Impresa sociale di comunità/Forme giuridiche: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
FrescoBot (discussione | contributi)
m Bot: sintassi dei link
Riga 32:
=== Le forme organizzative disponibili e gli scopi ===
L’esercizio di un’impresa sociale, anche nella variante comunitaria, può essere condotto, alla luce delle norme vigenti, secondo almeno tre modelli organizzativi previsti dal codice civile: l’associazione, la fondazione e la società cooperativa.
Il d. lgs. n. 155/2006 [[http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/testi/06155dl.htm]] consentirebbe altresì di impiegare la forma societaria non cooperativa, ma nell’ambito di un impianto normativo che da un lato si alimenta in misura cospicua proprio dall’armamentario organizzativo delle società lucrative, e dall’altro pone vincoli rilevanti nella gestione dell’impresa (ad esempio al finanziamento), senza assegnare congrui incentivi di tipo fiscale.
 
 
Riga 48:
Essa deve essere dotata di un organo amministrativo e difetta al suo interno un’assemblea nel senso già visto quanto alle associazioni, intesa come organo composto da soci che abbiano versato un conferimento iniziale e mantengano un potere di controllo e decisionale sulla vita dell’ente.<br/>
Tanto le associazioni, riconosciute o meno, quanto le fondazioni, possono divenire intestatarie di beni, anche immobili.<br/>
La legge non definisce lo scopo dell’associazione, così come quello della fondazione: esso tuttavia ''non può in ogni caso essere lucrativo''. Pertanto, anche al fine di rispettare le disposizioni di natura fiscale di cui all’art. 10 d. lgs. n. 460/1997 (il c. d. "decreto Onlus") [[http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/testi/97460dl.htm]], è necessario che lo statuto contenga espressamente una ''clausola di non distribuzione dell’utile'' o di qualsiasi avanzo di gestione, il quale deve comunque essere accantonato e destinato al raggiungimento dello scopo tipico.<br/>
È opportuno tenere presente che il già visto d. lgs. n. 460/1997 vieta la distribuzione di utili o la divisione del fondo comune anche “in via indiretta”, ad esempio attraverso l’attribuzione di una remunerazione eccessiva ai membri dell’organo di amministrazione, oppure tramite la cessione di beni o la prestazione di servizi ai membri a condizioni inadeguate. Similmente prescrive del resto l’art. 3 d. lgs. n. 155/2006.<br/>
Anche in caso di scioglimento e di liquidazione, il residuo non può comunque essere attribuito ai soci: esso deve piuttosto essere devoluto secondo quanto previsto dall’art. 31 del codice civile ad altro ente avente analoga finalità. Analogamente dispone del resto l’art. 10 d. lgs. n. 460/1997, che impone anche l’adozione di una specifica clausola statutaria.<br/>