Utente:Flippo/Sandbox: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Flippo (discussione | contributi)
Canto I, Inferno
 
Flippo (discussione | contributi)
mNessun oggetto della modifica
Riga 7:
 
== Testo annotato ==
{{quote|#'''<big>«</big>''' Nel mezzo del cammin di nostra vita}} '''<big>»</big>'''
#*1. '''Nel mezzo del cammin...''': Giunto alla metà del cammino della nostra vita umana. L'inizio del poema, in forma semplice e piana, è una indicazione di tempo. La visione dell'aldilà si presenta come un fatto storicamente datato che si svolge nel tempo. Dante indica infatti qui una data precisa, cioè i suoi 35 anni, considerati allora, «ne li perfettamente naturati», il punto medio della durata della vita (''Conv.'' IV, XXIII 6-10); la Bibbia stessa – in accordo, del resto, alle teorie aristoteliche riprese da Alberto Magno e Tommaso d'Aquino – era all'origine di tale opinione («Gli anni della nostra vita sono 70»: ''Ps''. 89, 10) e l'aggettivo ''nostra'' sembra discendere dal salmo al verso di Dante, dando a quel linguaggio dimesso e quotidiano una risonanza universale ed epica. L'idea della vita come cammino (che ha quindi un suo fine) riempe questo pimo verso.<br/>È l'idea di partenza del poema. Essa ha origine nella Bibbia (2 ''Cor''.5,6) e Tommaso la precisa nel suo commento: «L'uomo, costituito nella condizione di questa vita terrena, si trova come in una strada per la quale deve dirigersi verso la sua patria». Dante la riprende e la svolge in un passo del ''Convivio'', dove si ritrova quasi una parte del primo verso del poema: «così l'anima nostra, incontanente che nel novo e non mai fatto ''cammino di questa vita'' entra...»; è questo il cammino verso il bene, che l'uomo «perde per errore come le strade de la terra» (''Conv''. IV, XII 15-8), proprio come è accaduto all'uomo della prima terzina del poema. La data di questo viaggio dell'anima è tuttavia storica, come dichiarano più luoghi lungo le cantiche che fissano la visione al 1300 (Dante era nato nel 1265) e precisamente al venerdì santo di quell'anno. È questo del resto l'anno del grande giubileo indetto da Bonifacio VIII, certo non a caso scelto per il viaggio di conversione e salvezza. Che le prime parole del poema indichino dunque un tempo storico, appare indubbio. Ma tale tempo storico è fin dall'inizio proiettato sullo sfondo dell'eternità dal preciso ricordo biblico presente in questo primo verso: «Io dissi: 'a metà della mia vita me ne andrò alle porte degli inferi'»(''Is''. 38,10). Le parole del profeta-che narra in quel capitolo l'intervento salvifico di Dio per strappare un uomo alla morte-stabiliscono la seconda dimensione del racconto: sono così già posti i 2 piani, quello terrestre e quello celeste, sui quali si svolgerà tutto il poema ''al quale ha posto mano'', come Dante stesso dirà, ''e cielo e terra'' (''Par''. XXV 2).
#*'''nostra''': con questo aggettivo il singolo personaggio Dante accomuna a sé tutta l'umanità. Scopo del poema infatti è «rimuovere chi vive in questa vita dallo stato di miseria e condurlo in stato di felicità» (''Ep''. XIII 39). Così Dante intraprende personalmente questo viaggio, che è di tutti gli uomini, dall'oscurità (la selva) alla luce, dal dolore alla felicità, e la sua vicenda privata, storicamente reale e databile, diventa segno dell'universale vicenda umana.
{{quote|#'''«''' mi ritrovai per una selva oscura,}} '''»'''
 
#*2. '''mi ritrovai''': mi ritrovai ad essere, presi coscienza di trovarmi. Di qui lo sgomento e la paura. Quando c'era entrato infatti, e fino a quel momento, non ne aveva avuto coscienza (v.10). Questo preciso momento, in cui l'uomo si accorge del suo smarrimento (v.3), e se ne spaventa (v.6), è appunto l'inizio della conversione, e segna l'inizio del poema.
 
#*'''per una selva oscura''': ''per'' vale «per entro», mantenendo il senso latino di moto per luogo; indica quindi il camminare senza meta proprio di chi si è smarrito. La selva è l'immagine antica e immediatamente comprensibile del male e dell'errore, diffusa in tutta la letteratura cristiana, e come tale Dante stesso la usa nel ''Convivio'': «la selva erronea di questa vita» (''Conv''. IV, XXIV 12). D'altra parte, nell'ambito letterario, la selva si ritrova all'entrata dell'Averno virgiliano (''Aen''. VI 131, 179 ecc.) e, per restare agli autori più cari a Dante, proprio lo smarrimento nella selva segna l'inizio della storia nel ''Tesoretto'' di Brunetto Latini, come di molti testi romanzi. Questa metafora abbraccia quindi il secoli di tradizione (e osserviamo fin d'ora che tale sarà il linguaggio di tutta la ''Commedia'', sempre antichissimo, ma insieme straordinariamente nuovo). Essa significa qui, come quasi tutti hanno inteso, uno strato di peccato. La selva infatti oscura perché non vi splende il sole (v.60), segno del bene e di Dio. La metafora luce-tenebre, di origine evangelica (''Io''. 1,5), si ritroverà poi come motivo conduttore per tutta la ''Commedia''. Dante vuole indicare nella selva, come preciserà a chiare lettere più oltre nel poema (cfr. ''Purg''. XXIII 115-20 e XXX 130-2), un reale periodo di traviamento della sua vita, che è qui lasciato nell'indeterminato, proprio perché vuol rappresentare nello stesso tempo il generale sbandamento dell'umanità.
{{quote|mi ritrovai per una selva oscura,}}
*2. '''mi ritrovai''': mi ritrovai ad essere, presi coscienza di trovarmi. Di qui lo sgomento e la paura. Quando c'era entrato infatti, e fino a quel momento, non ne aveva avuto coscienza (v.10). Questo preciso momento, in cui l'uomo si accorge del suo smarrimento (v.3), e se ne spaventa (v.6), è appunto l'inizio della conversione, e segna l'inizio del poema.
*'''per una selva oscura''': ''per'' vale «per entro», mantenendo il senso latino di moto per luogo; indica quindi il camminare senza meta proprio di chi si è smarrito. La selva è l'immagine antica e immediatamente comprensibile del male e dell'errore, diffusa in tutta la letteratura cristiana, e come tale Dante stesso la usa nel ''Convivio'': «la selva erronea di questa vita» (''Conv''. IV, XXIV 12). D'altra parte, nell'ambito letterario, la selva si ritrova all'entrata dell'Averno virgiliano (''Aen''. VI 131, 179 ecc.) e, per restare agli autori più cari a Dante, proprio lo smarrimento nella selva segna l'inizio della storia nel ''Tesoretto'' di Brunetto Latini, come di molti testi romanzi. Questa metafora abbraccia quindi il secoli di tradizione (e osserviamo fin d'ora che tale sarà il linguaggio di tutta la ''Commedia'', sempre antichissimo, ma insieme straordinariamente nuovo). Essa significa qui, come quasi tutti hanno inteso, uno strato di peccato. La selva infatti oscura perché non vi splende il sole (v.60), segno del bene e di Dio. La metafora luce-tenebre, di origine evangelica (''Io''. 1,5), si ritroverà poi come motivo conduttore per tutta la ''Commedia''. Dante vuole indicare nella selva, come preciserà a chiare lettere più oltre nel poema (cfr. ''Purg''. XXIII 115-20 e XXX 130-2), un reale periodo di traviamento della sua vita, che è qui lasciato nell'indeterminato, proprio perché vuol rappresentare nello stesso tempo il generale sbandamento dell'umanità.