Armi avanzate della Seconda Guerra Mondiale/Italia 5: differenze tra le versioni

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[[Immagine:Obice-de-75-18-M35-Saumur.0004x08e.jpg|300px|right|thumb|Il pezzo Mod. 34 da montagna]]
Quanto ai materiali di artiglieria e fanteria, c'erano armi di diverse generazioni. Una era quella delle pistole e mitra Beretta, armi molto apprezzate. La mancata distribuzione ai reparti di queste armi è sintomatica delle deficenze organizzative e concettuali del regio esercito, in particolare il Moschetto Automatico Beretta, modello 1938 (Mab '38)fu acquistato sin dal suo apparire dalla PAI (polizia dell'africa italiana) mentre iniziò ad essere diffuso (ed in piccole quantità, partendo dai sottufficiali) tra paracadutisti e marò solo verso l'inizio del 1942, ancora al principio del 1943 pochissimi soldati italiani avevano visto questo, particolarmente ben riuscito, ibrido tra una pistola mitragliatrice calibro 9 para e un moschetto. Il Mab '38 era comunque un'arma costosa e lenta da produrre, solo tra il 1942 e il 1943 iniziarono ad essere disponibili versioni via via semplificate. Un'altra pistola mitragliatrice di ottima qualità era la FNAB '43, che fu utilizzata quasi esclusivamente dopo l'8 settembre, dalla repubblica sociale (X Mas e Paracadutisti), dai partigiani (come preda) e da alcuni reaprti d'elitè tedeschi operanti in Italia; era una pistola mitragliatrice vera, simile alle migliori realizzazioni sovietiche in materia, ma lenta e costosa da produrre poteva portare un complesso sistema di calcio ribaltabile, e risultava notevolmente più precisa e dalla buona gittata di altre armi simili. Sia il Mab '38 che la FNAB 43 sono accreditate di gittate utili attorno ai 200 metri, ma, con precisione nulla, utilizzate anche per distanze superiori, fino a 400 metri, un risultato eclatante per armi di calibro 9 mm. Solo dopo l'8 settembre fu prodotta (ed in quantità ridottissime) un'altra pistola mitragliatrice, con funzione di arma di difesa per carristi ed artiglieri, la TZ '45, era piccola e compatta, facile da produrre, dotata di una sicura d'avanguardia e affidabile, oltre che facilmente occultabile e leggera; era anche molto meno potente ed affidabile delle altre realizzazioni in questo settore di armi, con una gittata utile nel tiro preciso di poche decine di metri ed una fastidiosa tendenza all'inceppamento se surriscaldata o utilizzata per sparare lunghe e reiterate raffiche.
 
Meno validi erano gli oramai vecchiotti fucili Mod. 91, adottati molti anni prima, quando erano un progetto d'avanguardia, ma oramai piuttosto obsoleti, nel 1938 si tentò di sotituirlo con una versione modernizzata con la cartuccia da 7,35 anziché 6,5 mm, per problemi di standardizzazione si tornò rapideamente al 6,5 mm a guerra iniziata (nel '39 per la precisione, quando cioè la guerra era già iniziata ma l'Italia era in non belligeranza). Anche i reparti (sopratutto Alpini)che usarono il 7,35 in azione se lo videro togliere per ritornare al vecchio 6,5, di cui vi erano enormi depositi; questo creò malumori e lamentele, perché i soldati del "Monte Cervino" avevano apprezzato il nuovo calibro, che rendeva il moschetto leggermente più preciso e, sopratutto, aumentava il potere d'arresto e la letalità dell'arma. Nel 1943 il regio esercito, anche grazie alle forniture alleate, convertì parte dei suoi moschetti '91/38 per accettare il calibrol'ottimo 7,7 mm britannico (che, con una complicazione tipica di quegli anni, era anche il calibro standard della Regia Areonautica sin dagli anni '20), fu un esperimento di breve durata (e in retrospettiva uno spreco di denari ed energie, comprensibile solo per l'attaccamento ideologico-sentimentale ad un'arma autarchica, da tutti deprecata ma con cui veniva identificato il fante italiano), armi più moderne stavanoerano pergià esserein corso di fornitefornitura direttamente dagli alleati anglo-americani.
 
Sin dall'inizio del '900 si erano sperimentate armi automatiche per la fanteria in Italia, come ad esempio l'inefficente Cei-Rigotti (un fucile automatico sviluppato tra gli anni '90 del XIX secolo e il 1911, ma sempre tendente ad incepparsi e inaffidabile in condizioni fangose ed umide), negli anni '20 vi furono altri prototipi, come in particolare il MTB 1925, o MTB 25, in calibro 6,5x52 Carcano depotenziato, dalla Meccanica Bresciana Tempini. Non videro alcun'impiego e furono pordotti in meno di una dozzina di esemplari.
I lavori di progettazione continuarono con ben tre ipotesi costruttive: l'armaguerra Mod. 39 (prescelto per la produzione in serie) in cal. 6,5x52 o 7,35x51, i progetti Scotti Mod. X (1932) e Mod. IX (1931)in cal 6,5 (impiegati in operazione in Etiopia in alcune decine d'esemplari, del Mod. X furono prodotti circa 250 esemplari) e il Breda mod. 1935 PG in cal. 6,5 (esportato, 450 esemplari, in cal 7x57 Muaser al Costarica nella versione completamente automatica), vi furono poi due prototipi Beretta in cal 6,5 il F.A. (fucile automaticco) modello 31 e il F.A. modello 37.
 
L'arma migliore tra questa era probabilmente la prima, che entrò anche in produzione in poche centiania d'esemplari, senza giungere sul fronte prima dell'armistizio. Il prototipo Breda era decisamente pesante e complesso per un fucile automatico, e per questo venne scartato dal regio esercito, ma era un'arma molto moderna per vari versi, in particolare nella versione da esportazione (significamente migliore di quella richiesta dal Regio Esercito e proprosto in calibro 7x57 Mauser) che fu una delle prime armi a poter far fuoco sia in automatico che con raffiche controllate di 4 colpi. Il Mod. x Scotti era ottimo in poligono e in condizioni normali molto efficente, ma richiedeva continue lubrificazioni, anche se il lubrificante era semplice, spartano ed autarchico olio d'oliva gli Alpini si preoccuparano molto perchè in condizioni di grande freddo si rivelava estremamente suscettibile all'inceppamento o addirittura al congelamento dell'olio. Inoltre alcune parti dell'otturatore erano molto attratttive per il fango, come già nel Mondragon e nel francese RSC 17 cui si ispirava. Il vincitore del concorso del 1939 per l'adozione di un fucile automatico fu, come già anticipato, l'Armaguerra Mod. 39 della Società Anonime Revelli Manifatture Armaguerra di Genova, arma molto complessa meccanicamente (e costosa) ma relativamente affidabile, fu però un arma "vittima" della decisione di passare dal vecchio (e superato, poichè contemporaneamente molto usurante per la canna e la meccanica dell'arma e poco performante e letale) calibro 6,5x52 Carcano al 7,35x51, un calibro molto moderno ed efficiente. Però questa decisione, presa a ridosso dell'ingresso in guerra (1938-1939) comportò dei problemi porgettuali notevoli e sopratutto spaventò l'alto comando italiano per le problematiche legate alla logistica. Fu quindi stabilitò di rimanere al calibro 6,5, dopo però tutta una serie di tentennamenti e discussioni che paralizzarono il rinnovamento delle armi da fanteria italiane, dove dominavano ormai i pirincipi quantitativi. Furono prodotti circa 2.000 armaguerra mod. 39 in cal. 7,35 che rimasero in magazzino, mentre ne furono ordinati colamentesolamente 10.000 in cal. 6,5, di cui poche centinaia furono prodotti prima dell'8 settembre 1943 (non venendo distribuiti) e poi altri dopo tale data (che videro un utilizzo modesto da parte della R.S.I.). eraEra un'arma efficente, abbastanza precisa 8sopratutto(sopratutto in cl. 7,35), di facile utilizzo, ma formata da numerosissimi pezzi, similmente al Pedersen (il concorrente battuto dall'M1 Garand nel concorso interno dell'US Army); questo fattore ne complicava sia la produzione, sia la manutenzione per le truppe, rendendo compelssa la pulizia e costituendo un elemento di fragilità intrinseca.
Va anche notato che l'Italia era dotata di troppi calibri differenti, addirittura due 9x19 diversi (il parabellum depotenziato per le pistole e quello potenziato per i MAB), e un calibro difforme per le mitragliatrici medie e i fucili, contrariamente alla norma vigente nelle altre potenze. Il problema della proliferazione dei calibri era reale e creava grossi problemi alla logistica.
 
Viceversa rimasero in dotazione, ma poco diffusi nei reparti (e sopratutto tra i finanzieri della guardia di confine, ed alle forze di polizia, inclusa persino la guardia forestale) varie pistole mitragliatrici della prima guerra mondiale come i MAB-18, anche nella versione migliorata MAB-18/30.
Gli anni della guerra videro inizialmente una riduzione, in sede degli alti comandi, della richiesta di armi nuove ed adeguate alle mutate esigenze operative, nella convinzione che la quantità fosse meglio della qualità, solo a ridosso dell'8 settembre, e sopratutto dopo quella data, si ricominciò una forte attività progettuale, che (oltre alle già ricordate FNAB 43 e TZ 45) portò alla progettazione di un'avveneristica pistola mitragliatice (l'Armaguerra OG-43 e OG-44) e di un'altra arma molto economica da produrre e di discreta resa, da parte dell'Isotta Fraschini (e strutturata per i caricatori tedeschi e non per quelli italiani). Inoltre anche il movimento partigiano costruì delle fabbriche clandestine, in particolare nel biellese, che produssero diversi cloni dello Stern britannico e il "Mitra Variana" prodotto in poche decine (o forse centianai) di esemplari in condizioni molto particolari dentro fabbriche camuffate e con materiale di recupero o sottratto dalla Repubblica Sociale.
Mancavano quasi completamente, tanto prima quanto dopo l'8 settembre, le armi di precisione e i mirini ottici relativi, e anzi non vi era cura verso il "cecchinaggio" considerato difensivista e per questo osteggiato "ideologicamente" dalle direttive "offensiviste" proprie del regime.
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Molto più apprezzate le mitragliatrici Breda 37, che erano affidabili e sicure, sebbene condividessero con il mod. 30 il complesso sistema di lubrificazione e di ingresso dei proiettili. Il problema era anche quello di avere un peso di ben 40 kg, (ma solo 17 kg scariche e senza il trepiede speciale), decisamente troppo per seguire facilmente le truppe, ma erano armi potenti (in calibro 8x59 mm) e relativamente precise. Ancora peggio andava con le mitragliatrici FIAT 14/35, armi che (finalmente) eliminavano il sistema di lubrificazione, ma pesanti (17 kg scarica) e comunque ricavate dalla vecchia FIAT mod 1914 della prima guerra mondiale, dotata ora di raffreddamento ad aria e munizioni potenti (8x59 mm). Singolarmente la FIAT 14/35 fu destinata, pur pesando meno ed avedo una meccanica semplice, più spesso alle opere difensive e alla difesa costiera della Breda 37, preferita dalle truppe e dai comandi perchè, in fin dei conti, si più pesante e complicata, ma anche più prestante.
 
Rimanevano in uso, anche in prima linea sopratutto in colonia, molte mitragliatrici italiane (in cal. 6.5) ed austriache (in cal 8)della prima guerra mondiale, con raffreddamento ad acqua. Sempre in secondseconda alinealinea rimanevano in servizio alcune SIA mod. 1918, una modesta mitragliatrice leggera, ottima e maneggevole se impiegata da posizione, ma scomoda (con un lunghissimo caricaatore a mezza luna) e molto individuabile sul campo. Inoltre il Regio esercito non concepiva ancora la squadra di fucilieri come al servizio della mitragliatrice d'assalto (cosa invece tipica dell'esercito tedesco) e faceva, concettualmente, grande affidamento sulle cariche alla baionetta e gli attacchi infiltranti a piccoli gruppi votati al corpo a corpo con le bombe a mano, dando poca importanza all'esigenza di disporre di mitragliatrici leggere affidabili e, impiegandole, invece, come armi di supporto e difensive.
 
Armi diverse erano anche i lanciafiamme,installati anche a bordo dei carri leggeri L3 (soloin alcuniun'apposita versione). Il lanciafiamme Mod 35 pesava 27 kg con 11,8 l di capacità del serbatoio, gittata di circa 23 m, con un'autonomia di fuoco rimarchevole di 18-20 secondi. Il carro L3 ne aveva un tipo molto potenziato con rimorchietto blindato da 500 kg, come poi avverrà con il carro Churchill inglese; ma i tipi successivi sistemeranno i serbatoi sopra il cofando motore. Uno dei carri lanciafiamme italiani tentò animosamente di serrare le distanze, con la sua bassa sagoma, vicino ad un T-26 repubblicano, che però lo fece a pezzi molto prima a cannonate da 45 mm, prima di essere distrutto a sua volta dall'artiglieria campale.
 
Quanto alle bombe a mano, c'erano solo armi offensive della generazione Mod 35.Diversi tipi, caratterizzate da scarsa efficacia, dalla necessità di colpire qualcosa (erano ad impatto, non a tempo) per detonare, dal fatto di non poter essere usate in ambienti chiusi e anche nevosi-fangosi. Inoltre la struttura era di costoso alluminio e ancorché sicure, erano troppo complesse per quel che offrivano. C'erano nondimeno ben 8.651.000 esemplari alla fine del '39, 12.680.000 nell'ottobre del '40, nel gennaio 1942 si superavano oltre 15 milioni di armi, mentre la produzione mensile non superò mai le 500.000. Molte anche le bombe straniere, francesi di preda bellica o tedesche, usate. Solo nel '43 arrivò una bomba a mano difensiva, con raggio delle schegge di oltre 30 m, pesante 1,7 kg, come i tipi in uso in tutti gli altri eserciti, specie quello francese. Nonostante i rapporti sull'efficacia delle bombe a mano Breda, al dunque l'effetto delle varie tipologie era più che altro psicologico. La bomba Breda 35 lasciava nel terreno un cratere di ben 20 cm di diametro e 10-15 cm di profondità, scagliando 300 circa schegge, necessariamente leggere, che già a 3 metri dallo scoppio erano incapaci di ferire gravemente gli avversari. L'applicazione dell'involucro in acciaio permise alla Breda 40 di aumentare del 50% la propria efficacia, ma gli studi per dotare le bombe di manico per tiri a lungo raggio vennero interrotti nel '43 adottando la bomba Mod. 24 tedesca come Mod. 43. La bomba Breda venne usata anche come base della bomba controcarri dirompente Mod 42, praticamente un contenitore con un kg di esplosivo con un manico e la bomba fissata lì vicino. Quanto ai rapporti, la Breda in Spagna era giudicata la migliore, come effetti e affidabilità di scoppio, la SCRM era meno affidabile, la OTO era leggera, con scarsissima efficacia pratica, ma dato il peso ridotto, quella con la maggior gittata e la preferita dai soldati. Pesavano tutte circa 200 grammi con cariche di scoppio di 43-70 grammi, distanze di lancio di circa 35 m. Se si considera un paragone, la Mod. 24 tedesca pesava 500 gr, di cui 165 di carica, e anche se si poteva usare bene solo da in piedi, la distanza di lancio arrivava agevolmente a 40 metri con personale ben addestrato<ref>Cappellano F: ''Le bombe a mano del R.Esercito'', Storia militare gen 1999</ref>.
 
A livello superiore c'erano un lotto di fuciloni controcarri Solothurn svizzeri (detti anche Soletta, dal nome italiano del cantone in cui erano prodotti), di cui 179 vennero reperiti dai Tedeschi anche a seguito dell'armistizio. Essi erano capaci di perforare (nelle prime versioni) 30 mm a 500 m, ma erano anche pesanti 50 kg, per cui spesso venivano usati con automezzi vari o carri leggeri L3. Anche se la capacità di perforazione era piuttosto limitata, il proiettile poteva essere esplosivo-perforante, quindi a differenza della maggior parte dei fucili anticarro se il colpo passava poteva realmente mettere combattimento il carro colpito.
Un altro fucile anticarro che trovò un certo impiego nell'esercito italiano fu il wz 35 (kb ppanc wz 35 per i polacchi, fucile controcarro 35(P) per il regio esercito), un'arma anticarro leggera, dal rinculo modesto (aveva un calibro di 7,92) e di facile utilizzo. Dopo la resa della Polonia sia i tedeschi che i sovietici li riutilizzarono, mentre alcuni furono inviati in Fillandia (forse) e almeno 800 furono girati al regio esercito. Era (giustamente) considerato eccellente dall'esercito polacco, che riponeva in quest'arma la maggiore fiducia, tanto da considerarlo un segreto di stato, questa coltre di segretezza rese difficile l'addestramento dei soldati polacchi, e molti fucili rimasero inscatolati mentre le divisioni tedesche avanzavano su Varsavia. Utilizzando il suo particolare proiettile perforante 7,92x 131,2 DS era capace di bucare 15 mm a 30° di inclinazione a circa 300 metri, oppure 33 mm a 100 metri, oppure 40 mm a meno di 40 metri.
La Scotti nel 1941 tentò di riprodurlo in un modello migliorato, in calibro 8x112mm (o 8x132mm, pare che entrambi i calibri furono studiati, ma solo il primo venne realizzato in protipo), dalle prestazioni gorssomodo identiche. Si trattava di un arma più che discreta, ma nel 1942 stavano entrando in servizio negli eserciti alleati carri armati dotati di corazzature a prova di fucile contro carro, quindi lo Soctti fu abbandonato dopo aver costruito solo pochi prototipi. Curioso era anche il tipo di munizionamento, accanto a normali proiettili perforanti e esplosivi-incendiari (pensati per i veicoli non corazzati), e a quelli che, similmente ad alcuni studiati per il wz 35, dovevano causare il distacco di parti interne delle corazzatura (che così si sarebbero trasformate in proiettili all'interno dell'abitacolo), vi era un macchinoso (ed inefficiente) proiettile perforante-lacrimogeno. Il concetto era far penetrare il proiettile nel carro nemico, dove, emettendo una (in verità molto limitata) carica lacrimogena avrebbe costretto gli occupanti ad uscire dalla protezione del mezzo.
 
Le mitragliere Breda da 20 mm erano armi diffuse ed apprezzate, usate anche dal nemico quando le poteva catturare; meno diffuse ed apprezzate, seppure più economiche, le Scotti paricalibro. La loro affidabilità meccanica era probabilmente inferiore, come accadeva con le armi d'impiego aeronautico. IQueste cannonimitragliere daerano 47state mmpensate controcarri,per un progettol'impiego Bolheranti austriacoaereo, rimaseroma irisultarono cannonimolto controcarriutili standardanche per lal'impiego guerraanti interacarro, comespecie anchea l'armamentocorto deiraggio, carriperché armati.impiegavano Avevanoil unmedesimo pesoproiettile ridottodei aSoletta/Solothurn 280svizzeri, kguno eddei eranopiù someggiabili,pesanti nonchépensati unaper validaarmi granata20 antipersonale.mm Manella laseconda loroguerra capacitàmondiale. perforanteIl divennedifetto coldi tempoquesta delscelta tuttoera inadeguataun (43volume mmdi a 500fuoco m)limitato, anche se sipochi tentòcolpi dia faresegno qualcosapotevano conbastare munizioniper migliorate,far specieprecipitare introducendo una HEATun scarsamenteapparecchio efficacenemico.
I cannoni da 47 mm controcarri, un progetto Bolher austriaco, rimasero i cannoni controcarri standard per la guerra intera, come anche l'armamento dei carri armati. Avevano un peso ridotto a 280 kg ed erano someggiabili, nonché una valida granata antipersonale. Ma la loro capacità perforante divenne col tempo del tutto inadeguata (43 mm a 500 m), anche se si tentò di fare qualcosa con munizioni migliorate, specie introducendo una HEAT scarsamente efficace. Uno dei difetti di quest'arma (una via di mezzo tra un vero cannone contro carro e un cannone da trincea della prima guerra mondiale) era che non poteva essere trainata da un automezzo, e quindi vi veniva caricata sopra. Un altro grave problema era la mancanza di scudatura a protezione dei serventi, difetto, quest'ultimo, molto grave perchè ben noto ai carristi nemici che in alcune occasioni (come a Bedda Fromm nel 1940) decimarono letteralmente i serventi con le mitragliatrici.
 
L'artiglieria nel 1940 comprendeva qualcosa come oltre 12.000 pezzi oltre il 47 mm di calibro. Era un parco enorme, ma i pezzi moderni erano solo alcuni cannoni contraerei da 76/46 o da 90/53 e obici da 75/18. Il resto era ancora residuato bellico della guerra precedente, per lo più austro-ungarico. Quest'ultimo materiale fu una iattura per l'artiglieria italiana, perché era molto valido e superiore a quanto disponibile a livello nazionale, ma questa disponibilità di artiglierie moderne inibì il rinnovamento, comunque necessario, per i decenni successivi e molti progetti non passarono in produzione se non con tempi lunghissimi e in piccole quantità. Il calibro divisionale era ancora il 75 mm, anziché il 105 mm oramai affermato in buona parte del mondo (ma anche l'artiglieria sovietica era rimasta legata al 76,2mm, solo che si trattava della migliore arma di questa categoria mai prodotta). L'artiglieria di corpo d'armata e d'armata era altrettanto obsoleta. Per rimpiazzare queste artiglierie si era pensato a diversi nuovi armamenti che offrivano prestazioni valide ma si perse troppo tempo nell'incertezza su cosa e come ordinare.
Oltre tutto l'impiego dell'artiglieria era piuttosto convenzionale, i reparti d'artiglieria erano tradizionalemnte d'eliè e dotati di ufficiali competenti, ma a livello di strategie si reterava l'uso della prima guerra mondiale, raramente ricorrendo a grandi concentrazioni di pezzi per appoggiare un assalto con un fuoco breve ed intenso, e ancora più raramente (per non dire mai), facendo il "contrario", ovvero dislocando parti dell'artiglieria di corpo d'armata e d'armata direttamente con le punte più avanzate impiegate nell'assalto, assegnandola a gruppi di combattimento, in modo da poter disporre di un'artiglieria pesante per l'appoggio con il tiro diretto. Ambedue queste tattiche erano invece molto praticate dai tedeschi e dai sovietici e solo verso il 1942 si iniziarono a praticare anche nel Regio Esercito (ma con parsimonia e come iniziative dei comandanti periferici, non secondo precise direttive del comando centrale).
 
I nuovi modelli erano gli obici Mod 35 da 75/18 mm someggiabili, da 9,5 km e 1,050 t, i Mod. 37 da 75/32 con una gittata di oltre 12 km, peso 1.200 kg e angolo di 50° (brandeggio), fino a 45° elevazione (come il Mod 34, solo che la v.iniziale era di 624 ms anziché 425); e molto più diffusi, i Mod. 37 da 149/19 erano obici per equipaggiare l'artiglieria dei 26 Corpi d'armata.
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Fatto strano, differentemente dalla maggior parte degli altri cannoni, questi vennero utilizzati in quantità, anche se in pratica solo dal '43. Vennero previsti questi obici dopo che la scelta venne fatta a metà anni '30 (dopo vari tentativi precedenti, quantomeno dal 1929) tra questo obice e un concorrente dell'Ansaldo da 149/20 mm. Aveva un peso di 6.600 kg in batteria (nella versione modernizzata Mod 42/50), dove veniva ricomposto dopo avere viaggiato scomposto in due carichi. La gittata era di circa 15 km con proiettile 'leggero' da 37 kg, 13,2 km con quello da 42,5 kg. La situazione del parco artiglierie da 149, essenzialmente pezzi Skoda più o meno modificati, era nel 1937 indicati in 192 da 149/12 mm, e 360 da 149/13 mm. Erano previsti 636 obici da 149/19 per rimediare a questa situazione di obsolescenza e scarsità numerica. In seguito le commesse vennero aumentate. In qualche modo, nel frattempo, la quantità di obici da 149 venne aumentata tanto che al giugno 1940 c'erano oltre 1.100 artiglierie di questo calibro. Si sperava di costituire 105 batterie per il 1943, ma a quanto pare i pezzi prodotti nell'autunno del '42 erano solo 147. Nel '43 sarebbero stati riequipaggiati almeno 24 (o 26) gruppi con quest'arma, ma non ebbero mai impiego fuori dell'Italia, quando cominciarono a combattere in Sicilia. In seguito molti vennero catturati dai Tedeschi: 121 esemplari, a cui seguirono altri 13 prodotti direttamente per i Tedeschi. In tutto ne vennero ordinati, con tutti i programmi in corso, quasi 1.400, di cui circa 300-350 costruiti in tutto entro il '43. Tra le munizioni usate c'erano, dal maggio del '43, anche quelle a carica cava EPS. Nel dopoguerra l'obice continuò ad operare e venne anche proposto di rialesarlo a 155 mm per adeguarlo all'obice da 155 M114 di fornitura americana. Il pezzo OTO era piuttosto pesante, molto preciso, di gittata leggermente maggiore del pezzo americano, anche se meno rapido nel mettersi in posizione. Fu radiato solo nel 1974<ref>Pignato N ''L'obice da 149/19 mod 37'' Storia militare n.150</ref>.
 
Altre armi impressionanti erano i cannoni da '''149/40''' o 149/42, che erano armi a lunga gittata (oltre 23,5 km), ma piuttosto pesanti. Pochi quelli prodotti, dell'ordine delle decine; ne fu usato un gruppo in Africa e ben 4 in Russia, dove andarono tutti perduti. Erano armi molto ricercate per il tiro di contro batteria; l'artiglieria italiana in generale, infatti, era molto manchevole in questo ruolo, sia perché la maggior parte delle armi italiane erano più vecchie di quelle straniere (e quindi con una gittata più ridotta), sia perchè in genere l'artiglieria pesante italiana veniva schierata più in retrovia rispetto a quella di nemici ed alleati. Il risultato era sovente che le batterie di artiglieria divisionale si trovavano sotto il tiro dell'artiglieria d'armata nemica senza poter far nulla perchè fuori tiro.
 
L'obice Ansaldo da '''210 mm''' era pure della metà degli anni '30; giudicato per lungo tempo troppo pesante, era infatti difficile da usare con i trattori dell'epoca come anche con i ponti del genio, pur smontato in due carichi. Esso aveva un peso di circa 16 t e una gittata, con la granata da 100 kg, di circa 15,5 km. Solo pochi pezzi vennero realizzati durante la guerra, di cui 8 sopravvissero e vennero riutilizzati assieme agli M115 da 203 mm americani, fino a che alcuni anni dopo vennero radiati. Esistono ancora tutti gli 8 sopravvissuti alla guerra, mentre altri erano stati persi in Russia. Erano anch'essi armi potenti e moderne, ma al solito, troppo pochi e troppo in ritardo.
 
I cannoni Ansaldo da 90/53 Mod 41 erano gli epigoni di alcune artiglierie pensate sopratutto per la Marina (erano i pezzi da 90/50 mm), armi leggermente più potenti degli 88 tedeschi (come del resto anche gli altri pezzi da 90 mm); assieme ai più leggeri pezzi Ansaldo da 75/46 mm tentarono di aggiornare l'artiglieria antiaerea italiana, ma non ci riuscirono mai del tutto. Avevano gittata contraerea fino a 12 e 8 km rispettivamente e un'alta velocità iniziale. Dall'inizio del '42 cominciarono anche ad arrivare appositi autocannoni su scafo di camion pesanti Lancia 3 Ro, SPA Dovunque 41, Breda 52. Usati efficacemente dal maggio '42 contro i carri del Commonwealth, inquadrati in gruppi su due batterie di quattro pezzi (2 gruppi e quindi 16 cannoni per divisione), erano armi contraerei, controcarri e all'occorrenza da campagna. Ma la combinazione con il grosso autocarro era troppo visibile, lenta e vulnerabile. La loro nascita era dovuta all'aver visto il successo degli '88 tedeschi su installazioni campali o su semicingolati, e al servizio di Bir el Gobi fatto da appena 3 autocannoni con i vecchi pezzi da 102/35, eppure più che sufficienti per dichiarare ben 15 carri britannici KO. Da El Alamein si salvarono solo 3 cannoni, che vennero aggregati al gruppo Cantaluppi. Le caratteristiche del cannone erno: peso proiettile 10,1 kg HE, ben 12,1 kg perforante (con nucleo metallico), v.iniziale (perforante) 758 m.sec, gittata max 14 km, quota max 12 km, cadenza 20 c.min, perforazione: 100 mm a 500 m (altre fonti dicono 1000) se con angolo a 90°, o 80 mm a 30°, il che significava prestazioni buone ma non eccezionali, forse per via delle munizioni. Infatti l'88 tedesco, invariabilmente comparato come 'inferiore' al 90 mm italiano (e balisticamente lo era), era capace di perforare 100-120 mm a 1000 m e 30°. A 1.500 m il pezzo italiano perforava 80 mm o 60 a 30°. Questo significa che era anche inferiore al pezzo americano M5 controcarri da 76 mm che arrivava a 84 mm a 1.840 m (Armi da guerra 46), per cui la mancata costruzione di una granata HEAT a causa della sufficiente capacità di quella perforante non è del tutto giustificabile. L'88 tedesco la possedeva, e in ogni caso non aveva problemi a perforare 100 mm a 1.830 m. Quindi la raccomandazione di tirare da forti distanze (almeno 1.500 m) non era poi così saggia, se anziché i Crusader c'era da vedersela con gli M4 Sherman (51 mm a 56° frontali, 76 mm torretta). Un ulteriore difetto del munizionamento (in parte risolto nel corso del conflitto e nel prototipo del 90/71 mai entrato in servizio) era la deficenza della granata antia erea contro apparecchi metallici dotati di corazza, in effetti negli anni '30 aerei come il B-17 e il B-24 (ma anche i P-47) erano considerati quasi fantascenza, e quando i proiettili anti aerei furono progettati la maggior parte degli aerei da bombardamento era bimotore mentre i caccia erano di struttura mista legno-metallo. Il peso del complesso era di 11.500 kg.

In ogni caso questi cannoni fecero del loro meglio e furono armi efficaci, anche se il munizionamento non le valorizzava come doveva. Spesso il tiro era eseguito con una centralina di tiro c.a. con la batteria al completo sia contro aerei che contro i carri armati<ref>Del Rosso A: ''Gli Autocannoni in A.S.'' Storia militare Dic 2005</ref>. Il Mod 41, derivato dai pezzi da 90/50 navali precedenti, sostituiva il meno potente Ansaldo Mod 34, arma moderna ma un po' superata al tempo stesso. Questo era nato nel '34, ma stranamente, pur avendo esattamente le stesse caratteristiche dimensionali del Pak 40 tedesco, mai venne adottato a compiti campali veri e propri. Solo pochi erano in servizio allo scoppio della guerra, pur con una rispettabile gittata di 8.500 m antiaerea, che superava quella dei vecchi cannoni da 75, 76 e 102 mm largamente usati. Nel '42 non ce n'erano che 226 e altri 45 del Mod. 40 da postazione fissa. Venne usato anche dai Tedeschi dopo l'Armistizio, nonché dagli Alleati. Ma nel frattempo era il Mod 41, del 1941, ad essere diventato il cannone più importante, tanto che circa 200 erano disponibili nel '42 e sopratutto 539 lo erano nel settembre del '43, a parte i 29 per autocarri e qualche superstite dei semoventi da 90. Le munizioni pesavano in tutto 17,7-18,7 kg l'una, e almeno 315 vennero usati dai Tedeschi come Flak 41(i) o con altre denominazioni. Dal' 52 in Italia cominciò a cedere il passo all'M1 americano, maggiormente automatizzato, mentre dal 1950 non era più in servizio l'88 tedesco, penalizzato dalla scarsità delle munizioni in quel calibro (ma in Yugoslavia l'arma è rimasta in servizio per decenni). L'esperimento del 90/70 mm postbellico non ebbe esito pratico ed operativo, anche se balisticamente era notevole, come del resto lo erano i precedenti 90/70 americano e 88/71 tedesco. Tra l'altro le granate di 90 mm erano accusate di frammentarsi in pezzi troppo piccoli per essere efficaci quanto dovevano contro i bombardieri pesanti e per questo venne pensata, per il 90/70, un "marchingengo infernale", ovvero una granata che conteneva al suo interno una sorta di mini cannoen a canne multiple da 30mm, quando la granata esplodeva i proiettili esplosivi da 30 mm venivano diretti in tutte le direzioni.
 
Un altro cannone che doveva sostituire, completando una vera e propria gamma, era il pezzo da 105/40, della OTO, approntato dopo lunghe e tribolate fasi di sviluppo, senza molta priorità. Esso era pesante, nella sua configurazione iniziale, circa 3.700 kg e tirava un proiettile da 17,5 kg a 16,5 km, ma soffriva di una rapida usura, solo nel 42-43 arrivarono miglioramenti tali da produrre una batteria sperimentale, e di questo elegante cannone, più volte rivisto, vennero ordinati ben 620 pezzi. Ma l'Armistizio pose fine alla speranza di averli, e nessuno della batteria sperimentale sopravvisse. Era un cannone dall'aria simile a quella dei pezzi tedeschi, con un freno di volata a spargisale, ruote stampate, canna piuttosto lunga. Piuttosto pesante per tirare, sia pure a 720 m.sec, una granata relativamente leggera (ma non per il calibro), analogamente a simili progetti tedeschi, non suscitò l'entusiasmo generale, se i primi, approntati nel '36, non avevano dato 7 anni dopo ancora luogo alla produzione in serie. Così il cannone di corpo d'armata rimase il vecchio 105/28 di progettazione francese, valida ma oramai piuttosto vecchia arma, ora se non altro affiancata dal pezzo OTO da 149 mm, che era ben superiore al vecchio obice da 149/13. Del 105/28 in Italia ce n'erano all'inizio della guerra oltre 900, ma la cifra è incerta. Ce n'erano quasi 600 (tra cui forse anche quelli di preda bellica francese e greca) nel tardo '42 e 27 gruppi d'artiglieria ancora nel giugno del '43, che equipaggiavano tutti i Corpi d'Armata, mentre altri erano usati come cannoni controcarri con granate EP. Le munizioni delle artiglierie italiane, grazie alla generazione Mod. 32 consentirono molti miglioramenti rispetto a quanto possibile con le vecchie armi, per esempio la Mod. 32 per il 105/28 arrivava a oltre 13,6 km con 2,3 kg di HE, anche se poi il tipo più usato arrivava a circa 12,8 km. Sempre meglio di quelli di vecchio tipo, ancora largamente in uso, da meno di 11 km. La granata perforante da 105/28 Mod. 43 EP pesava 14 kg, v.iniziale 602 m.sec, gittata max. teorica 12.360 m, 100 mm di corazza con impatto a 30°, per velocità inferiori a 500 m.sec. La direzione di appena 14 gradi, e la cadenza di appena 1-2 c.min, oltre al peso di quasi 2,2 t rendevano tuttavia piuttosto aleatorio l'uso dell'arma contro i carri armati nemici<ref>Pignato N: ''Il 105/28 nel Regio Esercito'', Storia militare nov 2008</ref>.