Buchi neri e Universo: differenze tra le versioni

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La somiglianza dell’Universo osservabile con un buco nero, data dal comune possesso di un orizzonte degli eventi, può essere utilizzata per calcolare alcuni suoi parametri caratteristici (entropia, temperatura, densità) e per ipotizzare l’esistenza di un fondo cosmico di gravitoni. Inoltre la differenza tra il valore dell’energia del vuoto previsto dalle teorie di grande unificazione e quello risultante dalle osservazioni può essere spiegata come effetto di una variazione nel tempo della densità cosmica.
'''1. Alice nello specchio'''
 
Partendo dalla definizione della velocità di fuga come la velocità necessaria per sfuggire all’attrazione gravitazionale di un corpo di massa <math>M</math> posto a distanza <math>R</math> e allontanarsi fino all’infinito
 
=='''Bibliografia'''==
 
1. James M. Bardeen; Brandon Carter; Stephen W. Hawking, ''The four laws of black hole mechanics'', Communications on mathematical Physics, 1973, 31, 161–170
<math>v_{f}=\sqrt{\frac{2GM}{R}}</math> (1.1)
 
2. Jackob D. Bekenstein, ''Black Holes and Entropy'', Physics Review, 1973, D, 7, 2333–2346
 
3. Stephen W. Hawking, ''Particle creation by black holes'', Communications on mathematical Physics, 1975, 43, 199–215
possiamo immaginare che tale corpo sia compresso in un raggio <math>R_{S}</math> (chiamato raggio di Schwarzschild, dal nome del fisico tedesco che elaborò questa soluzione delle equazioni della relatività generale nel 1916, o raggio gravitazionale) così piccolo che la velocità di fuga sia uguale alla velocità della luce:
 
4. Stephen W. Hawking; Roger Penrose, ''La Natura dello Spazio e del Tempo''. Tr. di L. Sosio. Firenze, Sansoni, 1996
 
5. Y. Jack Ng, ''From Computation to Black Holes and Space-Time Foam'', Physical Review Letters, 2001, 86, 2946–2949
<math>R_{S}=\frac{2GM}{c^{2}}</math> (1.2)
 
6. Seth Lloyd, ''Computational Capacity of the Universe'', Physical Review Letters, 2002, 88, 237901
 
7. Seth Lloyd; Y. Jack Ng, ''Black Hole Computers'', Scientific American, 2004, 53–61
Ciò è precisamente quanto accade in un buco nero; la superficie sferica di raggio <math>R_{S}</math> che circonda la singolarità centrale è chiamata orizzonte degli eventi.
 
8. Norman Margolus; Lev B. Levitin, ''The maximum speed of dynamical evolution'', Physica, 1998, D, 120, 188–195
L’ipotesi su cui si basa questo scritto è che l’orizzonte cosmologico, cioè la superficie sferica che racchiude la regione di spazio da cui possono giungerci segnali – e che perciò è causalmente connessa con noi – sia analoga all’orizzonte di un buco nero, e più precisamente che esista una simmetria speculare fra gli effetti prodotti da un orizzonte degli eventi all’esterno di un buco nero e quelli prodotti dall’orizzonte cosmologico all’interno della regione di Universo da noi osservabile (in questa sede si utilizzerà il modello originario di Schwarzschild, privo di carica elettrica e non rotante).
 
9. Roger Penrose, ''La mente nuova dell'imnperatore. La mente, i computer e le leggi della fisica''. Tr. di L. Sosio. Milano, Rizzoli, 2004
A un primo esame un confronto fra i due oggetti può sembrare del tutto arbitrario e privo di significato. Si potrebbe obiettare, ad esempio, che l’orizzonte di un buco nero è simile a un fronte d'onda elettromagnetico stazionario, cioè che non si espande con il passare del tempo, mentre l’orizzonte cosmologico si definisce considerando la distanza che separa l'osservatore dal punto da cui sarebbe partito, nell'istante in cui è nato l'Universo (il cosiddetto Big Bang), un raggio luminoso che lo raggiunga al tempo t, distanza che aumenta col passare del tempo. Si è anche affermato che l’applicazione della termodinamica agli orizzonti cosmologici è sensata solo nel caso di un universo statico di de Sitter, e che non esiste una temperatura caratteristica per universi di Friedman-Robertson-Walker come il nostro.
 
In verità già nel 1989 Roger Penrose aveva paragonato l’Universo ad un buco nero, concludendo che esso dovesse avere una entropia di <math>10^{123}</math> [9]; e più recentemente Seth Lloyd e Y. Jack Ng, ipotizzando che l’Universo sia una sorta di computer quantistico il quale accumula informazione sulla superficie del suo orizzonte, hanno ricavato per l’entropia cosmica valori compresi tra <math>10^{120}</math> e <math>10^{122}</math> [5; 6; 7]. Ci sono inoltre delle innegabili proprietà comuni fra l’orizzonte di un buco nero e quello cosmologico: la velocità di fuga è uguale per entrambi a c, e i segnali che provengono da regioni sempre più vicine all’orizzonte cosmico (e sempre più lontane da noi) subiscono una dilatazione della lunghezza d’onda secondo la stessa legge che regola il redshift della luce che risale il campo gravitazionale di un buco nero. E ancora, se il concetto di “temperatura caratteristica” è inadeguato a un universo in espansione, lo è altrettanto se riferito a un buco nero in evaporazione (in realtà entrambi possono essere considerati come sistemi a invarianza adiabatica, cioè che non cambiano le loro proprietà in processi molto lenti). Per il momento, comunque, si può prendere questa analogia come una ipotesi di lavoro, sospendendo il giudizio sulla sua correttezza, e vedere dove essa può condurci.
 
In primo luogo, se l’Universo osservabile è analogo a un buco nero la sua densità è esattamente uguale al valore critico discriminante fra universi chiusi e aperti; in altre parole, la regione cosmica in cui viviamo ha una geometria spazio-temporale euclidea (Universo piatto) e pertanto è destinata a espandersi per sempre. Si ha infatti:
 
 
<math>\rho =\frac{M}{\frac{4}{3}\pi R^{3}}=\frac{3c^{6}}{32\pi G^{3}M^{2}}=\frac{3c^{2}}{8\pi GR^{2}}=\rho _{c}</math> (1.3)
 
 
 
'''2. Le unità di Planck'''
 
Per comprendere le proprietà di oggetti come i buchi neri dobbiamo riferirci a grandezze estreme, assai lontane non solo dalla nostra esperienza comune, ma anche da quelle ottenibili nei più potenti acceleratori di particelle. Nel 1899 Max Planck propose un insieme di unità di misura “naturali” basato su tre costanti fisiche: la velocità della luce nel vuoto c, la costante di gravitazione universale G e la costante dell’elettromagnetismo h da lui scoperta. In suo onore esse sono state chiamate unità di Planck o di Planck-Wheeler, dal nome del fisico americano John A. Wheeler che negli anni ’50 intuì il loro profondo significato per la comprensione delle leggi fisiche.
 
Come si possono calcolare queste unità fondamentali? Il metodo comunemente insegnato agli studenti, che consiste nel combinare opportunamente h, c e G per ottenere delle grandezze aventi rispettivamente la dimensione di un tempo, una lunghezza, una massa ecc., rischia di farle apparire come un costrutto artificiale, privo di vero significato fisico; sembra dunque più opportuno ricavarle mediante un esperimento concettuale (Gedankenexperiment). Nel modello atomico di Bohr l’elettrone è rappresentato da un’onda stazionaria circolare la cui energia Mc2 è uguale a <math>{hc}/{2\pi R}\;</math>, dove R è il raggio dell’orbita elettronica; ponendo <math>R={2GM}/{c^{2}}\;</math> si ottengono la massa, l’energia, il tempo e la lunghezza di Planck (che è il raggio gravitazionale dell’Universo a <math>t_{P}</math>):
 
 
<math>M_{P}=\sqrt{\frac{\hbar c}{2G}}\simeq 1,54\times 10^{-8}</math> Kg <math>(\hbar ={h}/{2\pi})</math> (2.1)
 
 
<math>E_{P}=\sqrt{\frac{\hbar c^{5}}{2G}}\simeq 1,4\times 10^{9}</math> J (2.2)
 
 
<math>t_{P}=\frac{\hbar }{2E_{P}}=\sqrt{\frac{2\hbar G}{c^{5}}}\simeq 7,6\times 10^{-44}</math> s (2.3)
 
 
<math>L_{P}=\frac{2GM_{P}}{c^{2}}=\sqrt{\frac{2\hbar G}{c^{3}}}=ct_{P}\simeq 2,3\times 10^{-35}</math> m (2.4)
 
 
 
'''3. La termodinamica dei buchi neri'''
 
Il primo a sollevare il problema della compatibilità dei buchi neri con la termodinamica fu Wheeler che alla fine degli anni ‘60 formulò la congettura no hair, secondo la quale la materia che cade in un buco nero perde tutte le proprie caratteristiche distintive ad eccezione di massa, momento angolare e carica elettrica (il nome deriva dall’icastica affermazione «I buchi neri non hanno peli»). Una conseguenza significativa era che lo stato termodinamico macroscopico di un buco nero derivi da un numero molto elevato di stati microscopici indifferenti, e che dunque questi oggetti debbano possedere una entropia molto elevata. Nel 1972 Jacob D. Bekenstein, allora all’università di Austin in Texas, sviluppando una osservazione di Demetrious Christodoulou secondo cui l’area dell’orizzonte degli eventi di un buco nero tende sempre ad aumentare ad ogni interazione con l’ambiente circostante, propose che l’entropia sia proporzionale al rapporto fra tale area e il quadrato della lunghezza di Planck, e che di conseguenza i buchi neri abbiano anche una temperatura inversamente proporzionale alla massa [2].
 
La convinzione che nulla possa uscire dall’orizzonte di un buco nero era tuttavia così radicata che Stephen W. Hawking, Brandon Carter e James Bardeen, i quali pure avevano confermato i risultati di Christodoulou, ribadirono il principio derivante dalla relatività generale per cui, essendo il buco nero un perfetto assorbitore di radiazioni, la sua temperatura deve essere pari a zero [1]; in seguito, però, lo stesso Hawking scoprì che i buchi neri possono effettivamente emettere radiazione [3]. Il campo gravitazionale in prossimità dell’orizzonte è infatti così forte da creare dal vuoto coppie di particelle virtuali dalla vita effimera e non rilevabili direttamente; per il teorema di conservazione dell’energia una di esse dovrà avere una energia totale positiva e l’altra energia negativa. Se la particella con energia negativa percorre la distanza RBH che la separa dalla singolarità in un tempo minore di quello consentito dal “prestito Heisenberg” verrà assorbita dal buco nero, mentre l’altra, quella con energia positiva, diverrà reale e sfuggirà via all’infinito (il processo inverso, ovvero l’assorbimento da parte del buco nero della particella con energia positiva e l’emissione di una particella con energia negativa, è impossibile in quanto per la relatività generale particelle con energia negativa non possono esistere nello spazio-tempo ordinario): il risultato netto è una diminuzione dell’energia del buco e quindi della sua massa, con un progressivo aumento della temperatura, fino alla totale scomparsa. Con una serie di complessi calcoli relativi alla teoria quantistica dei campi Hawking trovò le formule per la temperatura e l’entropia:
 
 
<math>T_{BH}=\frac{hc^{3}}{4\pi k_{B}GM_{BH}}</math> (kB = costante di Boltzmann) (3.1)
 
 
<math>S_{BH}=\frac{A_{BH}^{2}}{4L_{P}^{2}}</math> (3.2)
 
 
Fortunatamente è possibile giungere ad un risultato analogo in un modo più semplice. Dalla relazione <math>R_{BH}\ge {\hbar }/{mc}\;</math> si ricava infatti la temperatura del buco nero
 
 
<math>T_{BH}=\frac{mc^{2}}{k_{B}}=\frac{\hbar c}{k_{B}R_{BH}}=\frac{\hbar c^{3}}{2k_{B}GM_{BH}}</math> (3.3)
 
 
e dal rapporto fra l’energia totale MBHc2 e quella delle particelle in cui esso evapora si ricava l’entropia come somma dei suoi stati microscopici, come ipotizzato da Bekenstein:
 
 
<math>S_{BH}=M_{BH}c^{2}\times \frac{2GM_{BH}}{\hbar c^{3}}=\frac{2GM_{BH}^{2}}{\hbar c}=\frac{M_{BH}^{2}}{M_{P}^{2}}=\frac{R_{BH}^{2}}{L_{P}^{2}}=\frac{\pi c^{3}R_{BH}^{2}}{hG}</math> (3.4)
 
 
 
'''4. Dai buchi neri all’Universo'''
 
Le formule di Bekenstein-Hawking rivelano tutto il loro potenziale se applicate all’Universo osservabile. Sulla loro base si può infatti affermare che al tempo di Planck – quando, come si è detto, il raggio dell’orizzonte era uguale a <math>R_{P}</math> – l’entropia cosmica, per la (3.4), era uguale a 1 (quindi l’Universo si trovava nello stato di massimo ordine termodinamico)
 
 
<math>S_{P}=\frac{L_{P}^{2}}{L_{P}^{2}}=1</math> (3.5)
 
 
mentre la sua temperatura e densità dovevano essere
 
 
<math>T_{P}=\frac{\hbar c}{k_{B}L_{P}}=\frac{\hbar }{k_{B}t_{P}}\simeq 10^{32}</math> Kelvin (3.6)
 
 
<math>\rho _{P}=\frac{3c^{2}}{8\pi GR_{P}^{2}}=\frac{3}{8\pi Gt_{P}^{2}}\simeq 3,08\times 10^{95}</math> <math>Kg/m^{3}</math> (3.7)
 
 
Si aveva inoltre <math>S_{P}={\pi }/{H_{P}^{2}}\;</math> e <math>T_{P}={H_{P}}/{2\pi }\;</math> (dove <math>H_{P}={c}/{L_{P}}\;={1}/{t_{P}}\;</math> è la costante di Hubble all’epoca di Planck), esattamente come previsto da Hawking nel 1996 nell’ipotesi che temperatura ed entropia di un universo di de Sitter derivino dall’esistenza di un orizzonte cosmologico [4].
 
Generalizzando il risultato appena ottenuto si possono calcolare le proprietà di questo buco nero universale corrispondenti ad ogni data ampiezza dell’orizzonte, e quindi per ogni epoca cosmica. Si ha infatti
 
 
<math>S_{t}=\frac{R_{t}^{2}}{L_{P}^{2}}=\frac{t^{2}}{t_{P}^{2}}=\frac{\pi }{H_{t}^{2}}</math> (3.8)
 
 
<math>T_{t}=\frac{\hbar c^{3}}{2k_{B}GM_{t}}=\frac{\hbar c}{k_{B}R_{t}}=\frac{\hbar }{k_{B}t}=\frac{H_{t}}{2\pi }</math> (3.9)
 
 
<math>\rho _{t}=\frac{3c^{2}}{8\pi GR_{t}^{2}}=\frac{3}{8\pi Gt^{2}}</math> (3.10)
 
 
Si può così ritenere dimostrato il rapporto esistente fra l’entropia dell’Universo e il numero dei quanti d’area fondamentali che coprono la superficie dell’orizzonte cosmologico, come pure il legame fra la temperatura e l’entropia, da un lato, e la costante di Hubble (e quindi, ancora una volta, il raggio dell’orizzonte) dall’altro, secondo la previsione di Hawking. Risulta inoltre provato che l’Universo, come i buchi neri, raggiunge il limite stabilito dal teorema di Margolus-Levitin [8] e pertanto soddisfa al massimo grado il principio olografico [5; 6; 7]. Naturalmente quanto detto non costituisce una dimostrazione irrefutabile che la regione di Universo in cui viviamo sia un enorme buco nero emittente radiazione di Hawking, ma certamente costituisce un indizio molto importante in questo senso.
 
Applicando la (3.8) e la (3.10) al tempo presente (<math>t_{0}</math> = <math>13,7\times 10^{9}</math> anni = <math>4,3\times 10^{17}</math> secondi; <math>R_{0}</math> = <math>1,3\times 10^{26}</math> metri) si trova che la densità e l’entropia attuali dell’Universo osservabile sono uguali a
 
 
<math>\rho _{0}=\frac{3c^{2}}{8\pi GR_{0}^{2}}=\frac{3}{8\pi Gt_{0}^{2}}\simeq 9,57\times 10^{-27}</math> <math>Kg/m^{3}</math> (3.11)
 
 
<math>S_{0}=\frac{R_{0}^{2}}{R_{P}^{2}}=\frac{t_{0}^{2}}{t_{P}^{2}}\simeq 3\times 10^{121}</math> (3.12)
 
 
È interessante confrontare il valore dell’entropia sopra esposto con quello che si otterrebbe se tutta l’energia contenuta all’interno dell’orizzonte risiedesse nei fotoni della radiazione di fondo a microonde (Cosmic Microwave Background):
 
 
<math>\frac{c^{4}\times 1,3\times 10^{26}}{2G\times 2,725k_{B}}\simeq 2\times 10^{92}</math> (3.13)
 
 
Ciò sembra indicare che la temperatura di Hawking dell’Universo attuale è molto inferiore alla temperatura della CMB; dalla (3.9) troviamo
 
 
<math>T_{0}=\frac{\hbar }{k_{B}t_{0}}\simeq 1,8\times 10^{-29}</math> K (3.14)
 
 
e quindi l’Universo osservabile deve essere pervaso da un “gelido” fondo di particelle – probabilmente gravitoni – con una lunghezza d’onda Compton uguale alla circonferenza attuale dell’orizzonte:
 
 
<math>\lambda _{0}=\frac{hc}{k_{B}T_{0}}=2\pi R_{0}</math> (3.15)
 
 
Infine il rapporto fra le densità cosmiche al tempo presente e all’epoca di Planck è uguale a
 
 
<math>\frac{\rho _{0}}{\rho _{P}}=\frac{t_{P}^{2}}{t_{0}^{2}}\simeq 3\times 10^{-122}</math> (3.16)
 
 
e questo potrebbe spiegare per quale motivo l’energia del vuoto ha attualmente un valore inferiore di circa 120 ordini di grandezza rispetto a quello previsto dalle teorie quantistiche di grande unificazione (GUT): in realtà essa non sarebbe affatto costante, ma diminuirebbe col passare del tempo, e tutte le particelle esistenti in natura, dai costituenti della materia ai portatori delle forze, non sarebbero altro che condensazioni di questa “quintessenza” primordiale.
 
 
 
'''Bibliografia'''
 
1. Bardeen, J. M.; Carter, B.; Hawking, S. W.: The four laws of black hole mechanics, Commun. math. Phys., 31, 161–170 (1973)
 
2. Bekenstein, J. D.: Black Holes and Entropy, Phys. Rev., D, 7, 2333–2346 (1973)
 
3. Hawking, S. W.: Particle creation by black holes, Commun. math. Phys., 43, 199–215 (1975)
 
4. Hawking, S. W.; Penrose R.: The Nature of Space and Time, New Jersey (1996)
 
5. Jack Ng, Y.: From Computation to Black Holes and Space-Time Foam, Phys. Rev. Lett., 86, 2946–2949 (2001)
 
6. Lloyd, S.: Computational Capacity of the Universe, Phys. Rev. Let¬t., 88, 237901 (2002)
 
7. Lloyd, S.; Ng, Y. Jack: Black Hole Computers, Sci. Am., 53–61 (2004)
 
8. Margolus, N.; Levitin, L. B.: The maximum speed of dynamical evolution, Physica, D, 120, 188–195 (1998)
 
9. Penrose, R.: The Emperor’s New Mind: Concerning Computers, Minds, and The Laws of Physics, Oxford; New York (1989)
 
 
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