Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Unione sovietica-Strikers: differenze tra le versioni

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I primi motori iniziali furono gli NK-144-22 da 20.000 kg/s (in pratica, i motori del Tu-144), che vennero montati solo sui prototipi (Tu-22M0). La velocità raggiunta con questi propulsori fu di poco superiore ai 1.500 km/h. Per aumentare le prestazioni, vennero successivamente sostituiti dagli '''NK-22''' da 22.000 kg/s, utilizzati sui successivi Tu-22M1 ed M2.
 
Tuttavia, anche in questo caso non si riuscì a raggiungere le velocità richieste dai vertici dell’aviazione (il requisito era di 2.300 orari, e la velocità massima raggiunta con gli NK-22 fu di “solo” 1.800 km/h). Anche i valori relativi all’autonomia erano bassi rispetto alle richieste. Si decise quindi di utilizzare i più efficaci '''NK-25''', da 25.000 kg/s, che vennero montati sulla versione M3. Con questi propulsori, turbofan ad alto rapporto di diluizione (similmente a quelli dei Su-27 o dei Tornado), pari a circa 0,7-0,8:1, i Tu-22M riuscirono a raggiungere i 2.300 km/h ed i 7.000 km di autonomia. Che il motore fosse diverso è stato chiarito anche dall'osservazione delle prese d'aria, passate da quelle bidimensionali modello Phantom con piastra dello strato limite, a grandi prese d'aria da 1,4 mqm<sup>2</sup> di sezione, simili a quelle degli F-15 e MiG-25/31 e capaci di ottimizzarsi meglio a seconda della velocità. Per ottimizzare il flusso dell'aria, vi sono ben 9 portelli ausiliari apribili al decollo, che consentono di evitare prese d'aria troppo grandi, poi penalizzanti in supersonico (il Tu-22, dopotutto, deve volare a circa la velocità del Concorde, al limite della fattibilità per un grosso bombardiere), così si è risolto con questa serie di prese d'aria ausiliarie, grossomodo a metà aereo. I condotti sono una novità per questi bombardieri, dopo l'evoluzione dai Tu-22. Le prese d'aria erano lunghe quasi quanto l'aereo, pesanti e ingombranti, laterali rispetto alle ali di piccole dimensioni, con il sistema di movimentazione sotto la parte centrale della fusoliera. È una soluzione impegnativa rispetto a quella del Tu-22, e piuttosto simile, invece, a quella del Su-24. Infine il carburante, variamente valutato (come anche l'autonomia, tra 2.188 e 8.000 km), nei primi anni '90 era inteso in circa 68.750 l più un eventuale serbatoio interno nel vano portabombe, da 7.500 litri.
 
Da notare che il Tu-22M è ben diverso dal vecchio Tu-22, la cui forma era aerodinamicamente eccelsa data l'esclusione dei motori stessi dalla fusoliera e dalle ali, relegati piuttosto ai lati della coda in maniera inconfondibile (visto che non aveva la coda a T, ma di tipo convenzionale), ma con lunghe prese d'aria che corrono lungo la fusoliera e arrivano alla coda, dentro cui sono inglobati i motori. In pratica, quindi, la fisionomia dell'aereo è quella di un enorme interdittore modello Tornado, piuttosto che un bombardiere classico. Per ospitare i motori, però, è stato necessario ricorrere ad una fusoliera pesante e con vari compromessi. La situazione ideale, motori sotto o dentro le ali, era preclusa dalla geometria variabile e dal poco spazio sotto la parte fissa delle ali. L'ideale è stato raggiunto dopo, con il Tu-160, aereo nettamente più grande, con 2 coppie di motori sotto le ali, come nel caso del B-1B americano del resto. Il Tu-22M è stato disegnato per profili di volo veloci e ad alta quota. A bassa quota, invece, ha limitazioni non indifferenti. La struttura è leggera, con scuotimenti e le sottili ali piegate verso l'alto anche in condizioni non critiche di volo. Quanto ai carrelli, essi sono tre: uno doppio anteriore, due posteriori con tre coppie in tandem di ruote, pneumatici da 1.030x350 mm (anteriori: 1.000 x280 mm) e pressione 11,96 kg/cm2 (9,6 per il carrello anteriore). Un'altra caratteristica è l'enorme deriva verticale: il timone, a doppio angolo di freccia nella superficie d'entrata (57° per la parte inferiore) e superficie di quasi 62 m2, tanto che deve allungarsi fino all'altezza delle ali. Così è stato tuttavia possibile eliminare eventuali pinne ventrali di stabilizzazione, un problema non di poco conto per i velivoli a geometria variabile (vedi la pinna ventrale piegabile del MiG-23/27).