiederci quali sono le richieste

Di un cliente conosciuto

   Raccolte da un commesso che poi le trasmette    
   Parliamo di esigenze semi-strutturate
   Formulate  in negozio
   Con una domanda specifica
   All’inizio della campagna vendite

Cioè tutte le combinazioni di parametri definiti per ciascun quadrante. In allegato scenderemo di un livello e vedremo quante possono essere le celle elementari.


In questo modo stiamo cercando di segmentare il problema in “celle” unitarie su cui fare ragionamenti specifici per quanto riguarda variabili, stati e processi. Restano escluse da questo schema le dimensioni di “perché” e “quando”.

Per quanto riguarda il tempo dovremo tener conto della variazione di questo schema nel tempo, ma questo è difficilmente rappresentabile.

Questa raffigurazione corrisponde, grosso modo, allo spazio delle fasi dei possibili stati di un sistema meccanico statistico dove il ''''valore di ciascuna cella non è equipotenziale ma è legato al peso che ciascuna azienda dà nel contesto della strategia aziendale. Come in meccanica statistica il contenuto delle celle è funzione sia dei valori di stato che dei valori della funzione “variazione dello stato” e quindi dei processi; il tutto approssimando in prima battuta, con una non-dipendenza esplicita dal tempo.

Per quanto riguarda il costo di riempimento potremmo pensare ad una curva di questo tipo





Dove il costo di soddisfazione del 100% è altissimo; il coefficiente di crescita dipende dalla natura del contenuto della cella e dovrebbe essere il risultato di ricerche specifiche che tengono conto di dove si posiziona la cella nello spazio delle dimensioni di analisi.

Naturalmente nella valutazione sia del costo che del coefficiente non possiamo dimenticare l’affidabilità delle tecniche di riempimento, i problemi di dipendenza da persone, tempo e altro. Questo rende estremamente difficile pensare in termini di soluzioni globale (tute le celle di tutti i processi) ed è per questo che, a mio parere, molto spesso le aziende si sono finora adeguate a due principi collaterali:

  1. Cosa fanno gli altri (politica market driven)
  2. Cosa succederà se non lo faccio ( paura del “non fare”)

In realtà il metodo che propongo, senza dimenticare le difficoltà, permette di affrontare singole celle individualmente definendo strategie locali che si integrano a coprire aree sempre più ampie di conoscenza. Francamente ritengo che l’obiettivo di una ontologia semantica completa di tutte le celle sia irrealistico e vada quindi perseguito un approccio locale, pur mantenendo la visione globale, anche mediante tecniche euristiche.

Attenzione a non dimenticare, in questo contesto, il problema di manutenzione nel tempo/spazio dei valori rilevati.

Il progetto strategico aziendale diventa quindi:

  • la decisione di definire il valore di ciascuna cella misurabile
  • la capacità di stimare il coefficiente di costo per ciascuna cella
  • li problema di massimizzare lo spazio delle fasi definite nell’ambito delle risorse disponibili e quindi l’atteggiamento verso le celle che, per motivi di costo o di possibilità tecnica, restano “non misurabili”.

In pratica l’obiettivo è di quantificare per ciascuna casella dello spazio

  1. il peso relativo della casella (informazione tipicamente fornita dall’azienda in quanto legata alla propria sensibilità di mercato)
  2. il valore dell’informazione contenuta secondo una metrica definita
  3. il costo necessario all’ottenimento dell’informazione.

Le possibili combinazioni pesate danno poi lo scenario informativo dell’azienda e dei suoi eventuali sviluppi.

Naturalmente tutti questi parametri hanno una forte dipendenza temporale per cui il processo di definizione delle strategie è un continuo divenire ed il fattore tempo rientra nel fatto che nella pratica le aziende non partono da nulla; normalmente esiste già un patrimonio organizzativo e culturale specie nelle aree di soddisfazione dell’esigenza (commerciale e produzione). Il fattore critico di strategia diventa quindi il valore di variazione delle spazio delle fasi cioè il compromesso tra costi e risultati nel miglioramento o mantenimento del valore attuale di ciascuna cella.

Operativamente si parte dal quantificare l’importanza dei quattro processi a livello più alto e poi passo a quantificare le singole celle per ciascuna delle quali dovrò stimare il valore attuale, il costo di mantenimento e di miglioramento.


Può essere interessante paragonare la struttura di questa analisi alla situazione dei progetti di sviluppo software. La fase di raccolta e di razionalizzazione delle esigenze è un aspetto ben conosciuto nei progetti software mentre è assai poco formalizzata nei contesti manifatturieri, in cambio la fase di trasmissione della capacità di soddisfare l’esigenza è sicuramente molto più sviluppata in questi ambiti.

Processi Retail

Parliamo di retail come dell’insieme dei processi che soddisfano l’esigenza di disponibilità di un capo in un contesto spazio temporale a dimensione cliente. La differenza rispetto ai paragrafi precedenti è che

  1. l’attore del processo,il retailer, non prevede di soddisfare l’esigenza cliente a partire dalla progettazione della soluzione ma cerca di scegliere e rendere disponibile la soluzione, tra quelle presenti sul mercato, che, a suo parere, meglio soddisferà le richieste (metodologia commerciale)
  2. che il mercato di riferimento è più “diretto” nel rapporto con il fornitore di servizio (il retailer), spesso anche di dimensioni più ridotte

In realtà il retail deve essere visto da tre punti di vista complementari:

  1. Il cliente: in questo caso il retail è semplicemente l’attuazione del processo di disponibilità in una forma “locale”; le esigenze sono quelle definite e i processi di raccolta dati e analisi restano essenzialmente gli stessi che per l’industria
  2. Il retailer: in questo caso le esigenze diventano sia quelle di soddisfare il cliente (primaria) che di relazionarsi al contesto (esigenze di struttura)
  3. Il contesto: ovvero come si inserisce il retail nella società visto da una parte come fenomeno (shopping center, pubblicità) e dall’altra come struttura (aspetti fiscali e legislativi)

Da un punto di vista del cliente il retail è un processo di servizio con esplicazione diretta nel momento della vendita.Il processo totale può essere suddiviso, da un punto di vista temporale, in tre fasi:

prima della vendita

la vendita

dopo la vendita

(preparazione, attuazione, conclusione).

''''Analisi processi: punto di vista del cliente moda

Sappiamo che, in generale, le esigenze del cliente sono

Prodotto

   Estetica, allineamento alla moda
   Affidabilità
   disponibilità

Soggettività

   Capacità di risposta, flessibilità

Rassicurazione (competenza, cortesia, credibilità)

   Empatia (comunicazione)

Sociali

   Appartenenza al gruppo
   Distinzione nel gruppo

E che per ciascuna esigenza i processi diretti prevedono

  • Raccolta dati: organizzare la raccolta dei dati che possono servire, nei vari livelli e aspetti
  • Analisi e razionalizzazione: razionalizzare metodi e comportamenti per migliorare efficienza ed efficacia
  • Soddisfazione: generare la disponibilità del bene/sensazione oggetto della richiesta
  • Comunicazione: capacità di far conoscere la possibilità di soddisfare i suoi problemi.

La soluzione delle esigenze passa quindi attraverso le quattro fasi già descritte.

Da un punto di vista di mercato la scelta del valore relativo di ciascuna esigenza corrisponde al posizionamento del fornitore di servizio nel panorama dell’offerta.

Nella tabella vediamo come un campione di utenti ha quantificato le proprie aspettative in funzione del canale di vendita.








''''Aspettativa di soddisfazione in funzione del canale distributivo



bancarella

no-brand

monomarca

plurimarca

shopping center/ corner

lusso

internet

Prodotto


















Estetica, allineamento alla moda

4,9

5,8

8,0

8,2

7,2

8,3

6,3











Affidabilità

3,7

5,5

8,3

7,6

7,1

8,7

4,2











Disponibilità

5,3

6,5

7,6

7,6

7,9

8,0

6,3










Soggettività


















Capacità di risposta, flessibilità

5,8

6,4

7,7

7,6

7,6

7,7

4,6











Rassicurazione (competenza, cortesia, credibilità)

5,0

6,4

7,9

7,6

7,2

8,3

3,4











Empatia (comunicazione)

5,9

5,7

7,5

7,0

6,1

7,4

4,7










Sociali


















Appartenenza al gruppo

4,5

4,5

7,3

6,6

6,0

7,5

4,8











Distinzione nel gruppo

4,3

4,7

6,7

6,0

5,3

8,0

4,7


Analisi processi: punto di vista del retailer moda

Da un punto di vista del retailer la domanda di fondo è :

“Perché il cliente viene “da me” e come posso soddisfarlo ?”

ovvero “quali sono le esigenze del cliente e come mai pensa che proprio io possa soddisfarle.

Nel caso del retail esiste contatto diretto non tra “il cliente” ma tra “uno specifico cliente” e l’operatore, questo significa che le esigenze di tipo soggettivo e sociale vengono rimarcate rispetto a situazioni anonime. Spesso i negozi vivono su realtà emozionali “locali” associate a contesti umani definiti (es. multimarca, stagionali), altre volte su contesti umani più “diffusi” (es. catene monomarca o le grandi catene di distribuzioni). La valutazione di queste esigenze spiega la partenza di un progetto che, tipicamente,:

  • viene proposta dal retailer
  • parte da opportunità diverse; la sensazione di un “buco” di prodotto in una certa piazza (prodotto) , la disponibilità di spazi, l’idea di un nuovo modo di vendere (personale), l’esistenza di una “socialità” non sfruttata.

Il tutto con l’ obiettivo del bilanciamento prezzo/prestazione nei vari livelli per la soddisfazione dei vari livelli di Maslow.

Per arrivare ad analizzare funzionalmente il sistema retail partiamo dall’esperienza attuale raggruppando in categorie i processi elementari.

I processi sono quelle sequenze di azioni che portano a soddisfare le esigenze siano del cliente, del retailer o del contesto. Diamo per scontato che, se il processo esiste nella realtà, deve avere un qualche significato, altrimenti non esisterebbe più. Nella pratica alcuni processi non vengono fatti in maniera esplicita o non vengono fatti affatto.

Partiamo elencando i processi e poi osservando gli effetti dei processi sulle esigenze clienti. Qui dobbiamo stare attenti a distinguere tra valore “reale” per il cliente e valore “percepito” dal cliente; per il secondo il cliente è disposto a pagare mentre sappiamo che esistono processi (es. la ricerca di mezzi finanziari) verso cui il cliente finale non ha alcuna sensibilità; noi useremo la classificazione del valore “percepito” che è quella che sentono i clienti.

Metodologicamente tutti i processi vanno definiti in maniera dettagliata, ottimale/astratta, nella realtà vengono adattati in termini di costi/percentuale di soddisfazione; questo significa che il “valore vero” di un processo è funzione di

  1. L’importanza dell’esigenza cliente che aiuta a soddisfare (cosa soddisfo)
  2. Il valore percepito dal cliente: l’aspettativa (quanto lo soddisfo).

I processi vengono raggruppati per macro area: questa è l’area che, tendenzialmente, viene interessata maggiormente dal singolo processo.


La tabella seguente ha la seguente legenda

Effetto sul processo: A = alta, M = media, B = bassa, vuota = nulla

Livello di aggregazione: C = cliente, G = gruppo, T = contesto

Macro area = P = prodotto, S = soggettività, C = socialità, O = organizzazione, F = fiscale





gruppo processo

Processo


S

Prodotto


soggettività


Socialità




Estetica

Affidabilità

Dispo nibilità

capacità risposta

Rassicu razione

Em

patia

Appar tenenza

Distin zione

Livello

aggreg

Macro area

Gruppo analisi preliminare

Considerazioni di esigenza prodotto del mercato (vendita)


A

B

A




M


G

P


Considerazioni di conoscenza prodotto del gestore





A

A




G

S


Considerazioni di disponibilità prodotto del mercato (acquisto)


A

M

A

A



M


G

P


Considerazioni di tipologia di clientela





A


A

A

A

G

C


Considerazioni di definizione del livello di servizio da offrire



A

A


M

A


G

C



Definizione della location ideale



A

A



A

A

G

C



Definizione dell’organizzazione




A



A

A

G

C




gruppo processo

Processo


Specifiche

Prodotto


soggettività


Socialità




Estetica

Affidabilità

Dispo nibilità

capacità risposta

Rassicu razione

Em

patia

Appar tenenza

Distin zione

Livello

aggreg

Macro area

Gruppo partenza

Ricerca mezzi finanziari




M






T

O


Copertura vincoli legali/amm




M






T

F


Lavori negozio














Spazi espositivi



M

M





T




Spazi di socializzazione (bar etc.)






M

M

M

T

O


Rapporti con fornitori


M

A

A






T

O


Insegne





M


B

B


G

C


Comunicaz apertura





B

B

M

M


G

C


Pubblicità





M



M


G

C


Community (mail list)







M

A

M

G

C



gruppo processo

Processo


S

Prodotto


soggettività


Socialità




Estetica

Affidabilità

Dispo nibilità

capacità risposta

Rassicu razione

Em

patia

Appar tenenza

Distin zione

Livello

aggreg

Macro area

Gruppo ordine a fornitore

Budget per fornitore e per merceologia ( definizione categorie, fattori di rischio)



M

M






G

P


Confronto offerta fornitore con aspettativa e scelta capi


A

M

A






G

P


Generazione dati locali rispetto a dati del fornitore (anagrafica, listini, etc.)




B

B





T

F


Ripercussioni ordine a fornitore su occupazione spazi e risorse finanziarie, andamento acquisti


M


M






G

P


Considerazioni su rapporto con il fornitore, puntualità, finanza termini di consegna.



B

M






T

O


Supporto contesto vendita, materiale POP etc.







M

A

B


G


Riordini














gruppo processo

Processo


S

Prodotto


soggettività


Socialità




Estetica

Affidabilità

Dispo nibilità

capacità risposta

Rassicu razione

Em

patia

Appar tenenza

Distin zione

Livello

aggreg

Macro area

Gruppo ricevimento merce

Avviso di ricevimento merce: dettagli prodotto e momento (booking)




B






T

O


Scelta del momento di ricevimento




M






T

O


Operatività del ricevimento: facchinaggio, tipologia di imballo (cartoni), controllo integrità dei colli




B






T

O


Accettazione colli o reclamo su consegna




B






T

O


Controllo contenuto: per singolo collo o per spedizione




B






T

O


Controllo qualità capi, rietichettatura, apposizione prezzo e antitaccheggio




B






T

O


Ricevimento materiale pubblicitario







B

M


T

O


Controllo fattura fornitore




B






T

F

gruppo processo

Processo


Specifiche

Prodotto


soggettività


Socialità




Estetica

Affidabilità

Dispo nibilità

capacità risposta

Rassicu razione

Em

patia

Appar tenenza

Distin zione

Livello

aggreg

Macro area

Gruppo disposizione merce

Scelta della logica di presentazione:














quantità di capi esposti per articolo




M


M

M


G

S



raggruppamento per tema, per fornitore (corner), per fascia prezzo




M


M



G

S


definizione dei percorsi di interesse (luci, contorno)





M


M

M


G

S


definizione degli ambienti emozionali: combinazione prodotto-contesto





M

A

M

M


G

S



gruppo processo

Processo


Specifiche

Prodotto


soggettività


Socialità




Estetica

Affidabilità

Dispo nibilità

capacità risposta

Rassicu razione

Em

patia

Appar tenenza

Distin zione

Livello

aggreg

Macro area

Gruppo disposizione merce

definizione degli ambienti emozionali: combinazione cliente-contesto (filmati etc.)






M

A

A


G

C


vetrine e rapporto vetrina-interno





M


M

A


G

S


prezzi, sconto e campagne vendita




M

M

M

M



G

S




gruppo processo

Processo


S

Prodotto


soggettività


Socialità




Estetica

Affidabilità

Dispo nibilità

capacità risposta

Rassicu razione

Em

patia

Appar tenenza

Distin zione

Livello

aggreg

Macro area

Gruppo rapporto con cliente

Ricevimento






M

A

A

A

C

C


Rapporto cliente-prodotto (prova capo etc.)


A


A

A





C

P


Rapporto cliente-operatore-negozio (numero di commessi etc.)





A

A

A

A


C

S


Rapporto cliente-brand







A

A

A

G

C


“esclusività del cliente”







A

A

A

C

C

Vendita














Aspetti operativi (funzionalità commerciali e finanziarie)




B

M


B



T

O


Aspetti logistici (trasporto)




B

M





T

O


Aspetti sociali: brand






M

M

A

A

G

C


Aspetti sociali: packaging







M

A

A

G

C




gruppo processo

Processo


Specifiche

Prodotto


soggettività


Socialità




Estetica

Affidabilità

Dispo nibilità

capacità risposta

Rassicu razione

Em

patia

Appar tenenza

Distin zione

Livello

aggreg

Macro area

Gruppo rapporto con cliente













Post vendita














Qualità














Qualità nel prodotto


A

M

M

M




G

P


Follow up : comunicazioni con clienti














Da retail a cliente: campagne etc





M

A

A

M

G

S



Da cliente a retail: miglioramenti




A

M

A

A

A

G

C


La gestione del reso fraudolento














gruppo processo

Processo


S

Prodotto


soggettività


Socialità




Estetica

Affidabilità

Dispo nibilità

capacità risposta

Rassicu razione

Em

patia

Appar tenenza

Distin zione

Livello

aggreg

Macro area

Gruppo comunicazione istituzionale

Comunicazione istituzionale (prodotto, personale, sociale)






M

A

A

B

G

S


Testimonial






M

A

A

B

G

C


Spettacoli






B

M

A

B

G

C


Stampa






A

M

M

B

G

C

Operatività varia














Inventari: magazzini mappati e non




B






T

O


Gestione del personale: retribuzioni, incentivi e carriere





M





T

O


Gestione immobili




B






T

F


Gestione cespiti










T

F


Collegamento a sistemi fiscali










T

F



Rapporto esigenze clienti – esistenza processi

Osservando i vari processi elencati e, fermo restando che le esigenze sono del singolo consumatore, per soddisfarle devo operare su tre livelli (da non confondersi con i tre attori operanti):

  • Singolo consumatore
  • Gruppo di consumatori (clienti di un punto vendita con problematiche locali, problematiche del punto vendita, tendenze locali): cioè come il gestore del gruppo di clienti progetta il servizio
  • Contesto (problematiche fiscali e legali, tendenze globali) : cioè come
    • Il gestore di un gruppo di negozi progetta l’insieme
    • Vengono risolte le problematiche di livello superiore al negozio.

Il sistema “retail” non è quindi composto solo dai processi direttamente collegati alle esigenze del cliente ma deve poter risolvere anche i problemi degli altri livelli. Questo è il significato del campo “livello di aggregazione” presente in tabella.

Il ruolo del supporto del retail: i processi informativi.

Qui si parla esplicitamente di “supporto” e non di software in quanto, come si può rilevare dall’elenco dei processi elementari, il contenuto dei processi non è sempre di tipo informativo “classico” ma spesso ha a che fare con contenuti fisici o psicologici.

Abbiamo visto che nel passaggio tra esigenze del consumatore finale e esigenze dell’intermediario (retailer) sorgono esigenze nuove (di struttura e di contesto) e possono cambiare i pesi relativi delle varie esigenze.

Poiché il cliente del supporto  è il retailer bisogna capire quali sono le esigenze che deve soddisfare e per cui è disposto a pagare, questo per ciascun livello.

Lo schema generale delle esigenze e delle funzioni diventa quindi




Raccolta dati

Analisi

Soddisfazione

Comunicazione

Processi clienti







Prodotto

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare


Soggettività

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare


Socialità

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare

Processi gruppo







Prodotto



Da analizzare

Da analizzare


Soggettività



Da analizzare

Da analizzare


Socialità



Da analizzare

Da analizzare

Processi di conte sto







Organiz zazione

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare


Fiscale

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare


Quello che risulta è che le esigenze del “singolo” cliente erano state ignorate nell’analisi dei processi industriali: le aziende, per loro natura, devono indirizzarsi verso i “gruppi di clienti” in quanto la loro capacità di soluzione delle esigenze passa tendenzialmente attraverso il prodotto e la socialità ma non attraverso la soggettività. Questo aspetto viene invece supportato dal “retail”.


A questo punto per essere metodologicamente esatti bisogna prendere in considerazione tutte e 32 le caselle della tabella, di queste solo 6 (“gruppo-clienti” / raccolta dati e analisi) sono già stati analizzate nell’area industriale.

Per evitare ripetizioni e noia nel seguito alcune caselle verranno aggregate fermo restando che siamo consci di operare una approssimazione metodologica.

''''Processi clienti

Le esigenze di tipo individuale, per loro natura, vanno affrontate a livello personale e quindi con l’applicazione estemporanea di metodologie generali definite nella strategia commerciale dell’azienda.

Il contenuto del processo è di tipo informativo in senso lato e attualmente molto poco formalizzato; parliamo di un campo poco esplorato.

Area prodotto – raccolta, analisi e soddisfazione

Abbiamo a che fare con il processo del singolo cliente in una specifica situazione di vendita. L’informazione è quindi molto specifica.

  • Cosa: stiamo analizzando il rapporto del singolo cliente con il capo di abbigliamento che sta valutando.
  • Come: nasce il problema di quali sono i parametri per decidere “quel capo sta bene a quel cliente ?” o meglio “quel cliente sarà soddisfatto di quel capo ?”
  • Chi: gli attori in gioco sono lo specifico cliente e il venditore
  • Dove: tipicamente il processo si svolge in un punto vendita
  • Quando: nel momento della disponibilità del capo e del cliente
  • Quanto: poiché è impossibile soddisfare l’esigenza cliente bisognerebbe poter misurare l’effetto: molto difficile.
  • Perché: strategia aziendale.

Per poter rispondere correttamente alla esigenza, uno strumento informativo può essere la formazione del venditore sia sugli aspetti moda che sull’ affidabilità che sull’adattabilità al cliente del prodotto in questione.

Visti i tempi (la durata di un fenomeno di vendita/acquisto) e la variabilità del contesto umano in cui il processo si compie (rapporto venditore-cliente) ritengo che sia molto difficile, o meglio irrealistico, pensare a strumenti informativi di tipo formale e diretto, meglio è sviluppare le doti specifiche del venditore di modo che sappia adattarsi al meglio alla situazione.

La metrica di misura ritengo penso possa solo essere di tipo indiretto nella valutazione delle vendite del commesso attraverso tutte le merceologie.

Area prodotto – comunicazione

Si tratta di far capire allo specifico cliente che esiste la capacità di supportarlo nella scelta del prodotto, il veicolare la consapevolezza che i venditori in quel negozio conoscono il prodotto e sono stati preparati ad adattarlo al cliente.

  • Cosa: dichiarazione della professionalità di prodotto dei venditori
  • Come: deve essere specifica e quindi si esterna nell’atteggiamento e nei contenuti del venditore
  • Chi: chi comunica può essere il venditore o, al massimo, lo store manager
  • Dove: il fenomeno è limitato all’area di vendita, tipicamente il negozio
  • Quando: non solo durante la vendita ma ogni qual volta un prospect interagisce nel punto vendita
  • Quanto : misurarlo è quasi impossibile, forse solo attraverso interviste ai clienti
  • Perché: perché soddisfa il cliente.

Per quanto riguarda i supporti informativi, visto che il vettore principale del processo è il venditore, dobbiamo fornire a lui le conoscenze di prodotto sia specifiche (il prodotto che vende) che esterne ( prodotti concorrenti) che servono a creare e comunicare la sua professionalità.

'''''''Area soggettività – raccolta, analisi e soddisfazione

  • Cosa: stiamo parlando dei processi elementari che hanno a che fare con capacità di risposta, rassicurazione ed empatia nei riguardi di uno specifico cliente. Di nuovo trattandosi di processi estremamente personali ritengo che il contesto informativo riguardi segnali difficilmente codificabili ma piuttosto metodologie di riconoscimento e approccio in linea con la strategia d’impresa. In pratica conviene lasciare la raccolta e l’analisi su base estemporanea al venditore e pretendere una soluzione in linea con certi indirizzi definiti.
  • Come: indicazione del metodo di raccolta e analisi del dato (atteggiamento del cliente e del venditore etc.), formalizzazione del metodo di risposta (analisi comportamentale verso il cliente, auto convincimento del compito)
  • Chi: i soggetti sono i venditori e gli store manager in funzione di controllo
  • Dove: nel rapporto con i clienti o potenziali tali, tipicamente il negozio
  • Quando: sempre nel rapporto con i terzi
  • Quanto : la metrica potrebbe essere definita attraverso un sistema di rilevazione dagli atteggiamenti così come giudicati dagli store manager
  • Perché: perché il cliente deve essere a suo agio da un punto di vista umano

Supporti informativi: il venditore deve conoscere i metodi per ispirare empatia , deve quindi saper classificare il cliente e adeguare il proprio comportamento. Le informazioni riguardano quindi il contesto sociologico del mondo vendite. Informazioni esterne potrebbero riguardare i trend sociali e gli adattamenti conseguenti.

Area soggettività – comunicazione

  • Cosa: stiamo cercando di divulgare il fatto che ciascun cliente è a suo agio nella sua individualità. E’ un fenomeno molto personale e legato principalmente all’empatia del personale di vendita, al format del punto vendita e, in generale, all’atteggiamento proposto.
  • Come: ritengo che solo il passa-parola sia veicolo per questo tipo di comunicazione
  • Chi: chi comunica può essere il venditore o, al massimo, lo store manager
  • Dove: il fenomeno è limitato all’area di vendita, tipicamente il negozio
  • Quando: non solo durante la vendita ma ogni qual volta un prospect interagisce nel punto vendita
  • Quanto : misurarlo è quasi impossibile, forse solo attraverso interviste ai clienti
  • Perché: perché soddisfa il cliente.

Le informazioni necessarie in questa fase riguardano, da una parte, quali possono essere le aspettative clienti sull’argomento, dall’altre quanto gli strumenti utilizzati soddisfino questa esigenza.

Area socialità – raccolta, analisi e soddisfazione

  • Cosa: in quest’area il cliente specifico si sente accolto e riconosciuto in quanto essere individuale.
  • Come: il tutto comincia dalla modalità di accoglimento e di distinzione che devono essere guidate da informazioni ben precise. Nel caso del riconoscimento questo può essere attraverso strumenti formali (carte fedeltà) o informali (la memoria del venditore). In ogni caso la soddisfazione passa attraverso delle procedure standard eventualmente adattate al momento
  • Chi: chi e coinvolto è il venditore o, al massimo, lo store manager
  • Dove: il fenomeno è limitato all’area di vendita, tipicamente il negozio
  • Quando: non solo durante la vendita ma ogni qual volta un prospect interagisce nel punto vendita
  • Quanto : un indice potrebbe essere legato al numero delle visite di un cliente ad un punto vendita, che portino o meno alla vera vendita
  • Perché: perché gratifica il cliente.

Da un punto di vista informativo il primo problema è il riconoscimento dello specifico cliente; il vero problema è che la massificazione del riconoscimento tende a smaliziare il cliente che scopre una “falsa” socialità personale. Questo, attualmente, viene risolto, a mio parere, solo nei casi di alto lusso in cui i clienti sono effettivamente conosciuti, anche tramite stampa, o nei piccoli retail (es. negozi locali) in cui il riconoscimento e su una situazione sociale locale. Questo è un valore di queste realtà. Negli altri casi, anche per motivi di privacy, dobbiamo attenerci a metodologie interattive più “soft” quali la conoscenza personale supportandole con un buon strumento di CRM a posteriori onde evitare perdite di conoscenza “aziendale”.

Area socialità – comunicazione

  • Cosa: questo riguarda la divulgazione della consapevolezza cliente che sarà accettato o meglio riconosciuto.
  • Come: possiamo pensare a metodi formali di divulgazione (“la nostra fidelity card è eccezionale !” etc.) ma la mia opinione è che lo strumento più diffuso sia il passa parola, proprio per la tipologia di mercato di riferimento
  • Chi: chi e coinvolto è il venditore o al massimo, lo store manager
  • Dove: non solo il negozio ma anche il contesto vicino
  • Quando: non solo durante la vendita ma nella continuità del rapporto con il cliente
  • Quanto : un indice potrebbe essere legato al numero dei contatti, in entrambi i sensi.
  • Perché: perché gratifica il cliente.
Le informazioni necessarie per  questo processo sono l’oggetto della comunicazione (“sei il benvenuto”), la forma (diretta mediante messaggio o tramite messaggio implicito) e la destinazione che corrisponde all’elenco dei “singoli clienti o prospect”  (l’anagrafica commerciale clienti).



Processi di gruppo

Le esigenze di gruppo clienti sono quelle a cui fa riferimento il mondo industriale. Per quanto riguarda i processi di raccolta dati e analisi possiamo tranquillamente far riferimento alla prima parte del libro in quanto si tratta di recuperare e categorizzare esigenze diffuse dei clienti; il fatto che poi si cercherà di risolvere in modo diverso non cambia la natura dell’esigenza.

Area prodotto – soddisfazione

  • Cosa: si tratta di tutti quei processi che riguardano l’approvvigionamento e la messa in disponibilità del prodotto in tutta il suo sviluppo temporale, compreso quindi il post vendita. In realtà dovremmo suddividere la disponibilità tra approvvigionamento, giacenza a magazzino, presenza nel punto vendita e supporto dopo la vendita. In questo punto possiamo immaginare tutta una serie di problemi che vanno dall’analisi dell’offerta sul mercato, alle problematiche temporali associate alle forniture, all’esistenza di vincoli di spazio nell’esposizione mentre consideriamo quasi illimitata la capacità di stoccaggio. Si tratta dell’intero aspetto industriale del retail.
  • Come: mediante sottoprocessi di acquisto, esposizione, vendita e servizio post-vendita
  • Chi: le persone coinvolte vanno dai buyer ai visual merchandiser ai venditori al servizio clienti
  • Dove: lo spazio copre tutte le aree del retail
  • Quando: è un processo lungo che possiamo stimare della durata di alcuni mesi
  • Quanto: poiché il macro processo è così ampio il parametro di misura deve comprendere tutti i suoi aspetti e quindi ritengo possa essere utilizzato il conto economico del punto vendita; i vari sottoprocessi avranno altri indicatori più specifici
  • Perché: spesso questo è visto come la “natura” del retail; in realtà ritengo sia forse il processo principale ma sicuramente non l’unico.

E’ sicuramente il processo più “sentito” del retail, la capacità di coniugare offerta generale e domanda specifica. Da un punto di vista informativo richiede un patrimonio sia formale che informale enorme, da analizzare specificatamente ( vedi appendice B).

Area prodotto – comunicazione

  • Cosa: si tratta di far capire al gruppo clienti che in quel luogo, in quel momento troverà proprio il prodotto che cercava. Il contenuto è quindi l’informazione che riusciamo a trasmettere al cliente.
  • Come: esistono sistemi formali (pubblicità, vetrine) e informali (passa parola) in contesti diffusi (realtà sociali) e sistemi personali (rapporto umano) in contesti limitati.
  • Chi: chi gestisce il processo è il comunicatore del retail per l’area sociale e il venditore nello specifico rapporto
  • Dove: abbiamo visto che si parla di contesto diffuso intendendo la società in genere, specialmente nei suoi luoghi di aggregazione, e di contesto limitato quando il processo si svolge nel punto vendita.
  • Quando: la certezza della soddisfazione di prodotto non è legata al singolo capo ma è funzione dell’intera offerta per cui la comunicazione deve essere continua anche calibrata stagionalmente
  • Quanto: senza comunicazione l’accesso al prodotto è fondamentalmente casuale e quindi un parametro di misura può legare l’ammontare della comunicazione (in prima battuta il valore speso in questa) alla variazione di vendita del prodotto
  • Perché: per semplificare la risoluzione dell’esigenza cliente.

E’ un aspetto che vale la pena di analizzare separatamente.

Area soggettività – soddisfazione

  • Cosa: all’interno di questo gruppo possiamo riconoscere dei sottogruppi che riguardano il gestore (capacità tecniche, atteggiamento, follow up), le logiche di rapporto persona-ambiente (percorsi, presentazioni), persone-società (pubblicità, vetrine). Si tratta essenzialmente di come il retailer progetta il suo rapporto con il “cliente generico”.
  • Come: la soddisfazione passa attraverso strumenti diversi, in questo caso bisogna scendere a livello almeno a livello di sottogruppi:
    • gestore: formazione sul prodotto e sulle metodologie generali di rapporto
    • persona-ambiente: studio degli interni e product merchandising
    • persona-società: studio degli esterni, visual merchandising e pubblicità
  • Chi: la persona coinvolta è il retailer nel suo complesso commerciale nel senso più ampio di substrato umano.
  • Dove: il processo di soddisfazione soggettiva tipicamente avviene nel punto vendita ma, di nuovo, bisogna scendere a livello inferiore.
  • Quando: la soddisfazione soggettiva può non essere legata al momento della sola vendita ma copre tutto il rapporto retailer-cliente, questo fa parte del progetto sul rapporto con il cliente
  • Quanto: misurare la soddisfazione soggettiva penso possa essere fatto mediante parametri indiretti di affezione cliente.
  • Perché: per soddisfare l’ego del cliente.

Le informazioni a supporto di questo macro processo sono estremamente varie e necessitano di una trattazione separata.

Area soggettività - comunicazione

  • Cosa: l’argomento è come veicolare la propria capacità di soddisfare la soggettività del “cliente generico”
  • Come: per ciascun sottogruppo
    • gestore: campagne sulla conoscenza di prodotto e sulle metodologie generali di rapporto (es. il venditore esperto e amichevole)
    • persona-ambiente: comunicazione sugli interni (es. un ambiente amichevole) e product merchandising (un prodotto gradevole)
    • persona-società: studio degli esterni, visual merchandising (un format riconosciuto)
  • Chi: a seconda dei sottogruppi: il venditore e l’uomo immagine
  • Dove: ovunque possa trovarsi il “cliente generico” e quindi dappertutto ma specialmente vicino al punto vendita per sfruttare l’eventuale vicinanza geografica
  • Quando: non vogliamo comunicare, tranne rari casi, uno speciale prodotto, è la soddisfazione generale il nostro obiettivo e quindi deve essere un lavoro continuo di diffusione, magari su argomenti mirati
  • Quanto: volendo misurare la nostra capacità di attrarre clienti potremo utilizzare un contatore di visite al punto vendita
  • Perché: per chiudere il cerchio della soluzione dell’esigenza.

Il patrimonio informativo necessario va analizzato per sottogruppo e con un dettaglio non di competenza qui.

Area socialità – soddisfazione

A differenza dell’area socialità perseguita dalle aziende industriali nel retail questo aspetto riguarda gruppi più ristretti di clienti sia questo in senso geografico (clienti di una certa area) o sociale (clienti di un certo tipo, es. grandi catene di retail).

  • Cosa: sto cercando di creare un senso di appartenenza al gruppo di clienti che è soddisfatto di servirsi in quel negozio, non è detto solo nell’acquisto.
  • Come: il senso può essere sviluppato mediante opzioni nascoste o pubbliche
  • Chi: è una funzione di PR che crea e mantiene il legame con il gruppo
  • Dove: l’ambiente è legato alla logica commerciale: di luogo o di mercato
  • Quando: come avevamo visto per l’area industriale, il contesto temporale è piuttosto lungo in quanto riguarda persone con interessi e tempi diversi
  • Quanto: un parametro di misura della soddisfazione della socialità può essere la percentuale di risposta ad una interazione o il numero di visite, suddivise per tipologia, ai vari loci del retail
  • Perché: non è detto che il retail riesca a sfruttare il concept “sociale” del brand (vedi negozi multimarca) per cui deve riuscire a crearsi un riconoscimento sociale specifico.

Per capire bene quest’area analizziamo

  1. Il ragionamento cliente:
    1. cosa mi distingue dal contesto ?;
    2. qual è il costo per entrare in quel gruppo ?;
    3. quali sono le identità di quel gruppo, quali sono i testimonial ?
    4. come posso evitare, in quanto appartenente, di sentirmi socialmente uniformato ?
  2. Il ragionamento del retailer:
    1. quanto è il costo per creare il gruppo ?
    2. quanto è il costo per mantenere il gruppo ?
    3. quanto è il ricavo in termini di mantenimento del valore di acquisto di clienti acquisiti ?
    4. in generale quant’è il costo/beneficio ?
 Ritengo che le risposte passino attraverso due aspetti:
  1. interno: la creazione di luoghi e momenti di creazione del gruppo, quali ad esempio bar nei negozi, momenti di happy hours, e la definizione di riferimenti, di archetipi del gruppo quali i testimonial che definiscono la “caratterizzazione del gruppo”
  2. esterni: la definizione di simboli di appartenenza quali, ad esempio, le shopping bags o l’invito a eventi esterni riservati.

Da un punto di vista informativo potremo legare questa parte a dati quali

l’indice di retention dei clienti (il numero di acquisti medi nel periodo)

l’indice di acquisizione di nuovi clienti

l’investimento nell’operazione.

I dati sono però molto difficile da ottenere in quanto i parametri citati sono pesantemente dipendenti anche da altri parametri (qualità del prodotto) per cui è difficile scorporare gli effetti delle singole variabili.

Area sociale – comunicazione

A differenza della comunicazione dell’industria basata sul prodotto, il retail vende essenzialmente l’idea di eccellenza di un servizio, di una capacità di soluzione. Non ha senso, pertanto, puntare su comunicazioni specialistiche ma piuttosto sull’istituzionale.

  • Cosa: al mio “gruppo” di clienti, al mio target ideale voglio raccontare che siamo una grande “community”
  • Come: devo passare il messaggio e la scelta del mezzo è legata al bersaglio, al mercato di riferimento nella sua analisi
  • Chi: chi agisce è il PR, chi riceve è il “cliente tipo”
  • Dove: la comunicazione deve raggiungere clienti e prospect e quindi è associata al mercato geografico di riferimento
  • Quando: non basta raccontare una volta che ci siamo, anzi farlo una sola volta sarebbe dannoso: il cliente si chiede il perché di certe spese. Farlo regolarmente supera la barriera d’ingresso e crea attaccamento
  • Quanto: suddividerei i clienti in acquisiti e prospect in quanto sui primi è necessario mantenere un livello di contatto che colleghi ma non infastidisca mentre sul secondo dobbiamo abbattere le barriere d’ingresso dei competitors che cercano di costruire le loro community. Sui primi un parametro potrebbe essere il tasso di ritenzione inteso come percentuale di clienti mantenuti, sul secondo il tasso di nuovi clienti.
  • Perché: per completare il quadro di rapporto con il “cliente ideale”.

Le informazioni necessarie riguardano la struttura del gruppo che voglio indirizzare (“il cliente target”) e i tempi/modi per comunicare:

  • le sue richieste comunicative: si tratta di esigenze raramente espresse esplicitamente ma molto sentite. Pensate ad un negozio che voglia vendere abiti per teen-agers e pensate alla immensa richiesta di socializzazione che proviene da quel gruppo di adolescenti. Il fatto di potersi riconoscere oltre che nel prodotto anche nel contesto di acquisto genererebbe un potenziale enorme che, attualmente, ritengo esista solo nell’insieme di un centro commerciale (che, a sua volta, manca di omogeneità).
  • le mie proposte riguardano la creazione di un contesto in cui offro questa comunicazione, con i limiti dei costi benefici che permettono il corretto andamento economico dell’impresa commerciale, per cui un luogo in cui la gente solo sosta ma non compra non ha vita lunga.

Da un punto di vista informativo il problema è quindi quantificare il rapporto tra divulgazione dell’aspetto sociale e della sua capacità di soddisfazione e la resa economica.



Processi di contesto

I processi di contesto coinvolgono tutte quelle operazioni che non hanno rapporto diretto con il cliente, e quindi nessun valore riconosciuto, ma che nella pratica sono necessari a far funzionare una struttura di vendita. I processi che sono definiti “fiscali” hanno a che fare con imposizioni esterne e quindi sono da considerarsi obbligatori mentre quelli “organizzativi” sono il risultato di una analisi delle “best practices” del settore.

Proprio per la loro natura di processi di servizio ben conosciuti sono stati i primi ad essere stati affrontati da un punto di vista informativo e sono quelli meglio supportati da strumenti e metodi attuali.

Non ritengo quindi sia nello scopo di questo libro entrare in dettaglio di queste fasi, esiste già una letteratura ed una pratica molto conosciuta a cui ci si può rifare.

Vorrei solo sottolineare, come appena accennato, che questi processi non generano valore percepito dal cliente e pertanto devono essere visti come dei puri driver di costo; il compito dei sistemi informativi deve quindi essere di risolvere queste esigenze nel miglior modo e al minor costo possibile. Questo può significare l’adozione di metodologie standard nei confronti di problemi strutturali comuni, diffusione che può passare attraverso metodologie di formazione o di consulenza a seconda della dimensione del problema nel caso specifico (dal grande al piccolo).

Retail: l’architettura della soluzione

Come abbiamo visto nella prima parte relativa all’industria anche nel retail possiamo cercare di schematizzare l’insieme dei macroprocessi come riferimento alla strategia informativa aziendale.

La matrice schema esigenze – funzioni diventa lo spazio delle fasi del retail in cui ogni casella ha il suo valore e il suo costo; da qui il progetto del posizionamento azienda.




Raccolta dati

Analisi

Soddisfa zione

Comuni cazione

Esigenze clienti







Prodotto






Soggettività






Socialità





Esigenze gruppo







Prodotto






Soggettività






Socialità





Esigenze di contesto







Organizzazione






Fiscale






Nel caso di alcune caselle il costo-valore va analizzato a livello più basso in quanto si tratta di situazioni molto articolate (es. soddisfazione del gruppo-prodotto). Questa analisi in sottoprocessi ci permetterà di valutare il costo complessivo come somma dei costi mentre il valore resta a livello superiore per questione di confronto con le altre caselle.

Se consideriamo adesso il “valore vero” inteso come prodotto dell’importanza dell’esigenza e dell’aspettativa per quell’esigenza nello specifico canale di vendita in cui operiamo abbiamo uno schema del tipo:


''''Valore di canale


Aspettative pesate










bancarella

no-brand

monomarca

plurimarca

shopping center/ corner

lusso

Internet

Prodotto









Estetica, allineamento alla moda

31,2

37,0

51,0

52,3

45,9

52,9

40,1


Affidabilità

33,3

49,5

74,7

68,4

63,9

78,3

37,8


disponibilità

37,1

45,5

53,2

53,2

55,3

56,0

44,3

Soggettività









Capacità di risposta, flessibilità

42,4

46,7

56,2

55,5

55,2

56,2

33,6


Rassicurazione (competenza, cortesia, credibilità)

36,9

47,2

58,3

55,7

53,3

61,5

24,9


Empatia (comunicazione)

39,4

38,1

50,1

46,8

40,8

49,5

31,4

Sociali









Appartenenza al gruppo

26,7

26,7

43,0

39,3

35,6

44,5

28,2


Distinzione nel gruppo

27,0

29,7

42,3

37,8

33,3

50,4

29,7

Totale

274,2

320,6

429,1

409,2

383,4

449,

270,2


Quindi un retailer, una volta definito il canale in cui vuole operare, ha qui uno schema del valore di ciascuna esigenza cliente; il problema del retailer diventa “quanto costa soddisfare questa esigenza”.

Abbiamo visto come ciascuna di queste celle venga riempita mediante una serie di processi elementari ciascuno dei quali avrà una sua percentuale di incidenza sul processo finale. Ciò ci permette di costruire il costo della soluzione come somma dei costi dei singoli micro-processi.

Poiché molti di questi microprocessi hanno un contenuto informativo il problema dell’informatico diventa quindi come ridurre il costo di questi microprocessi partendo da quelli che hanno maggior valore e che, quindi, raggiungono più velocemente il rapporto costo/valore che rende interessante l’operazione di analisi esplicita.



Conclusioni

Fino ad adesso i sistemi informatici hanno sviluppato una copertura “a macchia di leopardo” legata a esigenze “immediate” o a modelli su singole celle di esigenza.

Cercando di analizzare l’intero contesto informativo viene fuori che certe celle hanno caratteristiche (tempistica, numero di informazioni generali, algoritmi di legame delle informazioni) da rendere impraticabile l’applicazione di modelli formali definiti ma conviene affrontare il problema in termini “umani” (euristici) mediante la formazione e l’organizzazione.

Esistono però situazioni intermedie che finora sono state tralasciate o non correttamente inquadrate e su cui deve essere fatto un lavoro ancora notevole visti anche i progressi degli aspetti tecnici.

In particolare ci sono ancora molte caselle non coperte da modelli e relativi sistemi informativi, caselle sulle quali bisogna fare dei ragionamenti nuovi vista la disponibilità di tecnologie che si sta realizzando. Ritengo che la situazione attuale possa essere raffigurata come:






Raccolta dati

Analisi

Soddisfazione

Comunicazione

Processi clienti







Prodotto

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare


Soggettività

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare


Socialità

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare

Processi gruppo







Prodotto

Da analizzare

Da analizzare


Da analizzare


Soggettività

Da analizzare

Da analizzare




Socialità

Da analizzare

Da analizzare



Processi di contesto







Organizzazione






Fiscale






In particolare tutta la parte di rilevazione e analisi di processi che hanno a che fare con soggettività e socialità e lasciata all’intuizione dell’imprenditore o del retailer. In queste aree, ne deriva che gli strumenti di soddisfazione si basano su dati elementari indicativi e quindi esiste un grosso pericolo di errori o di inefficienza.

Naturalmente il peso relativo delle varie caselle varia a seconda della merceologia che stiamo considerando per cui prima di entrare nel dettaglio dell’analisi serve, anche mediante rilevazioni statistiche come quelle effettuate, definire l’importanza delle esigenze.

Per quanto riguarda il prodotto le aree da prendere in considerazione sono quelle relative alla raccolta dati e analisi delle esigenze. Questo può essere un campo incredibilmente proficuo sia da un punto di vista culturale che economico. Attualmente il lavoro fatto in questi campi si basa essenzialmente su metodologie di “proiezioni di vendita” cioè di estrapolazione a partire da dati raccolti e classificati; il risultato dipende ovviamente dall’ampiezza del campione raccolto e dalle metodologie di proiezione. La necessità che rileviamo è di modificare le metodologie di raccolta di modo da intercettare fenomeni nascenti nella socialità generica e non nei punti vendita.

Se prendiamo in considerazione la mera analisi informatica, tralasciando quindi gli aspetti più formativi o informativi generici, abbiamo che lo schema precedente diventa






Raccolta dati

Analisi

Soddisfazione

Comunicazione

Processi clienti







Prodotto




Da analizzare


Soggettività

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare



Socialità

Da analizzare

Da analizzare

Da analizzare


Processi gruppo







Prodotto

Da analizzare

Da analizzare


Da analizzare


Soggettività

Da analizzare

Da analizzare




Socialità

Da analizzare

Da analizzare



Processi di contesto







Organiz zazione






Fiscale






Dove quelle segnate sono le aree in cui ritengo maggiore possa essere lo sviluppo dell’informatica gestionale.

Appendice A


Spazio delle fasi per i vari processi

Come esempio proviamo a schematizzare le celle per i macro processi generali e industriali, al lordo di quelle non significative e per quanto riguarda gli stati iniziali dei singoli processi.


Per il processo di Capacità di percepire l’esigenza



cosa

Chi

Dove

Come

quando

Prodotto

Certe

Semistrut turate

Contesto

Conosciuti

Sconosciuti

Potenziali

Negozi

Vetrine

Concorrenti

società

Consce

Inconsce

Sociali


Breve

Medio

lungo

Soggettività

Da analizzare


Da analizzare


Da analizzare


Da analizzare


Da analizzare


Socialità

Da analizzare


Da analizzare


Da analizzare


Da analizzare


Da analizzare




Capacità di razionalizzare l’esigenza



cosa

Chi

Dove

Come

quando

Prodotto

Prodotti migliorativi

Prodotti innovativi

Analista

Stilista

Azienda

Analisi razionali

Semiquantitative

Intuizioni

Mesi

Soggettività

Messaggi primitivi

Messaggi mediati

Messaggi personali

Analista

Comportamentale

Luoghi

Controllati

Azienda

Mesi/anni

Socialità

Da analizzare

Marketing

Società

Società

Mesi/anni





Capacità di soddisfare l’esigenza



cosa

chi

dove

come

quando

Prodotto

Prodotto più bello

Prodotto migliore

Prodotto

Industrializzazione

Produzione

Logistica

Area tecnica

industriale

logistica

PLM

SCM

Logistics

Mesi

Soggettività

Atteggiamento operativo

Vendite

Post vendita

Customer service

Retail

Vendite

Logistica

Customer service

Retail

Sales

CRM

Retail


Mesi-anni

Socialità

Riconoscimento cliente

Riconoscimento azienda

Promoter

Brand manager

PR

Società

Clienti potenziali

Gruppi speciali

Individui

Brand managment

PR

Mesi-anni



Capacità di veicolare l’idoneità a soddisfare l’esigenza



cosa

chi

dove

come

Quando

Prodot to

Caratteristiche tecniche di prodotto

Caratteristiche emozionali di prodotto

Utente

Azienda

Pubbli cità

comunicazione


Pubblicità diretta

indiretta confronto

Settimane/mesi


Sogget tività

Conoscenza del contesto

Utente

Azienda

Retai

Passa parola

Pubblicità di servizio

Contatto diretto

Ambientazione prodotto e servizio

Anni

Socia lità

Appartenenza a gruppo

Unicità nel gruppo

Utente

Azienda

Media

Retail

Pr

Campagne sociali

Sfilate

Etc.

Mesi/anni



Appendice B


Per il gruppo cliente ci sono progetti “generali” (es. analisi del mercato di vendita, di acquisto) e problemi più “specifici” (es. individuazione percorsi emozionali) per cui alcune aree sono più standardizzabili e altre meno. Riprendiamo il discorso relativo ad una esigenza considerata fondamentale nell’ambito del retail.

Processi di gruppo: Area prodotto – soddisfazione

Parliamo di quei processi che riguardano l’approvvigionamento e la messa in disponibilità del prodotto in tutta il suo sviluppo temporale, compreso quindi il post vendita.

In questo macro processo possiamo individuare alcuni sottogruppi di processi elementari:

  • analisi dell’offerta di mercato
  • gestione dell’approvvigionamento
  • gestione del magazzino
  • presenza nel punto vendita
  • supporto post vendita.

Dando per scontato che l’analisi della richiesta, cioè di ciò che vuole il “gruppo clienti” a cui mi rivolgo è stato rilevato ed analizzato nei processi precedenti devo adesso utilizzare quelle informazioni.

Analisi dell’offerta di mercato

In questo passo confrontiamo ciò che esiste nel mercato con ciò che pensiamo vorrebbero i nostri clienti. Tipicamente questa fase si svolge in due passi distinti:

analisi “a catalogo”

analisi “de visu”.

Per semplicità analizzeremo il primo processo nel caso del canale “multi brand” che, probabilmente, è il più complesso.

'Analisi “ a catalogo”

  • Cosa: si tratta di trovare sul mercato globale a cui abbiamo accesso (primo vincolo dell’accesso) il prodotto che più si avvicina al nostro obiettivo in termini di
    • Natura (tipologia di abbigliamento)
    • Caratteristiche tecnologiche esplicite (composizione, trattamento etc.)
    • Caratteristiche estetiche e moda dichiarate dal fornitore.
    • Fascia prezzo
    • Caratteristiche del fornitore
  • Come: tipicamente questo processo veniva risolto mediante canali quali la stampa specializzata o il supporto di intermediari (agenti)
  • Quando: la ricerca tende a coincidere con il periodo di presentazione di nuovi prodotti, naturalmente queste crea rigidità temporali in quanto tutto gli aspetti pratici dell’acquisto impediscono di selezionare ed acquistare la merce nella stessa campagna. Ciò tende a creare una barriera di ingresso a nuovi competitors e generare una rendita di posizione per le aziende produttrici.
  • Dove: come citato la ricerca utilizza strumenti tipicamente limitati da un punto di vista geografico.
  • Chi: chi effettua questa analisi è l’addetto agli acquisti che, nel caso di grosse organizzazioni, è uno specialista (buyer) mentre nelle realtà più piccole è l’imprenditore stesso
  • Quanto: nel contesto attuale la dimensione di questo processo è legata alla metodologia di lavoro che è estremamente lenta. La metrica utilizzabile potrebbe avere a che fare con il numero di fornitori analizzati.
  • Perché: l’obiettivo è migliorare la conoscenza del panorama dell’offerta.

E’ un processo in cui ci potrebbero essere significativi progressi informativi in particolare standardizzando la classificazione dell’offerta.

Analisi “de visu”

  • Cosa: in questa fase il retailer controlla la veridicità delle affermazioni avute in prima battuta e rileva segnali fisici non codificabili elettronicamente (es. vestibilità dei capi, punto di colore etc.)
  • Come: il processo avviene con la presenza fisica essenzialmente in fiere specializzate e in presentazioni dedicate, il tutto con la presenza del prodotto reale
  • Quando: nel rispetto dei tempi di presenza sul mercato e quindi nel rispetto di ciascun mercato specifico
  • Dove: come accennato in luoghi dedicati a questo, siano esse fiere, show room o altro
  • Chi: gli attori coinvolti sono l’azienda presentatrice e il buyer
  • Quanto: sarebbe molto interessante poter misurare la distanza tra le affermazioni fatte da lontano e la realtà misurata “de visu”; probabilmente bisognerebbe intervistare i clienti.
  • Perché: per diminuire il tempo perso.

La situazione dei supporti informativi, al momento, è inesistente, almeno nella mia conoscenza. L’obiettivo potrebbe essere un sistema di feedback storico per gli operatori del settore.

Gestione dell’approvvigionamento

Questa fase segue quella della scelta del prodotto e comprende le operatività relative all’ordine di approvvigionamento. Può o meno essere preceduta da un processo di “offerta” che qui, però, non trattiamo.

  • Cosa: in questo punto vengono definite le caratteristiche della fornitura in termini di componenti
    • Fisici
      • Articoli scelti e quantità relative
      • Data e luogo di consegna
      • Norme di consegna (imballi, etichettature etc.)
    • Immateriali
      • Condizioni di pagamento, resa, trasporto etc.
      • Qualità (corrispondenza a campioni o norme)
      • Informazioni (codici etc.)
  • Come: modalità operative dell’ordine (copia commissione, carta, trasmissione elettronica)
  • Quando: gli ordini a fornitore possono essere fatti in vari momenti a seconda della prassi di mercato: in fiera, in show room, in altri modi compatibili con la struttura industriale del fornitore.
  • Dove: come per il punto precedente dipende dalla tipologia di prodotto e dall’organizzazione del fornitore
  • Chi: le entità coinvolte sono il cliente, il fornitore ed eventualmente terzi attori quali l’agente o procacciatore e la società di servizi che media l’aspetto operativo
  • Quanto: la dimensione del processo può non essere direttamente proporzionale al totale delle merci acquistate ma piuttosto al numero di SKU interessate; si pensi ad una boutique che compra pochi pezzi di molti articoli.
  • Perché: per definire un punto fermo di riferimento, sia fisico che informativo.

Per quanto riguarda i sistemi informativi essi operano come strumenti di supporto e hanno una grande cultura sull’argomento.

Gestione del magazzino

In questa fase, dopo aver scelto e ordinato i capi che pensiamo risolveranno l’esigenza del nostro cliente, dobbiamo tenere sotto controllo il posizionamento fisico del prodotto.

  • Cosa: analisi delle giacenze che possono essere: presso l’azienda, presso lo spedizioniere o presso il negozio.
  • Come: per poter gestire correttamente le giacenze presso tutti le locazioni possibili devo conoscere la situazione al momento (giacenza) e nel futuro. Stiamo quindi parlando non solo di un sistema di rilevazione statica ma anche di previsione temporale
  • Quando: il problema della conoscenza è un problema valido sempre che può avere periodi più complicati (giacenza in tutti le sedi) e più semplici (giacenza in una sola sede)
  • Dove: chi opera lavora, normalmente, solo nella sede decisionale, i dati sono di competenza di tutte le sedi operative interessate
  • Chi: esiste un gestore che utilizza i dati e varie persone che li forniscono (gestori dei depositi)
  • Quanto: la precisione è indispensabile sull’attuale e importante sulla previsione
  • Perché: il punto vendita non è un settore a parte ma è compreso nella catena della soddisfazione.

In pratica dobbiamo arrivare ad avere un sistema informativo che permetta la conoscenza dei dati presso tutti i contesti coinvolti (azienda, logistica, vettori e negozi); precisa nella giacenza e affidabile nella previsione. Attualmente non siamo ancora a questi livelli.

Presenza nel punto vendita

Stiamo parlando della disposizione merce per fare in modo che il cliente possa vedere aumentare le probabilità di trovare ciò che entra nel suo ambito di ricerca.

  • Cosa: conoscendo la giacenza abbiamo il problema del bilanciamento spazio-merce e della definizione delle priorità espositive (percorsi o superfici)
  • Come: le scelte che faremo devono legare le esigenze clienti con le giacenze in essere tenendo conto del fatto che dovremmo poterci trovare a gestire mancanze che sappiamo poter soddisfare nel futuro prossimo
  • Quando: l’operazione di abbinamento spazi-prodotto è legata alla disponibilità di prodotto (gli spazi normalmente sono fissi nel breve periodo) e alla frequenza di visita dei clienti. Normalmente si ritiene che due-tre settimane sia un periodo corretto per la riorganizzazione di un negozio mentre tutti i giorni lo è per una bancarella.
  • Dove: l’aspetto fisico è definito dal luogo di avvenimento del processo di vendita
  • Chi: tipicamente è un lavoro da visual-merchandiser, nelle realtà più piccole fa parte dell’operatività del retailer esperto
  • Quanto: le grandi catene commerciali hanno studiato a lungo l’impatto della disposizione sulle vendite, non ritengo sia questo il luogo corretto di analisi
  • Perché: è indubbia l’importanza di una buona esposizione per aiutare il cliente nella ricerca.

Da un punto di vista informativo i dati necessari riguardano la presenza(attuale e futura) del prodotto, la tipologia di clienti, la loro propensione al ritorno e la valutazione locale di appetibilità del prodotto.

Supporto post vendita.

Affinché la soddisfazione del cliente sia completa dobbiamo prevedere di gestire anche ciò che potrebbe succedere dopo la vendita. Il post vendita ha due componenti fondamentali: la “gestione reclami e resi” e la gestione del follow-up.

Gestione reclami e resi

  • Cosa: Abbiamo a che fare con problemi inerenti tipicamente la qualità dei capi venduti che risulta non conforme agli standard previsti e dichiarati.
  • Come: la gestione resi tipicamente si esplica nella resa al negozio del capo difettoso e la gestione della sostituzione con capo analogo, capo alternativo o il rimborso.
  • Quando: le tempistiche di questa parte sono definite per legge e tipicamente hanno dimensione ridotta (giorni, settimane)
  • Dove: nel retail, normalmente, il processo si svolge nel luogo della vendita
  • Chi: gli interessati sono sicuramente il cliente, tipicamente il retailer che, a sua volta, si interfaccia con l’azienda produttrice
  • Quanto: è ovvio che questo è un fenomeno perturbativo del buon funzionamento e quindi deve avere le dimensioni più ridotte possibili
  • Perché: perché il mondo non è perfetto e la gestione delle eccezioni deve essere prevista al meglio

Gestione follow-up

  • Cosa: serve a definire i nuovi standard a cui dovremo adeguarci.
  • Come: per quanto riguarda il follow up ciò che ci interessa è la percezione di corrispondenza tra esigenza e scelta fatta dopo un certo lasso di tempo e non al solo momento di vendita
  • Dove: il problema è che il cliente, normalmente, non ritorna a darci il feed-back di cui abbiamo bisogno per cui dobbiamo creare noi la possibilità, tipicamente nel luogo di vendita
  • Chi: chi ha l’informazione è il cliente e chi la può catturare può essere solo il retailer
  • Quanto: almeno quanto abbia significanza statistica
  • Perché: per guidare meglio i processi futuri.

Per quanto riguarda il patrimonio informativo la gestione reclami è tipicamente consuntiva e richiede quindi sistemi operativi e di controllo, il follow-up ha valenza predittiva e quindi richiede strumenti di raccolta ma anche analitici. Esistono, nella mia conoscenza, strumenti per la gestione dei reclami mentre non ne conosco per la parte di follow up.



Bibliografia


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