Divina Commedia/Inferno/Canto I: differenze tra le versioni

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{{quote|Tant'è amara che poco è più morte;}}
*7. '''Tant'è amara...''': tale condizione (la selva) è tanto amara che la morte, «ultima delle cose terribili» (Boccaccio), lo è poco di più. Si veda il passo di ''Conv.''I, VII 4: «ciascuna cosa che da perverso ordine procede... è amara». Dante qui rovescia il paragone biblico, dove il peccato è raffigurato peggiore della morte («Trovo che amara più della morte è la donna»: ''Eccl''.7, 27), perché, come dice Pietro, finché si è in vita può ancora venire un rimedio da Dio. L'aggettivo «amaro», proprio del gusto, è riferito all'intelletto, che giudica amaro il vizio quando ne prende coscienza. E'È questo il primo esempio dell'uso pregnante e non consueto dell'aggettivo (''amara'' infatti non è proprio detto di selva), che sarà caratterizzante di tutto lo stile della ''Commedia''. Si osservi infine l'allitterazione tra ''amara'' e ''morte'', già biblica, che ha lunga tradizione nella poesia medievale.
 
 
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{{quote|E come quei che con lena affannata,}}
*22. '''E come quei...(22-7)''': come colui che, uscito dal mare in tempesta (''pelago''), e giunto a riva, con il respiro (''lena'') ancora ansante per lo sforzo, si volge indietro... E'È la prima similitudine del poema, divisa, come molte altre, in 2 precise terzine: la prima rappresenta la figura, la seconda il figurato. E già l'evidenza realistica e l'intensità del significato sono quelle del Dante maggiore. Come sempre, il gesto fisico, preciso fin nei particolari-il respiro affannoso, lo sguardo intenso e atterrito (''guata'')-, indica il gesto morale dell'uomo che guarda indietro con interno spavento all'abisso del male a cui è sfuggito.
 
 
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{{quote|così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,}}
*25. '''ch'ancor fuggiva''': il corpo era fermo, ma nell'animo era ancora in fuga: «ancora scampato esser non gli parea, ma come nel pericolo fosse ancora, di fuggire si sforzava» (Boccaccio). E'È il punto più alto del periodo, e i 2 accenti (''ancòr, fuggìva'') lo sottolineano. Osserviamo che è già presente qui quell'acutezza di penetrazione dell'animo umano per cui si distingue il verso di Dante.
 
 
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{{quote|sì che'l piè fermo sempre era il più basso.}}
*30. '''sì che'l piè fermo...''': «Mostra l'usato costume di coloro che salgono, che sempre si fermano più in su quel piè che più basso rimane» (Boccaccio). Oltre a questo senso letterale, già gli antichi, a cominciare da Pietro, videro concordemente nell'immagine la ben nota metafora agostiniana del piede come affetto dell'anima (Agostino, ''Commenti ai Salmi''9, 15); «L'amore è il piede con cui l'anima procede» (Benvenuto). Come il corpo ha 2 piedi, così anche l'anima, con i quali va verso il bene o verso il male. Il piede più basso, e più saldo, rappresenterebbe quindi l'affetto alle cose terrene che ancora aggrava Dante, mentre quello che avanza-«cioè l'amore che tendeva alle cose celesti» (Benvenuto)-è ancora esistente. Recentemente il Freccero (''Dante'', pp.53 sgg.), osservando che il ''piè fermo'' («pes firmior») era per gli scolastici il sinistro, e che i 2 piedi dell'anima sono, per Alberto Magno e altri, l'intelletto e l'affetto, intende che il piede sinistro (l'affetto) ancora volto alla terra non sia in grado di avanzare, e il pellegrino cammini quindi zoppicando per la pioggia. E'È molto probabile-dato il contesto- che un significato allegorico come quelli proposti, del resto simili, sia racchiuso nel verso, altrimenti gratuito e poco chiaro; significato che i contemporanei potevano agevolmente cogliere, e noi non più.
 
 
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{{quote|ch'io perdei la speranza de l'altezza.}}
*54. '''ch'io perdei...''': questo verso ha un andamento e un tono definito. Sembra che tra la speranza e la paura, che finora si sono alternate, la prima sia ormai irrimediabilmente sconfitta. Dei 3 animali, quello che sconfigge veramente l'uomo è infatti l'ultimo. E'È questo il vizio più radicato e più temibile, origine di tutti gli altri secondo la Scrittura (cfr. nota al v. 51). E vedremo come per Dante esso sia alla base della rovina di tutta la comunità umana. Dietro la storia del singolo, c'è infatti la storia pubblica e politica della «hamana civilitas» che Dante vuol condurre alla felicità del disonore e del dolore che la ''Commedia'' si propone di denunciare e di risanare.
 
 
{{quote|E qual è quei che volontieri acquista,}}
*55. '''E qual è quei...(55-60)''': come l'avaro, che accumula beni, e viene il momento che gli fa perdere ciò che ha acquisito, e piange e si dispera in cuor suo... Questa seconda similitudine vuole indicare lo stato d'animo di chi ha perso tutto; e segue infatti al v.54, che sembra non ammettere via d'uscita. E'È una delle molte similitudini che potremmo chiamare psicologiche, con cui Dante raffigura gli stati e i moti dell'animo suoi e di altri, e che accompagnano tutto il racconto della ''Commedia''. Può darsi, come suggerisce Benvenuto, che egli abbia qui in mente alcuni «fallimenti» di ben noti mercanti fiorentini avvenuti tra il 1280 e il 1300, il cui aspetto era rimasto impresso nella sua fantasia. Il Contini (''Un'idea'', p.138) ha riferito questa immagine al giocatore, con rimando a ''Purg''. VI 1-3. Ma la situazione appare ben altrimenti tragica, e del resto l'avidità insaziabile dell'avaro è il tema proprio della lupa.
 
 
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{{quote|là onde 'nvidia prima dipartilla.}}
*111. '''là onde 'nvidia...''': nel luogo da cui per la prima volta (''prima'' vale primamente, cioè al momento della tentazione di Eva) l'invidia del diavolo la mandò nel mondo, a tentare l'uomo (cfr. ''Sap''. 2, 24: «la morte è entrata nel mondo per l'invidia del diavolo»); il diavolo ci invidia, spiega Pietro di Dante, «poiché vede che per noi è aperto il cielo, che per lui fu chiuso» (cfr. ''Par''. IX 127-9). Altri oggi intendono: '' 'nvidia prima'', cioè Lucifero (contrapposto al ''primo'' amore detto di Dio, in III 6 e altrove), ma sembra che il testo biblico e l'assenza dell'articolo inducano alla prima interpretazione. 112 sgg. Finita la profezia, tenuta in tono alto e con riferimenti biblici, Virgilio si rivolge con linguaggio più sommerso e discorsivo (''Ond'io per lo tuo me'...'') a Dante, indicandogli la via giusta da seguire, e proponendosi come guida. Che il viandante, l'"homo viator" di questa storia, non si salvi da solo, ma accetti una guida da cui andar dietro (''seguir, tener dietro''-vv.113 e 136-sono i 2 verbi che aprono e chiudono il passo), è l'elemento fondamentale di tutta la ''Commedia''. La sua importanza si rivelerà sempre più in seguito (si veda per es. X 61: ''Da me stesso non vegno...''), ma è bene sottolinearla fin da ora, nel momento decisivo in cui Dante non solo accetta, ma richiede di essere condotto: ''io ti richeggio...che tu mi meni'' (vv.130, 133). E'È proprio questa cosciente richiesta che dà la possibilità di cominciare il viaggio (''Allor si mosse'': v.136). Questa condizione tipicamente cristiana per cui nella salvezza dell'uomo Dio fa tutto, ma l'uomo deve accettare che lo faccia, sta alla base del poema dantesco (diremmo che lo caratterizza).
 
 
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{{quote|perch'i' fu' ribellante a la sua legge,}}
*125. '''perch'i' fu' ribellante...''': perché io non seguii la sua legge; in quanto, vissuto prima di Cristo, Virgilio non adorò ''debitamente a Dio'' (cfr. IV 37-9); la ribellione, in questo caso, non si manifesta nel ''far'', ma nel ''non far'' (cfr. ''Purg''. VII 25-7). E'È il tema di Virgilio, e di tutto il mondo antico, escluso dolorosamente da Dio, su cui torneremo nel commento del canto IV.